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Balbo Cesare. Novelle

QUATTRO NOVELLE NARRATE DA UN MAESTRO DI SCUOLA

FRANCESCA

TONIOTTO E MARIA

LA BELLA ALDA

MARGHERITA

IMILDA

I DUE SPAGNUOLI

I

II

III

NUOVE NOVELLE NARRATE DA UN MAESTRO DI SCUOLA

L'EBREA

LA MARCHESINA

IL FILOSOFO

L'UFFICIALE IN RITIRO

Отрывок из книги

In una villa dove già vissi alcuni anni, fu da maestro di scuola un prete molto buono e sociabile; del quale, come aveva detto messa e finita la scuola o l'ufficio, e se occorreva qualche confessione, ogni sollazzo era alla state ir a diporto su per que' colli, od a sonar gli organi e i gravicembali ne' castelli all'intorno; e il verno poi entrar nelle case de' signorotti e de' villani di quel contado, ed ivi, come si dice, fare stalla, che tant'è come in città far conversazione. E perchè virtuoso e pio e pacifico uomo egli era, ogni suo conversare tendeva a ispirare pace e pietà. Ond'egli poi solea con gli altri preti suoi amici darsi vanto di non far altro là, che continovar lo insegnamento della dottrina cristiana incominciato alla scuola e spiegarla con gli esempi, che fanno più impressione, ma che non tutti starebbero bene in chiesa. – E veramente, egli aggiugnea sorridendo, anche queste vecchierelle usano così, e volendo dar insegnamenti alle giovani, subito vengono agli esempi; ma questa differenza è tra esse e me, che elle li scelgono presso le vicine e contemporanee, io sempre li cerco in tempi antichi e luoghi sconosciuti. Nè so se nel modo loro sia più efficacia, ma nel mio certo è più carità. – Ed una sera che c'ero pur io, ed a suo malgrado s'era appunto sparlato della gente, il buon maestro incominciò così:

Donne mie, lo sparlare della gente è una brutta cosa: e' si fa senza badarci, e chi l'ha fatto la sera, talor non se ne ricorda la domane, nè mai più di sua vita; e intanto quella parola così leggermente uscita di bocca cresce e fa danno, e talor perde un uomo o una donna nell'onore e nella roba, e talor anco nella vita; e chi l'ha detta, anche pentito, non la può più riavere. Del calunniar poi per malignità non ne dico, perchè voi altre siete tutte buone; ma nelle città e paesi grandi è altrimenti. In una di queste, ch'io non vi nomerò, perchè non la conoscete, e se la conosceste, ve la nomerei anche meno, e' fu già una fanciulla chiamata Francesca, nobile, bella, e che era nata ricca e grande quasi sopra ogni altra della città. Ma per il parteggiare che si faceva a que' tempi (gran disgrazia, figliuoli miei, queste parti e nimicizie in un paese!) erano stati uccisi in guerra, ed anche in piazza a furia di popolo, o di supplizi, o morti in esiglio, tutti i suoi, padre, avo, zii, fratelli; che tutti erano stati della parte perdente, ed ella sola e meschina rimanea colla madre vedova e ridotta a povertà. E in che trista vita s'allevasse la fanciulla, pensatelo voi. Non feste, non divertimenti, non gaio e giovanile vestire, che non si convenivano a tal povertà e vedovanza; nemmeno quasi un passeggio, per orrore ch'avea la madre d'incontrare or l'uno or l'altro degli uccisori o persecutori di suo marito o de' suoi figli; non compagne, nè amiche, che poche lor ne restavano, e quelle per timore si schivavano l'una l'altra più che non si cercavano. Ma sole, e il più del tempo la madre a piagnere; la figliuola a piagner con lei, a lavorar dell'ago o della rocca, o al più al più a leggere qualche libruccio di divozione, o qualche cronaca o leggenda, e poi di nuovo a veder piagnere la madre, ed uscir ogni domenica a messa molto per tempo, e a vespro molto tardi per non esser vedute, sempre vestite di un cambelotto nero, che la madre quasi credette far un peccato a lasciarlo poi mutar in bigio dalla fanciulla. Nè tuttavia crediate che fosse del tutto disconsolata la vita di questa. Non ella avea conosciuto padre nè fratelli, sendo tuttavia al petto della madre quando si rivolse lor fortuna. Ed, oltrechè il non rammentar tempi felici gran diminuzione è di miseria, la prima gioventù ha nel sangue stesso la felicità, ed a lei piovono le consolazioni. Ora era un bel giorno di primavera, e la madre lasciavala pur uscire all'alba colla servuccia a raccor fiori, ed ella riportavale un bel mazzo di mammole, che poi faceva sotto il povero tetto soave fragranza tutto quel giorno; ora comprato da qualche monello un bel cardellino, ella poi se l'allevava con un amore che se ne faceva un compagno; ora anche, perchè ella era tanto buonissima come bella, con quella poca moneta che poteva avere, sollevava ella meschina qualche più meschino di lei, il quale ne durava grato, meno a lungo forse che non ella felice. Nè era tutto, perchè forza è pur dirlo. Non compiuto avea il sedicesimo anno, una consolazione le venne troppo maggiore delle mammole e del cardellino, ed anche della sua amorevole carità; una consolazione da lei prima inavvertita e che ella nè consolazione nè altro di niun nome chiamava: ma era una vista, un pensiero, una occupazione continova, anzi una vita del tutto nuova e dolcissima.

