Il Comento alla Divina Commedia, e gli altri scritti intorno a Dante, vol. 2

Il Comento alla Divina Commedia, e gli altri scritti intorno a Dante, vol. 2
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Giovanni Boccaccio. Il Comento alla Divina Commedia, e gli altri scritti intorno a Dante, vol. 2

CANTO QUARTO

I. Senso Letterale

II. Senso Allegorico

CANTO QUINTO

I. Senso Letterale

II. Senso allegorico

CANTO SESTO

I. Senso Letterale

II. Senso Allegorico

CANTO SETTIMO

I. Senso Letterale

II. Senso allegorico

CANTO OTTAVO

I. Senso letterale

II. Senso allegorico

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«Ruppemi lʼalto sonno nella testa», ecc. Nel principio del presente canto, sí come usato è lʼautore, alle cose dette nella fine del precedente si continua. Dissesi nella fine del precedente canto come un vento balenò una luce vermiglia, la quale, toltogli ogni sentimento, il fece cadere, come lʼuomo il quale è preso dal sonno; per che, nel principio di questo, dimostra come questo suo sonno gli fosse rotto. E dividesi questo canto in due parti: nella prima dimostra come rotto gli fosse il sonno e come nello ʼnferno si ritrovasse; nella seconda, procedendo dietro a Virgilio, racconta sé avere molti spiriti veduti, pieni di gravi e cocenti sospiri, senza alcuna altra visibile pena. E questa seconda comincia quivi: «Or discendiam quaggiú nel cieco mondo».

Dice adunque nella prima parte cosí: «Ruppemi». Questo vocabolo suona violenza, volendo in ciò dimostrare che ogni atto, che in inferno si fa, sia violento e non naturale. La qual cosa non è senza cagione, la quale è questa: giusta cosa è che chi, peccando, fece violenza aʼ comandamenti e aʼ piaceri di Dio in questa vita, violentemente sia daʼ ministri della giustizia punito nellʼaltra.

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Compose costui piú libri, essendo in Roma, deʼ quali fu il primo quello che chiamiamo lʼEpistole. Appresso ne compose uno, partito in tre, il quale alcuno chiama Liber amorum, altri il chiamano Sine titulo: e può lʼun titolo e lʼaltro avere, percioché dʼalcunʼaltra cosa non parla che di suoi innamoramenti e di sue lascivie usate con una giovane amata da lui, la quale egli nomina Corinna; e puossi dire similmente Sine titulo, percioché dʼalcuna materia continuata, della quale si possa intitolare, non favella, ma alquanti versi dʼuna e alquanti dʼunʼaltra, e cosí possiamo dir di pezzi, dicendo, procede. Compose ancora un libro, il quale egli intitolò De fastis et nefastis, cioè deʼ dí neʼ quali era licito di fare alcuna cosa e di quegli che licito non era, narrando in quello le feste eʼ dí solenni deglʼiddii deʼ romani, ed in che tempo e giorno vengano, come appo noi fanno i nostri calendari; e questo libro è partito in sei libri, nei quali tratta di sei mesi: e per questo appare non esser compiuto, o che piú non ne facesse, o che perduti sien gli altri. Fece, oltre a questo, un libro, il quale è partito in tre, e chiamasi De arte amandi, dove egli insegna e aʼ giovani ed alle fanciulle amare. E, oltre a questo, ne fece un altro, il quale intitolò De remedio, dove egli sʼingegna dʼinsegnare disamorare. E fece piú altri piccioli libretti, li quali tutti sono in versi elegiati, nel quale stilo egli valse piú che alcun altro poeta. Ultimamente compose il suo maggior volume in versi esametri, e questo distinse in quindici libri; e secondo che esso medesimo scrive nel libro De tristibus, convenendogli di Roma andare in esilio, non ebbe spazio dʼemendarlo.

Appresso, qual che la cagion si fosse, venuto in indegnazione dʼOttaviano, per comandamento di lui ne gli convenne, ogni sua cosa lasciata, andare in una isola, la quale è nel Mar maggiore, chiamata Tomitania: ed in quella relegato da Ottaviano, stette infino alla morte. E questa isola nella piú lontana parte che sia nel Mar maggiore nella foce dʼun fiume deʼ colchi, il quale si chiama Phasis. E in questo esilio dimorando, compose alcuni libri, sí come fu quello De tristibus, in tre libri partito. Composevi quello, il quale egli intitolò In Ibin. Composevi quello che egli intitola De Ponto, e tutti sono in versi elegiati, come quelli che di sopra dicemmo.

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