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LEZIONE SETTIMA

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Movendo in cerca della origine storica, della derivazione degli Esseni, due furono finora i sistemi che abbiamo discusso. Quali questi sistemi si fossero, voi certo lo ricordate. Fu quello in primo del Salvador, che questa origine pone durante la invasione dei Siriaci sul suolo Ebraico. Fu quello in ultimo che sotto gli auspizj ci si offriva del Frank e del Munk, i quali la origine veggono entrambi dell’Essenico istituto nelle scuole, nelle idee, che la greca civiltà trapiantato si ebbe sulla terra di Egitto. Qual fu il giudizio che emerse dal duplice esame? Io non so se sbaglio, ma parmi avere abbastanza dimostrata la improbabilità di ambedue i sistemi.—Avvi ancora un terzo da esaminare; e quello si è che agli Esseni, all’Essenato un’origine attribuisce, un carattere assolutamente cristiano. Potremmo noi senza citarlo in giudizio procedere risolutamente alla dimostrazione di quella origine che crediamo più vera? Io credo che nol possiamo. Nol possiamo, perchè troppo si disdice ad accorto strategico, lasciarsi fiero e numeroso nemico dopo le spalle. Nol possiamo, per le smodate pretensioni che accampa, per la fama, per l’autorità dei suoi campioni; ed infine, permettete che io aggiunga, per il legittimo e dolce desio di un trionfo. Io ricordo però come il Profeta ammoniva, non prima doversi celebrare vittoria, che l’arma non si discinga debellatrice. Mestieri è dunque combattere, e combattere virilmente. Il campo conoscete, conoscete del litigio la causa; solo vi manca di conoscere gli avversarj, e dopo gli avversarj, le armi, gli argomenti proposti, e infine i poderosi argomenti della difesa.—Quali sono gli avversarj? Si può dire arditamente che nè maggiori potrebbero essere nè più cospicui. Qui è per primo Eusebio, il quale nel secondo libro delle Istorie Ecclesiastiche non dubita di affermare, non altro aver voluto Filone ritrarre, laddove degli Esseni prese a discorrere, che la Chiesa Cristiana allora nascente. Eusebio che aggiunge (e di che sappia l’asserzione vedremo fra poco) che il nome di Terapeuta vale a dire il nome in Egitto equivalente a quel di Esseni, anzi la greca traduzione del vocabolo Esseni, fosse comune appellativo dei primi Cristiani, anzi che questo nome di Cristiani assumessero.—Qui Epifanio che dice risolutamente, aver Filone nei Terapeuti dipinto il modello e i prischi tentativi del monacato cristiano; qui S. Girolamo che, per andare per le corte, converte di motuproprio al Cristianesimo il nostro Filone, che storico degli Esseni, Egiziani ed Essena egli stesso, fu quello le cui memorie togliamo anch’oggi qual guida, almeno principalmente nella cognizione dell’antico Essenato; qui il pseudo Dionigi Areopagita, che seguendo ciecamente l’andazzo dei suoi, giunge sino a chiamare un monaco a cui scrive, col bel nome di Terapeuta; qui Sozomeno, storico dei primi secoli dell’E. V., che alla sentenza medesima aderisce, solo per correttivo aggiungendo aver forse gli Esseni qualche vestigio conservato di riti giudaici; qui un cardinale, il Baronio, che a dimostrare la verità dell’antico Cristianesimo dei Terapeuti, così argomenta. Egli avverte il silenzio che degli Esseni si conserva assoluto per tutto il corso degli Evangelj, ed a questo silenzio non trova il Baronio che altre cause si possa assegnare, tranne coteste due. È la prima, dice il Baronio, la identità degli Esseni colla chiesa Cristiana. È la seconda la posteriore loro apparizione alla predicazione evangelica. Ma la seconda, aggiunge il Baronio, si oppone alla storia, che la esistenza degli Esseni ricorda sin da’ tempi anteriori: dunque, sola è vera la prima, solo il Cristianesimo degli Esseni basta a spiegare il silenzio evangelico. Voi udiste l’argomentare del Baronio; udrete tra poco, come dice l’Alighieri, l’argomentar che gli farò avverso. Per ora seguitiamo la nostra rassegna. Io debbo un solo ancora ricordarvi degli avversarj, e questi è il P. Montfaucon. Chi era il Montfaucon? Egli appartenne al dottissimo ordine fratesco, alla regola di quel grande che fondò Cassino, e fu Benedetto. Il Benedettino Montfaucon, che visse nel secolo erudito del 700, lasciossi così appieno infatuare dal preteso Cristianesimo dei Terapeuti, che a provarne ad esuberanza la verità, si accinse, siccome credo per primo, alla traduzione di quelle opere di Filone ove dei pretesi Cristiani, dei Terapeuti, è parola.

