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LIBRO DUODECIMO

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1780

Io m'apparecchio a scrivere una ostinata guerra, la quale variata in numerosi affronti, e spesse battaglie dimostrò forse più, che in un'altra qualsivoglia, quanto siano incerte le operazioni dell'armi, ed instabili i favori della fortuna; e quanto tenaci siano le umane menti nel proseguire ciò, che posto hanno in cima dei desiderj loro. Le vittorie partorirono frequentemente i frutti delle rotte, e le rotte quei delle vittorie; i vincitori diventarono spesso vinti, i vinti vincitori. In piccoli fatti mostrossi una gran virtù, e dall'opera di poche genti, secondochè queste o quelle ebbero prospero, od infelice successo, altrettanto, o più in ultimo si ottenne, che ricavato si sia le più volte dalle grossissime battaglie combattute ne' campi europei da valorose e potentissime nazioni. Nè si cessò dall'aspra contesa nelle Caroline, se non quando già s'incamminavano le cose a quel fatale caso, che del tutto afflisse le britanniche armi sul continente americano. Erasi, come nel precedente libro si è da noi raccontato, partito dalla Nuova-Jork il generale Clinton per recarsi all'impresa delle Caroline, nelle quali si proponeva principalmente d'insignorirsi della città di Charlestown; avuta la quale si sperava, tutta la provincia avesse ad inclinare subito il collo all'obbedienza del Re. Conduceva seco da sette in ottomila soldati tra Inglesi, Essiani e leali, tra i quali una buona squadra di cavalli, gente molto necessaria all'esercizio della guerra in quelle province agili e piane. Aveva anche posto sulle navi una quantità grandissima di munizioni sì da guerra che da bocca. Viaggiavano gli Inglesi pieni di ardimento, e confidentissimi della vittoria. Dapprima furono assai favorevoli i venti, e propizio il mare. Ma messisi poscia gli orribili temporali, ne fu l'intiera flotta dispersa, e grandemente danneggiata. Alcune navi pervennero sul finir di gennaio a Tibee nella Giorgia; altre furono intraprese dagli Americani; un'annonaria infortunò, e si ruppe con perdita di tutte le munizioni che portava; i cavalli, sì quei che servivano al traino delle artiglierie, come quei delle compagnie, la maggior parte perirono. Tutti questi danni, che stati sarebbero gravi in ogni tempo, riuscirono in quell'occorrenze gravissimi, e quasi irreparabili. Ritardaron poi anche sì fattamente l'impresa di Charlestown, che ebbero gli Americani tempo ad apparecchiar le difese. Finalmente si raccozzaron tutti nella Giorgia. Le genti vincitrici di Savanna ricevettero con molte dimostrazioni d'allegrezza quelle di Clinton, le une e le altre molto efficacemente adoperandosi per ristorar i danni sofferti nel tragitto. Quando furon di bel nuovo in punto, il che fu al dieci febbraio, partirono sulle navi da carico, accompagnate anco da quelle da guerra, ed avuti i venti prosperi arrivarono speditamente nelle bocche del Nort-Edisto, fiume, che mette in mare poco lungi dall'Isola di San Giovanni sulle coste caroliniane. Esplorati i luoghi, e superato lo scanno, sbarcarono, distendendosi dentro l'isola sopraddetta, e quella di San Jacopo più vicina a Charlestown. Già le prime scolte toccavano le rive del fiume Ashley, il quale bagna le mura di questa città. Occupavano parimente il Wappoo-cut, pel quale i battelli e le galere dovevan passare per trasportare poscia i soldati dalla destra sponda dell'Ashley sulla sinistra, sulla quale è posto Charlestown. Ma gl'indugi causati dalla passata fortuna di mare, pei quali avevano i Caroliniani avuto tempo di munire la città con nuove fortificazioni e più grossi presidj, avevano indotto Clinton a vieppiù soprastare all'oppugnazione, ed a mandar ordine intanto al generale Prevost a Savanna, gl'inviasse de' suoi dodici centinaia di soldati, incluso quel maggiore numero di cavalli che potesse. Aveva anche scritto a Knyphausen, il quale, partito Clinton, era rimasto al governo dei presidj della Nuova-Jork, spedisse tostamente all'oste presso Charlestown rinforzi di genti e di munizioni. Venne infatti pochi giorni dopo a congiungersi con Clinton il generale Patterson mandatovi da Prevost colle richieste genti, dopo d'aver superato non senza molta fatica e pericolo gl'impedimenti de' sfondati cammini, dei fiumi ingrossati, e del nemico, che, leggiero e sparso, lo aveva con ispesse scaramucce col sinistro fianco noiato da Savanna sin molto addentro nella Carolina. Stava intanto Clinton affortificandosi sulle rive dell'Ashley, e su quelle delle vicine fiumane, e bracci di mare per mantener libere le vie a poter comunicare col suo navilio. In questo mezzo il colonnello Tarleton, del quale sarà fatta frequente menzione in queste storie, non meno arrisicato, ch'esperto condottiere di cavalleggieri, recatosi nell'Isola di Porto-Reale, situata sulle coste della Carolina più verso la Giorgia, assai fertile e ricca, attendeva con procacci fatti, per danaro dagli amici, per forza dai nemici, di nuovi cavalli a ristorar la perdita di quelli, che morti erano durante l'infelice tragitto. Nel che se non ottenne tutto quello che desiderava, ebbe però più assai di quanto egli sperava. Così in sul finir di marzo ogni cosa era in pronto per cominciar l'assedio di Charlestown, dalla quale città l'esercito britannico era separato soltanto dalle acque del fiume Ashley.

Dall'altro canto non erano stati oziosi gli Americani nel fare tutti quei provvedimenti sì civili che militari, che più creduti avevano necessarj ad una gagliarda difesa, quantunque in questo quegli effetti non ottenessero che avrebbero desiderato, e che la gravità del caso richiedeva. I biglietti di credito nella Carolina Meridionale avevano tanto perduto di riputazione, che con essi assai difficilmente si potevano fare i procacci necessarj agli usi della guerra. Nè meno si travagliava per la carestia dei soldati. Le milizie dopo l'ardue fazioni della Giorgia nel passato inverno, tratte dal desiderio del riposo, s'erano, disbandandosi, alle case loro ritornate. Il timore del vaiuolo, che sapevano serpeggiare in Charlestown, le impediva ancora di recarsi al soccorso della città capitale. I reggimenti poi degli stanziali appartenenti alla provincia, ch'erano sei, si trovavano talmente assottigliati dalla frequenza de' disertori, dalle malattie, dalle battaglie, dal finir delle ferme, che tutti insieme non arrivavano ad un migliaio di soldati. Non pochi parimente dei Caroliniani si erano ridotti a giovarsi dei perdoni presso Prevost a Savanna, parte per fedeltà verso il Re, e parte per preservare le robe loro dal sacco. Perocchè gl'Inglesi, senza rispetto alcuno, depredavano e devastavano le proprietà di coloro, i quali continuavano a militare sotto le insegne del congresso. La vittoria poi di Savanna aveva indotto negli animi un grande terrore dell'armi inglesi; e molti ripugnavano all'andarsi a serrare dentro le mura di una città, che poco credevano poter resistere agli assalti di un nemico sì valoroso. E se deboli erano per la necessità delle cose i preparamenti dei Caroliniani meridionali, erano poco più gagliardi quei del congresso. Aveva questi avuto tempestivo avviso del disegno degl'Inglesi, e vedendo rannuvolar nella Carolina avrebbe voluto soccorrerle. Ma dall'un de' lati la debolezza dell'esercito washingtoniano, che era stato assai diradato dal finir delle ferme, dall'altro la grossezza dei presidj lasciati da Clinton nella Nuova-Jork erano causa, che da quello non si potesse un molto efficace aiuto inviare a Charlestown. Ma per altro per confortare colle parole, giacchè non poteva coi fatti, ovvero perchè avesse credenza, che i popoli si sarebbero risentiti al vicino pericolo della Carolina ed accostati alle insegne, iva il congresso scrivendo a quei che governavano le faccende in questa provincia, stessero forti, perciocchè avrebbe mandato loro un soccorso di novemila soldati. Ma il fatto fu che non ne potè mandare, che quindici centinaia, soldati stanziali però della Carolina Settentrionale e della Virginia. Mandò inoltre due fregate, una corvetta, ed alcune altre navi minori, per contrastare, se possibil fosse, il passo verso la città per la via del mare. Aveva anche esortato i Caroliniani, armassero gli schiavi. La qual cosa non ebbe effetto, sia perchè a ciò ripugnavano essi universalmente, sia perchè non si avevano in pronto sufficienti armi a por loro in mano. Nonostante questa freddezza dei popoli, i maestrati di Charlestown, confortati anco dalla presenza e dalle parole del generale Lincoln, il quale governava tutte le faccende appartenenti alla guerra, fatta sopra di ciò una consulta, con unito consenso deliberarono di voler difendere sino all'ultimo la città. Nè contenti a questo, sapendo benissimo, quanto nelle cose della guerra, e nei casi massimamente più gravi, vaglia l'unità dei consiglj, diedero la potestà dittatoria a Giovanni Rutledge, loro governatore, dandogli facoltà di fare tutto ciò, che necessario credesse alla salute della repubblica; solo non gli diedero autorità sopra il sangue, e vollero che non potesse tor la vita ad un cittadino senza un legale giudizio. Avuta una tanta autorità, chiamò Rutledge a campo le milizie; ma pochi accorrevano. Mandò poscia fuori un bando, col quale comandò a tutte le squadre regolari di milizie, a tutti gli abitanti, ed a tutti coloro i quali qualche proprietà avessero nella città, dovessero sotto le insegne porsi, e venir a congiungersi col presidio. Se non obbedissero, fossero i beni loro posti al fisco. A questo aspro comandamento alcuni si mossero, comunque a gran pezza tanti armati non si ottenessero, quanti si sarebbero desiderati, tanta era la freddezza dei popoli; perciocchè erano sbigottiti, e volevano star a vedere, che sesto piglierebbero le cose, e brevemente tutto il presidio di una sì gran città poco passava i cinquemila uomini, inclusi gli stanziali, le milizie ed i marinari. Dei primi, i quali erano il membro più grande della difesa, se ne annoveravano da circa due migliaia. Lavoravasi intanto con incessabile fatica alle fortificazioni. Consistevano le difese della città dalla parte di terra, da quel lato che si distende dietro di quella dal fiume Ashley a quello, che chiamano Cooper, in una tela di bastioni, di trincee e di batterie, ove si annoveravano ottanta grossi cannoni, e parecchie bombarde. Le opere esteriori, che fronteggiavano l'aperta campagna, erano da due fianchi protette da paludi, le quali nate dall'una parte e dall'altra dai due fiumi si distendevano all'indentro verso il miluogo posto tra i medesimi. Per serrare poi il passo di mezzo, le due paludi erano state congiunte da un canale artefatto, che correva dall'una all'altra. In mezzo allo spazio compreso tra queste opere esteriori e le trincee avevano gli Americani fatto due forti palafitte coll'aver ficcato dentro in terra grossi alberi di modo, che i rami colle punte loro fossero volti all'infuori. Tra le due palafitte avevano scavato un fosso molto affondo con entrovi l'acqua. Tra lo steccato interiore e le trincee avevano per maggior sicurezza fatte certe buche qua e là da trappolarvi dentro gli assalitori, se fin là fossero penetrati. Le trincee poi ed i ripari fattivi erano da fianco, cioè a riva i due fiumi da ambe le parti fortissimi, e sì fattamente costrutti, che le artiglierie loro tiravano rasente terra, e spazzavano la campagna. Ma le trincee nel mezzo essendo più deboli, si praticò in questo luogo un puntone ammattonato, il quale a guisa di rivellino fortificasse l'entrata della Terra, e la porta principale di lei coprisse. Quest'erano le fortificazioni, che stendendosi a traverso del promontorio dietro la città da un fiume all'altro, la difendevano dalla parte di terra. Ma sui due lati, dov'ella è bagnata dalle acque dei fiumi, avevano piantato spesse e grosse artiglierie su certi ripari fatti con molta diligenza, e costrutti, perchè meglio resistessero ai colpi delle artiglierie, con terra frammescolata al legno di palmetto. I luoghi poi, dove si sarebbe potuto sbarcare, avevano accuratamente fortificati con grosse palificate. Oltreacciò, e per cooperare con quella difesa, che dalle batterie di terra si sarebbe fatta, e per impedir alle navi inglesi il passo dentro del porto, apparecchiato avevano una nave, che portava 44 cannoni, sette fregate loro proprie, una fregata francese di 36 cannoni con altri legni minori, principalmente galee. Tutto questo barchereccio da principio con ottimo consiglio avevano fermato nello stretto passo, che si trova tra l'Isola di Sullivan ed il Middle-ground; nella quale positura se avessero continuato a starsene, avrebbero potuto grandemente danneggiare la flotta inglese nel suo approssimarsi al Forte Moultrie, posto su quell'isola, e tanto celebrato per la valorosa difesa fatta contro gli Inglesi nel 1776. Ma quando l'ammiraglio Arbuthnot si avvicinò colle sue navi allo scanno, abbandonato quel luogo, ed alle proprie forze il Forte Moultrie, si avvicinarono vieppiù alla città, ed andarono a porsi di traverso a quel canale, che non è altro che il fiume Cooper, e scorre tra il sinistro lato della città, ed un renaio assai basso, che chiamano Shutte's-folly. Ivi furono le fregate affondate in un con altri legni mercantili, e sopra di esse con gomene, catene e barre fu fatta come una barricata, che si stendeva da una riva all'altra; e per assicurarla vieppiù v'intralciaron dentro gli alberi delle navi affondate. Così non rimase agl'Inglesi altro impedimento all'entrar nel porto, ed a venir sopra alla città per cooperar colle genti di terra fuori di quello del Forte Moultrie. In cotal modo i Caroliniani con grand'animo si apparecchiarono contro gli assalti inglesi, stando anche in isperanza degli aiuti delle vicine province della Carolina Settentrionale, e della Virginia. Lincoln, e Rutledge grandissima lode meritarono per lo zelo e per l'industria singolari, coi quali si adoperarono nel confortar i popoli, e fortificar la città. Gli ingegneri francesi De-Laumoy, e De-Cambray con molt'arte gli secondarono. Furono gli stanziali posti a difendere le trincee, dov'era maggiore il pericolo, le milizie i lati a riva il fiume.

Appena avuto assetto tutte queste cose, il dì 29 di marzo Clinton, lasciate le guardie a Wappoo-cut, dov'erano i magazzini, varcava colle altre genti, senza ostacolo veruno incontrare, il fiume Ashley a dodici miglia distante sopra Charlestown. E subito posto piede in terra mandò i soldati armati alla leggiera sì fanti che cavalli, ad occupar la strada maestra ed a correre il paese sino a gittata dei cannoni della città. Seguitò poscia tutto l'esercito, e pigliò gli alloggiamenti a traverso l'istmo dietro la città ad un miglio e mezzo distante. In tal modo fu del tutto infrachiusa la via di terra al presidio; ed essendo gl'Inglesi padroni delle rive dell'Ashley, gli rimaneva solo aperta a poter ottener rinfrescamento di vettovaglia e di genti quella a sinistra a traverso il fiume Cooper. Non tardarono i regj a trasportar al campo loro, prestando in ciò un'opera eccellente co' suoi battelli e galere il Capitano Elphinstone, le grosse artiglierie, le bagaglie e le munizioni sì da guerra che da bocca. La notte del primo aprile incominciarono a lavorare alle trincee, e nel termine di una settimana, avendo gli assediati tratto con poco frutto, già erano i cannoni posti sulle batterie e pronti a batter la piazza.

Nel medesimo tempo l'ammiraglio Arbuthnot si era messo in punto per passare lo scanno, a fine di entrare nel porto di Charlestown. Le fregate, siccome più leggieri, trapassarono senza difficoltà alcuna. Ma a volere che le navi più grosse varcassero, fu mestiero alleggerirle col tor via le artiglierie, le munizioni e per fino l'acqua che portavano. Ebbe luogo il passaggio il dì 20 di marzo. Arbuthnot gettò l'ancora a Five-Fathom-Hole. Rimaneva a superarsi, perchè la sua armata potesse avvicinarsi a Charlestown e cooperare colle genti di terra, l'ostacolo del Forte Moultrie, alla guardia del quale era posto il colonnello Pinckney con un sufficiente presidio. L'ammiraglio inglese pigliando la opportunità di un vento da ostro, e della crescente, levate le ancore il dì nove aprile, e camminando a piene vele, passò oltre facilmente, ed andò a fermarsi a tiro di cannone dalla città presso l'isola di San Jacopo. Non aveva tralasciato Pinckney di sparar le sue artiglierie nel momento in cui gl'Inglesi passavano; ma tanta fu la celerità loro, che ne ricevettero poco danno. I morti ed i feriti non arrivarono a trenta. Solo una nave da carico fu abbandonata ed arsa.