.....

E così colla coscienza leggera e il cuore allegro cavalcando co' suoi compagni alcuni giorni, giunse presso alla città per una bellissima sera d'aprile, e di modo per tempo, che parendogli pure di potersi sbrigare fin da quella notte della penitenza, pressati i cavalli, appunto suonavano le ventiquattro come egli toglieva il piè dalla staffa, ed era stretto nelle braccia della madre e degli altri congiunti ed amici ragunati a sue case. Ed era in mezzo a quegli abbracciari tuttavia sulle porte, quando usandosi fare appunto a quell'ora i mortorii, egli udì da lungi un fioco salmeggiare, e vide alcuni lumicini attraversar la via e lenti rivolgersi al duomo. E benchè duro gli paresse lasciar in quel punto la casa e i parenti, pur dicendo non so che di alcuni negozi privati e della repubblica, che il traevano subitamente altrove, e non l'aspettassero altrimenti, di mezzo a loro, che tutt'altro veramente immaginarono, si tolse; e perdendosi tra la folla raggiunse il mortorio, e con esso dentro al duomo entrò. Era questo, come vedete tuttavia le chiese antiche, fatto a modo di gran croce, coll'altare in mezzo, e due gran cappelle ai lati, e con tre navate, e molti pilastri e colonne; dietro una delle quali mettendosi Rambaldo, vide posar la bara dinanzi all'altare, e continuati alcun tempo i salmi, spegnersi poscia i lumi, salvo uno lasciato a capo del morto, e dileguarsi poco a poco l'accompagnamento, che era come di mezzana e quasi bassa persona. E parendogli pure di voler sapere chi fosse costui ch'egli aveva a vegliar così, accostatosi a un vecchierello degli ultimi che uscivano di chiesa, il dimandò: «Chi è questo morto?» Rispondeva: «Una fanciulla che volle far all'amore, e lasciata morì di dolore e vergogna.» Rambaldo si rappiattava nuovamente, e il sagrestano veniva a far la visita della chiesa, e serrava i cancelli degli altari e la porta della chiesa; dove così rimase solo Rambaldo e la morta e un lume alla bara, e uno all'altare del Sacramento. Erasi alquanto stretto il cuore a Rambaldo in udir, una fanciulla svergognata; poscia, benchè egli non solesse nè di morti nè di vivi aver paura, parvegli al tutto men tristo ufficio vegliare intorno a lei, che se fosse stato qualche invecchiato peccatore, o qualche mal convertito eretico, o mal racconcio scomunicato. Accostossi in breve alla bara, e, al lume della funeral lampada, vennegli veduta un'arma cavalleresca che mostrava nobile la fanciulla, ma non potè discernere quale fosse; ed accrescendoglisi la curiosità, anzi già forse l'ansietà; e ripetendo, fanciulla, e svergognata, e insieme ricordandosi che avello fosse lì sotto, e tremando, da grande angoscia tratto, o da celeste impeto spinto, tutto in un punto sulla bara si precipitò, alzò il velo, prese la mano che gli era sopra incrocicchiata al petto, mirò il volto tutto tremante che Francesca fosse, ed era Francesca. Che divenne? Quale strazio, quale orrore sentì in quel punto? E quale inesprimibile terrore quando, lasciando cader la mano morta, la sua propria cadde con essa; e volendola pur ritrarre nol potè, e se la sentì stretta e tenuta; nè per dolce o duro sforzo che facesse, non la potette ritrarre? Diè un grido, precipitossi a terra in ginocchio, e rimbombò l'avello, che era quello dei parenti di Francesca, e parvegli rispondesse come un altro grido per il tempio, e uscisser l'ombre, ed alcuna si ravvolgesse fra le colonne, e s'accostasse a passi risonanti di ferro, e poco a poco si dileguasse. Tornato il silenzio universale, nuovi sforzi facea per ritrar la mano, e credè talora non fosse morta Francesca, e la mirò; ma vide appassiti i fiori che la incoronavano, appassite, spente le bellezze ch'egli avea vedute così fiorite, lunghi dolori e celeste pazienza ritratti sul dolcissimo volto, pallido questo, bianco e freddo come la fredissima mano. Fu per morirne, fu per infuriare e trarre il ferro e recider la mano vendicatrice; ma sentivala allora strigner la sua, e quasi addentrarsi, non più fredda ma ardente e cocentissima. Pensò uccidersi; ma, quasi ad ammonimento dell'inferno, sentiva la mano stillargli fuoco, e passar nelle vene e nelle midolle delle proprie ossa. In ultimo si diè pace, se così può dirsi, e si compose ginocchione al lato della bara, prostrato sovra essa, e la mano sua abbandonata alla mano vendicatrice. Incominciò poi dolcemente a pregare, e la mano a farglisi quasi più dolce, e senza dolore, ma pur sempre teneva stretta la sua; pregò lunghe ore, e finalmente si dispose come a morire, pensando che la mano non lo lascerebbe mai