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Caccini (Giulio), gentiluomo romano ed uno di quei dotti professori di musica del secolo 16º, in Firenze, i quali riunivansi per ragionar di quest'arte presso il Conte Giov. de' Bardi. Il Caccini, siccome era di vivo e pronto ingegno fornito, prese a perfezionare la maniera inventata dall'illustre Vincenzo Galilei, e molte belle cose introdusse del suo nella musica, che non poco contribuirono a migliorarla. Uno dei principali mezzi fu quello di applicar l'armonia a parole cantabili cioè a poesie appassionate ed affettuose. Egli sollecitò per ogni dove gli autori a lavorare a bella posta poesie pel canto, nè tralasciò di concorrere anch'egli poetando al medesimo fine. Dalle carte di lui musicali cavò l'Arteaga una sua graziosa canzonetta, perchè rendesse, egli dice, più noto a' suoi nazionali codesto valentuomo ignorato in oggi da' poeti e da' musici, ma che merita un luogo distinto fra gli uni e fra gli altri. (Delle rivoluz. ec. tom. I. p. 244) Il Caccini nella dotta prefazione alle sue Nuove Musiche attesta, che più vantaggio egli trasse dal commercio e da' suggerimenti degli uomini letterati, che da' trent'anni spesi nelle scuole musicali e nell'arte del contrappunto, il quale, secondo lui, poco o nulla giova a perfezionare la musica. Egli di accordo co' suoi amici il Corsi, il Rinuccini ed il Peri, studiò tanto sulla maniera di accomodar bene la musica alle parole, che finalmente trovò l'antico recitativo, ossia la declamazione musicale usata da' greci, ch'era stato da lungo tempo il principale scopo delle loro ricerche. Il primo saggio, ch'ei ne diede fu nella Dafne del Rinuccini l'anno 1594 ch'egli mise in note, e quindi nella tragedia dell'Euridice in occasione dello sponsalizio di Maria de' Medici col re di Francia Arrigo IV che ebbe il più maraviglioso successo. Fra le altre poesie da lui poste in musica furonvi i Pietosi affetti del Grillo rinomato poeta di quei giorni, cantati avanti il pontefice. Il Grillo al Caccini in ringraziamento scrive tra le altre cose: “Ella è padre di nuova maniera di musica, d'un cantar senza canto o piuttosto d'un cantar recitativo, nobile e non popolare: che non tronca, non mangia, non toglie la vita alle parole, non l'affetto: anzi gliele accresce, raddoppiando in loro spirito e forza. È dunque invenzion sua questa bellissima maniera di cantare, e forse ella è nuovo ritrovatore di quella forma antica perduta già tanto tempo fa nel vario costume d'infinite genti, e sepolta nell'oscura caligine di tanti secoli: il che mi si va più confermando, dopo essersi recitata sotto cotal sua maniera la bella pastorale del signor Ottavio Rinuccini: – In somma questa nuova musica oggidì viene abbracciata universalmente dalle buone orecchie, e dalle corti de' principi italiani è passata a quelle di Spagna e di Francia, e d'altre parti d'Europa ec.” (V. Idea del segretario di Bartol. Zucchi, p. 2). Il Caccini fu anche il primo a raffinare il canto monodico, introducendovi non pochi ornamenti di passaggi, trilli, gorgheggi e simili cose le quali saggiamente e parcamente adoperate contribuirono a dar espressione e vaghezza alla melodia. Egli era stato discepolo di Scipione della Palla celebre pel suo tempo: visse alla corte del gran duca di Toscana e morì in Firenze sul principio del secolo decimosettimo.