In questo stato di cose, essendo le batterie pronte a fulminare la piazza, e questa cinta quasi da ogni banda, Clinton e Arbuthnot ricercarono la città a Lincoln. Lo ammonirono con parole gravi delle calamità, che, se stesse ostinato, soprastavano alla città, dei terribili effetti di un assalto dato prosperamente, e che quella era la sola favorevole occasione, che gli si appresenterebbe per salvar la vita e la proprietà dei cittadini. Rispose animosamente l'Americano, volersi difendere. Avuta questa risposta, diedero tosto gl'Inglesi mano al trarre. Gli Americani dalle mura a più possa gli rimboccavano. Prevalevano gli assedianti, avendo più artiglierie, e massimamente bombarde, che facevano gran danno. Intanto i palaiuoli e maraiuoli, governati dal Montcrieffe, quegli stesso, che si era acquistato tanta lode nella difesa di Savanna, lavorando gagliardamente alle trincee, si facevano avanti. Già la seconda circonvallazione era condotta a compimento, e le batterie piantatevi. Ogni cosa prometteva una vicina vittoria agli Inglesi. Ma gli Americani avevano fatto una massa nelle parti superiori del fiume Cooper in un luogo detto Monk's-corner. Erano sotto la condotta del generale Huger. Potevano di là noiare gli assedianti alle spalle, rinfrescar di genti e di munizioni il presidio di Charlestown, e nell'estremo caso fargli ala al votar la città, ed al ritirarsi a luoghi sicuri nella campagna. Questa testa poi di genti, che tenevano il campo, avrebbe potuto servir d'incentivo e di nodo ad altre, che ad esse sarebbero venute ad accozzarsi. Già ricevuto avevano dalla settentrionale Carolina molto carreggio, armi, munizioni e bagaglie. Considerate tutte queste cose, Clinton si deliberò ad andargli a combattere primachè vieppiù s'ingrossassero. Mandò a questa bisogna con quattordici centinaia di soldati il colonnello Webster, acciocchè e quel nido di repubblicani sperperasse, e troncasse loro le vie per a Charlestown dalla parte del Cooper. Lo accompagnavano Tarleton e Fergusson, l'uno e l'altro molto arrischievoli condottieri di corridori. Avevano gli Americani posti gli alloggiamenti principali sulla sinistra riva di quel fiume, ed essendo padroni del ponte avevano anche mandato sulla destra tutta la cavalleria, colla quale grandemente prevalevano. Il luogo era forte, non essendovi adito al ponte, se non per un dicco, che scorreva a traverso di luoghi acquidosi e maremmani. Ma stavano a mala guardia, non avendo locato scolte all'intorno, nè fatto correre la contrada dai cavalleggieri. Inoltre l'ordinanza loro era da condannarsi, avendo posti i cavalli avanti ed i fanti dietro. Arrivarono gl'Inglesi improvvisi alle tre della notte. Fatto un gagliardo impeto smagliarono e ruppero tosto l'inimico. Chi non fuggì, fu morto. Il generale Huger, ed i colonnelli Washington e Jamieson cacciatisi nelle vicine paludi, col favore delle tenebre scamparono. Quattrocento cavalli, assai preziosa preda, vennero in poter dei vincitori con molti carri carichi di armi, d'abiti e di munizioni. I reali s'impadronirono del ponte. Poco poscia assicurarono a sè stessi un altro passo inferiore, ed inondarono il paese posto sulla sinistra del fiume, e principalmente il distretto di San Tommaso. In cotal modo fu intrachiusa la sola via, che rimasta era agli assediati a poter comunicare colla contrada, e la città si trovò intieramente, e da ogni banda investita. La guernigione, siccome non troppo gagliarda, non fe' nissun motivo per impedire queste fazioni. Solo si attentarono ad affortificarsi su di una punta della sinistra riva del fiume, che chiamano la punta di Lamprey. Ma, ingrossatisi gl'Inglesi per nuovi rinforzi mandati da Clinton sulla riva medesima, ed arrivato il conte di Cornwallis a pigliare il governo di tutte queste genti, gli Americani quel nuovo posto abbandonarono tostamente. Foraggiavano gl'Inglesi alla libera, impedivano le adunate delle milizie, ed i soccorsi alla città. Pochi giorni dopo Tarleton recatosi con incredibile celerità sulle rive del fiume Santee, sopraffece, e mandò in rotta un'altra presa di cavalieri repubblicani, ivi raccoltisi sotto la guida del colonnello Buford. Armi, cavalli, e munizioni, tutto venne in balìa dei vincitori. Nè a queste cose si arrestò l'avversa fortuna dei repubblicani. Venuto l'ammiraglio Arbuthnot sopra l'Isola Sullivan, vi sbarcò una mano di marinari, uomini valentissimi. Incominciò a stringere il Forte Moultrie, ed avuto diligente contezza delle mura e del presidio, si apparecchiava a dargli l'assalto dalla parte di ponente e di maestro, dov'erano più deboli le difese. Quei di dentro, perduta ogni speranza di soccorso, essendo gl'Inglesi padroni del mare, ed essi troppo deboli a poter resistere, si arrenderono il dì sette di maggio. Così il forte Moultrie, che, allora faceva quattro anni, aveva sgarato con grandissimo danno tutte le forze dell'ammiraglio Hyde-Parker, ora, rivoltatasi la fortuna della guerra, venne di queto in poter dei reali.

Intanto fattisi avanti cogli approcci avevano questi condotto a termine la terza circonvallazione molto, vicina al canale da noi sopraddescritto, e tanto lavorarono colle zappe, che pervenuti a destra nella palude, dalla quale l'acqua era derivata, e, svoltala, la seccarono. Alzarono poi poco stante le batterie su quest'ultima circonvallazione, e compirono le traverse e gli altri cunicoli di comunicazione. Cinta in tal modo d'ogni intorno la piazza, e gli assedianti in atto di piovervi dentro le palle e le bombe, intimava Clinton la resa a Lincoln. Si appiccava una pratica d'accordo; ma pretendendo l'Americano, che non solo le milizie ed i cittadini fossero franchi e liberi delle loro persone, ma ancora che le proprietà loro vendere e trasportare, ove meglio piacesse loro, potessero, le quali condizioni ricusava l'Inglese di concedere, volendo, che si arrendessero tutti a prigionieri di guerra, ed in rispetto alle proprietà a null'altro volendo consentire, se non se che le soldatesche nolle avrebbero manomesse, si ruppe tosto la pratica, e si ricominciarono le ostilità. Le palle intronavano le mura; le bombe e le carcasse, che si crollavano in grandissima copia dentro la città, rovinavano ed accendevano gli edifizj; ed i tiratori essiani in ciò molto destri, cogli archibusi rigati imberciavano tutti coloro, che alle cannoniere, od altrove si affacciavano. Niuna cosa rimaneva a quei di dentro libera e sicura. Tutto annunziava appropinquarsi la necessità della dedizione. Già si rallentavano i tiri degli assediati, imboccate le artiglierie loro, fracassati i carretti, morti gli artiglieri, e gl'Inglesi spintisi avanti colle zappe avevano sboccato nel fosso a pochi passi distante dalle mura. Minacciavano di assalto la misera città. Già dentro appariva principio di discordia civile, perciocchè i cittadini, parte timidi, parte leali, incominciavano a romoreggiare. Pregavano, scongiuravano Lincoln, non volesse vedere l'estremo sterminio di quella diletta stanza loro, di quella sì ricca e sì nobile città. Si arrendesse, accettasse le condizioni. Già mancare la panatica; gl'ingegneri aver dichiarato, non potersi sostenere l'assalto; nissuno spiraglio di salute discoprirsi da nissuna banda. In così terribile congiuntura, deposta la natural sua durezza, piegò Lincoln finalmente l'animo all'arrendersi, ed ai dodici del mese di maggio si fermò la capitolazione. Uscissero i soldati del presidio con alcuni degli onori della guerra, e giunti al luogo, tramezzo le mura ed il canale, ivi deponessero le armi; le casse non battessero; le insegne fossero piegate; ritenessero gli stanziali ed i marinari le bagaglie loro, e rimanessero prigionieri di guerra sino agli scambj; le cerne se ne tornassero alle case loro, dando la fede di non portar le armi contro le genti regie; la quale sintantochè serbassero, non potessero venir molestate nè nella roba nè nelle persone; i cittadini parimente di qualunque ordine si riputassero sulla fede loro prigionieri di guerra; le proprietà loro conservassero colle medesime condizioni, che le cerne; gli uffiziali ritenessero i loro servi, le armi e le bagaglie non isvaligiate; avesse Lincoln facoltà d'inviare una nave a posta con ispacci a Filadelfia. In cotal modo dopo un assedio di quaranta giorni venne la città capitale della Carolina Meridionale in mano dei reali. Sette generali, dieci reggimenti di stanziali, ma però molto diradati, e tre battaglioni di artiglieria diventati prigionieri fecero conspicua la vittoria degl'Inglesi. Il numero dei prigioni, incluse le milizie ed i marinari, tanto americani che francesi, arrivarono a meglio di seimila persone. Quattrocento bocche da fuoco di diversa sorta e grandezza caddero in poter dei vincitori con una quantità non ordinaria di polvere, di palle, di bombe e di scaglia. Tre grosse fregate americane, ed una francese con altri legni di minor grandezza accrebbero l'importanza della vittoria. La perdita dei morti e dei feriti fu di poco momento da ambe le parti. I Caroliniani agramente si dolsero dei loro vicini massimamente dei Virginiani, perchè non avessero porto loro quegli aiuti, che avrebbero potuto. Fu Lincoln molto, e molto diversamente ripreso del modo, col quale ei governò tutta questa fazione. Lo biasimarono alcuni dell'essersi rinchiuso dentro le mura di una Terra grande e male riparabile, invece di osteggiare alla campagna. Affermarono, che se questo secondo partito seguitato avesse, avrebbe potuto conservare alla lega un esercito notabile, e le più fertili terre della provincia. Mantennero, che sarebbe stato meglio con agguati, con iscappate, con aggirate, con opportuni assalti stancare, e consumar l'inimico; poco esser difendevoli le mura di Charlestown; le genti poche a tanto circuito; diverso modo da questo, e con molta utilità della patria aver tenuto Washington, quando antepose alla perdita dell'esercito quella dell'Isola della Nuova-Jork, e della città stessa di Filadelfia. Delle quali cose si può credere, che certamente sarebbe stato miglior consiglio, temporeggiando in sulle difese, straccar l'inimico sulla campagna. Ma della contraria deliberazione di Lincoln non egli dee venir accagionato, ma sibbene il congresso e gli Stati provinciali vicini, i quali nell'approssimarsi del pericolo quegli aiuti promisero, che poi non mandarono. Altri lo condannarono per non aver votato la città, quando tuttora erano aperte le vie sulla sinistra sponda del Cooper. Della quale risoluzione fu causa, prima questa stessa speranza degli aiuti; poscia, quando dopo la vittoria di Monk's-corner gl'Inglesi avevano inondato le terre poste tra il Cooper e la Santee, il timore di esser sopraffatto da forze superiori, massimamente cavalli, e la ripugnanza al lasciare la città a discrezione in mano del nemico. Avuta Clinton la possessione della città capitale della Carolina, vi si assicurava dentro con buoni ordini civili e militari, e, assettata questa, volgeva l'animo a racconciar la provincia, nella quale già ogni cosa piegava a divozione dell'esercito vincitore.

Divisava egli, e mandava ad effetto tre spedizioni; perciocchè non voleva nè lasciar freddare i suoi, nè respirar il nemico; l'una verso il fiume Savanna nella Giorgia, l'altra a Ninetysix al di là del fiume Saluda, queste due per far levar in capo i leali molto abbondanti in quei luoghi; la terza per disperdere affatto le reliquie delle bande americane, le quali tuttavia andavano ronzando tra il Cooper e la Santee, e principalmente per rompere una testa di repubblicani, che sotto la condotta del colonnello Buford si ritiravano a gran giornate dalla Carolina. Ebbero tutte e tre felice fine. Accorrevano da ogni banda gli abitatori verso le genti regie, dichiarando di voler all'antica leanza ritornare, ed offerendosi di voler armata mano difendere e sostenere la causa del Re. Molti si affoltavano per le stesse cagioni e fini nella città stessa di Charlestown, a ciò ancora invitati da un bando mandato fuori da Clinton. Il conte di Cornwallis, spazzate le rive del Cooper, e varcata la Santee, s'impadroniva di Georgetown. Sì grand'era lo zelo dei popoli, o vero o simulato pel Re, ed il desiderio, parte per paura, parte per amore di gratuirsi il vincitore, che non contenti al venire essi stessi, conducevano anco prigioni seco loro quei libertini, che potevano aver fra le mani, ai quali poco prima con tanta prontezza obbedito avevano, e che ora col nome di oppressori appellavano. Intanto Buford colla sua schiera già si era assai dilungato, ed era assai difficile impresa quella di raggiungerlo. Ma Tarleton si offeriva pronto, e dava speranza di trarla a buon fine. Cornwallis gli concedè a tal uopo una buona frotta di cavalleggieri, ed un centinaio di fanti montati in groppa. Camminando egli con grandissima celerità arrivò il giorno 28 maggio a Cambden, dove ricevè le novelle, che Buford era partito il dì precedente da Rugeley's-mills, e che a gran giornate marciando era vicino a congiungersi con un'altra schiera di repubblicani, ch'era in via per venire da Salisbury a Charlotte nella Carolina Settentrionale. Conosceva Tarleton, di quanta importanza fosse il prevenire la congiunzione di queste genti. E perciò malgrado la stanchezza degli uomini e dei cavalli, dei quali alcuni per questa sola cagione erano morti, ed il calore della stagione, raddoppiò i passi, e tanto fu presta la mossa delle sue genti, che venne sopra il nemico in un luogo chiamato Wacsaws, trascorso avendo 105 miglia in cinquantaquattr'ore. Gl'Inglesi intimavano la resa agli Americani; questi ricusavano le condizioni animosamente rispondendo, volersi difendere. Ordinò Buford i suoi alla battaglia, ch'erano da quattrocento stanziali della Virginia con una torma di cavalleggieri del Washington. Gli distendeva in una sola fila; i cannoni, le bagaglie, tutta la salmerìa continuavano intanto ad andar al viaggio loro. Comandava, non traessero, finchè i cavalli inglesi non fossero vicini a venti passi. Tarleton non metteva tempo in mezzo; ma a trabocco si mescolava col nemico. Fatta una leggiera resistenza, andarono gli Americani in volta. Gli seguitarono ferocemente gl'Inglesi, e ne fecero strage. Fu piena la vittoria. Quasi tutti furono o uccisi o sconciamente feriti, o fatti prigioni. Tanto fu il furore degl'Inglesi in questo fatto, che spietatamente manomisero anche coloro, che si arrendevano. Da ciò si accanirono viemmaggiormente gli Americani, e nacque tra di loro un proverbio volgare, che volendo significare un crudel nemico, od una strage orribile dicevano: I quartieri di Tarleton. Le armi, inclusi i cannoni, le munizioni, le bagaglie, il carreggio, tutto vennero in poter del vincitore. E' pare che abbia Buford commesso in questo fatto due errori, dei quali il primo si fu quello di aver aspettato l'inimico, che prevaleva di cavalleria, in luogo aperto. Se invece di aver mandato il carreggio indietro, tosto ch'ebbe scoperto i regj, ne avesse fatto carrino tutto all'intorno delle sue genti, o non lo avrebbero gl'Inglesi assaltato, o ne sarebbero forse rimasti colla peggio. Il secondo poi fu quello di aver vietato a' suoi, non traessero al nemico, se non vicino; il che fu causa, che i cavalli di Tarleton caricarono avventati ed ordinati. Ritornò questi subitamente, conducendo seco le conquistate spoglie a Cambden, dove si ricongiunse con Cornwallis. Quella schiera di Americani, che si era avviata a Charlotte, udita la rotta di Wacsaws, fece altri pensieri, e se ne tornò più che di passo a Salisbury.

La vittoria di Wacsaws, siccome quella, ch'ebbe rotte le ultime speranze dei Caroliniani, ridusse tutta la Carolina ad una intiera soggezione. Scrisse Clinton al ministro a Londra, che tutto vi seguitava il nome degl'Inglesi, e che pochi uomini vi rimanevano, i quali non fossero o prigionieri sulla fede loro, o coll'armi in mano in servizio del Re. Ma conosceva benissimo, che quello che acquistato aveva coll'armi, bisognava coi buoni ordinamenti civili confermare. Volse perciò l'animo a dar forma alle cose della provincia. Nel che fare si consigliava di volere e quetar gli animi colle perdonanze, e far concorrere i popoli alla difesa della provincia, ed al ristoramento in ella dell'autorità del Re. Bandì a questo fine congiuntamente coll'ammiraglio Arbuthnot un indulto pieno e libero in favor di coloro, i quali immediatamente alla leanza loro ritornassero, promettendo, che dei delitti e delle trasgressioni commesse per il passato circa le cose dello Stato non sarebbero riconosciuti. Solo eccettuò quelli, i quali posto avessero, sotto la coperta di schernevoli forme della giustizia, le mani nel sangue di quei concittadini loro, che la ribellione e le usurpazioni abborrito avevano. Considerato poscia, che molti tra gli abitatori della Carolina erano sotto la fede loro prigionieri di guerra, e che sino a tantochè in tale condizione continuassero, non si potevano convenevolmente costringere a pigliar le armi in favore del Re, Clinton poco curandosi, siccome vincitore, del rompimento della fede pubblica, dichiarò con un pubblico bando, mandato fuori espressamente il dì 3 giugno, ch'erano sciolti e liberi dalle parole, che date avevano, eccettuati solamente gli stanziali stati fatti prigionieri nel Forte Moultrie, e nella città di Charlestown. Aggiunse, ch'erano restituiti a tutti i diritti ed a tutti i doveri dei cittadini inglesi. Perchè poi non vi potesse esser dubbio intorno le intenzioni sue, e per chiarir anche i sospetti, fece a sapere, che ognuno doveva attivamente adoperarsi nel ristabilire ed assicurare il governo del Re, e nel liberar la contrada da quell'anarchia, che già da troppo lungo tempo afflitta l'aveva. E per dar sesto ed ordine alla cosa comandò, che ognuno si tenesse pronto a marciare al primo avviso, e che coloro che avevano famiglia si ordinassero in bande di milizia per le difese di casa, ma quei, che non ne avevano, dovessero militare in compagnia delle forze regie per cacciare, siccome diceva, i ribelli oppressori dalla provincia, e dalle calamità della guerra liberarla. Non durasse però la loro condotta oltre sei mesi, e non potessero adoperati essere fuori delle due Caroline e della Giorgia. Così i cittadini si spingevano contro i cittadini, i fratelli contro i fratelli; e coloro, i quali erano stati riconosciuti come soldati del congresso, poichè erano stati ammessi alla condizione di prigionieri di guerra, si costringevano a militare in favore del Re; cosa, se non nuova, certo non tollerabile, e che fu di pessimi effetti cagione, come racconteremo in appresso, contro coloro, che la usarono. Vedutasi da Clinton la quiete della provincia e l'ardore che pareva universale dei popoli nell'aiutare i regj, distribuite le genti nei presidj pe' luoghi più opportuni, e lasciate tutte quelle che stanziavano nella Carolina e nella Giorgia sotto la condotta del conte di Cornwallis, se ne partì da Charlestown per ritornarsene alla Nuova-Jork.

Non erano in questo mezzo state le cose di quest'ultima città senza travaglio; perchè si trovò improvvisamente esposta ad un gravissimo pericolo. Era la vernata stata sì aspra, che il fiume del Nort con tutti i vicini stretti e canali ne erano invetrati e rassodati. Tale era la spessezza e la durezza del diaccio, che i più gravi pesi e le artiglierie stesse potevano passarvi sopra sicuramente. A questo inaspettato accidente si risentirono grandemente i generali del Re, e molto temevano della città stessa della Nuova-Jork, essendovi dentro assai deboli i presidj, e fuori l'esercito di Washington poco lontano. Non tralasciarono però nissuna di quelle diligenze, che in simil caso usare si potevano. Tutti i Jorchesi di qualsivoglia ordine o condizione si fossero, furono arruolati, armati ed ordinati in compagnie. I marinari stessi furono descritti in queste. Gli uffiziali e le ciurme delle fregate si posero alle artiglierie, quei delle navi da carico, annonarie e mercantili, armati di picche, stavano alle difese delle navi medesime, delle rive e dei magazzini. Ma Washington non era da sè stesso bastante a tentare cosa di momento alla vittoria. Le sue genti ch'erano baraccate a Morristown, non arrivavano al novero degli stanziali inglesi, che si trovavano nella Nuova-Jork. Mandò bene per tentar la cosa lord Stirling con una grossa banda di soldati sopra l'Isola degli Stati; ma questi, veduto, che niuno accidente nasceva dentro della città, che potesse dare speranza di prospero evento, se ne tornò a' suoi primi alloggiamenti. Così gli Americani per quella peste della brevità delle ferme, e per la tiepidezza, che presso di loro prevaleva a quei tempi, perdettero la più propizia occasione, che desiderar potessero, di affliggere con un gran fatto la potenza britannica.