più, e trarrebbeselo seco lì sotto all'avello; ma sentendosela più e più dolce, ed una fragranza, e quasi un'aura di paradiso sollevarsi del corpo, e di nuovo mirando la celeste pace del bel volto, e parendogli che nuovamente s'abbellisse e tornasse quale egli l'aveva altre volte lasciata, venne anche a lui come una pace di moribondo che ben finisca; e chiesto a lei e a Dio sincero perdono, non altro desiderava che, prima di morire, venisse alcuno ad udir la sua confessione, e la riparazione dell'onor mal tolto alla fanciulla. In questi pensieri finalmente rivide il giorno spuntar tra le variopinte invetriate; e udì il suono dell'avemaria, e finalmente aprir le porte ed accostarsi il sagrestano; e fatto cuore, a sè lo chiamò. Ma questi che non credea fosse persona in chiesa, e parevagli la chiamata venir dall'avello, non che appressarsi, fuggì, e tornò in breve con un prete, e la croce e l'acqua benedetta; e il prete chiamato venne e riconobbe Rambaldo, e udendogli dire: «Io sono l'uccisor di questa fanciulla, io calunniatore, io gran peccatore, io castigato da Dio al modo che vedete;» e vedendo anch'egli, diè indietro, e incominciò a gridar miracolo; e a poco a poco altri preti, e aperte le porte molti del popolo accorrevano, circondavano la bara e il misero peccatore; ed egli ripeteva: «Io l'ho uccisa e mal calunniata;» e il popolo gridava miracolo. E in breve venuto col suo clero il Vescovo, che prudente e santo uomo era, dispose che intorno alla defunta ed all'inginocchiato peccatore, si facesse come una corona de' suoi cherici in istola, e colle torce in mano; ed egli salito all'altare intuonò la messa, e giunto al vangelo si rivolse al popolo, e fece una molto semplice esortazione: che ammirassero tutti le vie del Signore, ed imparassero quanto grave peccato sia la calunnia che a taluni par sì leggeri; e questo peccato abborissero e detestassero; ma il meschino peccatore compassionassero, e con esso pregassero da Dio misericordia, qualunque fosse quella ch'Egli volesse a lui fare o in questa vita ancora, o nell'altra. Così riprese la messa, e finitala venne alla bara, e disse a Rambaldo, che avendogli Iddio lasciato tanto di vita, e non sapendo quanti pochi momenti fosse per lasciargliene forse, egli facesse sua pubblica confessione; e allora Rambaldo s'alzò in piedi, e colla mano che avea libera accennando, incominciò la confessione; e disse da principio il suo amore, la gelosia, e prima le voci calunniatrici incertamente sparse, e in ultimo la croce involata, e da lui fatta sacrilegamente testimonio falso della calunnia. E allora sovvenendogli di essa, e come egli, dopo la sua confessione in Roma, sempre se l'era recata indosso con intenzione di restituirla segretamente: ora così pubblicamente, finita la confessione, se la tolse di seno, e mostratala al Vescovo ed al popolo, la ritornò, aiutandolo il Vescovo, al collo della fanciulla. Nè fu compiuto l'atto che parve quasi di verginal gioia il celeste volto suffondersi; e la mano vendicatrice dolcemente cadendo s'aprì, e lasciò libera quella di Rambaldo. Allora a gridarsi nuovamente miracolo, a prostrarsi Rambaldo, a precipitarsi il popolo intorno; e ricomposto l'ordine, ad intuonarsi dal Vescovo le sante ultime preci. E dicendo requiescat in pace, s'udì a un tratto da una cappella come un grande stramazzio d'armi sul pavimento; e accorsi, trovaron dietro all'altare un cavaliero caduto, e tolta la visiera il videro morto; e miratolo, riconnobbero Manfredi.

Credesi che questi anch'egli da divina mano ricondotto in patria il giorno innanzi, anch'egli passasse la notte in quella chiesa, e s'accostasse al primo grido di Rambaldo; ma riconosciutolo, e durando sua credenza che Francesca avesse questo amato il quale qui fosse a piagnerla, e potendo in lui sempre più che l'ira l'amore, si ritraesse ad orare dietro l'altare, onde poi udì tutta la terribile confessione di Rambaldo, conobbe il proprio errore, e la propria stoltezza, e sè accusando della morte della fanciulla, gli si strinse il cuore, e all'udir l'ultimo requiescat in pace, gli si ruppe, e morì. Fu sepolto non lungi là della sua amata. La madre di questa non sopravvisse intero l'anno. Di Rambaldo, altri dice che si fece monaco di San Benedetto, i quali allora vivevano tutti come ora i Trappiti, in un deserto; altri che fu anch'egli a Terra Santa non come cavaliero, ma pellegrinando a piè nudi, e facendo grandissime penitenze, e che santamente morì tornandone, e per via, a San Giacomo di Gallizia.

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