Ecco gli avversarj. Quali sono i loro argomenti? Parte ve ne dissi, e questi più particolarmente appartengono agli autori rammemorati. Parte adesso ne udirete, e sono quelli che più di frequente si veggono dagli avversarj imbranditi.—Quali sono questi argomenti? Sono tutti, si può dire, fondati sopra qualche supposta analogia fra i costumi, le leggi, la società, il genio dei primi Cristiani, e quelle dipinture che degli Esseni ci lasciava Filone. Ella è ora la gerarchia che s’invoca dei Terapeuti, ove tutti i diversi ordini sembra a costoro vedervi della Chiesa nascente; ora le guarigioni dagli uni e dagli altri miracolosamente operate, i beni ai poveri distribuiti, l’erario e gli averi comuni, l’amore delle chiose, dei commenti allegorici, il predominio del senso mistico sul letterale; eglino sono i digiuni, le macerazioni; ed infine, egli è il celibato. Ecco gli argomenti nemici; ed ecco i nostri. Egli è, in primo luogo, la contraddizione in cui cadde Eusebio, quegli stesso che primo vedemmo accreditare tra i Cristiani la voce del Cristianesimo Terapeutico. Or bene, tanto fu possente la verità, che lo stesso Eusebio non potè in qualche luogo dell’opera sua contrastargli l’ossequio. Voleva Eusebio provare come tra gli stessi Ebrei, nella stessa chiesa primitiva, allignasse lo spirito, la tendenza al ritiro, alla vita solitaria, alla contemplazione. Or che credete che faccia Eusebio? Egli cita gli Esseni; gli Esseni che, a senso suo, attestano l’antichità del genio cenobitico in Israel; gli Esseni che, per provare l’assunto, devonsi supporre Israeliti eglino stessi; gli Esseni, infine, che lo stesso Eusebio dovrà tra non molto dichiarare Cristiani. Si può dare contraddizione maggiore di questa? Eusebio però non si contenta di asserire, egli pretende inoltre provarne il Cristianesimo. Quali sono le prove? I Cristiani, egli dice, ebber nome Terapeuti, anzichè quello assumessero definitivo di Cristiani. È egli vero, costante, il fatto da Eusebio allegato? Parecchi antichi ne mostrarono la falsità. Lo mostrò, tra gli altri, il Basnage provando sino all’evidenza, come il nome Cristiani venisse dalla Chiesa adottato anzichè il menomo sentore avessero i nuovi credenti della esistenza nemmeno del nome Terapeuti; ch’è quanto dire che i cristiani tal nome ricevessero nella città di Antiochia, prima che altrove fosse predicato il Vangelo, pria che Marco Apostolo fondasse la Chiesa Egiziana, della quale si volle trovare i primi elementi nella scuola, nell’istituto dei Terapeuti. Che se il nome di Terapeuta lo vediamo tra i Cristiani usitato, siccome veramente il vedemmo, a denotarsi scambievolmente, che prova ciò? Prova soltanto che la parentela, che la consanguineità Terapeutica fu antico vanto, vanto preteso della Chiesa Cristiana; prova soltanto che imbevuti siccome erano della origine Terapeutica, si gratificavano scambievolmente di sì bel nome per una illusione che io chiamerei volentieri illusione retrospettiva; prova soltanto che il credersi dai Terapeuti originato, era un onore che avidamente si agognava. E poi, chi meglio di voi conosce il senso lato, vasto, capacissimo del nome Terapeuta, del nome di Essena? Voi sapete che cosa significa; significa