Caffarelli (Gaetano), il di cui vero nome di famiglia era Majorano, nacque a Bari nel regno di Napoli da un povero contadino: fu allievo di Porpora come Farinelli, cui egli uguagliò in riputazione e in talento, ma non mai in modestia. Si sa in qual maniera instruì Porpora questo cantante, di cui detestavane l'insolenza. Per lo spazio di cinque anni fecegli costantemente imparare la stessa pagina sulla quale aveva egli notato da prima i più semplici elementi del canto, e quindi dei trilli, delle note di salto e de' passaggi di diverse specie. Al sesto anno vi aggiunse delle lezioni di articolazione, di pronunziazione e di declamazione in fine, dopo di che lo scolare che ancora non credeva di essere se non agli elementi, restò ben sorpreso allorchè gli disse il maestro: Vattene mio figliuolo, tu nulla hai più d'apprendere: tu sei il primo cantante dell'Italia e del mondo. Verso il 1730, Caffarelli portossi in Inghilterra, e sorprese tutti coloro che l'udirono; di ritorno alla patria cantò egli su molti teatri con un prodigioso successo. Fu allora che sentendo il merito straordinario di Gizziello, il quale trovavasi in Roma, prese subito la posta, e viaggiò per tutta la notte affinchè giungesse, ove l'indomani darsi doveva una grand'opera. Involto nel suo mantello, entrò di soppiatto in platea, ed allorchè ebbe inteso Gizziello, bravo!, gridò egli, bravissimo Gizziello! è Caffarelli che te lo dice. Lasciò quindi prestamente il teatro, riprese la posta, a tornò con la medesima prestezza in Napoli. Egli venne in Francia ai tempi della delfina, principessa di Sassonia, che molto amava la musica; e cantò più volte nel Concerto spirituale. Luigi XV incaricò uno de' suoi gentiluomini di camera a fargli un regalo: il gentiluomo mandò a Caffarelli, per mezzo del suo segretario, una superba scatola d'oro da parte del re. E che! disse Caffarelli, il re di Francia manda a me questa scatola! aspettate signore (aprendo il suo scrigno) eccone trenta, la menoma delle quali vale assai più di questa: se pure non fosse adorna del ritratto di S. M., allora…. “Amico, ripigliò il segretario, il re di Francia non usa far regali del suo ritratto che agli ambasciadori…” Ebbene, riprese Caffarelli, che il re li faccia cantare a questi signori ambasciadori. Tutto ciò fu riferito al re, che ne rise moltissimo, e raccontollo alla delfina. Questa principessa mandò tosto a chiamare il musico, e senza dirgli parola su la sua insolente richiesta, gli diè in dono un bel diamante, e nel tempo stesso presentogli un passaporto. – “Questo, gli disse, è segnato dal re, il che è sommo onore per voi, ma bisogna profittarne, perchè non vale più di dieci giorni.” In riguardo all'insolente carattere del Caffarelli grazioso è l'aneddoto che ne rapporta in una lettera il Metastasio in data del 1749, allorchè trovavasi quel cantante in Vienna; io lo rapporterò con le stesse parole del poeta: “Questo valoroso Caffarelli con pubblica ammirazione ha dimostrato non esser egli meno atto agli studj di Marte, che a quelli di Apollo… Il poeta di questo teatro è un milanese, giovane vivace, inconsiderato, e non men ricco di abilità, che povero di giudizio. A questo hanno gl'impresarj confidata, oltre la cura di raffazzonare i libretti tutta la cura teatrale. Non so se per rivalità d'ingegno o di bellezza, fra questo ed il Caffarelli s'è fin dal primo giorno osservato una certa ruggine, per la quale sono molte volte fra loro trascorsi a motti pungenti, ed equivoci mordaci. Ultimamente il Migliavacca (che tale è il nome del poeta) fece intimare una pruova della nuova opera, che si prepara. Tutti i membri operanti concorsero, a riserba del Caffarelli: o per effetto di natura contraddittoria, o per l'avversione innata, ch'egli si sente per ogni specie di ubbidienza. Sullo sciogliersi dall'armonico congresso comparve nulla di meno in portamento sdegnoso e disprezzante, ed a' saluti dell'ufficiosa assemblea rispose amaramente, dimandando, a che servono queste pruove? Il direttor poeta disse in tuono autorevole, che non si doveva dar conto a lui di ciò che si faceva: che si contentasse che si soffrissero le sue mancanze: che poco conferiva all'utile o al danno dell'opera la sua presenza, o la sua assenza: che facesse egli ciò che volea, ma lasciasse almen fare agli altri ciò che doveano. Irritato più che mai Caffarelli dell'aria di superiorità del Migliavacca, lo interruppe replicando gentilmente: che chi aveva ordinata simil pruova era un solennissimo C… Or quì perde la tramontana la prudenza del direttore, e lasciandosi trasportare ciecamente dal suo furor poetico, cominciò ad onorarlo di tutti quei gloriosi titoli, dei quali è stato premiato il merito di Caffarelli in diverse regioni di Europa; toccò alla sfuggita, ma con colori assai vivi alcune epoche più celebri della sua vita, e non era per tacer così presto; ma l'eroe del suo panegirico, troncò il filo delle proprie lodi, dicendo arditamente al Panegirista: Sieguimi, se hai coraggio, dove non vi sia chi t'ajuti; ed incaminossi in volto minaccioso verso la porta della camera. Rimase un momento perplesso lo sfidato poeta, quindi sorridendo soggiunse: veramente un rival tuo pari mi fa troppa vergogna: ma andiamo che il castigare i matti, è sempre opera cristiana; e si mosse all'impresa. Caffarelli, o che non avesse mai creduto così temerarie le muse, o che secondo le regole criminali pensasse di dover punire il reo in loco patrati delicti, cambiò la prima risoluzione di cercare altro campo di battaglia, e trincerato dietro la metà dell'uscio fece balenar nudo il suo brando, e presentò la pugna al nemico: ma non ricusò l'altro il cimento, E fiero anch'egli il rilucente acciaro, Liberò dalla placida guaina. Tremarono i circostanti, e si aspettava a momenti di veder fumare su i cembali, ed i violini il sangue poetico e canoro; quando Mad. Tesi sorgendo finalmente dal suo canapè, dove aveva giaciuto fin allora tranquillissima spettatrice, s'incamminò lentamente verso i campioni. Allora (o virtù sovraumana della bellezza!) allora quel furibondo Caffarelli in mezzo a' bollori dell'ira, sorpreso da un'improvisa tenerezza, le corse supplichevole all'incontro, le gettò il ferro a' piedi, le chiese perdono de' suoi trascorsi, e le fè generoso sacrifizio delle sue vendette. Diè segni di perdono la ninfa: rinfoderò il poeta; ripreser fiato gli astanti: ed al lieto suono di strepitose risate si sciolse la tumultuosa assemblea. Oggi gl'istrioni Tedeschi rappresenteranno nel loro teatro questo strano accidente, ec.” Caffarelli nel 1740, cantò in Venezia, e dicesi per certo che in una sola serata guadagnò quivi settecento zecchini. Tanti successi e tante ricompense lo misero in istato di comprarsi il ducato di santo Dorato, di cui ne prese il titolo e legollo poi al suo nipote. Ma non cessò non per tanto di cantar ne' conventi e nelle chiese, e di farsi caramente pagare. Alla sua morte che avvenne nel primo di febbrajo del 1783, lasciò al nipote dodici mila ducati di rendite, fra le quali bisogna porsi la superba casa che avevasi fatta fabbricare in Napoli, e dove leggevasi quella modesta iscrizione: Amphion Thebas, ego domum: alla quale un bello spirito sdegnato di cotanta albagia scrisse al di sotto: Ille cum: tu sine.

