Zenith
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Saccinto Saccinto. Zenith
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Отрывок из книги
Il cielo era iniziato a venire giù dalla mattina presto di una giornata dei primi di luglio. Una raffica di grosse gocce di pioggia che sembrava un semplice temporale estivo aveva continuato a battere per tutto il tempo Colleterno, un avvallamento di case e altri edifici, per lo più abbandonati, disteso tra sette colli come Roma. Un posto quasi del tutto disabitato. Si diceva che gli avessero dato quel nome per via del vecchio cimitero delimitato da un basso e irregolare muro di tufi che circondava l'intera vetta della collina più alta, relegata per sempre nel silenzio e nella solitudine della morte.
Le strade di Colleterno erano state invase da fiumi d’acqua che si rigiravano contro gli spigoli dei marciapiedi, lo scroscio insistente di centinaia di fontane echeggiava lungo i canali e si amplificava nelle vie fino a insinuarsi nella testa come un insopportabile sottofondo mentale. Il freddo e il buio erano scesi con la rapidità di un'inaspettata invasione organizzata da forze soprannaturali. Al di là del volume impressionante di acqua, le auto, i pali della luce, i muri, le ringhiere dei balconi e gli angoli dei palazzi erano diventati deformi, ammorbiditi dall'umidità, quasi malleabili.
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Il buio emerse allora dal vicolo cieco. Non era il buio normale, quello che si può immaginare di una stradina senza illuminazione in una notte senza luna. Era un buio denso, un'entità che non apparteneva alla realtà, un'oscurità che inghiottiva lentamente tutto ciò che raggiungeva. E dentro il buio, una strana figura di forma umanoide strisciava sul pavimento allungando un braccio nero sul terreno per spingersi in avanti, come se avesse sulle spalle il peso intero di tutto quel buio e fosse lui a trascinarselo dietro, lento, ma inarrestabile.
Era abbastanza. Ingoiai l'idea di attraversare lo strada che affiancava le nicchie. Spinsi i talloni a terra e tirai la moto dal manubrio per rimetterla in salita. La riaccesi e partii. Mi piegai in avanti per compensare la pendenza, svoltai nella strada che girava a elle intorno al monastero. L'aria gelida mi bruciava il viso mentre le ruote divoravano l'asfalto. Il cuore prese a colpire a ripetizione il petto come se volesse disintegrare la coltre di gelo che lo ricopriva. Il muro del monastero e il taglio del marciapiedi, lucidati dall'acqua, correvano ai bordi della mia visuale trasformati in scie eteree ingoiate dalla notte.
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