Brani inediti dei Promessi Sposi. Opere di Alessando Manzoni vol. 2 parte 2
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Alessandro Manzoni. Brani inediti dei Promessi Sposi. Opere di Alessando Manzoni vol. 2 parte 2
LE PRIME ACCOGLIENZE
I
II
III
IV
XI. Fuga di Don Rodrigo
XII. Ritorno di Lucia al suo paese
XIII. Visita del Conte del Sagrato a Lucia
XV. Cure del Cardinal Federigo per mettere al sicuro Lucia
XVI. Il tozzo di pane e il bicchier d'acqua del Cardinal Federigo
XVII. La carestia del 1628 – Ragioni, rimedi e moti dell'opinione pubblica nelle carestie
XVIII. Don Ferrante e la sua famiglia
XIX. Il passaggio de' lanzichenecchi
XX. Dialogo sulla peste tra Don Ferrante e il Signor Lucio
XXI. La peste a Bergamo – Ritorno di Fermo al paese nativo – Suo incontro con Don Abbondio e con Agnese
XXII. Fermo trova Lucia nel lazzeretto
XXIII. Scioglimento del voto di Lucia e morte di Don Rodrigo
APPENDICI
I. Il principio del Romanzo nella prima minuta
II. Il principio del Romanzo nella seconda minuta
III. Il principio del Romanzo nella copia per la censura148
IV. La fine del Romanzo nella prima minuta
V. La Serva di Don Abbondio
VI. La confessione di Lucia e il consiglio di Agnese
VII. Una digressione
VIII. Il Padre Cristoforo ripreso dal Guardiano di Pescarenico
IX. Il tentativo fallito del matrimonio clandestino
A) PRIMA MINUTA
B) SECONDA MINUTA
X. Le correzioni all'«Addio ai monti»
A) PRIMA STESURA
B) SECONDA STESURA
C) TERZA STESURA
D) Il testo della prima edizione, con le correzioni di quella del 1840, riveduta dall'autore179
XI. L'Innominato; brano della seconda minuta, stralciato poi dall'Autore181
XII. Descrizione dell'autografo della prima minuta de' «Promessi Sposi»187
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Giulia, la primogenita del Manzoni, scriveva al Fauriel l'8 luglio del '27: «Debbo dirvi che abbiamo provato un gran piacere nel vedere il lieto successo del libro del babbo. In verità, superò non solo la nostra aspettativa, ma ogni speranza; in meno di venti giorni se ne vendettero più di 600 esemplari. È un vero furore; non si parla d'altro; nelle stesse anticamere i servitori si tassano per poterlo comprare. Il babbo è assediato da visite e da lettere d'ogni specie e d'ogni maniera; furono già pubblicati alcuni articoli intieramente favorevoli ed altri se ne annunziano».
Non senza una trepidazione grande l'aveva finalmente dato fuori, come si rileva dalle lettere che il Tommaseo, allora a Milano e in familiarità con lui, era andato di mano in mano scrivendo a Giampietro Vieusseux1. «Il suo romanzo o addormentato»: (così il 12 novembre del '26) «egli teme di pubblicarlo, tanta è la nausea che ispira a ogni bene l'aspetto di quella canaglia che ha parte nella Biblioteca Italiana». E di lì a dodici giorni: «Egli s'era scuorato un po', non per tema di que' vili imbecilli, ma per quella stanchezza di mente che nasce al pensiero di vedere male accolta un'opera che costò tanta pena, e che, dic'egli, non fa male a nessuno. Io temo, soggiungea, che mi vogliano far scontare la troppa aspettazione ch'egli hanno di questo libro: aspettazione della quale, a dir vero, non è mia la colpa». Gli tornava a scrivere il 2 decembre: «Manzoni ripiglierà il suo romanzo, da cui l'aveva scuorato lo zelo dell'amicizia; voglio dire le critiche fatte al 2º. canto del Grossi»2. In un'altra, senza data, ma del febbraio o del marzo del '27, soggiunge: «Manzoni è all'ultimo capitolo ancora. Ma incomincia a stampare l'altra metà dell'ultimo tomo; onde innanzi alla fine dell'anno si può sperare di veder il Romanzo alla luce3. Dev'essere un gran gridare, un gran sentenziare de' Classici. E la Biblioteca Italiana come lo prenderà d'alto in basso!» Gli torna a scrivere il 12 maggio: «Manzoni non ha cominciato ancora a stampare l'altra metà dell'ultimo tomo; ma non va, mi dice, in campagna, se non se pubblicatolo. Io godo d'andarmene via: penerei a sentire la lotta che forse gli si prepara, e forse non potrei non mischiarmivi».
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Terenzio Mamiami, che era a Firenze nel 1827 quando vi andò il Manzoni, racconta: «io l'ho veduto impacciato fuor modo degli encomii infiniti che gli suonavano intorno. Rispondeva con parole poche ed avviluppate e arrossiva tuttavia a somiglianza di fanciulla. Spesso il Leopardi assisteva a codeste apoteosi. Ed io, vedutolo una sera rincantucciato e solo, mentre il fiore de' letterari e degli studiosi affollavasi intorno al Manzoni, lo incitai a manifestare quello che gliene paresse. Me ne pare assai bene, rispose, e godo che i Fiorentini non si dimentichino della gentilezza antica e dell'essere stati maravigliosi nel culto dell'arte». Aggiunge: «Pochi anni dopo io l'udivo in Firenze esprimere intorno al Manzoni questa riservata sentenza. Che l'avere eletto pel suo romanzo una dell'epoche più sventurate e servili delle storie italiane dee nascondere molte ragioni ed assai poderose23; ma certo non appariscono, e sembra invece uscire dal suo racconto la deplorevole conseguenza che del presente non bisogna zittire, dacchè gl'Italiani altre volte si trovarono molto peggio e l'Austriaco vale un oro a petto del Castigliano»24.
In due lettere, tutte e due dell'8 settembre '27, il Leopardi aprì l'animo suo al padre e allo Stella. A quest'ultimo scriveva: «Io qui ho avuto il bene di conoscere personalmente il signor Manzoni, e di trattenermi seco a lungo: uomo pieno di amabilità, e degno della sua fama». E al padre: «Tra' forestieri ho fatto conoscenza e amicizia col famoso Manzoni di Milano, della cui ultima opera tutta l'Italia parla». Di nuovo al padre: «Ho piacere che ella abbia veduto e gustato il Romanzo cristiano del Manzoni. È veramente una bell'opera; e Manzoni è un bellissimo animo e un caro uomo». E al conte Antonio Papadopoli: «Ho veduto il romanzo del Manzoni, il quale, non ostante molti difetti, mi piace assai, ed è certamente opera di un grande ingegno; e tale ho conosciuto il Manzoni in parecchi colloqui che ho avuto seco a Firenze. È uomo veramente amabile e rispettabile».
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