Medico, Risanatore, e Risanatore dell’anima, delle passioni; ch’è quanto dire un concetto vi presenta che ogni religione, ogni setta, ogni scuola, per poco che abbia amore di sè, per poco che alto voglia infondere in altri il senso della sua eccellenza, si approprierà volentieri, siccome quello che meglio adempie all’officio nobilissimo per quel vocabolo additato. Che maraviglia, dunque, che il Cristianesimo se l’appropriasse e che il togliesse, senza per questo accennare precisamente ad una origine, ad una filiazione qualunque? Vi ha ora l’argomento del Baronio, che dobbiamo giudicare con processo sommario. Che cosa diceva il gran cardinale? Egli argomentava il Cristianesimo degli Esseni dal silenzio degli Evangelj. Diceva il Baronio: due sono le sole cause plausibili di questo silenzio: o gli Esseni sono Cristiani, o ai tempi evangelici non esistevano.—Ma l’ultimo dei supposti è falso, perchè gli Esseni esistevano veramente, dunque è dimostrato che gli Esseni sono Cristiani.—Dante, quando nell’VIII canto del Paradiso volle parlare di Sigieri, che insegnato aveva logica in Parigi, disse di lui che nel vico degli Strami

Sillogizzò invidïosi veri.

Io non so in qual vico abbia sillogizzato il Baronio. Certo che i suoi non sono invidiosi veri; piuttosto invidiosi falsi. Io potrei, a combattere il Baronio, valermi degli argomenti del Basnage; ma non me ne valgo per la ragione semplicissima, che credo un solo il vero, il massimo degli argomenti, e questo non lessi scritto in alcun luogo. Non dirò con Basnage al Baronio: badate che la rete del vostro dilemma, non abbia in alcun punto a smagliarsi; badate che la setta degli Esseni non era numerosa, e quindi può essere passata inavvertita; che il ritiro in cui vivevano li sottraeva al rumore, alla pubblicità, e quindi agli affari ed alla conversazione degli uomini. Ciò non dirò perchè credo questi argomenti insussistenti; perchè credo che le sètte, le scuole, non si contino ma si pesino, che non valgano per quantità ma per qualità; perchè credo che il ritiro negli Esseni non fosse così assoluto quanto si vuol far credere; perchè credo che il ritiro, la solitudine, serva talvolta a farti più rimarcare, e come oggi si dice, a farti brillare per la tua assenza; e perchè, finalmente, il non imbarazzarsi nelle faccende altrui, non è sempre infallibile preservativo onde tu non sia molestato, accadendo infinite volte che per quanto tu ami cansare piati o litigj, pure tanto frastuono e baccano ti fanno d’intorno, che sei costretto finalmente a metter fuor dell’uscio la testa per chiedere di grazia che cosa si voglia del fatto tuo. E per questo non vo’ che il Baronio abbia facil vittoria dei miei obbietti. Piuttosto vorrei sapere in qual guisa non siasi degnato nemmeno considerare una terza alternativa, la quale rispettando la storia e spiegando il silenzio degli Evangelj, non costringa per questo a cristianizzare il grande istituto. E qual è l’alternativa in discorso? È la possibile, la pensabile identità dell’istituto Essenico con uno di quelli che il Vangelo rammenta, e che vissero cogli Esseni ad un tempo, coi Sadducei, cogli Scribi, cogli Erodiani, coi Farisei, con una insomma di quelle sètte di cui è menzione negli Evangelj. Io