E se gli Americani per la debolezza loro erano costretti a contenersi nella quiete nelle vicinanze della Nuova-Jork, gl'Inglesi, inoltrata essendo di già la stagione, ed allontanato per lo scioglimento del ghiaccio il pericolo che corso avevano, non se ne stavano neghittosi. Ritornarono in su quelle loro ladronaie nella Cesarea. L'intento loro questo stesso era di voler devastare e rapinare, siccome anche di consuonar colle cose che si facevano nella Carolina, acciocchè l'inimico distratto in varj luoghi non potesse soccorrere a nissuno. I Generali Knyphausen, Robertson e Tryon, i quali, durante l'assenza di Clinton, governavano le genti della Nuova-Jork, in sull'entrar di giugno, ed alcuni giorni prima, che il capitano generale ritornato da Charlestown vi arrivasse, erano venuti con cinquemila uomini sopra le terre cesariane, ed impadronitisi d'Elisabethtown. Quivi si portarono molto lodevolmente, astenendosi dal sacco. Spintisi poscia più avanti occuparono Connecticut-farms, nuova ed assai prosperevole villata. Instizziti alla resistenza che incontrato avevano per via, imperciocchè le bande paesane stormeggiando tutto all'intorno erano accorse, e gli avevano combattuti, tutta l'arsero, eccetto solo due case. La chiesa stessa fu consumata dalle fiamme. In questo luogo successe un caso molto compassionevole, e che contribuì non poco a vie più inviperir i repubblicani contro i reali. Viveva in Connecticut-farms una gentildonna molto bella, e di lodevoli costumi ornata, sposata ad un Jacopo Cadwel, sviscerato libertino in quella provincia. Avvertita dal marito e dagli amici, si cansasse, non volle, confidatasi nella propria innocenza. Stavasene ella nelle camere sue sicuramente, conversando co' suoi piccioli figliuoli, che gli stavano attorno, con accanto la fantesca, la quale sulle proprie braccia sosteneva un bambino di lei. In questo mezzo ecco un soldato arrivare (dicesi sia stato un efferato Essiano), il quale posto l'archibuso sulla finestra, e presala di mira con una ferita mortalissima nel maternale petto l'ammazzò. Il sangue della madre sgorgando bruttò le tenere membra de' spaventati fanciulli. Sottentravano i soldati, e sotterrata in fretta la morta donna, la casa arsero ed ogni cosa. In tale guisa raccontano il dolente caso i repubblicani. Ma i reali mantengono, il colpo essere stato tratto dagli Americani, poichè affermano, fosse venuto dalla parte, ov'eglino si ritrovavano. Quale di questo sia la verità, la lagrimevol morte di questa gentildonna a tanta rabbia concitò i libertini, che, romoreggiando da ogni parte, ed accorrendo a calca, la fecero tornar in capo ai commettitori. Si erano questi messi in cammino per andar a conquistare un'altra Terra quivi vicina, chiamata Springfield, e giunti poco lungi vi trovavano dentro il generale Maxwell, il quale con un colonnello di stanziali cesariani, ed un grosso di arrabbiate milizie gli aspettava. Si fermarono gl'Inglesi, e quivi alloggiarono la notte. La mattina, ossiachè non bastasse loro l'animo di assalire un nemico sì grosso e sì risoluto, ovverochè, come divolgarono, avessero avuto le novelle, che si trovaron vere, che Washington avesse a gran fretta inviato da Morristown in aiuto di Maxwell una grossa squadra, davano indietro, e si ritiravano alle stanze di Elisabethtown. Gli seguitarono ferocemente gli Americani, sebbene con poco effetto pei buoni ordini, e pel valore di quelli. In questo punto arrivò Clinton alla Nuova-Jork, e tosto si deliberò di voler l'incominciata impresa ad un buono ed utile fine condurre. Era il suo intento di sbarbare Washington dai forti posti, che aveva pigliati nella contrada alpestre della Morrisonia, la quale, quasi come una cittadella naturale, aveva servito di sicuro asilo al capitano d'America contro gli assalti inglesi, anche quando le forze sue erano state più deboli. A questo fine imbarcò Clinton molte genti alla Nuova-Jork, e tali dimostrazioni faceva su pel fiume del Nort, che pareva, ch'ei vi volesse salire, per andare ad impadronirsi dei forti passi delle montagne per alla volta dei laghi. Teneva per fermo, che, saputesi da Washington queste mosse, avrebbe fatto qualche precipitazione, si sarebbe posto in gran gelosia di questi passi, e non avrebbe omesso di venire o con tutto, o colla più gran parte delle sue genti a guardargli. La qual cosa ottenutasi, disegnava l'Inglese colle genti che aveva a Elisabethtown, correre velocemente verso la Morrisonia, ed occupar in tal modo il solito nido di Washington. E quando per la lontananza loro que' luoghi non si fossero potuti tenere, era pure una gran cosa il distruggere le canove, che gli Americani fatte vi avevano. Effettivamente Washington, che stava continuamente alla vista, ed aveva odorato la mente di Clinton, temendo di West-point, e delle vicine ed importanti strette, serbatosi a randa il suo bisogno per guardare i poggi della Morrisonia, mandava le restanti genti sotto la guida di Greene sulle rive dell'Hudson. Partivano allora i reali da Elisabethtown, incamminandosi a gran passo verso Springfield. Giace Springfield alle falde delle montagne della Morrisonia sulla destra sponda di un fiumicello, che, sceso da quelle, lo bagna da fronte. Stava alla guardia del ponte il colonnello Angel con pochi, ma valenti soldati. Dietro questi, come una seconda schiera, si era posto in ordinanza il colonnello Shrieve col suo reggimento, e più in su sopra i primi poggi presso Short's-hill si erano attelati Greene, Maxwell, e Stark. Di stanziali difettavano; ma erano numerose, e concitatissime le milizie. Arrivavano i regj al ponte, e si attaccavano con molta furia coll'Angel. Questi si difendeva assai valorosamente. Molti ammazzava de' nemici, pochi perdeva de' suoi. Finalmente sopraffatto dal numero diè luogo, e con ottima ordinanza procedendo, andò a congiungersi colla seconda schiera. Occupato gl'Inglesi il ponte, si avventavano contro di questa. Sosteneva Shrieve un pezzo l'urto loro francamente. Ma in ultimo, vedutigli così grossi, ed armati di molte artiglierie, cedè il luogo, ed andò a porsi dietro la schiera del Greene. Esaminata poscia bene la positura de' luoghi, e la fortezza degli alloggiamenti americani, si levarono gl'Inglesi dal pensiero di assaltargli. Forse l'ora tarda, in cui già erano, l'ignorare la qualità delle forze nemiche, la difficoltà della contrada, l'ostinata difesa del ponte, il correre, che facevano da ogni banda le milizie all'armi, e la malagevolezza di tener aperta la via sino ad Elisabethtown contribuirono non poco a questa deliberazione dei reali. Intanto arrabbiati al non poter far frutto, predarono ed affocarono la ricca Terra di Springfield. Poscia indietreggiarono verso Elisabethtown. I repubblicani gonfj d'ira a quelle arsioni aspramente gli perseguitarono, e sì fattamente gli accanarono, che, se non fosse stata la disciplina, ed i buoni ordini loro ne sarebbero stati sconfitti all'estremo. La notte, abbandonate del tutto le terre cesariane, varcarono nell'Isola degli Stati. In questo modo dall'inaspettato valore degli Americani fu rotto tutto il disegno di Clinton. Ne ottennero gl'Inglesi biasimo e disonoranza, ed un odio immortale presso il nemico. Washington con lettere pubbliche molto commendò la virtù de' suoi.

Tornando al proposito della nostra narrazione delle cose della Carolina, il reggimento inglese, che vi era stato introdotto, dacchè i reali avevano preso la tenuta della provincia, andava considerando del modo di ristorarvi i danni causati dalla guerra e dalle fazioni, e di vieppiù confermarla nella divozione del Re. Dopo la conquista i biglietti di credito perduto avevano ogni sorta di riputazione, e più non vi si potevano spendere per nissun valore. E siccome molti da un canto avevano ricevuto in pagamento di antichi crediti i biglietti scapitanti, e da un altro vi rimanevano da pagarsi molti residui di debiti contratti nel valore edittale di essi biglietti, così si vollero costringere i primi debitori a compensare ai loro creditori con un nuovo pagamento di moneta la differenza, che passava tra il valore reale, e l'edittale dei biglietti, e stabilire una norma ferma, giusta la quale i debitori dei residui dovessero con moneta ai loro creditori soddisfare. Si crearono a questo fine tredici commissarj, i quali fossero per informarsi dei varj gradi dello scapito dei biglietti, e facessero poscia uno specchietto, o tavola scalata della declinazione del credito di quelli; la qual tavola dovesse servire di norma legale nel pagamento degli anzidetti debiti. Procedettero i commissarj in questa difficile bisogna con eguale e giustizia ed avvedimento; e ragguagliando i prezzi che avevano le grasce nel paese a' tempi dei biglietti con quelli, che esse avevano l'anno precedente alla guerra, ed esaminate le diverse proporzioni degli scambj tra le monete effettive, ed i biglietti medesimi, formarono la tavola non solo anno per anno, ma ancora mese per mese, contenendo la prima colonna le date, la seconda la ragione del valor dei biglietti a quello delle monete, la terza la ragion del valore dei biglietti a quello delle grasce, e la quarta il mezzo proporzionale dello scapito. Questa estinzione del valor dei biglietti di credito causata dalla presenza degl'Inglesi nella Giorgia e nella Carolina fece sì, che quei, che se ne trovavano ancora per le mani, gli portarono, o mandarono nell'altre province, nelle quali, sebbene poco, conservavano però ancora qualche valore. Da questo, siccome pure dalla perdita della Carolina, e dal sinistro aspetto che avevano le cose del congresso a questo tempo, ne nacque, che i biglietti andaron soggetti in tutti gli Stati ad un nuovo e soverchio bassamento. La qual cosa vedutasi dal congresso, e conoscendo benissimo che nissun rimedio vi era, che atto fosse a resistere a tanta rovina, e ad arrestar il corso del disavanzo, determinò di cedere al temporale, ordinando, che per l'avvenire si spendessero i biglietti non nel valore edittale, ma nel convenzionato, e fece a quest'uopo anch'esso fare la tavola scalata, la quale dovesse servir di norma nei pagamenti. Questa risoluzione del congresso ch'era una violazione della pubblica fede, se si eccettuano alcuni debitori disonesti, fu e grata, ed utile all'universale. Imperciocchè nissuna calamità possa essere maggiore ad una nazione di quella, che nasce dall'avere un mezzo, che serve di pecunia, il quale sia fisso dalla legge, e variabile nell'opinione; e da un'altra parte i biglietti si trovavano allora nelle mani non dei primi, ma sibbene degli ulteriori possessori, i quali anch'essi gli avevano avuti a basso prezzo. Solo si sarebbe desiderato, che il congresso non avesse fatto tante e sì efficaci protestazioni di voler mantenere il valor edittale dei biglietti. Conciossiachè ed il tenore stesso dei biglietti, ed i termini della creazione loro, e tutti gli atti pubblici, che a quelli risguardavano, promesso avessero, e solennemente assicurato, che un dollaro in biglietti sempre speso si sarebbe, e compro per un dollaro d'argento. E pochi mesi prima aveva il congresso in una sua lettera circolare favellato, come di una cosa ingiustissima di questa stessa risoluzione, che ora aveva preso, affermando, che la supposizione sola, che si volesse abbracciare, era da aversi in orrore. Ma tal è la natura dei reggimenti nuovi, massimamente a' tempi delle rivoluzioni, in cui gli affari dello Stato sono, più che in altri, soggetti all'arbitrio della fortuna, che spesso promettono di quelle cose che poi non possono attenere, essendo più forte l'imperio delle circostanze, che la necessità di serbar la fede. La qual cosa dovrebbe tali reggimenti rendere rispettivi nell'allargarsi in promesse. Ma eglino, o poco esperti, o troppo confidenti, o credendosi di aver vinto l'impresa, quando han trovato modo di spignerla pure avanti un dì, sembrano per l'ordinario più voler promettere, quanto meno hanno facoltà di attenere.

Il bando mandato fuori dai capitani britannici, pel quale disobbligavano dalle parole loro i prigionieri di guerra, e, restituendogli alla condizione di sudditi inglesi, gli costringevano ad unirsi alle genti regie, aveva causato non poco disgusto fra i Caroliniani. La maggior parte desideravano, poichè perduto avevano la libertà, di godersi almeno la pace alle case loro, accomodandosi in tal modo al tempo, e servendo alla necessità; la qual cosa, se fosse stata ad essi conceduta non avrebbero più fatto novità, e meno impazientemente sopportato avrebbero l'infelice condizione della repubblica. Quindi appoco appoco si sarebbero avvezzati al presente ordine di cose, e dimenticato avrebbero il passato. Ma quel bando di nuovo concitò la rabbia loro. Tutti dicevano; se si ha a ripigliar le armi si combatta piuttosto per l'America, e per gli amici, che per l'Inghilterra, e per gli strani. Alcuni, come dissero, così fecero. Sciolti dalla fede loro, siccome credettero di aver acquistato il diritto di ripigliar le armi, così lo vollero anche usare, e risoluti di pruovare ogni fortuna, per vie strane, ed incogniti tragetti si conducevano sulle terre della Carolina Settentrionale occupate tuttavia dalle genti del congresso. Altri continuarono a dimorare nel paese, e nella condizione di prigionieri, aspettando a volersi risolvere, che fossero chiamati attualmente dai capitani britannici sotto le insegne. I più, cedendo ai tempi, e non sofferendo loro l'animo di abbandonar le proprietà loro, e di ritirarsi in lontane regioni, come i primi, o temendo delle persecuzioni degl'Inglesi, e di quelle dei proprj paesani, desiderosi d'ingraziarsi presso i nuovi signori, amarono meglio, dissimulando, scambiar la condizion loro, e da prigionieri americani, diventar sudditi britannici. Alla quale risoluzione tanto più volentieri si accostarono, che correva voce, forse data ad arte, che il congresso fosse venuto in sulla determinazione di non contrastar più oltre agl'Inglesi la possessione delle meridionali province. La qual cosa non solo non era vera, ma era vero tutto il contrario, stantechè aveva il congresso nella sua tornata dei 25 giugno con molta solennità dichiarato, che ogni maggiore sforzo si voleva fare per ricuperarle. Ma queste cose non si sapevano dai prigionieri della Carolina, e vi si credeva dai più, ch'ella rimasta sarebbe una provincia britannica. Così la moltitudine correva parte per amore, parte per forza alla leanza. Ma gl'Inglesi avrebbero voluto avergli tutti, e non tornava lor bene, che vi rimanesse dentro, o fuori della provincia alcuno, che seguisse le parti del congresso. Epperò ogni sorta di stranezze usavano contro i beni, e le famiglie di coloro ch'erano fuorusciti, o di quei che rimasti erano prigionieri di guerra. Le proprietà dei primi erano sequestrate, e guaste, e le famiglie guardate di mal occhio, e taglieggiate, come di ribelli. I secondi erano spesso dai parenti loro separati e confinati in luoghi disagiosi e strani. Quindi quelli rientravano ogni giorno, e venivano a piegare il collo sotto il giogo della nuova servitù; e questi andavano anch'essi ad offerirsi, come buoni e fedeli sudditi del Re. Tra gli uni e gli altri vi erano di quegli stessi, i quali più vivi si erano dimostrati in quella loro impresa della libertà, e che avevano tenuto i primi maestrati nel reggimento popolare. Generalmente si escusavano col dire, che non avevano mai posto la mira all'independenza, e che detestavano la lega fatta colla Francia. Così gli uomini amano meglio esser tenuti bugiardi e spergiuri, che viver poveri e disgraziati. Queste cose si facevano nel contado. Ma gli abitatori della città, siccome quelli, che avevano per la capitolazione il diritto di starsene alle case loro, non furono inclusi nel bando dei 3 giugno. Epperò altri modi si usarono per fargli calare alla leanza. Gl'Inglesi ed i leali inveterati bucherarono di modo, che dugento e più Charlestonnesi fecero, e sottoscrissero una lettera pubblica, colla quale si rappresentarono al Capi britannici, seco loro congratulandosi dell'avuta vittoria. E siccome quest'era un concerto, fu loro risposto, goderebbero la protezione dello Stato, e tutti i benefizj della cittadinanza inglese, se volessero sottoscrivere una dichiarazione di leanza, e del buon animo loro a voler sostenere la causa del Re. Così fecero essi; molt'altri gl'imitarono. Quindi nacque una distinzione tra i sudditi ed i prigionieri. Erano i primi protetti, onorati, incoraggiati; i secondi guardati di traverso, molestati, perseguitati nella roba e nelle persone. I beni di costoro posti in contado erano manomessi e calpestati. In città era intrachiuso loro il ricorso ai tribunali per dirvi ragione contro i loro debitori, mentre da un altro canto era fatto abilità ai creditori, quand'eran sudditi, di chiamargli in giudizio. Quindi eran forzati a pagare i debiti, ed impediti dal riscuotere i crediti. Non erano lasciati uscir dalla città, se non colla licenza, la quale spesso, e senza nissun motivo era loro negata; e minacciati ancora di carcere, ove la leanza non sottoscrivessero. Le robe loro erano state messe a bottino dai soldati, e particolarmente gli schiavi involati. Nè v'era modo, che fossero loro restituiti, se non si piegavano, mentre i sudditi ciò di leggieri ottenevano. Erano gli artigiani permessi di lavorare, ma era poi negata loro la facoltà di farsi pagar la mercede delle opere dagli avventori, quando questi la ricusavano. Gli Ebrei stati erano lasciati comperare molte e ricche robe dai mercatanti inglesi, i quali colà eran venuti coll'esercito. Ma a meno che diventassero sudditi, non si permetteva loro di venderle. Insomma ogni arte si usava, e le minacce, e la forza per fare, che i cittadini mancassero alla fede data, ed all'antica soggezione ritornassero. I più simularono e dissimularono; e diventati sudditi furon fatti partecipi della britannica protezione. Altri o più ostinati o più virtuosi non s'inclinarono. Quindi le proprietà loro eran fatte bersaglio alla sfrenata cupidità delle soldatesche; altri nelle strette e pestilenti prigioni confinati; altri più fortunati, o più accorti incontrarono un volontario esiglio. In mezzo a così fiera catastrofe le donne caroliniane diedero l'esempio di una fortezza più che virile; e tanto amore dimostrarono di quella patria americana, che per me non saprei se le storie sì antiche che moderne ci abbiano tramandato la memoria di uguali, non che di maggiori. Non solo non tenevano a male, ma e si rallegravano, e si gloriavano all'essere chiamate col nome di donne ribelli. Invece di andarsene per le adunate pubbliche, dove si facevano le feste ed i rallegramenti, concorrevano a bordo delle navi ed in altri luoghi, in cui erano tenuti prigioni i consorti loro, i figliuoli e gli amici, e quivi con modi pieni di cortesia gli consolavano e riconfortavano. «Stessero forti, dicevano, non cedessero al furor dei tiranni; doversi anteporre le prigioni alla infamia, la morte alla servitù; risguardar l'America i suoi diletti campioni; sperare, i mali loro dover fruttificare, e produrre e confermare quella inestimabile libertà contro gli attentati dei ladroni d'Inghilterra; martiri essi essere, ma martiri di una causa sacra agli uomini e grata a Dio». Con tali detti ivano queste valorose donne disasprando i mali dei miseri cattivi. Allorchè i conquistatori nelle festevoli brigate, e ne' lieti concerti convenivano, non era mai che volessero le Caroliniane intervenirvi, e quelle poche, che sì facevano, n'erano presso le altre disgraziate. Ma come prima arrivava prigioniero in Charlestown un uffiziale d'America, tosto il ricercavano, e con ogni sorta di più onesta cortesia, e con ogni segno di osservanza e rispetto il proseguivano. Altre ne' luoghi più segreti delle case loro convenivano, e quivi addolorate lamentavano le sventure della patria. Altre i mariti loro incerti e titubanti riconfortavano, sicchè preferiron essi all'interesse ed ai comodi della vita un disagioso esiglio. Nè poche furono quelle, le quali venute per la costanza loro in odio ai vincitori, furono dalla patria bandite, ed ebbero i beni posti al fisco. Queste nel prender l'ultimo congedo dai padri, dai figliuoli, dai fratelli, e dagli sposi loro non che alcun segno dessero della fralezza, non so se nel presente caso io mi debba meglio dire maschile, o femminile, gli esortavano e scongiuravano, fossero di buono e saldo proponimento, non cedessero alla fortuna, e non sofferissero, che l'amore che portavano alle famiglie loro tanto in essi potesse, che dimenticassero quello, di ch'erano alla patria debitori. Quando poi, siccome accadde poco dopo, furono comprese in un bando dato ai libertini, abbandonate colla medesima costanza le natie Terre, ed esulando anch'esse, i mariti loro accompagnarono in lontane contrade, od anche sulle fetide e schife navi gli seguitarono, che a quelli servivano di prigione. Ivi ridotte in somma povertà, nutrendosi di vilissimi cibi, andavano con miserabile spettacolo mendicando il pane. Molte, ch'erano nate ed allevate in mezzo alle ricchezze, non solo ai soliti agi rinunciarono della passata vita, ed alla speranza della condizione avvenire delle famiglie loro, ma ancora ai più grossi lavorj; ed ai più umili servigi le disavvezze mani accomodarono. Tutte queste cose facevano non che con fortezza, con allegrezza; l'esempio loro confermò gli altri, e da questa fermezza delle caroliniane donne stette principalmente, che non venisse spento affatto nelle meridionali province il desiderio ed il nome della libertà. Da questo conobbero anche gl'Inglesi, che avevano alle mani un'impresa più dura di quello, che prima si fossero fatti a credere. Imperciocchè il più manifesto segno della generale opinione, e dell'ostinazione dei popoli in qualche pubblica faccenda loro quello sia, che le donne ne siano venute a parte, ed in questa abbiano posto la loro immaginazione, la quale se più debol'è, e più variabile di quella degli uomini, quand'è in calma, è bene molto più tenace e forte, quando è mossa ed accesa.

