La montanara
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Barrili Anton Giulio. La montanara
Capitolo I. Mandato a confine
Capitolo II. I re della montagna
Capitolo III. Tra l'Ariosto e il Tasso
Capitolo IV. La vita alle Vaie
Capitolo V. Il commissario e l'applicato
Capitolo VI. Ombre e leggende
Capitolo VII. Al lago della Ninfa
Capitolo VIII. La marchesa Polissena
Capitolo IX. Due lettere
Capitolo X. La fanciulla dei Guerri
Capitolo XI. La notte di Sassuolo
Capitolo XII. Una inchiesta misteriosa
Capitolo XIII. Il segreto di Pellegrino
Capitolo XIV. Consolatore e giudice
Capitolo XV. Anima forte
Capitolo XVI. Delizie coniugali
Capitolo XVII. Le vittorie di Polissena
Capitolo XVIII. Per l'Italia
Capitolo XIX. Sant'Eufemia!
Capitolo XX. Vent'anni dopo
Отрывок из книги
Il Monte Cimone, alle cui falde era confinato il conte Gino Malatesti, è la più alta vetta dell'Appennino centrale. Duemila centocinquantasei metri sul livello del mare non sono ancora l'altezza del Monte Bianco; eppure il Cimone è debitore a questa sua elevatezza metrica di esser chiamato il Monte Bianco degli Appennini; modesto e generoso Monte Bianco, che per uno o due mesi dell'anno si lascia togliere dalla calva cervice il suo berretto di neve.
Alpestre, poco agevole ai piedini d'una bella signora delle nostre città, è il fianco del vecchio Cimone; ma la sua salita non offre difficoltà all'alpinista che all'ultimo passo, quando occorre, per guadagnarne la vetta, inerpicarsi sul petroso cono formato dalla emersione di alcuni strati del macigno appenninico. Ho detto il petroso cono, e infatti il Cimone presenta da lungi la forma di un cono, rozzamente tagliato, con la vetta spuntata in un pianoro, che ha forse cento metri di giro. A greco il balzo è più scosceso che dalle altre parti, e al piè della roccia, dove incomincia a distendersi il Pian Cavallaro, sgorga la Beccadella, una ricca fonte che basterebbe da sola a far girare la ruota d'un mulino. E quella fonte non è la sola, nè la più alta del monte. Ce n'è qualche altra più in su, verso levante, dalla parte del Cimoncino, con grande meraviglia dei signori naturalisti, a cui, più della salita, riesce arduo di spiegare una così alta origine di copiose sorgenti.
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– Necessità, signor mio! – rispose Gino, stringendosi nelle spalle.
– Rispettiamo la necessità; – disse Aminta, inchinandosi. – Ma non c'è posto per Lei, a Querciola. È un paese di caprai, e non ci son famiglie, ch'io sappia, le quali possano offrirle una ospitalità pur che sia.
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