credo, e voi già da un pezzo il presentite, come il più bello e più grande resultato delle nostre conferenze, la dimostrazione perpetua di queste mie lezioni, sarà il ritorno dell’Essenato in grembo a quella scuola più vasta che ha nome dai Farisei; e questa identità, la ragione, la storia, l’eloquenza dei fatti ci faranno debito di consentire. Ma se per noi è dovere di ammetterla, pel Baronio era dovere il discuterla. Perchè non la discusse? Perchè propose dilemma che non è dilemma? È inutile il cercarlo. Il perchè voi già lo sapete, perchè voi già ripeteste con me le parole di Dante.—Il Baronio, come Sigieri, ma in senso molto diverso Sillogizzò invidiosi veri.[22]

E non solo il Baronio, ma moltissimi altri vedeste sotto quel vessillo raunati. Quali sono le loro prove? Io ve l’esposi di già ad una ad una, e ad una ad una verranno qui invocate in giudizio. Si parlò di gerarchia, si vide tra quella dei Terapeuti e quella dei Cristiani analogia di nomi, di officj, di organismo. Che vuol dire ciò? Vuol dire, dicono gli avversarj, che i Terapeuti sono Cristiani: vuol dire, aggiungo io, che questi tolsero a imitare i Terapeuti, in quella guisa che tutte le idee e istituzioni, e il sacerdozio e i riti e tutto, tolsero ad imitare dell’Ebraismo; vuol dire almeno che Terapeuti e Cristiani, sendo da un corpo solo concetti e partoriti, offrono tra loro quelle affinità di sembianze che sono proprie dei fratelli, dei consanguinei. Ma non è sola la gerarchia: si citano le guarigioni miracolose, si dice che proprie furono dell’una setta e dell’altra, dei Cristiani e dei Terapeuti; e da questa comunanza la identità si conclude dell’uno e dell’altro. Parvi che rettamente concludasi? Io credo fermamente che a questa stregua, che a questa misura, poco meno di mezzo mondo diverrebbe Cristiano; che il diverrebbero i Dottori, i Farisei grandi taumaturgi, come ognuno conosce; che il diverrebbero i sacerdoti pagani, che di simili guarigioni andavan superbi; che lo diverrebbe Vespasiano, di cui si narra la portentosa restituzione della vista ad un cieco mercè la saliva; che il diverrebbe Apollonio Tianeo, che circa quel torno empieva il mondo dei suoi miracoli. Ma più ci dicono: vi è di più; vi è la repartizione dei proprj beni ai poverelli, vi è l’erario comune o, in termini moderni, il comunismo, quale si praticava dalla Chiesa Cristiana. Ci chieggono; vi par cotesto argomento che basti? Sì, io rispondo, se la povertà volontaria fosse nata col Cristianesimo, e pria e fuori di esso non se ne vedessero gli esempj. Sì, se il monacato Buddistico, se i Bonzi, se i Fachiri non lo praticassero in Oriente. Sì, se tutto lo stato ebraico non fosse stato una spezie di pacifico comunismo, il cui alto proprietario o signore supremo era Dio. Sì, se i dottori non ce ne offrissero l’esempio proprio siccome quello che nei Cristiani si ammira; e se, finalmente, il Cristianesimo non potesse aver tolto anche quest’idea in prestanza all’antico Essenato. Che diremo poi dell’amore, delle allegorie, della esegesi mistica che si cita per quarto? Sarà egli più stringente argomento dei suoi confratelli? L’esegesi mistica! Ma l’esegesi mistica era il vezzo, era l’andazzo, era il gusto comune dei tempi