In cotal guisa si travagliava nella meridional Carolina, essendovi da una parte, od una ostinazione aperta contro il volere dei vincitori, od una simulata sottomessione, e dall'altra quei consiglj stessi che si pigliavano, operando un tutto contrario effetto a quello, che gli autori loro si proponevano. Il calore intanto della stagione, lo stato medesimo poco sicuro della Carolina, la carestia delle provvisioni, e la necessità di aspettar, per campeggiare, che fossero fatte le messi, indussero un pressochè generale silenzio della guerra, e soprattennero gl'Inglesi, acciò non si volgessero a voler conquistare la Carolina Settentrionale prima dell'uscir d'agosto, o dell'entrar di settembre. Per la qual cosa Cornwallis distribuì i suoi nelle stanze, di manierachè più pronti fossero e a dar animo ai contenti, ed a frenar gli scontenti, ed a por mano, quando fosse venuto il tempo, alla invasione di quella provincia. Attendeva specialmente a raccor vettovaglie e munizioni da guerra, delle quali fece la principal massa a Cambden, Terra grossa posta sulle rive del fiume Wateree sulla calpestata, che conduce nella settentrionale Carolina. Temendo poi, che i leali di questa provincia da eccessivo zelo mossi non prorompessero innanzi tempo, e perciò rimanessero oppressi, mandava loro continuamente dicendo, aspettassero le messi; stessero quieti; apparecchiassero intanto provvisioni per le genti del Re, che venute sarebbero a soccorrergli verso settembre. Queste esortazioni non poterono tant'operare, che i leali della contea di Tryon messi al punto dal colonnello Moore non insorgessero. Ma oppressi tosto da un subito impeto dei libertini guidati dal generale Rutherford, pagarono con una totale sconfitta il fio dell'imprudenza loro, e del non aver dato ascolto agli avvertimenti di chi più di loro e sapeva e poteva. Ottocento leali però sotto la condotta del colonnello Bryan riuscirono a congiungersi colle genti regie. Mentre una delle parti si ordinava ad assaltare nella stagione propizia la settentrional Carolina per di là aprirsi la via nel cuore della Virginia, il congresso faceva ogni diligenza per mettersi in grado di poter ricuperare la Carolina Meridionale. Nel che fece, come si vedrà, grandissimi frutti. Così la guerra, che per la malvagità della stagione era quasi spenta, doveva al tempo nuovo con maggior rabbia, che prima, riaccendersi.

Prima di raccontar quelle cose, che accaddero nell'aspra contesa che ne seguì, necessaria cosa è, che ci facciamo a descrivere quelle, che intervennero nelle isole Antille tra i due possenti, ed instizziti rivali. Già era seguìto un feroce affronto nelle acque de la Grange tra Lamotte-Piquet, che guidava quattro grosse navi, tra le quali se ne trovavano due di 74 cannoni chiamate l'una l'Annibale, l'altra il Diadema, ed il comandante Cornwallis, che ne aveva tre, la più grossa delle quali nominata il Lione portava 64 cannoni. Ma questa non fu, che leggiera avvisaglia rispetto alle battaglie, che poco dopo seguirono. Era verso il finir di marzo arrivato alle Antille il conte di Guichen con tali rinforzi marittimi, che il navilio francese vi arrivava bene a venticinque grosse navi di alto bordo. Diventati i Francesi superiori per l'armi navali, e prevalendo medesimamente delle terrestri, avevano senza soprastamento alcuno imbarcate molte genti sotto la condotta del marchese di Bouillé, e si appresentarono con ventidue navi tutte di tre ponti avanti l'isola di Santa Lucia. Intendevano di pigliarla per assalto. Ma tali furono le disposizioni fatte dal generale Vaughan delle forze terrestri, alle quali comandava, e sì accomodatamente si era l'ammiraglio Hyde-Parker, il quale dalle americane spiagge si era in queste recato con sedici maggiori navi, attraversato alla bocca del Gros-Islet, che i capitani francesi si tolsero dall'impresa, e se ne ritornarono alla Martinica. Giugneva pochi giorni dopo a Santa Lucia cogli aiuti d'Europa l'ammiraglio Rodney, il quale congiuntosi coll'Hyde-Parker venne ad aver con lui ventidue navi tutte di tre coperte. Fatti allora gagliardi, gl'Inglesi, commesse le vele al vento, andarono a volteggiarsi avanti il porto del Forte Reale della Martinica, invitando i Francesi a battaglia. Ma Guichen, che voleva far seco loro a ferri puliti, e combattere, quando voleva egli, e non quando volevano gli altri, non uscì. Per la qual cosa Rodney, lasciate in crociata alcune navi delle più veloci, perchè spiassero gli andamenti del nemico, ed avvertissero, se salpasse, se ne tornò colle rimanenti a Santa Lucia. I Francesi non si ristarono. La notte dei 13 aprile, levati quattromila valenti soldati uscivano con ventidue vascelli, pronti ad intraprendere quelle fazioni, per le quali si discoprisse loro migliore la occasione. Ne ebbe Rodney subito avviso, e corse a ritrovargli, avendo seco venti navi delle più grosse, ed una chiamata il Centurione di 50. Guidava la battaglia lo stesso ammiraglio Rodney, capitano generale dell'armata, l'antiguardo Hyde-Parker, il dietroguardo Rowley. Solcavano i Francesi il canale della Domenica, intendendo di sboccar per questo per potersi poscia allargare al vento della Martinica. Governava tutta l'armata come capitano generale il conte di Guichen, la vanguardia il cavaliere di Sade, la retroguardia il conte di Grasse. Si incontrarono le due armate la sera dei 16 aprile. Si studiavano i Francesi di schivar la battaglia, avendo le navi loro ingombre di soldati, e trovandosi a sottovento. Ma gl'Inglesi andavano loro incontro. Sopraggiunse la notte, durante le quale Guichen iva aggirandosi, affine di non trovarsi all'indomani nella necessità del combattere; Rodney per lo contrario col disegno di costringervelo. La mattina seguente le due armate, fatti con mirabil arte molti volteggiamenti, finalmente ad un'ora meridiana si attaccarono la vanguardia inglese colla retroguardia francese, la quale pei detti volteggiamenti era divenuta vanguardia, mentre la vanguardia era divenuta dietroguardia. Arrivava in questo mentre colla battaglia Rodney, e si mescolava colla battaglia francese, combattendo francamente il Sandwich, sul quale egli stesso si trovava, colla Corona, che portava il conte di Guichen, e coi suoi due secondi. Ma siccome l'armata francese aveva fatto grande sforzo di vele prima che s'incominciasse il combattimento, così gli ordini suoi non erano fitti. Oltreacciò la sua vanguardia, siccome quella, ch'era meno veloce veleggiatrice della battaglia, e della dietroguardia, era rimasta indietro a sottovento, ed era nata una notabile distanza tra essa e le due seconde. Questa distanza era anche diventata maggiore, perciocchè la nave francese, l'Azionario, che nella fila era l'ultima della battaglia, e perciò avrebbe dovuto congiungersi colla prima della vanguardia diventata, come dicemmo, dietroguardia, era anch'essa rimasta indietro, e lasciatasi calare sottovento. Volle Rodney giovarsi di questa opportunità, e si mosse a fine di entrar di mezzo, e tagliar fuori questa dietroguardia dalla restante armata. Ma la nave il Destino, capitanata da Dumaits de Goimpy, ch'era la testa della dietroguardia medesima, gli si attraversò nel suo cammino, e combattendo valorosamente lo arrestò. Ne sarebbe ella però stata sfolgorata da una forza tanto superiore, se non che il conte di Guichen, accortosi del disegno di Rodney, aveva ordinato alle navi della battaglia, che voltassero i bordi, e tutte di compagnia, pigliando il vento in poppa, ed indietreggiando, andassero a raggiungere, ed a soccorrere la dietroguardia. Fu la mossa eseguita con grandissima celerità, ed in tal modo fu rotto all'ammiraglio inglese un disegno, il quale, se avesse avuto effetto, causato avrebbe l'ultimo eccidio dell'armata francese. In questo punto Rodney correndo pericolo, che Guichen facesse a lui quello, ch'egli aveva voluto fare a Guichen, si tirava indietro, ed iva di nuovo a porsi nella fila coll'altre sue navi. Poco poi volle ricominciar la battaglia, e già aveva disposte le vele per ciò fare. Ma veduto, che il Sandwich, ch'era la sua nave capitana, a mala pena pei gravi danni sofferti poteva pigliar l'abbrivo, e che anzi faceva le viste di voler affondare, avendo anche altre navi sconciamente rotte e fracassate, se ne rimase. Il conte di Guichen, fatto penna, racconciò le sue navi; poscia pose nella Guadaluppa per deporvi i suoi feriti e malati. Rodney continuò a volteggiarsi nell'alto mare, e poscia si condusse a porsi in crociata davanti il Forte Reale della Martinica, sperando di poter intraprendere l'armata francese, che credeva, fosse per venire a dar in terra a quel porto. Ma finalmente, non vedendo comparir il nemico, e conosciuta la necessità di rassettar le navi, di far acqua, di sbarcar i feriti, ed i malati, andò a dar fondo a Choc-bay nell'isola di Santa Lucia. Morirono in questo fatto degl'Inglesi da 120, e furon feriti 350. Dei Francesi morirono 221, e furon feriti 340. Rodney nel racconto, che mandò in Inghilterra, della battaglia, assai lodò l'ammiraglio francese, come capitano esperto e valoroso, aggiungendo ancora, ch'era stato acconciamente secondato da' suoi uffiziali. Nel che tacitamente rimproverò i suoi, dei quali generalmente fu scontento. L'uno e l'altro ammiraglio pretendettero la vittoria, come sempre suol accadere nelle battaglie, che hanno avuto un fine dubbio.

Guichen, racconciate le navi, e levati di nuovo i soldati dalle bande terrestri sotto la guida di Bouillé, diè un'altra volta le vele ai venti. Era il suo disegno di rimontar al vento dell'Isole passando a tramontana della Guadaluppa, e ciò fatto sbarcar le genti a Gros-Islet nell'isola di Santa Lucia. Avuto Rodney avviso della cosa, si pose anch'esso in mare, andando in cerca del nemico. Sboccava dal canale di Santa Lucia, quando Guichen radeva l'estreme spiagge della Martinica verso la punta delle Saline. L'ammiraglio francese, veduta l'armata inglese, si levò dal pensiero di assaltar Santa Lucia. Prese poi molto accortamente la risoluzione di astenersi dal venir a battaglia, quantunque avesse ciò in poter suo di fare agevolmente, godendo il sopravvento. Ma prima voleva quei vantaggi ottenere, che la natura di quei mari, e la qualità del vento gli offerivano. Per la qual cosa andava muovendosi di modo, che conservar potesse il sopravvento, e tirasse gl'Inglesi al vento della Martinica. Imperciocchè in tal caso, vinto, avrebbe potuto ripararsi nei porti di quest'isola, vincitore, non avrebbe il nemico disfatto trovato rifugio. L'Inglese andava via via approssimandosi, ed ogni sforzo faceva per riuscir a sopravvento. Avevano le due armate ricevuto ciascuna un rinforzo di una grossa nave d'alto bordo, la francese del Delfino reale, l'inglese del Trionfo. In questi volteggiamenti, nei quali i due ammiragli diedero pruove di non ordinaria perizia nelle cose marinaresche, si consumarono parecchi giorni, senza che l'Inglese potesse venir a capo dell'intento suo. I Francesi, essendo le navi loro più veloci, a fine di adescar gl'Inglesi colla speranza di una vicina battaglia, e tirargli, come si è detto, vieppiù al vento della Martinica, spesso si lasciavano avvicinare; poscia tutto ad un tratto, collate tutte le vele, si allontanavano. Questo giuoco continuò buon tempo con prospero successo; ma infine poco mancò, non impacciasse i Francesi in una generale battaglia, la quale stata sarebbe ad essi molto pericolosa, non essendo, siccome quelli, che tuttavia la volevano evitare, in ordinanza accomodata per combatterla. Erasi, dopo varie folate, il vento volto ad ostro. La qual cosa vedutasi da Rodney, che stava vigilantissimo, fece improvvisamente voltare le prue alle sue navi, e, correndo per converso a forza di vele, cercava di mettersi sopravvento al nemico per poter poi col vento prospero andargli addosso. Gli sarebbe venuto fatto il disegno, se non che il vento inclinatosi in quel forte punto subitamente a scirocco, diè facoltà all'ammiraglio francese di rivoltar ancor esso i bordi; per mezzo della qual mossa e fronteggiò l'inimico, e l'impedì che non riuscisse a sopravvento. Di nuovo si tirò indietro per non combattere. Ma essendo per l'ultime mosse accostatesi l'una all'altra le due armate, quanto pativa il tiro delle artiglierie, e spingendosi avanti gl'Inglesi velocemente colla vanguardia loro, si attaccò tra questa, e la dietroguardia francese la battaglia, inclinando già il sole all'orizzonte, il giorno dei quindeci maggio. Le prime navi della vanguardia inglese, e più di tutte l'Albione, le quali erano alle mani sole contro tutta la dietroguardia francese, ricevettero infinito danno. Arrivarono intanto le altre. Ma i Francesi più destri al veleggiare si allontanarono. Questo fu il secondo incontro tra l'ammiraglio Rodney, ed il conte Guichen. Conservarono i Francesi il sopravvento. Continuarono le due armate pei tre seguenti giorni in veduta l'una dell'altra, muovendosi ambedue coi sovraddescritti fini. Finalmente la mattina dei 19 maggio, trovandosi già gl'Inglesi inoltrati al vento della Martinica per ben quaranta leghe, ed a quattro o cinque a libeccio dei Francesi, il conte di Guichen si determinò ad aspettar la battaglia, ed a questo fine assicurò le vele. Quando poi già si era avvicinata la vanguardia inglese buon pezzo, la francese si spiccò anch'essa e si attaccarono l'una l'altra con eguale valore. Poco dopo arrivarono le altre squadre a' luoghi loro, attelandosi i Francesi a sopravvento, gl'Inglesi a sottovento. La battaglia diventò aspra e generale, combattendo gli uni da orza, gli altri da poggia. Ma le navi francesi della vanguardia e quelle del mezzo essendosi, per combattere più manescamente, accostate più da vicino alla fila inglese, e perciò rimanendo la retroguardia buon pezzo indietro, vi era pericolo, che gl'Inglesi dopo di aver orzato, venissero, poggiando a piene vele, a caricarla. Per prevenir i mali, che da questa mossa degl'Inglesi avrebbero potuto risultare, Guichen fe' rivoltar i bordi alle sue, ed andò di nuovo a porsi in fila colla sua retroguardia. Fu questa mossa molto opportuna; e se l'ammiraglio francese non l'avesse eseguita, ne sarebbe qualche gran disastro avvenuto alla sua flotta. Imperciocchè qualche tempo dopo, ch'ella era stata condotta a fine, ecco che si scopersero nuove navi inglesi, le quali si difilavano a slascio, ed a piene vele contro la retroguardia francese. Ma però, quando esse conobbero, che già la vanguardia, e la battaglia si erano a quella raccozzate, e che tutte e tre si erano in ottima ordinanza arringate, si stettero. Allora l'ammiraglio Rodney raccolse le sue, ch'erano sparse, e di nuovo le affilò. Stettero in tal modo le due armate l'una a rimpetto dell'altra sprolungate sino alla notte, anzi sino all'indomani; ma più oltre non si mescolarono, probabilmente pei danni invero gravi, che avevano ricevuto in questo e nel precedente combattimento. Rodney, mandate le navi il Conquistatore, la Cornovaglia, ed il Boyne, che più delle altre stat'erano danneggiate, a racconciarsi a Santa Lucia, si condusse colle rimanenti a far porto nella cala di Carlisle nell'isola delle Barbade. La Cornovaglia affondò in sull'entrar del carenaggio. Guichen nel medesimo tempo ammainò le vele nel Forte Reale della Martinica. Perdettero gli Inglesi in questi due ultimi incontri da 68 morti, e da 300 feriti. I Francesi 158 morti, e meglio di 800 feriti. Tra i morti noverarono il figliuolo stesso di Guichen, e molti uffiziali di conto. Anche gl'Inglesi ebbero a lamentar la morte di alcuni uffiziali assai riputati. Questo fine ebbero le tre battaglie combattute tra i Francesi, e gl'Inglesi nelle Antille, nelle quali, se a un di presso uguali erano le forze dalle due parti, furono anche uguali la industria ed il valore. Nel che si può far considerazione, quanta efficacia abbiano nel destino delle battaglie, e nel preservar le nazioni da fatali rotte l'arte e l'ingegno dei capitani. Perocchè egli è evidente, che se nei tre combattimenti, che abbiamo testè raccontato, o nel lungo fronteggiare, che fecero l'uno e l'altro per lo spazio di molti dì, i due nemici ammiragli avessero sfallito in un sol punto, ne seguiva la rotta e la rovina dell'armata.

