La battaglia di Benvenuto
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Francesco Domenico Guerrazzi. La battaglia di Benvenuto
AL BENEVOLO LETTORE
CAPITOLO PRIMO. FURORE
CAPITOLO SECONDO. AMORE
CAPITOLO TERZO. IL PRIMO BACIO
CAPITOLO QUARTO. OFFESA
CAPITOLO QUINTO. INGANNO
CAPITOLO SESTO. LEGA LOMBARDA
CAPITOLO SETTIMO. LA CASA DI SVEVIA
CAPITOLO OTTAVO. MANFREDI
CAPITOLO NONO. IL PRIGIONIERO
CAPITOLO DECIMO. IL PROPAGGINATO
CAPITOLO DECIMOPRIMO. IL PELLEGRINO
CAPITOLO DECIMOSECONDO. MESSINELLA
CAPITOLO DECIMOTERZO. IL CUORE MORSO
CAPITOLO DECIMOQUARTO. LA TESTA DEL GIUDICE INIQUO
CAPITOLO DECIMOQUINTO. LA FINE DEL TRADITORE
CAPITOLO DECIMOSESTO. IL CAVALIERE DEL FULMINE
CAPITOLO DECIMOSETTIMO. IL RIMORSO
CAPITOLO DECIMOTTAVO. LA ESTREMA UNZIONE
CAPITOLO DECIMONONO. LO INDEMONIATO
CAPITOLO VENTESIMO. LA CONGIURA
CAPITOLO VENTESIMOPRIMO. LA SPIA
CAPITOLO VENTESIMOSECONDO. DISPERAZIONE
CAPITOLO VENTESIMOTERZO. LA SORPRESA
CAPITOLO VENTESIMOQUARTO. LA PROVA DI DIO
CAPITOLO VENTESIMOQUINTO. LA FUGA
CAPITOLO VENTESIMOSESTO. IL SARACINO
CAPITOLO VENTESIMOSETTIMO. LA NOTTE DOLOROSA
CAPITOLO VENTESIMOTTAVO. LA BATTAGLIA DI BENEVENTO
CAPITOLO VENTESIMONONO. LA VENDETTA
Отрывок из книги
È mai vissuta creatura umana, che sollevando le pupille al cielo d›Italia abbia negato esser questo il più puro sereno che mai rallegrasse il sorriso di Dio? – È mai vissuta creatura umana, che sollevando le pupille al cielo d›Italia allorchè il figlio primogenito della Natura lo veste della pompa dei suoi raggi non abbia sentito suscitarsi la mente pei grandi che non sono più, di cui il nome è rimasto nell›anima come armonia di arpa che cessò di esser tocca? – Quali braccia non si prostesero a quell›astro di vita, mentre abbandonando alla notte il dominio del cielo, dai confini dell›oceano lo saluta con gli ultimi raggi, e non implorarono che rimanesse nella sua celeste dimora? – Ma s›egli partì con la sera tornò col mattino, e vide i secoli dileguarsi nella eternità, le generazioni incalzarsi nella tomba, e la vicenda infinita delle virtù e dei delitti. Breve fu la sua luce sopra l›onore d›Italia; lunga sul dolore, e su l›onta. Ahimè! io non avrei creduto giammai che i popoli potessero morire della morte degl›individui. – E su quale occhio non ispunta la lacrima, allorchè la mesta luco della luna e delle stelle sogguarda dall›alto i campi silenziosi della terra? Voce di celeste armonia suona dal rotearsi delle stelle pel cielo, voce di sempiterno canto: e quantunque per troppa distanza non percuota l›orecchio del figlio della terra, pure gl›ispira un senso secreto, una invincibile pietà, che destandogli nell›anima le rimembranze tristamente soavi lo sforza al pianto. Bello sei, o cielo d’Italia, sia che la notte od il giorno ti allegri, e veramente opera divina. Quando la Italia sedeva regina del mondo, tu l’eri convenevole padiglione; ma ora.... i valorosi sono morti, i monumenti dispersi, la fama stessa dileguata.... e perchè, o cielo, a tua posta non muti? – Il manto funerale della bellezza non è oscuro; la gente lo sceglie di lieto colore, l’orna co’ fiori della gioia, e tenta ingannarsi sopra una vita che non è più: onde i sospiri, e gli addii, che le si fanno al suo discendere nella fossa, non sono come a persona morta, ma come a tale che deve lungo tempo starsi lontana da noi. L’eterna sapienza che governa il creato concesse questo bel cielo alla Italia, onde le fosse splendido testimonio nei suoi giorni di gloria, e conforto in quelli più lunghi della sventura. Egli solo è rimasto, perchè l’ira degli uomini non ce lo ha potuto rapire…
E la terra! – Ogni zolla contiene la cenere del cuore di un eroe. I nostri passi sono su la polvere dei grandi… i passi di noi più meritevoli di andare sepolti sotto la polvere! Solo lo straniero conosce le nostre storie, e pieno di reverenza teme ad ogni orma che muove si sollevi dalla terra una voce che gridi: codardo, perchè calpesti un valoroso? Va pur franco, straniero, chè ogni avanzo di vita sia bene spento sul limitare della morte, nè questi tramonti conoscano crepuscolo; nè dai sepolcri esca grido di trapassato, dove non ve lo ponga il valore, o la pietà dei viventi. Agli avviliti le tombe offrono la stanza del cadavere sformato, piuttosto che l’altare dei magnanimi sensi; la mente trascorre al lezzo, piuttostochè alla gloria: e noi siamo da gran tempo tali, che non osiamo popolare gli avelli co’ sublimi fantasmi della grandezza. A che mai sorgerebbero le forme venerate dei padri? Forse a vedere di qual condanna vada fulminata la loro schiatta infelice? Forse a conoscere che non vive cuore italiano che palpiti per le glorie italiane? Risparmiatevi. o padri, questo amaro cordoglio: risparmiateci, o padri, la rampogna delle vostre sembianze: la morte stia convenevole spazio tra noi. – Possano questi secoli non essere rammentati nella Storia! Possano i posteri lasciarci il retaggio che solo aneliamo… l’oblio!
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«E voi ci offrite prova vivente della differenza, Matelda.» riprendeva Isolda, e stava per aggiungere, allorchè Adelasia, temendo non venissero a brutte parole, troncò quel ragionamento dicendo:
«E la povera Gismonda!» e sospirò. «Davvero che ricava la bella mercede del suo grande affetto!»
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