d’allora. Lo era presso i pagani, quando si accostavano a spiegare i capolavori dei loro poeti; lo era presso i dottori, e le traccie ne durano immense, ne durano sensibilissime nei grandi monumenti che ci trasmisero, dove ad ogni piè sospinto ti si accalcano in folla le allegorie, le parabole, i miti, le tropologie, infine tutto quello che la veste esteriore costituisce delle dottrine riservate, e come dice Gioberti, della scienza acroamatica dell’Ebraismo. Dovremo noi soffermarci ai digiuni, alle macerazioni, che si dicono comuni? Noi questo solo diremo, che se digiuni e macerazioni dovessero essere assunti a criterio d’identità, l’origine degli Esseni non dovrebbe a lungo cercarsi, perchè bella e pronta noi l’avremmo tra i dottori trovata, ove in un ramo soltanto, notate bene, in un ramo soltanto della loro scuola, tali si vedono prodigiosi e prodigati digiuni, da disgradarne le più raffinate macerazioni della Tebaide. Sarà egli più felice argomento il celibato, che qual distintivo comune a provarne s’invoca l’identità? Il celibato, per ciò che riguarda gli Esseni, non può essere inteso assolutamente ma parzialissimamente; quindi non prova. Quanto ai Terapeuti, che sono gli Esseni Egiziani, il fatto corre alquanto diverso; epperò il raziocinio offre alquanto più del verosimile. Ma quanto a veder bene non è fallace! Non tanto perchè i Terapeuti non praticassero il celibato, chè veramente il praticavano, ma sopratutto (curiosissimo a dirsi!) perchè i Cristiani allora nol praticavano, perchè tempi eran quelli ancor distanti dal fervor religioso che spinse gli uomini nei chiostri, nei cenobj, nei romitaggi; perchè Paolo allora bandiva, dovere il vescovo vivere senza colpa colla donna sua; insomma, perchè il celibato cristiano non era ancor nato.

Gli argomenti a favore sono caduti: adesso cominciano gli argomenti contrarj: la guerra difensiva è terminata, adesso si vuol prendere energicamente la offensiva. Quali sono di oppugnazione le armi? Sono parecchi pensieri, e tutti serj, e tutti stringenti. Ella è, in primo luogo, le tendenza di ogni parte, di ogni setta osteggiante ad appropriarsi quanto vi ha di bello e di buono nella setta, nella parte rivale. Dante è guelfo per i guelfi; è ghibellino pei ghibellini. Maimonide è cabbalista pei cabbalisti, è antimistico pei loro nemici. Aristotile, Platone ed altri ancora, se fossero stati conosciuti, sarebbero stati dai nostri dabben proavi, giudaizzati e colle debite forme circoncisi. Seneca fu battezzato da S. Paolo, o da chi per esso, e tanto eco ebbe di sua conversione la fama, che la tesi fu trattata di recentissimo innanzi l’illustre Accademia Parigina in un libro che vide poi per le stampe la luce; nè di questo dirò più sillaba, avendone io a dilungo parlato, in una lettera che or sono alcuni anni, pubblicava l’Educatore. Nè agli Esseni incolse dissimile ventura. Parevano così santi, così dotti, così esemplari, che non si potè più a lungo tollerare il loro Ebraismo. E così un bel giorno furono presi e fatti Cristiani; come Cristiano fu fatto Giuseppe, come Cristiano fu fatto Filone, e come Gamliel e come Akiba furono debitamente cristianizzati e in terra santa seppelliti nella chiesa di S. Francesco di Pisa.