Se sin qui erano state in bilico le forze francesi ed inglesi nelle Antille, bene non tardarono molto le prime a diventar d'assai superiori per l'accostamento di un'armata spagnuola poco dopo in quei mari sopraggiunta. Erasi la Spagna posta in grandissimo desiderio d'acquistar l'Isola Giamaica, ed i Francesi dall'altro canto bramavano d'impadronirsi delle altre isole, che tuttavia erano in poter del nemico. Le quali cose se si fossero potute ottenere, era del tutto posto fine alla signoria inglese nelle Antille. Per queste cagioni era partito verso mezzo aprile da Cadice Don Giuseppe Solano con dodici navi d'alto bordo, e parecchie fregate. Scortavano queste meglio di ottanta navi da carico, che portavano undicimila buoni fanti spagnuoli con una quantità grandissima di artiglierie e di munizioni da guerra; fiorito, e formidabile apparecchio, e molto capace invero a servir ai fini, che i confederati, e principalmente la Spagna si proponevano. Già viaggiavano felicemente per l'Atlantico, dirizzando il corso loro al Forte Reale della Martinica. Quivi si doveva fare la massa generale con tulle le forze francesi. Stavasi Rodney tuttavia nella cala di Carlisle, attendendo a riposare, ed a curare i suoi, a far acqua e munizioni, ed a racconciar le fracassate navi. Non aveva egli nissun sospetto di quella piena, che gli veniva addosso. Ma il capitano Mann, che si volteggiava in crociata per l'Atlantico colla fregata il Cerbero, incontrossi tra via colla conserva spagnuola; e conosciuta la cosa di quell'importanza ch'era, pigliando la carica sopra di sè, che il suo ammiraglio sentirebbe tutto in bene, scostandosi dalle commessioni che aveva, veleggiò rattamente alla volta delle Antille per recar l'avviso a Rodney. Avuta Rodney questa novella, troncato ogni indugio, salpava per andar all'incontro della flotta spagnuola, confidentissimo della vittoria, se avesse potuto venirle sopra prima del congiungimento di lei colla francese; e siccome sospettava di ciò, ch'era veramente, cioè, che quella s'avviasse alla Martinica, così l'aspettava per combatterla in sulla via solita a tenersi dalle navi, che verso la medesima isola sono in cammino. Era molto bene considerato il suo disegno; ma la prudenza e precauzione dell'ammiraglio spagnuolo glielo ruppe. Dubitandosi questi di non so che, quantunque niuna cosa avesse spirato dello attendere degl'Inglesi, e del pericolo che gli soprastava, invece di andar per la diritta via verso il porto del Forte Reale della Martinica, torceva il cammino a diritta verso tramontana, indirizzando il corso delle sue navi più in su verso l'Isola Domenica, e la Guadaluppa. Quando poi già era vicino a queste arrivato, si fermò, mandando per mezzo di una fregata molto veloce dicendo a Guichen, venisse a congiungersi seco. Uscì il francese con diciotto vascelli, ed essendo informato, che gl'Inglesi si volteggiavano a sopravvento delle Antille, egli per ischivar l'incontro loro navigò a sottovento delle medesime, e fu sì cauto e prospero il suo viaggio, che le due armate si congiunsero insieme tra la Domenica e la Guadaluppa. Certamente, se tutte queste forze, le quali assai superavano quelle di Rodney, avessero potuto conservarsi intiere, o che i confederati si fossero tra di loro meglio accordati, si sarebbe ottenuto il fine, che si erano proposto, di distruggere affatto la potenza britannica nell'Isole occidentali. Ma prima di ogni cosa queste forze portavano dentro di sè medesime i semi della propria distruzione. Era nata in mezzo ai soldati spagnuoli tra per la lunghezza del viaggio, la carestia delle fresche vettovaglie, il cambiamento del clima, e la immondizia loro una febbre pestilente, che, con incredibile celerità propagatasi, molti già aveva tolti di vita, e tuttavia toglieva. Oltre i morti nel tragitto, eransi sbarcati dodici centinaia di malati alla Domenica, ed altrettanti, e forse più alla Guadaluppa ed alla Martinica. Nè perchè il clima di quelle isole fosse sano, o perchè si somministrassero loro nuovi alimenti, rimetteva il male della sua ferocia. Ogni dì molti valorosi soldati passavano da questa all'altra vita. La contagiosa influenza si appiccò anche ai Francesi, e molto fra i medesimi infuriava, sebbene non tanto, quanto fra gli Spagnuoli. Da quest'inopinato, disordine ne nacque, che i confederati non solo grandemente rimetterono dell'ardire loro all'intraprendere, ma anche una gran parte degl'instromenti a ciò fare venner loro meno. S'aggiunse a questo, che gli Spagnuoli avrebbero voluto far prima l'impresa della Giamaica, i Francesi quella di Santa Lucia, e delle altre vicine isole. Il che fu causa, che non si tentò nè l'una, nè l'altra. In queste circostanze tanto da quelle diverse, che gli alleati si erano poco prima alla immaginazione loro rappresentate, imbarcarono di nuovo le poco sane genti, e procedevano di conserva verso le isole disottane. Guichen accompagnò gli Spagnuoli sino nelle acque di San Domingo, donde, lasciatigli andare al viaggio loro, pose al Capo francese. Quivi si congiunse colla flotta di Lamotte-Piquet, che colà stanziava per la protezione del commercio. Gli Spagnuoli procedettero, ed andarono ad afferrare all'Avanna. Rodney intanto, avute le novelle della congiunzione delle due flotte nemiche, andò a porsi a Gros-islet in Santa Lucia. Quando poi ebbe inteso, che i nemici erano partiti dalla Martinica, avendo ricevuto dall'Inghilterra un rinforzo di vascelli e di soldati guidati dal comandante Walsingham, ne mandò un buon polso alla Giamaica per assicurarla contro gli assalti dei confederati. Coi restanti se ne rimase a Santa Lucia per osservar il nemico, e proteggere le isole vicine. In questa maniera si terminarono le speranze, che sì verdi concette si erano in Francia ed in Ispagna intorno le conquiste da farsi nelle Antille inglesi; colpa parte della fortuna, e parte della diversità e della disgiunzione degl'interessi, che prevalgono per l'ordinario nelle menti dei confederati, i quali concorrere uniti al medesimo fine non vogliono, e discordi non possono.

Dopo le cose, che fin qui abbiamo raccontate, succedè per qualche tempo nelle Antille come quasi una generale tregua da ambe le parti. Ma se era cessata la rabbia degli uomini, sottentrò quell'assai più tremenda degli elementi. Era giunto il presente anno al mese d'ottobre, e godevansi gli Antillesi l'inaspettata cessazione dell'armi, e quella securità, che sì poco avevano sperato, quando i mari e le spiagge loro furono afflitte da una sì spaventevole tempesta, che pochi, o nissun esempio si trovano di altrettanto furore nei ricordi delle cose marinaresche, sì pieni peraltro di orribili disastri, e di compassionevoli naufragi. E quantunque questo terribile flagello di Dio abbia, dove più, dove meno disertato tutte le Antille, in nissuna però tanto infuriò, quanto nella fiorita isola delle Barbade. Incominciò a menare la non descrivibile tempesta la mattina dei dieci, e continuò ferocissimamente per ben quarantotto ore. Le navi, che sicure stavano nel porto, furon tosto strappate dalle ancore, e nell'alto e tempestoso mare sospinte. Correvanvi un vicinissimo pericolo di naufragio. Non meno degna di compassione si trovò la condizione di coloro, che rimasero in terra. Imperciocchè la notte, che seguì, crescendo vieppiù la violenza della bufera, le case diroccavano, gli alberi si diradicavano, gli uomini e le bestie erano arrandellati qua e là, e pesti miserabilmente. La capitale stessa dell'isola fu pressochè uguagliata al suolo. La magione del governatore molto forte, conciossiachè avesse le mura grosse ben tre piedi, era scossa fin dalle fondamenta, e faceva le viste di voler crollare. Di dentro abbarravano le porte, e le finestre, ed ogni sforzo facevano per resistere a tanto stravolgimento del cielo. Tutto fu nulla. Superò il dragone irreparabile; schiantò dai gangheri e dagli arpioni le porte e le imposte; le mura stesse diroccava. Il governatore colla sua famiglia si rifuggiva nelle sotterranee volte. Ma da questo cercato asilo contro il vento lo cacciava tosto l'acqua, la quale cadendo dal cielo dirottissimamente inondò, e, quasi un secondo diluvio, sopraffece ogni cosa. Uscivano allora all'aperta campagna, dove con incredibile stento e pericolo si ricoverarono dietro un mastio, sopra il quale era rizzata la stacca della bandiera; ma questo ancora traballando alla furia del trabocchevole vento, temendo di essere stiacciati da cadenti massi, un'altra volta si allargarono nei campi. Fortuna, che non si sbrancarono, perciocchè separati e privi l'un l'altro dell'aiuto dei compagni, tutti ne sarebbero stati morti. Pure aggirati dal remolino tornavano qua e là, e s'avvoltolavano nel fango e nella mota. Infine stanchi, fracidi e trafelati si ripararono ad una batteria, e dietro i carretti dei grossi cannoni si appiattarono, miserabile e poco sicuro asilo; imperciocchè anche questi erano violentemente scossi e traportati dalla procella. Le altre case della città, siccome più deboli, essendo state prima di quella del governatore rovinate, andavano gli abitatori vagando qua e là in quella tristissima notte senza asilo e senza ristoro. Molti perirono sotto i rottami delle case loro; altri annegarono nelle sopravanzanti acque: parecchj affogarono nella mota. Le tenebre spessissime, il frequente folgoreggiar del cielo, i tuoni spaventevoli, il fischiare orribile del vento, lo stridore della cadente pioggia, le grida miserabili dei morenti, le lamentazioni compassionevoli di coloro, che disperati erano al non potergli soccorrere, il pianto e gli urli delle donne e dei fanciulli facevano di modo, ch'e' pareva venuto il finimondo. Ma all'aprirsi del dì si discopriva agli occhi dei sopravviventi uno spettacolo da essere piuttosto raffigurato dalla spaventata immaginazione, che descritto da una mente non percossa da tanta calamità. Quella testè sì ricca, sì fiorita, sì ridente isola pareva ora ad un tratto trasformata essere in una di quelle polari regioni, dove per l'aspetto sinistro del sole regna un eternale inverno. Case nissune in piè, o rovine traballanti; alberi diradicati; cadaveri umani sparsi qua e là; niun bestiame vivente; la sopraffaccia stessa della terra non pareva più quella. Non che fossero distrutte le promettenti messi e le copiose ricolte; i giardini medesimi, sì dilettevole ornamento, ed i campi, sì lieta speranza dei mortali, non erano più: o arena, o fango, o pozze dappertutto; i partevoli termini distrutti; i fossi scassati; le strade sprofondate. Sommò il numero dei morti a parecchie migliaia. Questo si sa; ma quanto sia stato per l'appunto, è incerto. Imperciocchè oltre di quelli, ai quali furon sepoltura le rovine delle case loro, non pochi furono agguindolati dal crudel girone fin dentro il mare, altri sguizzati via da novissimi, e non mai più veduti torrenti, e fiumi, o dall'onde marine strascinati, le quali, oltrepassato il solito confine, dilagato avevano, e spazzato molto indentro le terre. Tanta fu la gagliardia del vento, che un cannone, che buttava dodici libbre di palla, ne fu trasportato, se si dee prestar fede ai documenti più solenni, da una batteria all'altra, lontana bene a trecento passi. Quello poi, ch'era avanzato al furor della tempesta, diventò preda in parte della rabbia degli uomini. Rotte le prigioni saltaron fuori in quella fatal notte i ribaldi, i quali in un coi Neri poco curando, come gente disperata, la rabbia del cielo, tutto avevan messo a sacco ed a ruba. E forse ne sarebbe stata tutta l'isola condotta ad un totale sterminio, ed i Bianchi tratti a morte, se non era, che vi si trovò a quel tempo il generale Vaughan con una grossa schiera di stanziali, i quali colla disciplina e virtù loro la scamparono. E tanto fecero, che cansarono una grossa quantità di munizioni da bocca, senza di che era da temersi che gl'isolani testè liberati dal flagello della tempesta non soggiacessero a quello non men orribile della fame. E non è da passarsi sotto silenzio da un candido amatore della verità, e delle opere gentili, che i prigionieri di guerra spagnuoli, che non eran pochi in quel dì nella Barbada sotto la condotta di Don Pedro San Jago, capitano del reggimento d'Aragona, fecero tutte quelle parti, che a ben nati e civili uomini si convenivano. Posti tra quel violento scroscio in balìa loro, non che si valessero dell'opportunità offerta per commettere qualche atto inimichevole, niuna cosa lasciarono intentata, nè a fatica, nè a pericolo alcuno si ristettero per aiutare i miseri Barbadesi. Nel che la cooperazione loro non riuscì di poca utilità. Le altre isole sì francesi, che inglesi furono poco meno di quella della Barbada devastate. Ma nella Giamaica all'impeto della tempesta si coniunse un orribile tremoto, ed inoltre il mare gonfiò sì fattamente, che tutte le case, ed i campi, sin molto addentro nell'isola, ne furono totalmente desertati. Ma stantechè il vento era da levante, gli effetti del temporale furono maggiori sulle spiagge occidentali della medesima, particolarmente nei distretti di Westmoreland, e di Hannover. Accadde in ispecialità, che mentre gli abitanti di Savanna-La-Mer, ricca e grossa Terra nel Westmoreland, stavano stupefatti osservando l'inusitato gonfiamento del mare, lo sterminato cavallone arrivò loro addosso, e tutto, uomini, bestie, case portò seco a perdizione. Non rimase vestigio veruno di quella infelice Terra. Più di trecento persone furono inghiottite dalle onde. I fertili campi rimasero largamente coperti d'infecond'arena. Le più opulenti famiglie furono ad un tratto ridotte alla più strema miseria. E se oltre ogni dire degna di compassione fu la condizione di coloro, i quali in terra abitavano, non fu migliore quella degli altri, che si trovarono in sull'acque. Imperciocchè delle navi, che gli portavano, alcune andarono a traverso negli scogli, altre furono ingoiate dal furibondo mare, ed altre a grande stento se ne tornarono lacere e fracassate nei porti. A queste fatali strette si trovarono non solo quelle, che viaggiavano, ma ancora quelle, ch'erano sorte nei porti anche i più sicuri, le quali o ruppero dentro i medesimi, o furono cacciate di forza nel mare sì straordinariamente fiottoso. Tra le altre il Fulminatore di 74 cannoni affondò anime e beni. Parecchie fregate o naufragaron del tutto, od in tal modo furono scassinate, ch'era difficil cosa diventata il racconciarle. Perirono in tutto per gli effetti di questa procella di navi inglesi un vascello di 74, due di 64, uno di 50, con sette in otto fregate. In mezzo a tanti, e sì gravi disastri, e ad un quasi totale disfacimento della natura, recò qualche conforto la umanità del marchese di Bouillé. Erangli venuti nelle mani alcuni marinari inglesi, miserabili reliquie delle ciurme delle navi il Lauro, e l'Andromeda, che rotte si erano sulle spiagge della Martinica. Gli rimandò franchi e liberi a Santa Lucia, mandando, non voler ritenere prigioni coloro, i quali erano stati alle prese cogli arrabbiati elementi, e dall'impeto loro scampati. Aggiunse, sperare, avrebbero gl'Inglesi i medesimi termini usato verso di quei Francesi, che l'inesorabile fortuna avesse gettato in poter loro. Ricordò, increscergli, gl'Inglesi cattivi esser così pochi, e nissun fra gli uffiziali essersi salvato. Conchiuse con dire, che siccome era stata comune ed universale la calamità, così anche dover esser comuni ed universali la umanità e la benevolenza. I mercatanti di Kindston, città capitale della Giamaica, con mirabil esempio di bontà cittadina tosto si obbligarono a somministrare un aiuto di diecimila lire di sterlini ai sofferitori. Il Parlamento, udito il fortunoso caso, quantunque a quei dì tanto fosse pressato dalle spese della guerra, decretò si donassero ai Barbadesi ottantamila lire di sterlini, ed a quei della Giamaica quarantamila. Nè i doni si ristettero alla munificenza pubblica; che anzi molti privati cittadini vollero soccorrere della propria pecunia gli abitanti delle Antille. Il navilio di Guichen, e quello di Rodney schivarono la burrasca, perchè il primo già era partito nel mese d'agosto per alla volta dell'Europa con quattordici vascelli di tre palchi, convogliando una ricca e numerosa conserva di navi mercantili. Il secondo, e per questa stessa partenza di Guichen, non sapendo, dove questi s'inviasse, e perchè quelle genti spagnuole sbarcate all'Avanna gli davano non poco sospetto, mandate, come abbiamo detto, alcune navi a proteggere la Giamaica, si era posto in via poco tempo dopo colle rimanenti per alla Nuova-Jork. Ma però in America, prima ch'egli vi arrivasse, anzi prima che partisse dalle Antille, v'era intervenuto un maraviglioso rivolgimento nelle pubbliche cose, siccome da noi sarà in conveniente luogo raccontato.

Combattendo nel modo che si è detto, tra di loro così ferocemente gli uomini e gli elementi sulla terra-ferma d'America, e nelle circonvicine isole, non se ne stavano in Europa oziosamente a badare i potentati guerreggianti. Prevalevano gl'Inglesi per l'unità dei consiglj; ma avevano a paragon dei confederati minor numero di navi, quantunque le loro meglio instrutte fossero di quelle dei Francesi e degli Spagnuoli. Avevano questi per lo contrario più numeroso navilio, e più copiosi soldati. Ma tratti gli uni e gli altri in diverse parti dai contrarj interessi non facevano quel frutto, che avrebbero potuto desiderare. Quindi è, che gli Spagnuoli, avendo sempre la loro principal mira posta all'acquisto di Gibilterra, là mandavano le genti, e spendevano i tesori. A questo medesimo fine le navi loro ritenevano nel porto di Cadice, invece di congiungerle alle francesi, e tentare, uniti a questi, qualche rilevata impresa contro la potenza britannica. Quindi i Francesi obbligati erano a mandar le loro in quel medesimo porto, ed intanto le armate inglesi bloccavano i porti loro dell'Oceano, intraprendevano il commercio, arraffavano le conserve, pigliavano le fregale. Era uscito all'alto mare con un'armata di circa trenta vascelli l'ammiraglio inglese Geary, il quale, morto Carlo Hardy, era stato posto in suo scambio al governo di quella. S'incontrò il dì tre di luglio in una conserva di navi mercantili francesi cariche di cocco, di zucchero, di caffè e di cotone, e scortate dal vascello il Fiero di 50 cannoni. Geary diè dentro, e ne pigliò dodici, e più ne avrebbe pigliato, e forse tutte, se non che una folta nebbia, e la vicinanza delle spiagge nemiche lo impedirono. Le altre giunsero a salvamento nel porti. Parecchie altre navi francesi, principalmente fregate, vennero poco tempo dopo, sebbene non senza una pertinace difesa, in poter degl'Inglesi. Tutti gl'incontri, ch'ebbero luogo, sarebbe troppo lunga bisogna il raccontare; merita però particolar menzione il cavaliere de Kergerion, il quale, governando la fregata la Belle-Poule, si difese lungamente contro Jacopo Wallace, che guidava il vascello il Nonpari di 64 cannoni; e non fu, se non dopo la morte del Kergerion, che il suo successore Lamotte-Tabouret, avendo lacere le vele, gli alberi rotti, fracassati i carretti delle artiglierie, e morti molti de' suoi, si arrese.

