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CAPITOLO XVI

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Malattia d'Ali Bey. – Storia naturale. – Eclissi della luna. – Ritorno del Sultano. – Regalo di donne. – Annuncio del viaggio alla Mecca. – Visita di etichetta, e regalo del Sultano. – Tenda mandata dal medesimo. – Ali Bey parte da Marocco.

Mentre mi trovavo a Semelalia fui sorpreso da grave malattia, che mi ridusse agli estremi. Nel corso di tre mesi ebbi cinque gravi ricadute, che mi lasciarono così debole da non potermi neppure leggermente occupare de' miei più favoriti studj. Rimasi costantemente nel mio palazzo di Semelalia senza medico, perchè non voleva prevalermi di quelli del paese, e non eravi in Marocco alcun medico europeo. Dovetti perciò curarmi da me stesso, adoperando i medicamenti, di cui ne aveva meco un abbondante provvisione, accompagnata da una apposita istruzione intorno al modo di farne uso; ed ebbi la fortuna nel tristo stato di trovarmi affatto abbandonato a me medesimo, di non perdere affatto i sensi. Quando potevo alzarmi del letto non omettevo di fare qualche operazione astronomica; e rispetto alla storia naturale raccolsi i seguenti fatti.

In maggio i pomi granati erano perfettamente fioriti, come ancora le palme e gli ulivi: gli albicocchi erano maturi, e tagliavasi l'orzo.

In sul finire di giugno incominciava la stagione dei fichi che durava fino alla metà d'agosto.

In luglio eranvi popponi e pastinache, e verso la fine d'agosto si ebbero i primi dattili di Taffilet.

Alla metà d'agosto i mercati incominciarono ad essere abbondantemente provveduti di uve.

In giugno ed in luglio eranvi molti citriuoli, pomi d'oro, ec., legumi di varie sorti, e si raccolsero le granaglie.

Il giorno 31 luglio i miei domestici uccisero nel mio giardino d'estate un serpente lungo sei piedi e quattro pollici, e della circonferenza di cinque pollici ed otto linee nella parte più grossa. Questo rettile mi parve analogo al coluber molurus o al boa; ma egli aveva sulla testa alcune grandi piastre, che lo avvicinavano al Scitale. Io sono di parere che sia d'una specie sconosciuta: ma per mala sorte era un animale immondo, che la legge non permetteva di toccare; onde non potei esaminarlo attentamente, nè disegnarlo, lo che sarebbe stato un delitto in faccia alla gente che mi stava intorno. Perciò i miei domestici si affrettarono di levarmelo dinnanzi e portar lontano quest'animale così bello e curioso. Come mai potrebbero le scienze naturali fare alcun progresso ne' paesi mussulmani!

Ne' tre mesi di maggio, giugno e luglio l'atmosfera fu quasi sempre serena.

Nel medesimo giorno in cui si trovò il bel serpente un vento di S. O. portò una specie di turbine che si mantenne molto elevato, o dirò forse meglio, una massa di vapori che aveva un orribile aspetto. Non vedevasi alcuna nube, ed il lontano orizzonte sembrava un immenso vortice di fiamme, mentre una linea rubiconda sembrava circondarci da ogni lato all'altezza apparente di sei gradi; e di là fino allo zenit il cielo era tutto di colore citrino. Il disco solare era bianco smaccato, affatto privo di splendore e rassomigliava ad un globo di terraglia, o a dir meglio ad un disco di carta bianca. Il termometro era salito al 36°, ed il calore era effettivamente soffocante. Questa meteora si mantenne tutto il giorno; e fu portata senza dubbio dal vento simoum dal deserto, comechè non abbia potuto per cagione del monte Atlante dispiegare al di qua delle cordelliere la sua forza distruggitrice.

L'atmosfera fu alquanto meno carica all'indomani, e quantunque il sole la penetrasse con difficoltà, non presentò il fenomeno del precedente giorno.

Due dì dopo l'atmosfera si caricò di nubi, il tempo fu borrascoso, il vento soffiava interrotto con violenza, accompagnato da' rovesci d'acqua, e da tuoni.

Mi fu detto con asseveranza che in tale epoca non avevansi mai nè borrasche nè pioggie, che non incominciano prima d'ottobre.

Alla metà d'agosto i popponi sono maturi.

In sul finire dello stesso mese maturano ancora e sono già grossi i pomi granati che si raccolgono alla metà di settembre.

Incominciasi ad aver dattili a mezz'ottobre, di cui se ne fa la piena raccolta in novembre, come nell'ultima quindicina dello stesso mese raccolgonsi ancora le olive.