Caffaro (Pasquale), uno de' più dotti armonisti del prossimo passato secolo, nacque a Lecce nel regno di Napoli verso il 1706, studiò la composizione sotto il gran Leo, nel conservatorio della Pietà, e fu quivi uno dei piccoli maestri di mio padre, col quale restò mentre visse, amicissimo: io conservo ancora alcune di lui lettere scritte al medesimo. Caffaro fu il primo a dare una forma elegante all'arie cantabili. La sua famosa aria Belle luci che accendete, servì di modello a tutti i compositori. Al riferir di Langlé suo scolare, quest'aria ebbe un sì prodigioso successo, che se ne dipinse il tema su i vasi di porcellana della manifattura del re di Napoli. Egli divenne in appresso maestro della corte e della cappella del re di Napoli, e maestro del conservatorio della Pietà. Oltre più opere da lui composte, vi ha eziandio molta musica di chiesa ch'egli scrisse a due cori. Il suo Stabat a quattro voci in canone doppio è celebratissimo, come lo è del pari il salmo Confitemini ridotto in versi italiani dal Ch. Mattei e posto in musica a più voci dal Caffaro, il di cui spartito osservando il gran Iommelli ne rilevò la bellezza specialmente ne' ripieni, e ne' cori, i quali, com'egli stesso lo attestò al Mattei, non potevansi migliorare: anzi da costui pregato a porre in note il salmo Diligam, da lui similmente tradotto in poesia lirica toscana, modestamente gli disse, che bisognava prima far dimenticare quella musica, per farne uno eguale in quel genere stesso. Il medesimo Iommelli, giudice assai illuminato e che sapeva render giustizia all'altrui merito, era solito di lodare la fecondità originale del Piccini, la gioconda facilità del Sacchini, la vivace novità del Paesiello, la dottrina armonica del Caffaro, l'esperienza teatrale del Buranelli, la filosofica economia del Gluck, e la giusta misura del Sassone, il quale meglio di tutti, ei diceva, seppe il ne quid nimis (Matt. Mem. del Iommelli.)

Caffiaux (don Filippo-Giuseppe), francese benedettino della dotta congregazione di san Mauro, morto a san Germano de' Prati nel 1777, è autore di un libro cui diè il titolo d'Essai d'histoire de la Musique, 4º.

Cajon (Mr.), autore degli Elementi di musica a una o due voci, Parigi 1772, in fol. Egli con molto artifizio rubò le lezioni di Bordier, per comporre gli elementi musicali, che pubblicò sotto il suo nome. “Io non mi sono dimenticata, dice Mad. Roland nelle sue memorie, il musico Cajon, tristo uomicciuolo ardito e ciarlone, nato a Macon, dove era stato cherico corista, e a mano a mano soldato e disertor, capuccino, commissario e fuor d'impiego… dopo quindici anni finì con lasciar Parigi, ove aveva contratto dei debiti, per rendersi in Moscovia, dove non so cosa sia divenuto.”

Caldara (Antonio), uno de' più celebri compositori dell'Italia sul principio del 18º secolo, nacque in Venezia. Dal 1714 sino al 1763 egli era a Vienna, vice-maestro dell'imperial cappella. Compose in questa città, e a Mantova, e a Venezia e a Bologna, dove era stato per l'innanti, un gran numero di opere sì per chiesa che per teatro. I gran maestri del suo tempo cercavano di comporre delle melodie piene di espressione e di sostenerle con un accompagnamento analogo al carattere del canto. Caldara era un di quelli che si sono distinti maggiormente in tal maniera: visse lunghissimamente e travagliò sino alla morte. A giudicarne dal titolo d'una delle sue opere impresse, pare che nella sua giovinezza, siasi ancor distinto qual sonator di violoncello. (V. Walther, Gerbert e la Borde)

Calegari (Il P.) da Padova, francescano in Venezia, fioriva nel 1740. La sua musica per chiesa era ammirata dai migliori maestri finchè gli venne fantasia di bruciarla, e fare eseguire de' pezzi in cui pretendeva realizzare i principj de' Greci sul genere enarmonico. Cotesta strana musica disgustò gli uditori, ed i musici la trovarono ineseguibile. Il p. Calegari era maestro di cappella di sant'Antonio in Padova, immediato predecessore del Vallotti. (v. Memor. e lett. del p. Martini) Evvi anche oggidì un buon compositore del nome di Calegari, di cui nel Magazino di Musica del Sig. Ricordi in Milano vi ha: Iº Il Fanatico per gli antichi Romani; IIº L'Amor soldato, Opere buffe; IIIº Il matrimonio Scoperto, ossia le Polpette, farsa in musica.

Callimaco, poeta greco e bibliotecario del re Tolomeo Filadelfo in Alessandria, 246 anni innanti Gesù Cristo. Si dà per certo aver egli scritto otto cento libri, fra' quali uno dee trovarsene sulla musica. Kircher pretende che si conservi tuttora in Roma nella biblioteca de' gesuiti, ma il Meibomio mette in dubbio cotale asserzione. (V. Fabric. bibl. gr.)

Calmet (Don Agostino), dotto benedettino ed abate di Senones nella Lorena, assai celebre nella Repubblica delle Lettere per il gran numero di opere date alla luce, e particolarmente per le sue dotte ricerche sull'antichità della Bibbia, morì nel 1757. Nel suo Comento su la Scrittura pubblicato a Parigi nel 1720, trovansi i disegni degl'instrumenti di musica degli Ebrei, con la loro spiegazione, e una dissertazione sopra i medesimi, di cui ve n'ha una traduzione italiana fatta in Lucca, tom. 2, in 4º, 1729.