Ma di queste fole più non si parli. Diciamo piuttosto di argomenti più serj. E serissimo, a parer mio, è quello che si trae da Giuseppe e Filone[23] Io già ve lo dissi, Giuseppe e Filone furono i due scrittori che tolsero con qualche diffusione a narrare della scuola, delle dottrine degli Esseni; e l’ultimo in spezial modo, che due interi libri dettava a descriverne lo istituto, oltre quelle diffuse nozioni che qua e colà sparse si trovano per avventura nelle opere rimanenti. Or bene, Giuseppe e Filone non sono soltanto gli storici, gli espositori, i descrittori del grande istituto, ma ne sono eziandio, e in grado eminente, i panegiristi, gli encomiatori, i lodatori. Non cessano e Giuseppe e Filone di laudarne la virtù, di celebrarne le dottrine, di encomiarne il costume; e tanto profuse e tanto magnifiche riescono di costoro le lodi, che grave ingenerarono sospetto nell’animo ai posteri, non forse più che verità consentisse, di gioconde e gaie tinte spargessero il quadro ad attirare la stima, l’ammirazione, l’ossequio del mondo gentile. Dite di grazia. Potevano e Giuseppe e Filone con tanta pompa favellare di un istituto Cristiano, d’un Istituto che cattedre ed altari elevasse contro la pristina fede; il potevano essi che nacquero e vissero e morirono nella più pura ortodossia?[24] Il poteva Giuseppe, che non rifinisce di laudare la scuola farisaica, ch’è quanto dire la scuola che più apertamente si osteggiava dal Cristianesimo; il poteva Filone, che la vita consacrò e gli studj e le fatiche alla esaltazione del nome, della fede ebraica, e che la età senile non trattenne dalla famosa ambasceria a Cajo Caligola, dove alta e solenne levò la voce in difesa dei patrj riti e della patria salute? Che se Filone e Giuseppe, Ebrei pronunciati, non potevano tante lodi prodigare se non ad Ebrei; se gli Esseni, ebrei essendo, non lasciavano di possedere parecchie doti, qualità, costumi, istituzioni che il Cristianesimo si appropriò, come desumere da queste simiglianze la identità? Come non avriano potuto essi che queste cose possedevano di proprio in antico, come non avriano potuto continuare a ritenerle senza farsi Cristiani? Certo che il potevano e certo ancora che i generosi encomj dei due grandi Israeliti fanno fede pienissima contro ogni supposta apostasìa. Però Filone di lodarli non si contenta. Due libri ei scrisse, come vi ho detto, di cui il primo consacrò agli Esseni, l’altro dedicò ai Terapeuti. Il primo suona: Ogni onest’uomo è libero, il secondo si chiama, De vita contemplativa. Or bene, il prima è prova come a senso di Filone, Ebrei fossero gli Esseni, poichè di costoro favellando, il nome apertamente e la qualificazione gli assegna di Ebrei. Si può dire altrettanto dei Terapeuti che prese a têma della seconda opera sua? Certo che sarebbe meno esplicita la deposizione Filoniana, se non sapessimo che la vita contemplativa forma come una parte seconda del primo libro rammentato; più, se nel passare dagli Esseni ai Terapeuti, se nel prendere di quest’ultimi a favellare, una frase ei non usasse ove i legami, la parentela delle due sètte apparisce manifestissima; se, infine, concorde non sorgesse oggimai una voce ad ammettere tra Terapeuti ed Esseni, non solo alcun tratto di somiglianza, ma salvo qualche varietà d’indirizzo, una sostanziale e perfetta identità; se di questo universale ossequio facendosi interprete, non ci ammonisse il Jules Simon, nella Istoria della scuola di Alessandria, così dicendo: Il est plus que vraisemblable que les Thérapeutes sont des Esséniens voués à la contemplation; e ciò che più monta, se queste parole precedute non fossero da un coscienzioso esame sul preteso cristianesimo dei Terapeuti. Che se Ebrei sono gli Esseni a confessione di Filone, se i Terapeuti altro non sono che Esseni contemplativi, chi non vede come le insegne di Ebrei più ai Terapeuti non disconvengano, che non agli Esseni?

È egli Filone il solo a proclamare degli Esseni lo ebraismo? Per ventura, non è il solo. Una voce vi ha, s’è possibile, più autorevole, che l’attesta. E qual è? La voce della cronologia. Attendete, e con qualche diligenza mi seguite, chè si tratta di cifre. Quando nacque Filone? Nacque, e ne abbiamo certezza, l’anno 724 dalla fondazione di Roma. Quando scrisse le opere in discorso, quando parlò, quando l’elogio compose dei Terapeuti? Egli dice che era, allor giovanissimo. Giovanissimo, accennerebbe ai 20 a 30, ma pure diamogli, se così volete, anni 40, i quali addizionali ai 723 dalla fondazione di Roma, costituirebbero la somma di 763. In che anno della romana fondazione nacque Gesù? Nacque il 753, ch’è quanto dire non più di anni dieci pria che Filone a scriver si accingesse le opere sue; non più che dieci anni prima del grande e sublime ritratto che ci porge Filone dell’Essenato Egiziano, coi suoi romitorj, colle sue leggi, colle sue tradizioni, col suo culto purissimo, e, ciò che più urge al fatto nostro, colle sue istorie, coi suoi libri antichi, colla venerata memoria dei suoi predecessori.