Alla stessa epoca incominciano a cadere le foglie; ma quest'anno gli alberi si spogliarono così lentamente, che ne' primi giorni di decembre conservavano ancora due terzi di foglie.

In tale stagione io avevo nel mio orto ogni sorta di verdure e di legumi: radici, cipolle, agli, lattuche, fave, cavoli ec. L'orzo era bellissimo, ed era già alto quasi otto pollici.

Dopo le borrasche d'agosto, il tempo fu costantemente bello, non essendovi state che alcune brevi e leggieri pioggie; onde incominciavasi a sentire il bisogno dell'acqua, perciocchè alla fine di novembre i terreni erano così asciutti, che non si potevano seminare. Può darsi che quest'anomalia fosse cagione della tarda caduta delle foglie. Fatto è che tale siccità fu assai dannosa alla provincia di Duquela, risguardata come il principale granajo dell'impero.

Viene costantemente osservato che in sul finire d'agosto tutte le cigogne sono di già partite alla volta di Soudan. Io ne avevo tre nel giardino d'estate, cui erano state raccorciate le ali, che rimasero tranquille affatto, ed assai famigliari: di modo che venivano, a farmi compagnia quando io pranzavo nel padiglione sotto un pergolato, e quantunque avessero rifatte le ali non pensarono pure alla partenza.

Le notti e le mattine freddissime alla fine di novembre cagionano molti reumi. Fra i primi giorni di questo mese non si videro più nè ranocchi, nè rospi. Il dieci novembre furono trovati sotto il guanciale del mio letto due scorpioni (scorpio africanus di Linneo).

Le mosche incominciano a diminuire verso la metà di novembre, e verso il fine non se ne vedono più. I mosconi erano di già scomparsi in ottobre.

Il termometro esposto al sole ad un'ora dopo mezzogiorno marcò il primo di decembre 41°; e perchè continuava a salire, mancando maggior vuoto nel tubo dovetti ritirarlo perchè non si rompesse. Lo stesso giorno segnò all'ombra 21° 2′.

Lo esposi più volte ne' giorni susseguenti, e gradatamente montò sempre meno.

Il maggior caldo che si ebbe in estate fu il due, ed il tre di settembre. Il termometro all'ombra segnò 38° 8′.

Alla metà di decembre gli alberi non erano ancora spogliati affatto di foglie.

Il 18 decembre osservai una cigogna che volava sopra i miei giardini senza che le mie tre cigogne facessero verun movimento. Siccome non trovavasi allora ne' contorni di Marocco alcun uccello di tale specie non saprei dire da qual parte venisse questa, tanto più che non era di passaggio, giacchè dopo aver volteggiato tre o quatro volte sopra Semelalia partì dirigendosi al N. E. Forse che alcune cigogne si rimangono tutto l'inverno nascoste in paese. Questo giorno era turbato, e la mattina vi fu un uragano che forse fu quello che fece sortire la cigogna dal suo ritiro.

Il 19 decembre incominciarono le pioggie; e prima che terminasse il mese gli alberi non avevano più foglie.

Dopo mezzogiorno del 31 decembre il sole aveva una corona mal terminata, che mostrava tutti i colori dell'iride assai vivaci sopra una superficie di due gradi della sua circonferenza. Il fondo, per così esprimermi, era d'un bianco che piegava al grigio come una corona lunare sopra uno spazio di duecento, ed il rimanente appariva confuso.

Le pioggie continuarono, e la seminagione si fece alla fine di decembre. Non si udì il tuono che la notte del 30 decembre, ed il primo fu veramente spaventoso. I venti furono quasi costantemente d'Ovest.

Il minor calore fu da 7° sopra zero di Réaumur il 18 decembre alle cinque ore della mattina; e pure in quel giorno, e nell'ora medesima il freddo era sensibilissimo.

Il primo gennajo alle dieci ore e mezzo del mattino il termometro esposto al sole segnava 29° 5′.

Avevo ne' miei giardini quattro gazzelle perfettamente addomesticate. Allorchè vedonsi affatto libere i loro giuochi sono veramente dilettevoli, facendo salti e capriole sorprendenti. I miei giardinieri le perseguitavano perchè mangiavano, e guastavano le piante, ma io le proteggevo perchè i giardini erano abbastanza grandi per non lasciar sentire i guasti che facevano. Addomesticate come le cigogne non mi privavano mai della loro compagnia in tempo del pranzo e della cena; di modo che aveva in loro e nelle cigogne le sette mie migliori amiche.