Calviere (Antonio) nacque in Parigi nel 1695. Egli era il rivale e l'amico insieme del celebre organista Daquin: nel 1738, Calviere fu scelto per organista della cappella del re. Sono stimati i suoi mottetti a due e tre voci con tutta l'orchestra. Il suo Te Deum a gran coro con istrumenti da corda e da fiato è un'opera degna di giugnere alla posterità, e cel dimostra uomo di genio. Uno de' più belli passi di questo Te Deum, dice un amator di musica che fu presente all'esecuzione, si è il versetto Judex crederis. Dopo di avere annunziata con un recitativo semplice e maestoso insieme, la venuta del gran giudice, a cui i mortali tutti debbono render conto delle loro azioni, Calviere, da uomo che sente vivamente le cose, ha dipinto anticipatamente quel giorno terribile dell'estremo giudizio. Cominciano i flauti dall'esprimere il fischio de' venti; tutto il corpo dell'armonia eseguisce una tempesta che fa fremer di orrore. Un tamburo situato nel mezzo dell'orchestra e di continuo battente, esprime lo spaventevole fracasso del tuono unito a quello delle tempestose onde del mare: già sentesi lo scompiglio della natura: va in rovina l'universo, tutto è ridotto al nulla. Due trombe, situate dirimpetto l'una dell'altra nelle due tribune de' fianchi, fanno alternativamente la rassegna. Allora tutti i popoli presi dallo spavento, in un coro patetico alzano la loro voce, e profferiscono; Te ergo quæsumus, etc. Questo valentuomo, dopo aver fatto per lungo tempo le delizie di tutti coloro che lo sentivano alla corte e nella città, finì di vivere li 18 aprile del 1755, nel sessantesimo anno dell'età sua.

Calvisio (Seto), e propriamente Calwitz, musico dottore nella scuola di San Tommaso in Lipsia, nato nella Turingia nel 1556, e morto a Lipsia nel 1617, è molto famoso per i suoi talenti in musica, per la sua erudizione nella cronologia e nella lingua latina. Nel 1592, pubblicò egli: Melopœia, sive melodiæ componendæ ratio, quam vulgo musicam practicam vocant. Questo libro è per così dire, tutto d'oro, secondo il Brossard, e il migliore di tutti quanti trattano a quell'epoca della composizione a più parti. Vi ha fra le altre cose un'eccellente prefazione nella quale dopo aver fatta vedere la differenza della musica degli antichi greci, e latini da quella del suo tempo, egli afferma che la musica a più parti non si cominciò a introdurre che circa il 1300. Abbiamo inoltre di quest'autore un'opera su la musica, intitolata: Exercitatio musica, etc. Lipsiæ 1611. Calwitz fu uno de' primi a adottare e commendar l'uso delle sette sillabe a dinotare le sette note della scala, per così evitare la sconvenienza delle mutazioni nell'antica maniera di solfeggiare. Walther dà dei dettagli bastanti per quel che riguarda i suoi talenti e le sue produzioni in musica, ma bisogna ancora aggiungervi le seguenti opere, cioè: 1. De initio et progressu musices, et aliis quibusdam ad eam rem spectantibus exercitatio praemisso praelectioni musicae, in ludo Senatus Lipsiensis ad D. Thomam, Lipsiae, 1600 in 8º. Quest'opera contiene i principali avvenimenti della storia della musica ben seguiti ed esattissimamente sviluppati. 2. Exercitationes musicae tres de praecipuis in arte musicâ quaestionibus institutae, Lipsiae 1611, in 8º. 3. Il 115º salmo per dodici voci in tre cori, Lipsia, 1615 in fol. 4. I salmi di Davide posti in canto da prima dal fu Mr. Cornelio Becker, e ridotti a quattro voci da Seto Calwitz, Lipsia 1617, in 8º, e molte altre composizioni per chiesa.

Calvoer (Gaspare), nato a Hildesheim li 8 novembre 1650, morto nel 1725, sovrintendente a Clausthal. Oltre la piccola opera intitolata: De musicâ ac sigillatim de ecclesiasticâ eoque spectantibus organis, Lipsiæ 1702, in 4º, di cui parla Walther, ha trattato ancor della musica di chiesa nel vol. 2º del suo Rituale ecclesiasticum. Scrisse eziandio l'introduzione alla temperatura pratica di Sin, che contiene alquanti arcani della musica, e che si trova ancora nel Vorhemache der gelehrsamkeit: ossia gabinetto di erudizione di Falsio, pag. 567 – 624. Fu ancora Calvoer che incoraggiò e sovvenne il giovane Telemann, per fargli proseguire la carriera musicale, che egli senza lui avrebbe abbandonata.

Cambini (Giuseppe), nato in Livorno verso il 1750, si stabilì a Parigi dopo il 1770. Nella sua giovinezza ebbe la riputazione di eccellente violinista. Le sue opere impresse sono: Cinque dozzine di sinfonie; dodici dozzine di quartetti concertanti pel violino: più opere di trio, duetti e di sonate sì per violino, come per il forte-piano, il flauto e 'l violoncello. La sua musica instromentale è stata ricercata dagli amatori all'epoca della sua pubblicazione; la cantilena ne è amabile e corretta la composizione. Cambini non si è limitato a comporre solo della musica, egli pubblicò nel 1788, diversi solfeggi, di una difficoltà che va per gradi, per l'esercizio del fraseggiare, dello stile e dell'espressione, con alcune necessarie osservazioni ed un basso in cifre per l'accompagnamento. Si dice ch'egli abbia in manoscritto un suo Trattato di composizione, che studiato aveva sotto il pad. Martini.

Campbell (dottor), professore di medicina in Edimburg, pubblicò ivi nel 1777 una sua opera col titolo: De musices effecta in doloribus leniendis aut fugiendis. Il dr. Lichtenthal la cita con elogio nel suo Trattato dell'influenza della musica sul corpo umano (Milano, 1811).

Campion, membro dell'Accademia di musica di Parigi, sul principio del secolo 18º, diè al pubblico un Trattato di accompagnamento e di composizione secondo la regola delle ottave di M. Maltot, suo predecessore nel posto all'Accademia.