È egli possibile, dopo prove siffatte, parlare di Terapeuti Cristiani? Però vedete astuzia! Noi citammo Filone e i suoi encomj; encomj incomprensibili in bocca ad un Ebreo, ove i Terapeuti supporre si vogliano cristianeggianti. Or bene, che credereste che facciano gli avversarj! Con un colpo di mano ci rapiscon Filone. Audacia direte enorme, se altra fu mai. Ma pure la è così. Se Filone credeste finora Ebreo, disingannatevi. Egli è Cristiano, e davvero Cristiano, testimone S. Pietro che in Roma vedutolo, lo convertì. Ma la buona gente non guarda tanto per la sottile, nè spinge più che tanto le sue indagini. Non cerca, per esempio, se il preteso Cristiano ci abbia di cristianesimo alcuna traccia tramandato nelle opere sue; che strana cosa ed incredibile veramente sarebbe questa, se tutto lo zelo ed il fervor del neofita una sola parola posta non gli avessero in bocca, non dico di elogio, di venerazione, di fede, ma nemmeno di semplice ricordanza, di semplice citazione. Non veggon cotestoro che invano tutto questo si chiederebbe alle opere Filoniane, che per quanto si stendono, non menzione vi ha di G. C., non di Pietro il conversare preteso, non dei Vangeli, non dei dogmi cristiani; ove dogma cristiano non vogliam dire la teoria del Verbo, comune non solo alle religioni orientali, ma propria altresì di Platone suo donno e maestro; non infine di quel dogma menzione, sul quale tutto s’appunta l’edificio cristiano, voglio dire l’Incarnazione o, come Gioberti il chiama, il dogma teandrico. Che se occhi non han costoro per vedere, non hanno nemmeno orecchi per udire; per udire, per esempio, Giuseppe quando, sopravvissuto a Filone, di Filone parla con la riverenza ch’ei sentiva per un tant’uomo; quando lo dice insigne nella sua nazione, quando leva a cielo l’attaccamento di Filone alla fede, alla patria, a tutto Israele. Avria così di Filone favellato Giuseppe, se Filone conchiuso avesse la vita nella apostasia, nella fede cristiana? Certo che non avrebbe; e certo egualmente che le lodi di Filone sul labbro a Giuseppe, come quelle degli Esseni in bocca a Filone, come tutti gli altri accennati argomenti, sono una catena ben connessa, ben stretta, ben coerente, che c’interdicono, degli Esseni parlando, i limiti varcare e i confini dell’Ebraismo. Io potrei valermi del dritto di rappresaglia; potrei sotto ai vessilli riparare del Salvador e sancire quella derivazione che egli propone delle idee cristiane dall’Essenato; potrei dire con esso: son organisation et ses mœurs occupent un rang très élevé parmi les causes qui pendant la jeunesse de Jésus imprimèrent la première impulsion à sa pensée; potrei far eco ad Adolfo Esquirol, il quale non dubitò sentenziare: «Les Evangélistes se rattachent par leur Maître à la secte des Esséniens.»[25] Potrei tutte queste cose togliere a dimostrare; e comecchè tornerebbe agevole con corredo non esiguo di prove sussidiarle, ciononostante mi rimarrò, che dette influenze esteriormente esercitate dall’Essenato, qui non è luogo a trattare. Ci basti che inviolati ne sieno i sacri recinti, ci basti che pura ed intemerata e legittima ne sia la origine, ci basti che del più puro sangue sia egli concetto del corpo ebraico.







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