Desiderando che la morte non rattristasse il sacro recinto della mia semelalia, proibij, severamente ogni sorta di caccia. Volevo con ciò offrire agli uccelli nel mio podere un sicuro asilo; ove il variato canto di tante diverse specie faceva della mia Semelalia un paradiso terrestre. Allorchè passeggiavo fuori dei giardini; ma però sempre entro il recinto generale, varie bande di pernici mi stavano dintorno, ed i conigli passavano spesso, per così dire, tra le gambe. Io cercavo d'allettare, ed addomesticare questi animali, che corrispondevano alle mie cure assai più di alcuni uomini che chiamansi civilizzati. Gli uccelli non temevano di venire a prendere le miche di pane che gli gettavo, ed entravano senza timore nelle mie camere, e la notte io avevo le tende del mio letto coronate di uccelli liberi nel paese della schiavitù.

Non ottenni però mai di render familiare un triste chakal ch'erami stato recato. Gli avevo fatta fabbricare una casuccia; terminata la quale, per lasciargli maggiore libertà, gli feci levare la catena, e lo lasciai padrone del suo nuovo alloggio: ma egli seppe aprirsi un passaggio sotto il muro, e fuggì con tanta destrezza (giacchè non oserei dire altrimenti) quanta ne avrebbe appena saputo impiegare un essere ragionevole. Vero è che il mio chakal era incoraggiato dalle grida de' suoi compagni, che venivano la notte in truppe intorno a Semelalia: e perchè i molti cani d'ogni specie ch'io tenevo al di dentro rispondevano abbajando in varj tuoni, venivo ad avere due bande di musica notturna, spesse volte sostenuta dai contrabassi dei ragli dei giumenti, mentre i galli, ed i polli di Guinea faceano le parti di soprano. Tale cacofonia lungi dal sembrarmi disaggradevole mi riusciva aggradevole: niente vi era d'artefatto.

Pareva che la fama dell'immunità della mia villa si fosse estesa fino ai deserti poichè io vidi numerosissime truppe di gazzelle venire a diporto, e giuocare a centinaja intorno alle mura di Semelalia. Forse m'illuderò, ma parvemi talvolta, ch'esse bramassero la licenza d'entrarvi.

Feci un assai interessante collezione di piante, d'insetti, e di fossili di Semelalia. Fra gl'insetti trovasi l'aranea galleopodes magnifica per la sua grandezza: la prima volta ch'io la vidi mi spaventò da dovero, tanto più ch'ella passò sul mio petto mentre stavo seduto sul soffà. Tra i fossili bellissima è la raccolta dei porfidi e dei ciottoli rotolati giù dall'Atlante.

Avendo dato avviso di un eclissi della luna, che doveva vedersi la notte del 15 gennajo del 1805 molti pascià ed altri ragguardevoli personaggi vennero a casa mia per osservarlo: ma sgraziatamente il tempo fu tutta notte affatto coperto, e cadde tant'acqua accompagnata da violenti colpi di vento, che ci fu tolto di fare veruna osservazione.

Il Sultano non rimane mai lungamente nello stesso luogo: pochi giorni dopo l'eclissi si ebbe notizia dell'imminente suo arrivo a Marocco, notizia assai gradita al popolo, e specialmente a me, che desideravo di prendere da lui congedo per fare il pellegrinaggio della Mecca.

Il Sultano giunse a Marocco nel giorno indicato, ed io andai ad incontrarlo a molta distanza. Stava in una lettiga portata da due muli. Appena vedutomi, si fermò, e discorse meco alquanto, testificandomi la sincerità del suo affetto. Muley Abdsulem, che lo seguiva mi trattò come fossi stato suo fratello. Durante la loro lontananza la nostra corrispondenza non era stata interrotta; e quando la malattia non permettevami di scrivere, supplivano le persone che venivano spedite da Fez con ordine di vedermi, e di riferir loro lo stato di mia salute. Ora che vedevanmi rimesso in salute, e capace di sostenere il disagio della cavalcatura, non sapevano saziarsi di attestarmi la piena loro soddisfazione. Soggiornando essi a Marocco fummo costantemente nella più intima confidenza.

Pochi giorni dopo fui stranamente sorpreso dall'avviso, che il Sultano mi regalava due donne. Nella ferma risoluzione di non prenderne alcuna finchè non avessi terminato il mio pellegrinaggio alla casa di Dio, rifiutai di ricevere il dono; ma le donne erano già sortite dall'harem del Sultano, e non potevano più rientrarvi: il buono Muley Abdsulem, si compiacque di accoglierle in sua casa. Egli temeva di parlare del mio rifiuto col Sultano, e con me. Tutta la corte teneva gli occhi sopra di noi, desiderando di conoscere il fine di questo grande affare: ognuno sussurrava all'orecchio del suo vicino, ma niuno ardiva spiegarsi intorno a quest'oggetto apertamente: io andavo continuamente a corte, come se nulla fosse accaduto.

