Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta
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Massimo d' Azeglio. Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta
CAPITOLO PRIMO –
CAPITOLO SECONDO –
CAPITOLO TERZO –
CAPITOLO QUARTO –
CAPITOLO QUINTO –
CAPITOLO SESTO –
CAPITOLO SETTIMO –
CAPITOLO OTTAVO –
CAPITOLO NONO –
CAPITOLO DECIMO –
CAPITOLO DECIMOPRIMO –
CAPITOLO DECIMOSECONDO –
CAPITOLO DECIMOTERZO –
CAPITOLO DECIMOQUARTO –
CAPITOLO DECIMOQUINTO –
CAPITOLO DECIMOSESTO –
CAPITOLO DECIMOSETTIMO –
CAPITOLO DECIMOTTAVO –
CAPITOLO DECIMONONO –
CONCLUSIONE –
Отрывок из книги
La brigata per la quale era allestita la cena, giunse a casa di Veleno verso le due ore di notte, ed empiè in un momento lo stanzone terreno ov'era apparecchiato. L'oste per farsi onore s'era ingegnato d'imbandir con tovaglie di bucato la tavola, sulla quale oltre i piattelli e le posate di stagno e d'ottone che spiccavano meglio del solito per essere state strofinate[Pg 13] con maggior diligenza, v'erano qua e là foglie di vite sparse ad uso di piattini per porvi su i boccali ed i bicchieri, sui quali scintillavano al chiarore di molti lumi, infinite goccie d'acqua, rendendo testimonianza ch'eran stati risciacquati di fresco. Diego Garcia di Paredes entrò il primo e dietro lui i baroni francesi prigioni. Jacques de Guignes, Giraut de Forses, e La Motta. Lo Spagnuolo, l'uomo più audace e di maggiori forze di tutto l'esercito, e forse di tutta Europa, pareva formato apposta dalla natura pel mestiere dell'arme, pel quale tanto meglio si poteva riuscire quanto maggiore era la robustezza e la forza muscolare. La sua statura superava di non poco quella de' suoi compagni, e l'affaticarsi di continuo in un temperamento qual'era il suo, togliendo alle membra la pinguedine, avea dato tal grossezza ad ogni muscolo, che appariva nel petto, nelle spalle, e nell'altre parti somigliante ai colossi dell'antica scultura, di forme atletiche e bellissime nell'istesso tempo. Il collo grosso come quello del toro reggeva una testa piccoletta, ricciuta, coi capelli piantati alti nella collottola, ed un volto virile e sicuro, senz'ombra però d'arroganza. L'aspetto di Don Garcia non mancava d'una certa grazia; e gli si leggeva in viso l'animo semplice, leale e pieno d'onore. Avea già deposta l'armatura, ed era rimasto in giustacore e brache di pelle strette alla carne, in guisa che ad ogni suo moto si vedevano i muscoli sorgere e guizzare come fossero scoperti: un mantello corto alla foggia spagnuola gettato su una spalla compiva tale schietto vestire.
– Signori baroni – disse mettendo dentro con cavalleresca cortesia i prigionieri – noi Spagnuoli diciamo: —Duelos con pan son menos4. La fortuna oggi v'ha trattati male; domani forse toccherà a noi: in tanto qui siamo amici: ceniamo, che por Dios Santo, credo in questo saremo tutti d'accordo: più d'una lancia è andata in pezzi, e per oggi basta: non ci potranno rimproverar certamente di lasciar rodere le armature dalla ruggine. State di buon animo, e domani si ragionerà della taglia, e vedrete che D. Garcia sa come si trattano cavalieri pari vostri. —
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Volgendosi poi ai suoi compagni francesi col viso di chi ricorda un fatto noto e degno di compassione: – E la povera Ginevra di Monreale? La più bella, la più virtuosa, la più amabile donna ch'io m'abbia mai conosciuta! Questi miei amici se ne ricordano: fu da noi veduta al nostro passaggio in Roma del 92. Ma la sua mala sorte la fece anche conoscere al duca Valentino allora cardinale: era costei divenuta moglie di un nostro soldato ch'ella aveva sposato più per ubbidienza a suo padre che per altro. Fu presa da un male che nessuno seppe conoscere; si provarono tutti i rimedii; tutto fu inutile: dovette morire. Ma un accidente singolare mi fece scoprire un segreto d'inferno, che pochi hanno saputo. La sua malattia non era stata altro che un veleno datole dal Valentino per punirla della sua onestà. Povera infelice! Non son cose queste da chiamare i fulmini dal cielo? —
Qui il Francese si fermò pensando, e pareva cercasse ricordarsi qualche circostanza che il tempo gli avesse annebbiata nella memoria.
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