Campioni (Carlo-Antonio), maestro di cappella del gran duca di Toscana dopo il 1764 viveva da prima in Livorno, d'onde fece incidere in Londra i suoi trio per violino. Facevasene allora così gran conto che furon contraffatti in Olanda e in Germania. Divenuto maestro di cappella travagliò per la chiesa. Nel 1767, compose un Te Deum che fu eseguito da un'orchestra di dugento persone. Egli possedeva una delle più belle collezioni di musica vocale de' maestri del secolo 16º, e 17º (V. Burney t. 1.).

Camprà (Andrea), nato a Aix nella Provenza nel 1660, fu successivamente maestro di musica delle cattedrali di Tolone, di Arles, di Tolosa e venne nel 1694 in Parigi, ove fu ricevuto maestro di cappella della cattedrale. Dopo avere lungamente goduta la più grande riputazione, morì a Versaglies nel 1744 in età di 84 anni. “Due uomini, dice l'ab. Laugier, si sono particolarmente distinti nella composizione de' religiosi nostri cantici; Camprà e la Lande. Camprà uno de' più bei genj per la musica, che siano ormai comparsi, tutto dovette alla natura, e non gli fu d'uopo di studio se non per lo sviluppo di tutte le molle di sua brillante immaginazione. La Lande men felicemente nato per giugnere alla perfezione, fu obbligato a spianarsene il cammino mercè un'assidua ed ostinata fatica. Il primo, più fecondo e più ardito, fu alcuna volta il bersaglio della troppo grande sua facilità. Il secondo, più riserbato e più saggio, fu sovente troppo schiavo della severa sua correzione. Camprà, spirito vivace e leggiero, non si diè mai la pena di limare e finir le sue opere; tutto vi comparisce tocco al primo colpo; ma con un sì prodigioso naturale, che si crederebbe i suoi canti essersi fatti da per loro medesimi, e che per comporli, egli non ha avuto bisogno che scriverli. La Lande, spirito lento e riflessivo, nulla ha prodotto che non sia travagliato all'estremo; si sente che egli ha ritoccato più volte, che non è riuscito se non a forza di studio e di pazienza. Camprà non è stato pressochè mai mediocre: o è sublime, o è piano: o niente egli esprime, o esprime divinamente, è un fuoco che scintilla e si estingue; egli ha dei slanci che incantano e dei sdrucciolamenti che rivoltano; quand'egli ha delle grazie, le ha tutte; quando piace, niuno quant'egli. La Lande, più sostenuto, è molto uguale a se medesimo; egli non è abitualmente sublime, e non è mai pur basso: la natura non sempre il serve bene, l'arte mai l'abbandona: trovansi di raro in lui que' pezzi amabili, che Camprà rende così ingenui e così toccanti quando gli riesce di far bene; ma non vi si scorgono, come in cotesto, di que' luoghi comuni e triviali, che sono il supplizio delle orecchie delicate. Il carattere di la Lande è più serio: quel di Camprà è più ridente: la musica del primo è sempre più dotta; quella del secondo è abitualmente più vera. La Lande è un artista che maggiormente si stima; Camprà è un seduttore che infinitamente fa amarsi.” (Apologie de la musique p. 122). Passa quindi l'ab. Laugier a far l'analisi della musica dei Salmi composti da Camprà. “Evvi, egli dice, un'immagine più nobile delle grandezze di Dio, quanto il Quis sicut Dominus del suo Laudate pueri? un'espressione più forte della di lui onnipotenza, quanto il Conturbatæ sunt gentes, grandioso magnifico coro del Deus refugium? una più ardita insinuazione della confidenza che Dio inspira, quanto il Propterea non timebimus del medesimo salmo? un quadro più soave delle sue bontà come il Memoriam fecit del Confitebor? una rappresentazion più naturale della fuga miracolosa delle onde in presenza di Mosè, come il Mare vidit et fugit dell'In exitu? e cento altri ammirabili luoghi, che dico? anzi inducenti alla disperazione per tutti coloro che hanno a percorrere la stessa carriera, ec.” (ibid.)

Cannutiis (Pietro de), di Potenza nel regno di Napoli de' frati minori conventuali, e professore di musica su la fine del 15º secolo; da Tevo e da Martini viene annoverato tra gli autori di musica, perchè nel 1501, pubblicò egli in Firenze un trattato col titolo di Regulæ florum musicæ (Walther).

Canovio (Alessandro), uno de' più dotti italiani che nel 15º secolo coltivarono la teoria musicale: scrisse su i principj specolativi di quest'arte, che manoscritti conservansi nella biblioteca dell'Istituto di Bologna, e di cui fan menzione Haym e Fontanini nella loro Biblioteca italiana. Un altro dello stesso nome Canovio assai più recente fece imprimere verso il 1780, in Parigi sei duetti per flauto e violino, ed altrettanti in Venezia.

Cantemiro (Demetrio), principe di Valachia al servigio di Pietro il Grande imperator delle Russie, celebre per le vaste sue cognizioni nelle scienze, è stato direttore dell'Accademie di Pietroburgo. Egli morì nelle sue terre d'Ucrania in molta stima presso a' suoi sudditi nel 1723. Tra le molte di lui opere vi è ancora un'Introduzione alla musica turca, stampata in lingua moldava; e nella sua Storia compita della Turchia egli dice di essere stato il primo ad introdurre nel 1691, le note della musica presso i Turchi in Costantinopoli, e che egli ha formato non solo una collezione di canzoni turche, ma anche un'istruzione su la musica di questa nazione. Quest'ultima, come ce lo assicura Mr. Reichardt, si è perduta nel mare; ed in quanto alle note, niun Turco oggidì ne ha la menoma cognizione (V. Hunstmagazin).