Di queste perdite molto bene si ristorarono i confederati il giorno 9 d'agosto. Era partita sul finir di luglio dai porti d'Inghilterra una numerosa conserva di bastimenti sì regj che mercantili per alla volta delle Indie orientali ed occidentali. Cinque dei primi portavano, oltre molte armi, munizioni ed artiglierie, una quantità notabile di attrazzi navali ad uso della flotta inglese, che stanziava in quelle lontane regioni. I secondi arrivavano a diciotto, ed erano o navi annonarie, o cariche di armi, di munizioni, di tende, e di reclute destinate a rinfrescare, e rifondere l'esercito d'America. Erano gli altri bastimenti mercantili di ricchissimo carico. Accompagnava la conserva il vascello d'alto bordo il Rumilli con tre fregate. Andavano al viaggio loro, e già radevano, sebben di lontano, le coste di Spagna, quando improvvisamente la notte degli otto agosto s'incontrarono in una squadra dell'armata confederata, la quale stava sulle volte sulla via solita a tenersi per alle due Indie. Era la squadra sotto la condotta dell'ammiraglio spagnuolo, Don Luigi di Cordova. Scambiarono gl'Inglesi i lumi soliti a porsi la notte dai naviganti sui calcesi per quei del convoglio loro, e seguitavano il nemico, credendo di seguitare i loro. La mattina seguente si trovarono impacciati in mezzo alla flotta spagnuola. Questa prestamente gli accerchiò e pigliò da sessanta bastimenti. Le navi da guerra scamparono. Ora entravano i vincitori nel porto di Cadice trionfando. Concorrevano i popoli a vedere la moltitudine dei cattivi, e le ricche spoglie, notabile ornamento alla vittoria, e spettacolo loro tanto più grato, quantoch'era ed inusitato e poco sperato. Scendevano a terra pressochè tremila prigioni d'ogni ordine, condizione ed età. Erano sedici centinaia di marinari, luttuosa perdita all'Inghilterra, e non pochi passeggieri. Gravissimo fu il danno non tanto per le cose mercantili, ma ancora, e molto più per le provvisioni da guerra, delle quali nelle due Indie gl'Inglesi abbisognavano. Fu questa assai lieta vittoria agli Spagnuoli, e da essi con infinita allegrezza ricevuta. Per lo contrario le novelle causarono nella Gran-Brettagna un rammarico grande, e si udirono contro i ministri in ogni parte gravissime querele, accusandogli ognuno di temerità, perchè sapendo, che i confederati stavano così gagliardi in Cadice, provveduto non avessero, che la conserva viaggiasse molto più alla larga dalle coste di Spagna.

Intanto se così si travagliava sui mari d'Europa, le cose non passavano neanco quiete sotto le mura di Gibilterra. Aveva la Spagna, come abbiamo veduto, capriccio sopra di questa Fortezza. In ciò pareva aver posto tutti i suoi pensieri, e volervi adoperare tutte le forze del regno. Era la cosa in sè stessa di molta importanza, e pareva anche poco onorevole ad un sì possente Re, che uomini forestieri possedessero una Terra dentro il suo reame, e gli tenessero, come si suol dire, quel calcio in gola. Paragonavasi il caso di Gibilterra con quello di Calais, allorquando questa città era posseduta dagl'Inglesi, e volevasi, che l'istesso fine avesse. Per la qual cosa, dopoch'era stata rinfrescata da Rodney, l'ammiraglio spagnuolo Don Barcelo sognava del continuo modi, e con ogn'industria s'ingegnava per impedire, che non entrassero dentro alla sfuggita nuovi soccorsi. Da un altro canto il generale Mendoza, al quale obbedivano le genti di terra, ogni sforzo faceva per serrare la Fortezza da quella parte, fortificando ogni dì il suo campo di San Rocco, e continuamente approssimandosi, quanto possibil era, con nuove cave e trincee. Ciò nondimeno, e nonostanti tutte le cautele usate dai capitani spagnuoli, tanta era l'instabilità dei venti e del mare, e sì fatta l'attività ed industria degli uffiziali inglesi, che di quando in quando entrava dentro nuovo fodero. Il che riusciva d'infinita allegrezza alla guernigione che ne pativa, e di uguale rammarico agli Spagnuoli, i quali s'erano fatti a credere, non potere la difesa bastar sì lungo tempo. Questi sforzi del presidio molto erano aiutati dalla presenza di parecchie navi da guerra, ch'erano state lasciate nel porto dall'ammiraglio Rodney, tra le quali una ve n'era di 74 cannoni, chiamata la Pantera. Per levarsi quel bruscolo d'in sugli occhi, gli Spagnuoli fecero il disegno di volerle ardere in un colle navi da carico, che nel medesimo luogo erano sorte, siccome pure i magazzini pieni di munizioni, ch'erano stati costrutti sulla riva del mare. Apparecchiarono a questo fine sette brulotti con un numero grandissimo di battelli e di bastarde; gli uni, e le altre pieni di soldati, e d'ogni sorta di armi da offendere. Nel medesimo tempo le navi da guerra di Don Barcelo sorsero, e s'arringarono avanti la bocca della cala, non solo per dar coraggio a' suoi, e concorrere nella impresa, ma ancora per intraprendere qualunque nave, che avesse voluto cansarsi. Dal lato di terra Mendoza stava pronto per accrescer terrore alla cosa, e per facilitar il disegno, a piover bombe dentro la città, tostochè i brulotti appiccato avessero il fuoco al navilio inglese. Appuntarono all'impresa la notte de' 6 giugno. Era ella molto scura, il vento ed il mare propizj. Gl'Inglesi non si addavano. Ivano i brulotti avvicinandosi, e già era vicino a compiersi il disegno. Ma gli Spagnuoli, o impazienti, o per l'oscurità della notte credendosi più presso di quello ch'erano veramente, o temendo di accostarsi di vantaggio, precipitarono gl'indugj, e dier fuoco ai brulotti ancora un po' lontani. Destaronsi gl'Inglesi a sì improvviso accidente, e nulla punto smarritisi al subito pericolo, uffiziali e soldati montarono spacciatamente nei battelli, e con mirabile coraggio accostatisi agli ardenti brulotti gli aggraffarono, e condussero alla larga in luoghi, dove non potessero far danno. Gli Spagnuoli senza frutto alcuno si ritirarono. Intanto era Mendoza intentissimo a farsi avanti coi lavori della circonvallazione. Il generale Elliot, al quale il Re Giorgio aveva commesso la cura di difendere quella rocca, lo lasciava fare. Ma quando lo Spagnuolo aveva condotto a fine le opere sue, ecco che Elliot a furia di cannonate le disfaceva, ed intieramente rovinava tutte. Saltava anche qualche volta fuori, e, guaste le opere degli assedianti, ne chiodava o rapiva le artiglierie. Queste vicende parecchie volte si rinnovarono. Se ne rallegravano gl'Inglesi; gli Spagnuoli ne sentivano una noia grandissima. Per la qual cosa aguzzando gl'intelletti loro alla necessità, e male soffrendo, che una piccola presa di genti, poichè il presidio di Gibilterra, inclusi gli uffiziali, non passava i seimila soldati, non solo loro resistessero, ma con sì prosperi successi gli combattessero, fecero una deliberazione, la quale molto noiò nel processo di tempo la guernigione, accrebbe la difficoltà ed i pericoli della difesa, e produsse in ultimo un total eccidio della città. Questa fu di construrre in gran numero certe piatte, che chiamarono barche cannoniere. Erano sì fatte, che portavano da trenta a quaranta botti, quaranta o cinquanta uomini, ed un cannone in prua, che buttava ventisei libbre di palla. Altre portavano bombarde. Avevano una larga vela, e quindici remi dalle due bande. Erano molto maneggevoli; ed intendevasi con esse di gettar bombe e palle nella città e nei forti di nottetempo, ed anche, quando la occasione si scoprisse, di assaltar le fregate. Poichè credevasi, che due di queste piatte fossero bastevoli a far istare una fregata. E siccome poco si alzavano sopra il pelo dell'acqua, così era cosa assai malagevole il por loro la mira, e colpirle. Non avendo i Gibilterrani in pronto una simil sorta di navi, male dagli assalti loro si sarebbero potuti difendere. Così gli Spagnuoli erano intentissimi nel procurare a sè stessi questo nuovo istrumento di oppugnazione, che stimarono dover apportare grandissimo giovamento alla felice riuscita dell'impresa.

Mentre prevalevano in tal modo sulla terra-ferma d'America le armi britanniche; che nelle Antille quelle dei due antichi rivali si pareggiavano, e che in Europa con diverso evento si combatteva, sicchè pareva, che non ancora volesse la fortuna a favore nè di questo nè di quell'altro nemico inclinarsi, le cose fin là incerte e dubbie state nelle Province unite dell'Olanda ad un certo e determinato fine s'incamminavano. Conciossiacosachè avevano i cieli destinato, che la querela americana commovesse alla guerra tutto il mondo, e che colla congiunzione delle armi olandesi a quelle dei Borboni e del congresso si venisse a compir quella formidabile lega, che pareva, dovere l'ultimo tuffo dare alla potenza dell'Inghilterra. Erano state dal bel principio della querela le cose d'America fomentate in Olanda con molta estenuazione di quelle d'Inghilterra, sia per l'amore che a questa causa della libertà si portava generalmente a quei tempi in Europa, sia perchè paresse agli Olandesi, che l'impresa ridondasse tutta in pro degl'interessi della comunanza protestante, temendosi molto dai dissenzienti delle vere o credute usurpazioni della Chiesa anglicana, e sia finalmente perchè la presente condizione degli Americani molto pareva conforme a quella, in cui gli Olandesi stessi si erano ritrovati ai tempi delle guerre loro contro la Spagna. Quindi è, che coloro, i quali seguitavano in Olanda le parti francesi ed avevano, e ogni dì acquistavano, maggior seguito di quelli che parteggiavano per l'Inghilterra. I più pertinaci fra questi ultimi, sebbene per la ricordanza dell'antica amicizia, per le opinioni loro intorno alle cose commerciali, per l'odio che portavano alla Francia, e pei mali che temevano, fosse questa in grado di far loro nell'avvenire, nell'amicizia inglese persistessero, tuttavia molto detestavano i consiglj presi contro l'America dai ministri britannici, e ciò facevano per l'appunto, e massimamente perchè prevedevano, che essi consiglj avrebbero finalmente quella buon'armonia rotto, ch'eglino avrebbero voluto conservare, e fatto del tutto traboccar la Olanda alle parti di Francia. Aggiungevasi a questo, che siccome vi si stava generalmente molto in gelosia contro la potenza dello Statholder, congiunto di sangue col re Giorgio, e temendosi, che questi lo volesse favorire, e fargli le spalle nelle sue usurpazioni, o disegnate invero, o soltanto credute, o volute farsi credere che si fossero, così vivevano le genti in molto sospetto intorno le intenzioni dell'Inghilterra. Temevano, ch'ella non volesse fare a tempo accomodato, e per mezzo dello Statholder a sè medesimi quello, che allora voleva fare all'America. Queste cose si dicevano apertamente, e con vivi colori si dipingevano dai gallizzanti. Per la qual cosa salivano essi in maggior riputazione, mentre l'autorità degli avversarj diminuiva giornalmente. Tra le città e le province, che si mostravano parziali per la Francia, tenevano il primo luogo e per la ricchezza, e per la potenza loro quelle di Amsterdam e dell'Olanda. Per la qual disposizione d'animi mantenere viva, e per tirare anche altre città e province nella medesima sentenza, aveva la Francia, avvisandosi benissimo, quanto sia potente nei cuori umani, e massimamente in coloro, che fanno professione del mercanteggiare, l'amor del guadagno, molto accortamente ordinato, ch'ella farebbe pigliare in sui mari tutte le navi olandesi, le quali facessero il commercio colla Gran-Brettagna, solo eccettuando quelle delle città di Amsterdam e di Harlem. Dalla quale deliberazione ne era nato, che parecchie altre città principali, tra le quali Rotterdam e Dort, si erano per godere il medesimo privilegio alle parti francesi accostate. Tutte queste cose erano state causa, che si era appiccata, già erano due anni, una pratica in Aquisgrana tra Giovanni Neuville, il quale operava in nome, e per l'autorità di un Van-Berkel personaggio, siccome affezionatissimo ai Francesi, così nimicissimo agl'Inglesi, e Capo del governo della città di Amsterdam, e Guglielmo Lee commissario per parte del congresso. Questi due agenti dopo molte consulte fermarono un trattato d'amicizia e di commercio fra quella città, e gli Stati Uniti d'America. Questo trattato non era in nome, che casuale, intendendosi, che dovesse solo avere il suo effetto, allorquando l'independenza degli Stati Uniti fosse dalla Gran-Brettagna riconosciuta. Ma infatto si riconoscevano questi come franchi ed independenti, poichè come se tali fossero si negoziava e si accordava con essi. Non era invero il trattato stato fatto con altri, che colla città d'Amsterdam. Ma si sperava, che la prepotenza, ch'ella aveva nella provincia d'Olanda, avrebbe tirato a parte della cosa tutta questa provincia, e che quella prepotenza stessa della provincia avrebbe fatto nel medesimo disegno inclinare anche tutte l'altre. Queste pratiche furono con tanta gelosia tenute segrete, che nulla se ne riseppe in Inghilterra. Ma il congresso, il quale ardeva di desiderio, che quello, che si era segretamente stipulato, si recasse apertamente in effetto, creò plenipotenziario a questo fine presso gli Stati Generali Laurens, quello stesso, che stato era presidente. Questo partito con tanto più pronto volere aveva abbracciato, in quanto che si era persuaso quello ch'era vero, cioè, che per gli acciacchi ed insolenze usate dagl'Inglesi alle navi mercantili olandesi nel commercio loro coi porti francesi, si fossero in tutta la Olanda gravemente alterati gli animi; e che massimamente a grandissimo sdegno vi si fossero concitati per la presura fatta delle navi accompagnate dal conte Byland. Questi mali umori poi, e queste nuove ferite invece di sedare e di ammorbidare, aveva viemmaggiormente mossi, e fatte inciprignire Jorke, ambasciadore pel Re della Gran-Brettagna all'Aia con un memoriale pieno di alterigia da lui porto al governo, il quale fu giudicato non dicevole alla dignità di una nazione franca ed independente. Ma la fortuna, la quale così spesso si fa giuoco dei miseri mortali, volle far di modo, che questi maneggi venissero per un impensato accidente a notizia dei ministri inglesi, prima che avessero potuto avere il loro compimento. Non così tosto erasi Laurens dipartito da Filadelfia, che, incontrata la nave, che lo portava, sulle coste di Terranuova dalla fregata inglese la Vestale, e presa, fu egli fatto prigione. Aveva bene subito, accortosi del pericolo, fatto getto di tutte le sue scritture pubbliche, ma per la celerità e la destrezza di un marino inglese furon tratte dall'acqua, ed a salvamento condotte, prima che si sfacessero. Fu Laurens condotto a Londra, e confinato, come reo di Stato, in fondo della Torre. Tra le scritture intraprese, i ministri britannici ebbero fra le mani quel trattato, di cui abbiamo favellato, e parecchie lettere tutte risguardanti la pratica di Aquisgrana. Tosto Jorke ne levò all'Aia un grandissimo romore. Richiese in nome del suo Re gli Stati Generali, non solo facessero disdetta del procedere del pensionario Van-Berkel, ma ancora ristorassero prontamente la offesa, e quello, ed i suoi complici traessero a condegno castigo, come perturbatori della pubblica pace, e violatori dei diritti delle nazioni. E siccome gli Stati Generali si peritavano alla risposta, così egli faceva nuove e caldissime istanze, perchè si risolvessero. Ma quelli, che non si volevano affrettare, e che andavano molto renitenti allo scoprirsi, sia perchè erano pei loro ordini pubblici di necessità molto tardi al deliberare, sia perchè avrebbero voluto raccorre prima a luoghi sicuri le ricchezze loro, ch'erano o portate dalle navi sui mari, od ammassate per la securità della pace nelle proprie isole quasi senza niuna difesa, risposero, che avrebbero considerato. Da un altro canto i ministri britannici, che avevano fretta, perciocchè ardevano di desiderio di por la mano addosso a quelle ricchezze, intendendo anco, che gli Olandesi non avessero tempo di fare i necessarj apparecchiamenti di guerra, fecero le viste di non esser contenti a quella risposta, e rivocarono incontanente l'ambasciador loro dall'Aia. Seguirono poco dopo da ambe le parti i soliti manifesti. Così portò la condizione de' tempi, che finalmente fossero interrotti gli uffizj di benevolenza tra due nazioni da lungo tempo congiunte in amicizia, e che avevano molti e grandi interessi comuni. La quale guerra altrettanto fu più grave all'Inghilterra, in quanto ch'era l'Olanda un nemico vicino, e molto perito sulle navali armi. Ma da una parte l'orgoglio, forse necessario ad uno Stato possente, e la gola dell'arraffare sempre condannabile, e non mai saziata, dall'altra le discordie intestine, e la debolezza delle armi terrestri, ch'erano causa, che più si temesse dei vicini di terra-ferma, di quello, che sarebbe stato richiesto all'independenza, fecero di modo, che fu rotta un'antica amicizia, e nacque una guerra che tutti gli uomini prudenti, i quali s'intendevano dello Stato, condannarono ed apertamente biasimarono.