Intanto Muley Abdsulem non potendo durarla in così imbarrazzante situazione, mi aprì finalmente il suo cuore: io gli risposi che all'indomani mi recherei al suo appartamento per rispondere a quanto vorrà dirmi.

Quando andai a ritrovarlo stava aspettandomi insieme al primo fakih del Sultano, uomo rispettabile per ogni riguardo. L'attacco incominciò, ed io fui costretto di rispondere a tutti gli argomenti de' miei avversarj. La disputa durò alcune ore. Muley Abdsulem che non voleva disgustare nè il Sultano nè l'amico, era agitatissimo, ed i suoi occhi per sempre chiusi alla luce, s'inumidivano di lagrime. Più commosso dal pericolo in cui per amor mio erasi posto questo buon principe, che dai mali che potevano rovesciarsi sopra di me; io mi alzai, e presagli la mano gli dissi: «Infine Muley Abdsulem io conosco quanto voi mi amate, voi che leggete nel fondo del cuore dell'amico i più segreti pensieri, indicatemi quale condotta io debba tenere; ditemi ciò che volete ch'io faccia, ed io lo farò, ma pensateci bene.» Egli prese la mia mano, che accostò al suo cuore, e dopo alcuni istanti di silenzio, mi disse con voce mal ferma. «Che si conducano le donne a casa vostra. – Io vi acconsento, gli risposi, ma sappiate Muley Abdsulem, che io non le vedrò; che non tarderà ad arrivare il giorno in cui partirò per la Mecca che in allora, se le donne vogliono rimanere potranno farlo, perchè io non le avrò vedute, e se vogliono seguirmi, accorderò loro protezione.»

Sollevato dal peso che l'opprimeva, Muley Abdsulem non potè più contenersi. Passando dall'estrema tristezza alla più viva gioja, mi saltò al collo abbracciandomi con tenerezza fraterna. Il suo volto brillò di gioja, e fu bagnato dalle lagrime di tenerezza. Fu convenuto che la sera dello stesso giorno le donne sarebbero condotte a casa mia: chiesi che la cosa si facesse senza romore e senza alcuna ceremonia; e passai subito al mio alloggio. Il Sultano mi aveva regalato una bianca chiamata Mohhàna, e la nera Tigmu.

Ordinai che venisse allestito un appartamento separato nella mia casa di campagna, e lo feci ammobigliare decentemente; vi feci riporre abbondanti provvisioni di zuccaro, di caffè, di te, ec., ed inoltre un forziere con entro molte stoffe, ed altre bagatelle, alcuni giojelli, ed una borsa con alcune monete d'oro.

Erano quasi le dieci della sera quando il mio mastro di casa venne ad annunciarmi che le donne erano arrivate. Che si conducano al loro appartamento, io gli risposi, e continuai a discorrere col mio segretario, il mio fakih, e due altri amici. La governante dell'harem di Muley Abdsulem con una mezza dozzina di donne erano venute ad accompagnare le mie. S'imbandì la cena alle donne, ed un'altra agli uomini, terminata la quale chiamai la governante dell'harem di Muley Abdsulem, che si presentò velata secondo il costume. Le feci un piccolo dono, poi consegnandole la chiave del forziere, gli dissi: «Date questa chiave a Mohhàna; ditele ch'io la stimo; ma che alcune particolari circostanze m'impediscono di vederla. Tutto quanto ella troverà nell'appartamento, e sotto questa chiave è robba sua. Spero che proteggerà Tigmu. Io parto alla volta di Semelalia; ma lascio qui in mia assenza uno di casa della mia famiglia il scheriffo Muley Hhamèt, il quale avrà cura di servirla con due domestici e due serventi. Tutto quanto ella desidera non ha che a chiederlo a Muley Hhamèt.»

Licenziai all'istante la governante sorpresa. Era ormai mezzanotte, ed io montai a cavallo coi miei amici, e la mia gente, ed accompagnato da molte lanterne, presi la strada di Semelalia, ove contavo di trattenermi lungo tempo. Le donne di Muley Abdsulem rimasero in casa mia fino all'indomani.

Se la corte di Marocco si maravigliò del rifiuto delle donne, non fu meno sorpresa del modo con cui le ricevetti. Non era possibile con tanti domestici, e con tante altre persone che frequentavano la mia casa, che la cosa rimanesse segreta: nè passarono ventiquattr'ore, che tutta la città fu informata di tutte le più minute circostanze.