Capella (Marziano Mineo Felice), nato in Africa, viveva in Roma verso l'anno 490 di G. C. onorato come si crede, della dignità proconsolare. Egli fu uno de' pochi latini scrittori della greca armonia: il suo barbaro poetico-prosaico, e greco-latino linguaggio, e la sua affettata e dura collocuzione sono manifesti indizj di aver egli scritto in assai barbari tempi. Coll'occasione di qualche maritaggio (per quanto pare del suo scritto) della primaria nobiltà, compose egli le Nozze della Filologia, nel cui nono libro dà un compendio degli scritti armonici di Aristide Quintiliano. Egli scrisse da poeta non mai da armonico, comeché il di lui compendio non sia privo dell'intelligenza dell'arte. Meibomio ha dato questo suo libro di Musica nella raccolta dei Greci Musici alla fine del secondo tomo, a Amsterdam 1652, in 4º. Marciano mette in bocca d'una Dea il suo ragionamento dell'armonia, benchè questa s'ignorasse allora dai mortali. La divisione della battuta in otto parti non si trova che in questo scrittore, quantunque non sia aliena da' Greci pratici: del rimanente costui nulla ha di nuovo, e detta il sistema equabile de' Greci tale, quale si trova nel primo libro di Aristide. L'erudizione da lui raccolta alla pag. 177 di quella edizione, sopra i prodigj adoperati dalla musica, deve considerarsi come una finzion da poeta: manca in questi l'esattezza storica e regna l'iperbole da per tutto. Pur nondimeno tutta l'enciclopedia de' secoli barbari consisteva in questo libro delle Nozze filologiche, ossia Trattato delle sette Arti liberali di Capella, come espressamente lo dice Gregorio di Tours nel libro decimo della sua storia.

Capelli, compositore italiano de' nostri giorni, ha scritto la musica del dramma di Achille in Sciro, e quella del salmo 116º in latino a quattro voci, con molte altre ariette e cantate. Nel 1783, comparve di lui nel pubblico una canzonetta di Metastasio con accompagnamento di un Violino, e nella Gazzetta di musica di Bossler, trovasi in oltre di sua composizione una scena di un'opera italiana, per un soprano, in partitura.

Capocino (Alessandro), nato nel ducato di Spoleto, viveva in Roma nel 1620, ove ha egli scritto cinque libri di musica. (V. Joecher)

Capranica (Cesare), maestro di musica in Roma sulla fine del secolo 16º, diè quivi al pubblico: Brevis et accurata totius Musicæ notitia, Romæ 1591, in 4º. Quest'opuscolo poco interessante fu ristampato in Palermo nel 1702, per opera di don Vincenzo Navarra prete beneficiato della cattedrale, con alcune di lui correzioni. Della stessa famiglia Capranica di Roma troviamo ne' Viaggi musicali di Burney, (tomo 11), una giovine cantatrice Rosa di nome, allieva della Mingotti, dopo il 1773, a Monaco al servigio dell'elettor di Baviera. Essa veniva allora da Roma, e cantava con una straordinaria nettezza; e di una maniera molto aggradevole.

Caprara, maestro di cappella dell'imperatore in Vienna, nel 1736 vi dirigeva al teatro di quella città una numerosa orchestra de' migliori musici.

Caramuele de Lobkowitz (Giovanni), dottore e professore in teologia, vescovo di Vigevano, dell'ordine de' Cisterciensi, nato a Madrid nel 1606, oltre a molte sue opere di altro argomento una ven'ha pubblicata in Roma su la musica, ella ha per titolo: Arte nueva ec. cioè Nuova arte della musica inventata da san Gregorio nel 600; corretta l'anno 1026 da Guido Aretino; restituita alla primiera sua perfezione l'anno 1620, da Fr. Pietro de Urenna, ora ridotta a questo breve compendio, l'anno 1644, in 4º, Roma. La stessa opera è stata impressa ancora in Vienna nel 1745. Chi ne brama ulteriori dettagli, potrà consultare Walther e Arteaga, tom. I, cap. 4, pag. 203.

Carapella (Tommaso), maestro di cappella in Napoli verso il 1700. Il P. Martini nella sua Storia parla vantaggiosamente del di lui stile madrigalesco. In Napoli si è stampata nel 1728 una collezione di cantate a 2 voci composte da questo autore.

Carbasus (L'abbate). Nel 1739, comparve sotto questo nome un opuscolo in 12º, col titolo di Lettre sur la mode des instrumens de musique: M. de Boisgelou riguardava come pseudonimo quest'autore.

Carbonel (Gius. Franc. Narcisso), figliuolo di Giuseppe Natale Carbonel inventore di uno stromento detto galoubet, e morto nel 1804, nacque in Vienna d'Austria nel 1773. Allorchè i suoi parenti vennero a Parigi egli non aveva più di cinque anni: suo padre insegnogli gli elementi della musica, ed allorchè si stabilì la scuola reale del canto verso il 1783, egli fu del numero de' ragazzi scelti per entrarvi, e vi proseguì in una maniera più estesa, i suoi studj musicali. Fu anche del numero di coloro, le di cui felici disposizioni dando delle speranze, meritarono delle pensioni. Benchè allievo, egli esiggeva 400 lire per anno. Aveva allora una graziosa voce di soprano, e cantava in tutte le messe solenni eseguite nelle chiese di Parigi: a quest'epoca cantò tre volte sin nella cappella del re, ove i capi della scuola reale desideravano di farlo sentire. Egli fu allievo nella scuola di Gobert per il cembalo; di Rodolphe e di Gossec per l'armonia e la composizione; di Piccini, Langlé e Guichard per il canto. Verso il 1787, egli fece eseguire al Concerto Spirituale una scena di sua composizione (la Morte del principe Leopoldo di Brunswick). Egli stesso cantovvi la prima aria con la sua voce di soprano; ma nello spazio de' due pezzi che cantavano Rousseau e Chardini, la commozion naturale a un ragazzo di quattordici anni produsse in lui tale rivoluzione, che affrettò il cambiamento della sua voce, e senza avere provato altro effetto della mutazione, cantò egli il trio che termina la scena, metà in voce di soprano, metà in voce di tenore. Dopo quest'epoca non ha conservati che de' tuoni medj bastanti per dare le sue lezioni come professore di canto. Tra gli allievi ch'ha formati in Parigi, vi si distingue Mad. Scio celebre attrice del teatro Feydeau. Carbonel è autore di più scene ed oratorj eseguiti nel Concerto Spirituale, e di tre opere di sonate per il piano-forte stampate con altri pezzi separati in Parigi.