Ripigliando ora, ove lasciammo, delle cose, che giravano sulla terra-ferma d'America, egli è da sapersi, che dopo la presa di Charlestown, e la invasione nella meridionale Carolina un grande e maraviglioso cambiamento si era fatto negli animi di quei popoli; e che vi nacque la salute da quegli stessi casi, che parevano una instante rovina pronosticare. Tanto è vero quello, che i nostri maggiori vollero significare con quel proverbio loro, gran pesto fa buon cesto; il che altro non vuole significare, se non se che lo sprone dell'avversità fa fare agli uomini in utile loro di quelle cose, che gli allettamenti della prospera fortuna non possono. Imperciocchè le disgrazie della Carolina non che sbattuto avessero gli Americani, parve per lo contrario, che nelle menti loro maggior ostinazione, e nei cuori maggior coraggio infondessero. Venne meno in essi quella tiepidezza, alla quale nei precedenti anni erano stati soggetti, e che di tanto danno era stata cagione alla Repubblica, e di tanto dolore ai Capi di essa. Ognuno s'incendeva di nuovo ardore per soccorrere alla patria. Tutti s'inanimavano a sviscerarsi intieramente ai servigj della repubblica. Avresti detto, esser tornati i primi tempi della rivoluzione, quando sì grandi erano il consenso e l'ardore degli uomini in questa impresa loro contro l'Inghilterra. Molti scordarono gl'interessi privati per non pensare, che a quei del pubblico; e tutti andavano dicendo, doversi cacciare il crudelissimo nemico da quelle fertili terre; doversi soccorrere ai fratelli del mezzodì; doversi quelli avanzi di satelliti britannici scappati a mala pena al ferro americano spegnere del tutto; doversi la guerra con un estremo sforzo di breve terminare. Così negli Americani operarono le avversità, che quando parevano più depressi e più conculcati, risorgevano coll'animo più costante e più pertinace. A questi novelli spiriti davano incentivo le recenti ruberie commesse dalle genti del Re nella Carolina e nella Cesarea; speranza l'osservare, che l'accidente seguìto dell'occupazione di Charlestown partito avesse, e sì lungo spazio tra di loro separate le forze del nemico, sicchè più facilmente, o una parte o l'altra potrebbero venire oppresse. Alla quale speranza maggior forza accrescevano le certe novelle, che si avevano, del non lontano arrivo degli aiuti francesi, e molti già facevano cosa fatta la conquista della Nuova-Jork, colla quale speravano di ristorarsi della perdita di Charlestown. Infatti era allora ritornato in America De La-Fayette con liete novelle della Francia; già essere imbarcate le genti; già le agevoli prue portatrici degli aiuti essere volte alle americane spiagge; già esser vicine ad afferrarle. La cosa era vera. Il marchese stesso si era nella patria sua con molto ardore in ciò affaticato, e non ne era partito, se non quando già tutto era in pronto. Del che molto e Washington, ed il congresso lo ringraziarono. Oltrechè la presenza sua tanto grata a quei popoli gli aveva molto confortati, nacque ancora, che si andavano incitando e pungendo l'un l'altro per non iscomparire a paragone dei vegnenti alleati. Affermavano, esser vergogna, e che sarebbero ben degni stati di eterno biasimo, se per propria infingardaggine guasta e perduta avessero quella occasione, che offeriva loro la vicina e possente cooperazione della Francia. Dicevano, gli occhi di tutta l'Europa essere rivolti a loro, e che dalla guerra di quell'anno doveva pendere l'independenza, la gloria, la fortuna tutta dell'americana repubblica. Il congresso poi, e tutti gli altri maestrati, siccome pure gli uomini d'autorità nell'universale, opportunamente si giovarono di questo novissimo calore degli animi, e niuna cosa lasciarono intentata, perchè e si conservasse, e si accrescesse, e più largamente si diffondesse. Scrisse il congresso lettere circolari a tutti gli Stati, molto infiammatamente esortandogli a riempir le compagnie, ed a mandar all'oste quella parte di soldati, che a ciascun di loro si apparteneva. La stessa cosa operarono i generali Washington, Reed ed altri capitani di riputazione. La cosa ebbe effetto. Riavuti gli spiriti, i soldati, seguendo l'esempio dei capitani, s'andavano sotto le insegne riducendo. In ogni parte risorgeva il nome del congresso. Perchè poi non venisse meno la pecunia pubblica, gli uomini abbienti si obbligarono per ogni banda a pagar grosse somme in sollievo dell'erario pubblico allora sì scarso. Queste cose si facevano principalmente nella città di Filadelfia; ma l'esempio era fruttuoso. Si propagava nel contado e nell'altre province. Le donne filadelfiesi, fatta guidatrice della impresa la moglie di Washington, donna di grande dassaiezza, mostrarono in ciò un grandissimo amore verso la patria. Oltre la pecunia, che si obbligarono di pagar del loro, andavano di casa in casa esortando i cittadini a volere delle facoltà loro soccorrere alla repubblica. La cosa non rimase senza effetto; perciocchè accattarono grosse somme di denaro, che nell'erario pubblico portarono, acciocchè fosse usato nei caposoldi da darsi a quei soldati, che meritati gli avessero, ed in accrescimento di paga a tutti. Le donne del contado e delle altre province imitarono l'esempio. Ma un ordinamento, che fu fatto a quei dì, e che degno è di particolar menzione, quello fu di un Banco pubblico, il quale coi denari dei soscrittori, dei prestatori, e del congresso potesse ai soldati sovvenire. Nel che il congresso ebbe non solo consenzienti, ma ancora richiedenti le buone borse della Pensilvania. Si obbligassero i soscrittori a fornire un capitale di trecentomila lire di moneta pensilvanica nella ragione di sette scellini e sei pensi per ogni dollaro di Spagna. Avesse il Banco due direttori; avessero questi facoltà di accattar denaro in sul credito del Banco per sei mesi, o per minore spazio, e di dare scritte a' prestatori, le quali fruttassero un interesse del sei per centinaio; ricevesse il Banco la pecunia pubblica del congresso, cioè il sommar delle tasse, e quando queste ed i denari dei prestatori non bastassero, fossero tenuti i soscrittori ad effettivamente fornire quella parte, che sarebbe creduta necessaria, delle somme, le quali sodate avessero; i denari ricevuti nei modi che abbiam detto, siccome pure le scritte dei direttori in niun altro uso si potessero impiegare fuori che in quello del procacciar provvisioni all'esercito; creassero i soscrittori un fattore, l'uffizio del quale fosse di fare i procacci, e le cose procacciate, come a dire carni, farine, rum, ed altre rimettere al capitano generale, od al maestrato sopra la guerra; avesse questo fattore facoltà di trarre pel denaro speso nei procacci sopra i direttori. Dovesse inoltre il fattore aprire un fondaco, il quale riempisse di rum, di zucchero, di caffè, di sale e di altre grasce, che servono all'uso comune degli uomini, le quali grasce tutte obbligato fosse a vendere a minuto ed al medesimo prezzo, col quale le aveva comperate all'ingrosso, a coloro, dai quali comperato avesse le provvisioni per l'esercito; e ciò a fine di poter dai medesimi ottenere, e più prontamente quelle, che migliori fossero. Quantunque di prestatori fuori del Banco pochi si appresentassero, perchè i più per fornire il denaro loro avrebbero desiderato prima maggiore stabilità nello Stato, tuttavia si trovarono tosto soscrittori per un capitale di trecento quindicimila lire pensilvaniche, dei quali ciascuno si obbligò a somministrare ai direttori del Banco una determinata somma per mezzo di scritte da pagarsi da essi in monete d'oro o d'argento. In cotal modo i privati uomini, mossi da lodevole zelo verso la patria, vollero col credito loro sopportare ed ampliare quello del pubblico, esempio tanto più da commendarsi, quantochè le cose dello Stato non erano ancora ferme.

Nè a questi tempi, quando un vittorioso nemico sì ferocemente instava, e già già batteva alle porte loro, si ristettero gli Americani al procurar genti e pecunia alla repubblica; che anzi procedettero più oltre, ed in mezzo a quei romori di guerra vollero con acconci ordinamenti promuovere le utili scienze, le nobili discipline, le necessarie arti, sapendo benissimo, che, senza di tutte queste, la guerra mena per la diritta alla barbarie, e che ne è meno lieta, e meno felice la pace. Nel che intesero non solo una cosa utilissima operare, e conducevole al buon costume dei popoli, ma sì ancora, mostrando securità in mezzo a quei pericoli, far vedere ai loro, ed ai strani, quanto poco essi pericoli curassero, e quanta fosse la confidenza, che nell'impresa loro collocato avevano. Per la qual cosa lo Stato di Massacciusset fondò in Boston una società, od accademia d'arti e di scienze, e con lodevoli statuti la ordinò. Il fine suo fosse di promuovere e d'incoraggiare la cognizione delle antichità dell'America e della storia naturale della contrada, di determinare a quali usi servir potessero i proventi naturali di lei, di promuovere le mediche scoperte, le matematiche disquisizioni, le ricerche, e gli sperimenti filosofici, le osservazioni astronomiche, meteorologiche e geografiche, l'agricoltura, le arti, le manifatture, il commercio; di coltivare insomma ogni arte e scienza, le quali tender potessero ad avanzare (così dicevano) l'interesse, l'onore, la dignità e la felicità di un libero, independente e virtuoso popolo. Addì quattro di luglio poi, celebrato prima con grandissima solennità l'anniversario dell'Independenza, il presidente del congresso, quello dello Stato di Pensilvania, e gli altri maestrati sì della città che della provincia, siccome anche il cavaliere de la Luzerne, ministro di Francia, si recarono con non ordinaria pompa all'Università per ivi assistere alla collazione dei gradi agli studenti. Il Preposto agli studj orò molto accomodatamente secondo il temporale. Le bramose menti dei giovani di nuovo zelo si accendevano, e di maggior amore s'informavano verso il nuovo Stato. I circostanti felici augurj pigliavano della nascente repubblica.

A questi medesimi tempi, in cui per ogni canto, e con ogni più convenevole modo si concitavano gli Americani a correre nella presa carriera, e che sorgeva in essi un nuovo ardore alla guerra, arrivarono all'Isola di Rodi i soccorsi, che la Francia mandava in mantenimento delle cose d'America; ed allora fu l'allegrezza loro nel suo maggior colmo posta. Consistevano in un'armata di sette navi d'alto bordo, tra le quali il Duca di Borgogna di 84 cannoni, di cinque fregate, e due altri legni minori. Era tutto questo navilio condotto dal Signore di Ternay. Seguitavano una moltitudine di navi da carico, le quali portavano sei migliaia di soldati, che obbedivano agli ordini del conte de Rochambeau, luogotenente generale negli eserciti francesi. Ma però il Re Luigi, ed il congresso si erano accordati, che Washington, come capitano generale, dovesse guidare tutte le genti sì francesi, che americane, ed a questo fine egli era stato creato dal medesimo Re luogotenente generale, e vice ammiraglio degli eserciti, e delle armate francesi. Gli abitanti di Nuovo-Porto accesero per festa i fuochi alle case loro. Il Generale Heath ricevè con molte dimostrazioni di cortesia e di allegrezza gli ausiliarj di Francia; e siccome correva attorno voce, che Clinton fosse per venir ad assaltar l'Isola di Rodi, così gli mise in possessione tosto di tutti i Forti, nei quali i Francesi con tanta diligenza si fortificarono, che in brevissimo tempo furono in grado di poter ributtare qualunque nemico, che si appresentasse. La generale assemblea dello Stato dell'Isola di Rodi mandò deputati a complire col capitano del Re Luigi, i quali molte cose dissero del grato animo dell'America, e della generosità del Re di Francia. Promettevano ogni sorta di aiuti e di provvisioni. Rispose Rochambeau, che quei soldati, che là condotto aveva, erano soltanto la vanguardia di quelli, che il suo Signore era per mandare in aiuto loro. Non dubitassero, che il Re non sarebbe per mancare alla salute e sicurtà dell'America; che sarebbero le sue genti vissute civilmente, ed in grado di fratelli. Concluse con dire, che come fratelli, egli, e tutti i suoi avevano le vite loro vogliosamente al servigio dell'America votate. Così il capitano francese ed aiutava di presente gli Americani, e gli nutriva con grande speranza, che dovessero arrivare altre genti, per dar loro animo a sostenersi. Queste cose, che si risapevano, molto confortavano quei popoli bisognosi dell'aiuto altrui, ed ardenti nell'impresa loro. Ma i partigiani dell'Inghilterra, che ancora vi rimanevano, sia che volessero la independenza o la ricongiunzione, rodevano il freno. Washington per viemmaggiormente accomunare i due popoli ordinò a' suoi, portassero nelle insegne il colore nero, e bianco, cioè il campo nero, attornovi il bianco, essendo il primo l'insegna degli Americani, il secondo quella dei Francesi.

Aveva solo a questo tempo l'ammiraglio Arbuthnot, il quale tuttavia se ne stava nella Nuova-Jork, quattro navi di alto bordo, e non che pensasse ad assaltare, temeva di essere assaltato. Pochi giorni dopo per altro arrivò dall'Inghilterra l'ammiraglio Graves con sei altri vascelli di simil portata. Perilchè diventati gl'Inglesi superiori di forze, si deliberarono ad andare ad assalir i Francesi nell'Isola di Rodi. Vi andò prima Graves colla sua armata per vedere, se vi fosse modo di poter isconfiggere dentro Nuovo-Porto quella del nemico. Ma i Francesi con tant'arte, e con tante difesa si erano assicurati, che ne sarebbe stato peggio che pericoloso il cimento. Se ne tornò alla Nuova-Jork. Clinton allora, il quale non avrebbe voluto dar tempo ai Francesi di metter barbe in quelle nuove terre, si risolvette a far l'impresa dell'isola di Rodi con seimila soldati dei migliori che si avesse, i quali portati dalle navi da guerra dovevano sbarcare a qualche luogo a ciò accomodato. Dava Graves le mani all'impresa, sebbene avesse la volontà aliena da quella, perchè poco la credeva riuscibile. S'imbarcarono, e già erano proceduti presso Huntingdon-bay nell'Isola Lunga. Ma Washington, che non dormiva alle mosse di Clinton, vedutolo partito con tanta gente dalla Nuova-Jork, ed avendo già tali rinforzi avuto da tutte le bande, che il suo esercito poco fa sì debole ora sommava a dodici migliaia di soldati, scendè a gran giornate per le rive dell'Hudson, ed arrivato a Kingsbridge minacciava di vicino assalto la città stessa della Nuova-Jork priva allora de' suoi eletti difensori. Da un'altra parte le bande paesane della Nuova-Inghilterra si erano levate a stormo, ardendo di desiderio di far vedere ai Francesi in quel loro primo giungere, da quanto esse fossero. Già erano un grosso di dieci migliaia, che marciavano a Provvidenza, e molte più stavano in pronto per raggiungerle. Queste cose, che tosto si riseppero dai capitani britannici, giunto anche i dispareri, che tra di essi correvano, fecero di modo che Clinton si levò dal pensiero, e se ne tornò tosto con tutti i suoi alla Nuova-Jork. Lo sgomento degli Inglesi molto crebbe l'animo agli Americani, i quali già risguardavano sopra il presidio di quella città, come se sbattuto fosse e prigioniero. A tutte queste ragioni di conforto si aggiunse, che i Francesi venuti nell'Isola di Rodi avevano portato gran quantità di monete di conio del loro paese, e siccome soglion fare, quante ne avevano, queste tutte spendevano nei comodi e nei piaceri del mondo. Quindi accadde, che in poco tempo incominciarono esse ad andar attorno in tutti gli Stati se non copiosamente, certo bastevolmente con evidente ristoro del corpo politico, che per difetto di quelle se ne stava languendo, e vicino quasi al disciogliersi. Vero è, che i biglietti di credito ne scapitaron di vantaggio. Ma non fu grave la perdita; perciocchè già assai poco di riputazione conservato avevano, e lo Stato ne fu poco poscia sgombro del tutto in quel modo, che si racconterà nel progresso di queste storie.

