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CANTO PRIMO
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Le eroiche pazzie, li eroichi umori,
le traditore imprese, il ladro vanto,
le menzogne de l’armi e de gli amori,
di che il mondo coglion si innebria tanto,
i plebei gesti e i bestiali onori
de’ tempi antichi ad alta voce canto,
canto di Carlo e d’ogni paladino
le gran coglionarie di cremesino.
2
Sta’ cheto, ser Turpin, prete poltrone,
mentre squinterno il vangelo alla gente;
taci, di grazia, istorico ciarlone,
ch’ogni cronica tua bugiarda mente.
Mercé vostra, pedante cicalone,
ciascun poeta e ciaratan valente
dice tante menzogne in stil altiero
che di aprir bocca si vergogna il vero.
3
Per colpa tua, cronichista ignorante,
nulla tenensis, vescovo Turpino,
drieto carotte ci caccia il Morgante
et il Boiardo <e ‘l> Furioso divino;
per le ciacchere tue e fole tante
fa dir Marfisa al gran Pietro Aretino,
vangelista e profeta, [e] tal bugia
che un monsignor se ne vergognaria.
4
Fu Morgante un cotal manigoldone
che s’arìa trangugliato vita eterna;
fu Ruggiero un bellissimo garzone,
ma di Agramante e di Carlo pincerna;
Gradasso e Mandricardo uno stallone
che non uscìano mai della taverna;
Rinaldo un uom bestial senza cervello,
masnadiero di bettole e bordello.
5
Sapete voi chi fur, signor mei cari,
Ferraù, Sacripante et Agricani?
Tre ignudi mascalzon senza dinari
e tre erranti e valenti ruffiani;
fur marioli invitissimi e chiari,
quali volean Angelica in le mani
per prestarla a vettura e giocar poi
gli avanzi che facean de’ fatti suoi.
6
Rodamonte, fantastico animale,
fu un berton di donna Doralice,
da cui comprò Mandricardo bestiale
la sopradetta e diva meretrice;
e né fu Orlando al suo cugin rivale
ne l’omnia vincit, come Turpin dice:
fu ben ver che ‘l cavò del senno fuore
un natural e fantastico umore.
7
Fu Carlo Magno un bel cacca-pensieri
e parean civetti e fottiventi
Avino, Avolio, Ottone e Berlingieri;
Astolfo il vitupèr de’ suoi parenti
et era un scempio il marchese Ulivieri
e il Danese il fachino delle genti
e Gano un trufatel, Namo un castrone
et una peccoraccia Salamone.
8
Di Angelica, Marfisa e Bradamante,
di Fiordeligi, di Morgana e Alcina
non vo’ cantar, che chi non è ignorante
la vita loro amorosa e’ indivina;
io l’assimiglio a la putana errante
Antea, Origilla e Fallerina;
l’Ancroia errante anche essa era putana
e Gabrina di tutte la ruffiana.
9
Questo è la verità! Non dice fola,
come ser Pulci, il Conte e l’Ariosto,
il mio sol Aretin, che pel ciel vola
con quel lume che ‘l sol da mezzo agosto;
e Turpin se ne mente per la gola,
e ve lo voglio far veder tantosto.
State dunque ad udir, o spensierati,
i ladri gesti de i guerrier pregiati.
10
Ma a chi farò io la invocazione
prima ch’io metta i palladini in ballo?
Cupido è un furfantin, Marte un poltrone,
uno asinaccio il pegaseo cavallo;
pe’ miei fatti le Muse non son buone,
che odio le donne, e tutto il mondo sallo;
se fusser buone robbe invocherei
Dante, il Petrarca e gli altri farisei.
11
A me potreste dire: invoca Apollo,
acciò t’infonda el suo favor divino.
Chi fa per me, signor, me’ di voi sollo,
onde col cor contrito a capo chino
ti prego che mi pigli un poco in collo,
Apollo mio, Vicenzo Gambarino,
ch’io dirò cose tanto nove e belle
che porranno in stupor fino alle stelle.
12
Tu sei la musa mia, tu il mio Peg’so,
tu la mia stella, il mio sol, il mio dio,
tu il fonte, tu il monte di Parnaso,
la penna, l’inchiostro e lo stil mio.
Da l’Indo al Mauro, da l’orto a l’ocaso,
se mi presti favor, volerò io,
e de gire a man drita ancora spero
del Dottrinal, di Vergilio e di Omero.
13
Se mi dai, Vicenzo almo, un baso solo
almeno in capo della settimana,
a staffetta men[e] vo da polo a polo
e la Fama serà poi la mia alfana.
Coronami, pulcherrimo figliuolo,
di carcioffi, de urtica e di borana,
che, venendo da te cotali onori,
edere torneran, mirti et alori.
14
Ora col favor tuo, Gambarin divo,
di Iacinto più bello e di Narciso,
del miser Carlo imperador i’ scrivo
la ladra istoria, compost’a improviso,
perché tu sappia, fanciul mio lascivo,
più presto te vorrei che ‘l paradiso.
Carlo raccolse per pasqua rosata
l’alta dozzina della sua brigata.
15
Una dozzina de uomin Carlo ave[v]a
scielta fra tutte quante le s genti,
né sol che fusser bravi si credea,
ma orsi, draghi, lioni e serpenti,
et in costor più speranza tenea
che ‘l mal di Iob in gl’impiasti, in li unguenti,
e li chiamava per voglia gioconda
[i] paladin della tavola ritonda.