Carcani (Giuseppe), maestro di cappella agl'incurabili in Venezia, nato a Crema nella terra ferma, cui propose il medesimo Hasse per suo successore, allorchè lasciò quel posto per rendersi a Dresda. Si conservano ancora molte di lui composizioni: nel 1742, egli compose l'opera Amleto per il teatro di Venezia. Egli fu uno de' primi, secondo il Carpani, a scrivere delle sinfonie in Italia, secondo l'uso di allora, a primo e basso e non più. (V. letter. 1.)

Caresani (Cristofaro), organista nella real cappella di Napoli verso il 1680, viene annoverato tra i migliori compositori del suo tempo. I suoi duetti, che comparvero nel 1681, sono singolarmente pregiatissimi: i terzetti o solfeggi, esercizj a tre voci su gl'intervalli della scala che le vanno appresso, dovrebbono essere in tutti i conservatorj e in tutte le scuole di canto. Mr. Choron li ha inseriti nel libro IIº de' Principj della Composizione delle scuole d'Italia, Parigi 1808.

Carestini (Giovanni), detto il Cusanino, dalla famiglia dei Cusani di Milano, che lo prese sotto la sua protezione dall'età di dodici anni, nacque a Monte-Filtrano nella Marca di Ancona, e brillò quasi per quarant'anni su la scena, come uno de' primi cantanti. Dal 1733 sino al 1735, cantò in Londra sotto Hendel; fu quindi a Parma, d'indi a Berlino nel 1754. L'anno di poi fu finalmente a Pietroburgo, nel teatro dell'opera sino nel 1758, che fu l'anno medesimo in cui fè ritorno alla sua patria per gustarvi il riposo, ma poco tempo dopo egli vi finì di vivere. Hasse ed altri gran maestri dicevano che nulla erasi inteso quando non si fosse inteso il Carestini. Non ostante la sua gran perfezione, ei studiava continuamente, e un giorno rispose ad un amico che avendolo sorpreso in tale occupazione, glie ne mostrò la sua sorpresa: Come volete che io soddisfaccia altrui, se io non so soddisfare me stesso. Egli aveva nel medesimo tempo l'azione così perfetta, che unita alla sua bella figura, sarebbe stata sola bastante per renderlo famoso. Quantzio parlando di lui, così s'esprime: “Aveva egli una delle più forti voci di contralto; saliva dal re sino al sol: era inoltre sommamente esercitato ne' passaggi che egli eseguiva a via di petto, conforme a' principj della scuola di Bernacchi, e della maniera di Farinelli. Era egli assai ardito, e spesso felicissimo nelle variazioni.” In Dresda e a Berlino fu principalmente ove si perfezionò nell'esecuzion dell'adagio.

Carilles (Pasquale), nato in Madrid nel 1770, fu allievo di Manuele Carilles suo padre, violinista della cappella reale di S. M. Cattolica. I suoi grandi progressi sul violino lo fecero entrare ne' suoi più freschi anni presso la duchessa di Ossuna sino al 1788. Egli occupò nello stesso tempo il posto di violinista al teatro del Los canos del Peral, come nella real cappella di Lasdelcalzas. Da quest'epoca sino al 1792, percorse la Spagna: al suo ritorno in Madrid, fu successivamente primo violino della musica del fratello del duca di Medina-Celi, e di quella della Duchessa madre di Ossuna. Nel 1793 portossi in Lisbona, e percorrendo nuovamente la Spagna nel 1797, il suo talento interamente formato gli attirò tutti i suffragj: visitò ancora l'Olanda e l'Inghilterra, ma in Francia la vanità e la millanteria di essersi spacciato in tutte le compagnie di Parigi come il primo violino del mondo, fecelo sfigurare alcun poco. Invitato a sonare il primo di un quartetto di Haydn, in compagnia di Kreutzer, Rode e Lamarre, questi tre bravi artisti postisi a gara a chi meglio di loro adornava le sue parti, lo misero in tal disordine che il povero Carilles restò compiutamente smarrito, e bisognò tornarsene prestamente in Ispagna. Ma nel 1800, fecesi sentire con applauso e con buon successo a Bordeaux, a Tolosa, a Marsiglia, a Lione e finalmente in Parigi sul teatro dell'Accademia; egli si è ora stabilito a Nantes, ed applicato a tenere scuola, forma continovamente degli allievi che gli fanno onore.

Carissimi (Giacomo), maestro della cappella pontificia e del collegio di Roma verso il 1609, fu riguardato in tutta l'Europa come il più valente compositor del suo secolo, ed egli ha conservata cotesta riputazione nelle generazioni di appresso. Carissimi fu il maestro di Cesti, di Scarlatti, di Bononcini, di Bassani e di più altri. A lui attribuiscono generalmente gl'Italiani l'attuale modificazione del recitativo, che Caccini, Peri e Monteverde avevano veramente trovato prima, ma a cui non avevano data ancora che imperfetta forma. Carissimi il perfezionò dandogli un canto più facile, più naturale, e vie più ravvicinandolo all'accento del parlar familiare. Egli fu eziandio il primo che diè qualche movimento ed alcune figure al basso, fino allora assai pesante e monotono; idea di cui in appresso si servì Corelli con tanto successo nelle sue composizioni. Fu ancora egli il primo ad unire e introdurre nelle chiese l'accompagnamento della musica instrumentale ne' mottetti; e si dà anche per certo essere egli stato il primo inventor delle cantate: pare pur nondimeno che egli abbia cominciato soltanto a servirsene per la chiesa e per soggetti sacri. Le più celebri fra le sue cantate sono il Giudizio di Salomone ed il Sacrifizio di Gefte. Si fanno generalmente grandi elogi de' suoi mottetti, e si cita particolarmente quello che comincia, Turbabuntur impii: Galuppi facevane grande stima. Il suo stile era dolce, fluido, senza che perciò fosse men sublime e men nobile. Signorelli dice che quando egli veniva lodato per la facilità del suo stile, rispondeva: Ah! questo facile quanto è difficile!