Tutte le cause, che sin qui abbiamo narrate, avevano generalmente nuovo coraggio negli Americani di tutti gli Stati infuso. Ma operarono con maggior efficacia negli abitatori degli Stati meridionali, siccome in quelli, che avevano vicino il pericolo, e che maggiormente, e per ispeciali cagioni erano dell'insolenza inglese infastiditi. Quindi avvenne, che già ribollendovi le cose, si rannodavano qua e là nella Carolina Settentrionale, e sugli estremi confini della Meridionale parecchie prese di repubblicani, le quali condotte da capitani arditissimi non solo davano molto sospetto ai reali, ma ancora le poste loro spesso bezzicavano, e qualche volta opprimevano. Ma tutti questi condottieri di gente ostinata, e pronta a mettersi ad ogni sbaraglio avanzava, e pel credito, che aveva nella provincia, e pel valore, e per la perizia delle cose militari il colonnello Sumpter caroliniano. La maggior parte di quei Caroliniani, i quali pel tedio della signoria inglese abbandonato avevano la patria, erano concorsi a porsi sotto le sue bandiere, e già erano sì numerosi, che potevano scorrere la campagna, e tenevano intenebrato tutto il paese. Denari non avevano, nè abiti da soldato, nè alimento certo; ma vivevano alla sfuggita di quello che la fortuna, od il coraggio loro parava davanti. Stavano pure in gran difetto d'armi e di munizioni da guerra. Ma i villerecci stromenti dell'agricoltura convertivano in grossolane armi da guerra, ed in luogo di palle di piombo ne gittavano di stagno del vasellame, che a quest'uso vogliosamente donavano loro i cittadini. Eppure queste somministranze non bastavano. Furono visti venir alle mani col nemico, non avendo ciascun di loro più di tre cariche. E mentre si combatteva, alcuni, mancando o d'armi o di munizioni, se ne stavano in disparte aspettando, che le ferite o la morte dei compagni offerisse loro l'occasione di pigliar le armi, e di caricarle. Ed allorquando se ne tornavano vincitori dai duri incontri, erano costretti per fornir sè medesimi di spogliar i morti ed i feriti delle armi e munizioni. Finalmente divenuto Sumpter più gagliardo per l'accostamento di nuove genti, assaltò un grosso posto britannico a Rocky-Mount. Ne fu risospinto, ma non isgomentato. S'attaccò alcuni giorni dopo, imperciocchè nè pigliava in mezzo alle sue correrie riposo nè il concedeva altrui, con un'altra grossa posta d'Inglesi a Hanging-rock, e tutti gli smagliò, stanziali e leali. Sconfisse altresì con eguale fortuna il colonnello Bryan venuto co' suoi leali dalla Carolina Settentrionale; e brevemente questo Sumpter era una continua rangola agl'Inglesi, i quali a patto nessuno nollo potevano spegnere, per aver esso uno smisurato ardire, ed i rifugj propinqui. Era egualmente destro a dar gli assalti, che i gangheri; e, vinto o vincitore ch'ei fosse, non era possibile corgli posta addosso. Gli stessi danni causava il colonnello Williams con una leggiera smannata di Caroliniani del distretto di Ninety-six, il quale tanto si andò aggirando, che in fine sorprese e tagliò a pezzi un branco di leali sulle rive del fiume Ennoree. Così da questa minuta guerra molto erano noiati gl'Inglesi, gli Americani ripigliavano gli spiriti, e si mantenevano rizzate in quella provincia le insegne del congresso. Ma queste avvisaglie, le quali poco, o nulla importavano alla somma delle cose, non erano altro, che il principio delle maggiori battaglie, che dovevano di lì a poco seguire. Non ebbe avuto sì tosto Washington avviso dell'assedio di Charlestown, che aveva avviato alla volta della Carolina Meridionale un rinforzo di quattordici centinaia di stanziali marilandesi e delawariani sotto la condotta del barone di Kalb. Si erano questi messi in via molto per tempo, e se avessero potuto arrivare al punto accordato, avrebbero per avventura dato alle cose un altro indirizzo. Ma tali e tanti furono gli ostacoli, che incontrarono nella Carolina Settentrionale per la carestia delle vettovaglie, per le difficoltà de' luoghi, e pell'immoderato calore della stagione, che non poterono camminare, che di pian passo. È fama, vivessero molti dì coi bestiami, che trovarono sbrancati nelle selve, e spesso privi affatto di carne e di farina, la vita loro sostentarono con pesche, o coi granelli di frumento immaturo. Questi disagi tutti sopportarono con mirabile costanza. Strada facendo per la Virginia erano stati ingrossati dalle milizie della provincia, ed arrivati sulle rive del fiume Deep furono accostati dalle bande della Carolina Settentrionale, guidate dal generale Caswell. Sommavano a sei migliaia di soldati. Essendo l'esercito rispetto agli Stati Uniti numeroso, e l'impresa di cacciar gl'Inglesi dalle Caroline di gran momento, il congresso, per favorire con la riputazione del capitano le cose di queste province, ne diede il governo a Gates. La qualità di straniero, il non conoscere la natura dei luoghi, ed il non avere sperienza dei modi da usarsi colle indisciplinate milizie nocquero tanto al barone di Kalb, che gli fu mandato lo scambio. Arrivò Gates al campo sul fiume Deep addì 25 di luglio. Là fece la mostra e la rassegna delle sue genti per conoscere quali e quante fossero; poscia le mosse verso il fiume Pedee, il quale nelle parti disottane separa la settentrionale Carolina dalla meridionale. Il nome e la fortuna di Gates operavano di modo, che non solo la gente corresse alle insegne, ma ancora, che le munizioni di ogni sorta fossero portate al campo. I popoli si levavano a romore. Già gli abitatori di quel tratto di contrada, che giace tra i due fiumi Pedee e Black, rivoltatisi prese avevano le armi contro i reali; e Sumpter con una buona smannata di fanti e di cavalleggieri andava ronzando sulla stanca degl'Inglesi con animo di mozzar loro la via per a Charlestown. Teneva infestato tutto il paese all'intorno. Tostochè Gates toccò coll'esercito i confini della meridionale Carolina mandò fuori un bando, invitando i Caroliniani ad adunarsi per vendicare cogli auspicj suoi i diritti dell'America, promettendo, che sarebbero liberi da ogni colpa o pena coloro, che erano stati forzati a dar le parole dai feroci conquistatori, solo eccettuali quelli, i quali esercitato avessero atti di barbarie, o di depredazione sopra le persone e le proprietà dei loro concittadini. Non furono vane le esortazioni di Gates. Non solo i popoli correvano all'armi per soccorrere alle cose della Carolina, ma le compagnie stesse dei Caroliniani, i quali si erano posti ai servigj del Re, o ribellarono o disertarono. Sumpter, fatto forte, faceva gran danni agl'Inglesi. Aveva lord Rawdon, il quale, trovandosi Cornwallis a Charlestown tutto intento nell'assestare gli affari della Carolina, governava tutte le genti alloggiate a Cambden e ne' luoghi circonvicini, avviato una presa d'Inglesi malati a Georgetown, e postogli sotto la scorta dei Caroliniani condotti dal colonnello Mills. Questi, già fatta una parte del viaggio, si ammottinarono, e fatti gli uffiziali, che gli guidavano, prigioni, condussero essi, i malati e sè medesimi a salvamento agli alloggiamenti di Gates. Il colonnello Lisle, il qual era uno di quelli, che avevano dato la parola, e che poscia aveva promesso di voler essere un buono e fedele suddito dei Re, subornò un battaglione di milizie, che stat'erano levate in nome del lord Cornwallis, ed intiero lo guidò a Sumpter. Questi poi sull'occidentale riva del Wateree con incredibile celerità procedendo, aveva intrapreso una moltitudine di some di rum, e d'altre grasce e munizioni, che da Charlestown si mandavano a Cambden. Fece nel medesimo fatto prigioni molti malati e stanziali che gli accompagnavano. Già la via di Cambden a Ninety-six era infestata dai repubblicani, e quella di Cambden a Charlestown vicina ad esserlo. Così le cose del Re nella Carolina parevano in manifesta declinazione. Lord Rawdon vedendo tanto nemico vicino a scoccarglisi addosso, e non avendo forze sufficienti a poter vagar per il paese liberamente, nè a tener un largo campo, ristrinse i suoi ne' luoghi circonvicini a Cambden, e pose gli alloggiamenti sulla destra sponda del rivo Linche. Intanto diè ragguaglio di ogni cosa, e del pericolo, che correva, a Cornwallis. Arrivò Gates con tulle le sue genti sulla sinistra riva, e si accampò a rincontro del nemico. Scaramucciavano spesso i repubblicani coi regj con varia fortuna. Avrebbe il generale americano voluto venire a giornata, assaltando Rawdon troppo debole a paragon suo dentro gli suoi alloggiamenti. Ma trovatigli troppo forti, se ne rimase. Fu questo suo, come pare, ottimo consiglio. Ma bene si lasciò fuggir dalle mani una molto propizia occasione di riportar una onorata vittoria. Poichè, se avesse marciato a gran passi verso le fonti del rivo, avrebbe potuto facilmente oltrepassare il sinistro fianco del lord Rawdon, ed arrivatogli alle spalle impadronirsi improvvisamente di Cambden. La qual cosa stata sarebbe l'ultima rovina degl'Inglesi. Ma o non l'avvertì, o, avvertendolo, non s'ardì. Poco poscia il capitano britannico, vedute fare dagli Americani alcune mosse verso l'ala sua dritta, che gli diedero sospetto pe' suoi magazzini e per l'ospedale, lasciate le rive del Linche, si ritirò con tutte le genti, e senza ricevere molestia alcuna da parte del nemico, a Cambden. In questo punto arrivò al campo il conte di Cornwallis. Conosciuto lo stato delle cose, e veggendo, quanto i repubblicani si fossero fatti vivi, ed il paese loro partigiano, faceva molto correre la contrada dagli speculatori, riempiva le compagnie coi convalescenti più gagliardi, forniva l'esercito d'armi, e specialmente la legione di Tarleton di cavalli, dei quali difettava. Ciò nondimeno non aveva egli sotto le insegne oltre di duemila soldati, tra i quali a un dipresso quindici centinaia di stanziali, ottima gente però, gli altri leali, e fuorusciti. L'attaccarsi con un nemico tanto superiore di forze pareva cosa non che pericolosa, temeraria. Avrebbe potuto schivar di combattere, e ritirarsi a Charlestown. Ma andò considerando, che, abbracciando questo consiglio, avrebbe dovuto lasciar indietro in balìa del nemico da ottocento malati, ed una quantità inestimabile di munizioni sì da guerra che da bocca; e che, se si eccettuano le due città di Charlestown e di Savanna, la ritirata avrebbe causato la perdita di tutte due le province della Carolina e della Giorgia. Nè gli sfuggiva, che la maggior parte delle sue genti erano soldati valentissimi, fornitissimi di ogni cosa, capitanati da uffiziali di mirabile perizia e valore. La vittoria poi avrebbe, siccome credeva, posto in sua mano intieramente le due Caroline, mentre la sconfitta poco maggior danno gli avrebbe recato della ritirata. Per le quali cose si determinò a mostrare il viso al nemico, ed a tentar la fortuna delle battaglie. E siccome Cambden, dove allora si trovava l'esercito, non era luogo forte, e che i partiti più generosi sono anche per l'ordinario i più fortunati, così volle, non già aspettar il nemico nelle sue stanze, ma sibbene andargli a fare un alloggiamento addosso a Rugeley's-mills, dove si era posto a campo, e tentar la giornata con esso. Il giorno 15 d'agosto tutte le genti del Re ebbero ordine di tenersi pronte al marciare. Alle dieci della sera si muovevano verso Rugeley's-mills. La prima schiera era guidata dal colonnello Webster, e consisteva in fanti leggieri e cavalli. La seconda schiera, nella quale erano posti i volontarj d'Irlanda ed i leali, era sotto la condotta del lord Rawdon, e seguitata, come da una piccola squadra di riscossa, da due battaglioni d'Inglesi. Nella terza schiera, che seguitava alla coda, erano il carreggio, e gli uomini d'arme della legione. Camminavano in mezzo all'oscurità della notte con grandissimo silenzio; e già passato il rivo Saunder si erano scostati a dieci miglia da Cambden alla volta di Rugeley's-mills. Mentre in tal modo contro gli Americani marciavano gl'Inglesi intentissimi ed eseguire gli ordini dei capitani loro, Gates aveva mosso il campo alle dieci della sera da Rugeley's-mills, e si era avviato verso Cambden, intendendo di fare a Cornwallis quello, che questi voleva fare a lui. Aveva egli ordinato i suoi di modo, che marciava la prima legione dei cavalleggieri del colonnello Armand col fanti leggieri del colonnello Porterfield alla dritta, ed i fanti leggieri del maggiore Amstrong alla stanca. Venivano dopo le brigate degli stanziali della Marilandia, e le bande paesane della Carolina Settentrionale e della Virginia. Seguitavano alla coda le salmerie con una grossa guardia di volontarj, e la cavalleria dai due lati. Comandava Gates, si muovessero taciti e serrati; non isparassero a pena di cuore. I gravi impedimenti, i malati, le munizioni non necessarie aveva mandato indietro a Wacsaws. Così si difilavano fra le tenebre con maraviglioso silenzio, e non senza grave sospetto vicendevole gli uni contro gli altri i repubblicani ed i regj. Era la notte giunta alle due della mattina, quando le prime scolte inglesi s'incontrarono nella testa della colonna americana. I legionarj d'Armand secondati dai fanti di Porterfield aspramente ributtarono i primi feritori inglesi; Porterfield ne riportò una grossa ferita. Allora i fanti leggieri inglesi con due colonnelli di grave armatura attestandosi in sulla calpestata, frenarono l'impeto degli Americani. Succedette una mischia feroce con egual vantaggio e perdita da ambe le parti. Ma nè l'una, nè l'altra volendo commettere al rischio di una battaglia notturna la fortuna della guerra, si ristettero, e ne nacque in mezzo a quel buio un silenzio d'armi, il quale durò sino al nuovo dì. Intanto Cornwallis ebbe fumo dagli uomini del paese, che la natura dei siti molto era favorevole a' suoi, e contraria ai soldati di Gates: poichè la via, per la quale solo poteva questi far la passata per venirlo ad assaltare, era assai stretta, e fiancheggiata dai due lati da paludi. La qual cosa, rendendo inutile il maggior numero delle genti americane, pareggiava le partite tra i due eserciti. Laonde il capitano inglese si determinò a far la battaglia dell'indomani in quel luogo. In sul far del dì squadronava di modo i suoi, che la frontiera dell'esercito fosse composta di due schiere, delle quali la diritta sotto i comandamenti di Webster aveva il fianco diritto attorniato da una palude, e col sinistro si appoggiava alla strada maestra, e la stanca guidata dal lord Rawdon si atteneva medesimamente col fianco suo sinistro ad una palude, e col destro si congiungeva in su quella stessa strada colla schiera di Webster. Tra l'una e l'altra locarono le artiglierie. Un battaglione erasi attelato, come un poco di retroguardo, dietro la schiera di Webster; un secondo dietro quella di Rawdon. La legione di Tarleton si era arringata accanto la strada sulla dritta, pronta a difendere, o ad offendere, secondochè si discoprisse la occasione. Nè dall'altro canto Gates se ne stava neghittoso in faccia all'ordinantesi nemico. Trasse fuori i suoi, e sì fattamente gli ordinò, che la vanguardia ne fu divisa in tre squadre, la destra guidata dal generale Gist, la quale col destro suo fianco toccava una palude, e col sinistro si congiungeva vicino la strada con quella di mezzo, composta di bande paesane della Carolina del Nort, e condotta dal generale Caswell. Nella stanca poi si trovavano le milizie virginiane guidate dal generale Stevens. Dietro i Virginiani si affilarono i fanti leggieri di Porterfield, e di Amstrong. Armand co' suoi cavalli si era schierato dietro la sinistra per contrastare alla legione di Tarleton. Quest'era la vanguardia. Gli stanziali della Marilandia e della Delawara, uomini fortissimi, e nei quali era collocata la principale speranza della vittoria, si erano posti in ordinanza, come dietroguardo, e schiera di riscossa. Questi erano capitanati dal generale Smallwood. Le artiglierie eransi ordinate parte sulla dritta degli stanziali, e parte sulla strada maestra. Stavano in tal modo attelati l'uno a rincontro dell'altro i due eserciti, e pronti ambidue a venirne alle mani, quando Gates non contento alla positura delle schiere di Caswell e di Stevens, ordinò, non so se con ragione, ma certo con imprudenza, si dislocassero per pigliarne un'altra, che più opportuna gli parve. La qual cosa vedutasi da Cornwallis, non volendo egli lasciarsi fuggir dalle mani quella occasione, che la favorevole fortuna gli offeriva, comandò a Webster, si facesse pesatamente avanti, e vigorosamente assaltasse l'opposta schiera di Stevens, i soldati della quale tuttavia ondeggiavano per non aver ancor del tutto pigliato i nuovi ordini. Riempì incontanente Webster la volontà del capitano generale. Si appiccò dunque di prima presa la battaglia tra l'ala dritta inglese, e la sinistra americana; ma non tardò a diventar generale lungo tutta la fila. L'aere essendo piorno, ed il cielo scuro, il fumo dell'armi da fuoco non poteva alzarsi nelle regioni superiori; ma accumulatosi in copia nelle basse avviluppava, come un denso nugolo, i due eserciti, dimodochè malagevolmente l'uno poteva scorgere quello che l'altro si facesse. Tuttavia si vedeva, che gl'Inglesi combattendo ora cogli archibusi, ora colle baionette molto aspramente, si facevano avanti, mentre gli Americani indietreggiavano. In fine i Virginiani ferocemente incalzati da Webster, e già mezzi scompigliati da quell'inopportuna mossa, ordinata in procinto della battaglia da Gates, dopo leggier conflitto, voltate le spalle, si davano, lasciando i compagni nelle peste, vergognosamente alla fuga. Le successive compagnie dei Caroliniani incominciarono anch'esse a balenare, e seguitarono poscia la medesima bruttezza, nissuno quasi combattendo, o mostrando il volto agli avversarj, smarrita non che altro, per la fuga così subita, la virtù dei Capi. Così appoco appoco si andò smagliando tutto il sinistro corno dell'esercito americano. Fecero Gates e Caswel qualche sforzo per riordinargli; ma sopraggiunse in terribile sembianza Tarleton, il quale, veduta la rotta loro, gli aveva seguitati a slascio, e quei che già erano in volta, spaventò viemmaggiormente, e quei, che si volevano rannodare, sbaragliò. Nissun fine o modo al terrore ed alla fuga. Tutti si rifuggirono alla sfilata nelle vicine selve. Così per la rotta dei Virginiani e delle più vicine milizie della Carolina un reggimento caroliniano, e gli stanziali marilandesi e delawariani, che già si trovavano alle prese da fronte, furono anche assaliti sul loro sinistro fianco, ch'era rimasto nudato, dall'ala dritta inglese, che vittoriosa s'era volta contro di loro. Combatterono ciò nondimeno egregiamente; e furono operatori, che se non poterono ristorare la fortuna della battaglia, almeno non ne furono in questo dì macchiate con una nota di codardia, e disgraziate presso i forti uomini le americane insegne. Traevano da disperati; si avventavano colle baionette, tennero un pezzo la battaglia dubbia; e non contenti al difendersi, ma spintisi innanzi, guidati ed incuorati dal barone di Kalb, si scagliarono furiosamente addosso gl'Inglesi, e gli fecero restare un momento. Ma finalmente sopraffatti dal numero dei regj, e tentati e punti da ogni banda dalla cavalleria andarono anch'essi in volta, non avendo però lasciata la vittoria senza sangue agl'inimici. Il barone di Kalb fu ferito mortalmente di undici ferite, e fatto prigioniero. Si salvarono come a ciascun venne in sorte, scomposti e sbarattati. Solo si levarono dal campo Gist con un nodo intiero di cento fanti, ed Armand co' suoi cavalli. Seguitarono gl'Inglesi gagliardamente i vinti colla cavalleria per lo spazio di ventitre miglia, e non fu fatto fine al perseguitare, se non quando la stanchezza indusse la necessità del riposo. Fu assai grave in questo fatto la perdita degli Americani, poichè il numero dei morti, feriti e prigionieri loro arrivò bene a due migliaia di soldati. Tra i prigionieri si noverarono il barone di Kalb, ed il generale Rutherford caroliniano; tra i morti il generale Gregory. Otto cannoni, duemila archibusi, un buon numero di bandiere, tutto il carreggio, le bagaglie e le munizioni vennero in poter dei vincitori. La perdita degli Inglesi tra morti e feriti, sommò soltanto a 324, inclusi gli uffiziali. Il barone di Kalb tre giorni dopo, sentendosi vicino al morire, pregava il cavaliere du Buisson, suo ajutante di campo, esprimesse in nome suo a Gist e Smallwood, quanto stato fosse soddisfatto del valore dimostrato nella battaglia di Cambden dagli stanziali della Delawara e della Marilandia. Ciò fatto, rendè lo spiritò con manifesti segni di contento all'aver perduto la vita in difesa di una causa, che sì ardentemente aveva amato. Il congresso decretò, se gli si rizzasse un monumento nella città di Annapoli, capitale della Marilandia. E' pare, che Gates, oltre l'errore dell'aver voluto cambiar l'ordinanza dei suoi in cospetto del nemico, abbia anche commesso quell'altro di aver fatto marciar di nottetempo le milizie, le quali, non use ancora ai pericoli della guerra, e mal ferme negli ordini loro, facilmente aombrano e sbigottiscono. Si ritirò egli a Hillsboroug nella Carolina Settentrionale; Gist e Smallwood prima a Charlottetown, e poscia più in su a Salisbury, dove intendevano a raccorre i fuggiaschi, ed ogni sforzo facevano per rifare una grossa testa. Ora tutto veniva a divozione dei vincitori, e nissuna insegna si discopriva più oltre rizzata in tutta la Carolina Meridionale in favore della repubblica. Solo Sumpter si andava tuttavia aggirando con una mano di circa mille soldati, e due bocche da fuoco sull'occidental riva del fiume Wateree. Ma avute le novelle, che Gates era stato rotto in battaglia a Cambden, si ritirava più che di passo verso Catawba, distretto posto nelle parti superiori della settentrionale Carolina. Cornwallis, il quale era uomo operosissimo, avvisandosi che l'opera non era compiuta, finchè non avesse rotto quel capo, che solo rimaneva, di repubblicani, lo faceva perseguitare da Tarleton. Usando una incredibile celerità, giunse alla non pensata sugli alloggiamenti di Sumpter, mentr'egli se ne stava pigliando riposo sulle sponde del Fishingcreek. La cosa riuscì sì improvvisa, che gl'Inglesi ebbero tempo di por le mani sulle armi degli Americani, primachè avessero potuto risentirsi. I soldati di Sumpter si perdettero di animo, e benchè qua e là si facesse qualche difesa, furono di breve rotti e fugati. Molti furono tratti a morte, quantunque si arrendessero; perciocchè Tarleton non voleva lasciargli in vita, non avendo seco ad un terzo tanta gente, quanta Sumpter. Infine cessò la strage, quando furono liberati gl'Inglesi ed i leali, che prigionieri essendo, aveva Sumpter fatto alloggiare dietro il campo. I cannoni, le munizioni, le bagaglie, il carreggio diventarono preda al vincitore, Sumpter scampò dalla rotta con pochi de' suoi. Ei non v'ebbe colpa, perciocchè non avesse tralasciato di mandare avanti gli speculatori a sopravvedere, i quali tutt'altra cosa fatto avevano fuori di quella, che dovevan fare. Tarleton colla preda, coi prigionieri, e coi liberati se ne tornò tre giorni dopo a Cambden.

Dopo il fatto d'arme di Cambden avrebbe Cornwallis, per non corrompere colla tardanza il frutto della vittoria, desiderato di condursi tosto nella Carolina Settentrionale, provincia debole ed infetta di mali semi verso il congresso, per andar poscia a danni della Virginia. Certamente la presenza in quella dell'esercito vincitore avrebbe le ultime reliquie disperso dei vinti, impedito che di nuovo si ordinassero ed ingrossassero, e dato animo ai cittadini amatori del nome reale, perchè potessero levarsi, e romoreggiare. Ma varie cagioni si opponevano a questa volontà di Cornwallis. Era la stagione caldissima e malsana, il numero de' malati dentro gli ospedali grande, e quello dei feriti non poco. I fondachi ancora male eran forniti delle cose necessarie a campeggiare, nissuna canova sulle frontiere delle Caroline; quella del Nort scarsissima di vettovaglie. Per la qual cosa, omessi i pensieri caldi, e partiti i suoi soldati nelle stanze, se ne tornò nella città di Charlestown, credendosi sicuro e della intiera soggezione della meridionale Carolina, e della vicina conquista della settentrionale, quando fossero ed il tempo diventato propizio, e le munizioni apparecchiate. Solo scrisse frequenti lettere agli amici del Re nella Carolina del Nort, esortandogli a pigliar le armi, a far masse, ed a por le mani addosso ai più violenti libertini, ed alle munizioni e magazzini loro; intraprendessero eziandio, e si assicurassero delle persone degli sbrancati dell'esercito ribelle. Prometteva infine, sarebbe venuto tosto in soccorso loro. E perchè i fatti consuonassero colle parole, non potendo ire con tutto l'esercito, mandò sui confini occidentali della Carolina del Nort coi cavalleggieri, ed una banda di mille leali, il maggiore Fergusson, arditissimo condottiere di stracorridori. Doveva questi colla presenza sua dar animo ai leali, e principalmente intrattenere pratiche cogli abitatori della contea di Tryon, più di tutti gli altri affezionati al nome dell'Inghilterra.

Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4

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