Io continuavo a vedere il Sultano e Muley Abdsulem, come se niente fosse accaduto, presso i Musulmani vuole la creanza che non si parli mai di donne.

Finalmente palesai la mia risoluzione di andare alla Mecca. Ebbi su quest'oggetto lunghe conferenze col Sultano, con Muley Abdsulem, e con i miei amici, che mi sconsigliavano dall'intraprendere questo penoso viaggio. Mi veniva opposto che il medesimo Sultano non l'aveva fatto; che la religione non obbligava a farlo personalmente, e che facendo le spese ad un pellegrino mi acquistavo agli occhi della divinità lo stesso merito. Queste ragioni ed altre molte che non accade accennare, non mi rimossero punto dalla presa risoluzione.

Il Sultano che desiderava d'avermi vicino venne un giorno alla mia casa accompagnato da suo fratello Muley Abdsulem, da suo cugino Muley Abdelmelek, e da tutta la corte. Il Sultano arrivò alle nove ore del mattino, e si ritirò soltanto alle quattro e mezzo della sera. In questo tempo si parlò più volte del mio pellegrinaggio ma non mi rimossi dal mio proposito: due volte s'imbandì la mensa, quando arrivò il Sultano col suo seguito, e quando partì. Il Sultano che voleva convincermi del suo affetto, e della illimitata sua confidenza, mangiò una volta, prese molte volte il caffè, te e limone; scrisse e firmò dispacci sulla mia scrivania; mi trattò in ogni cosa come fratello; e finalmente, partendo, sei de' suoi domestici mi presentarono da parte sua due magnifici tappeti.

La maggior parte degli ufficiali dopo avere ricondotto il Sultano al suo appartamento, tornarono a complimentarmi ed a scongiurarmi di nuovo a non partire, facendomi le più lusinghiere predizioni sul mio destino se rimanevo. Insensibile a tante belle promesse, fissai l'epoca della mia partenza entro tredici giorni.

Giunse il tempo di dare l'ultimo addio al Sultano. Rinnovò le più calde istanze, e mi replicò le mille volte di pensar bene a quel ch'io facevo, di riflettere alle fatiche ed ai pericoli cui mi esponevo in così lungo viaggio. Nell'abbandonarlo ci abbracciammo colle lagrime agli occhi. L'udienza di congedo con Muley Abdsulem fu ancora più tenera, e fino all'ultimo mio sospiro io porterò scolpita nel mio cuore l'immagine di così caro principe.

Il Sultano mi regalò una ricchissima tenda foderata di drappo rosso, ed ornata di frangie di seta. Prima di mandarmela la fece alzare in sua presenza: allora v'entrarono dodici fackiri, recitandovi certe preghiere che dovevano assicurarmi le grazie del cielo ed una costante prosperità in tutto il viaggio. Aggiunse a questo dono alcuni otri per portar l'acqua, articolo necessario in questo viaggio.

Feci dire a Mohhàna, che si coprisse perchè dovea parlarle. Appena si fu assettata, mi recai al suo appartamento accompagnato da molta gente, e le dissi: «Mohhàna in procinto di partire per il Levante, io non vi abbandonerò se volete seguirmi; ma voi siete ugualmente in libertà di rimanervene, poichè voi sapete essere questa la prima volta ch'io vi vedo, e vi parlo.»

Ella modestamente rispose: «Io voglio seguire il mio Signore. – Pensate bene, gli replicai, a ciò che voi dite, perchè risposto che abbiate non v'è luogo a pentimento. – Mohhàna replicò; sì mio signore, io vi seguirò in qualunque parte del mondo vi portiate, e fino alla morte.» Allora rivoltomi a quelli che mi accompagnavano; «voi udite, dissi loro, ciò che dice Mohhàna, voi siete testimonj della mia risoluzione. Indi dissi a Mohhàna; voi siete una buona donna, avete dell'attaccamento per me; ed io vi proteggerò sempre. Preparatevi a partire con me. Addio.»

Feci subito fare per Mohhàna una specie di lettiera chiamata darboùcco chiuso da ogni banda, che si colloca sopra un mulo, e sopra un cammello, e che si usa in paese per le principali dame. Non si fecero per Tigmu tante ceremonie; essa poteva viaggiare avviluppata nel suo hhaïk, o bournous. Destinai a queste donne una gran tenda, ove non potevano essere vedute da alcuno. In tal modo io intrapresi il mio viaggio alla Mecca lasciando incaricato dell'amministrazione de' miei beni a Marocco Sidi Omar Bujèta pascià di quella capitale, con le opportune istruzioni.

Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2

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