Carlenças (Giovenale de), autore di un'opera intitolata: Essai sur l'histoire des belles lettres, des sciences et des arts, 4 vol. in 8º, 1751. Quest'è una storia ristretta dello spirito umano, un colpo d'occhio sopra le scienze, e sopra l'arti d'eloquenza, della poesia, della musica ec. “Esaminare, dice l'autore de la Nouvelle Bibliothèque d'un homme de goût, (Paris 1808, tom. 4), esaminare senza veruna eccezione ciascuna scienza, ciascun'arte in particolare, darne da prima un'idea giusta, chiara, e precisa, fissare ad epoche certe la loro origine, i loro progressi, la lor decadenza, il loro risorgimento; seguirle presso tutti i popoli che le han coltivate, e fare il carattere di tutti quegli che vi si sono distinti o per le loro scoverte, o pe' loro scritti: ecco in qual maniera si è condotto de Carlenças nell'esecuzione del suo libro, e si vede che questo piano corrisponde perfettamente all'idea che fa nascere nello spirito dei lettori il titolo del suo libro.”

Carletti, abbate in Roma, uno dei redattori del Giornale delle belle arti, nella parte della poesia e della musica, che pubblicavasi in Roma nel 1788, e ne' seguenti anni.

Carlo VI, Imperatore di Germania nel 1711, morto nel 1740, gran conoscitore ed amatore della musica e fornito di tutte le cognizioni che formano un vero virtuoso. Egli stabilì in Vienna un musico liceo, dove insegnavasi a tutto rigore il contrappunto, massimamente il fugato: era egli stesso gran contrappuntista e dilettavasi moltissimo a comporre e a cantare de' canoni, ch'egli inoltre faceva scrivere da' migliori maestri italiani e tedeschi. Un giorno ch'egli sonava al forte-piano lo spartito di un opera di Fux, suo antico maestro di cappella, che gli volgeva le foglie, esclamò questi con entusiasmo: Ah! vostra Maestà potrebbe esser maestro di cappella da per tutto! Al suo tempo il gran Porpora se ne viveva povero ed ozioso in Vienna, perchè la sua musica non piaceva a quell'intelligente sovrano, trovandola troppa piena di trilli e di mordenti. Hasse detto il Sassone, che era allora maestro della sua Corte, e che stimava il Porpora, dopo aver fatto un oratorio per S. M. ebbe l'ordine di farne un secondo. Egli, che era ottima persona, pregò il direttore dalla musica di corte perchè ottenesse da S. M., che in vece sua lo scrivesse il valente Porpora. Fattane la proposizione al sovrano, rispose egli da prima che non amava quello stile caprino e balbettante; ma lodata la generosità del richiedente, finì col dire che, se ciò stavagli a cuore, glie lo accordava. Hasse tutto lieto corse colla buona novella al collega, ma lo avverte di moderarsi ne' trilli. Porpora scrive, e per tutto l'oratorio non mette un trillo, un mordente. Si fece al solito la prova generale davanti all'imperatore, il quale incantato della nuova maniera del Porpora, andava dicendo “È tutto un altro: non vi son trilli;” quando eccoci alla fuga che chiudeva il sacro componimento, e che? Comincia il tema da quattro note trillate, e d'un trillo passandosi nell'altro, così si forma il soggetto. Ognun sa, che nelle fughe il soggetto scorre da una all'altra parte e si rimescola, senza mutarsi. Quando l'Imperatore, che dicono non rideva mai, udì nel gran pieno della fuga questo diluvio di trilli che pareva una musica di paralitici arrabbiati, non potè più contenersi, e proruppe in uno scoppio di ridere clementissimo che fece poi la fortuna del Porpora. Alla protezione e all'onore di poeti cesarei da Carlo VI accordato al Zeno e al Metastasio dee la musica i preziosi loro drammi, che tanto contribuirono a' suoi rapidi avanzamenti e alla sua perfezione.

Caroli (Angelo), buon compositore in Bologna verso il 1710, era partigiano dell'accompagnamento di gran rumore, di cui da qualche tempo in quà si è fatto tanto abuso. Nel 1723, egli pubblicò quivi l'opera in musica Amor nato tra l'ombre, ed alcuni anni più tardi una bellissima serenata, che ebbero allora un felice successo.

Carpani (Giuseppe), buon poeta italiano ed intendentissimo di musica a' nostri tempi, non so se della stessa famiglia di Gaetano Carpani, compositore per chiesa verso il 1750; egli ha pubblicato in Milano nel 1812 le Haydine ovvero Lettere su la vita e le opere del celebre maestro Giuseppe Haydn dedicate al R. Conservatorio di musica di Milano, in 8º. Ecco l'idea che dà egli stesso di quest'opera. “Io scrissi unicamente, (son le sue parole) per l'onore di un Artista incomparabile, e pei progressi di un'Arte che amo sopra ogni altra, e vorrei perciò esser letto da tutti, e per le curiosità che contengono, non che per le musiche quistioni che vi si agitano, potranno non dispiacere… Io mi son uno che nato nel paese della musica, e dotato dalla natura di due buone orecchie, sentii fin dalla culla amore per questa dolcissima Arte, pascolo delle anime grandi, sollievo delli infelici, e trattenimento quasi universale d'ogni Essere animato. Non contento della fisica dilettazione, amai d'internarmi nella metafisica di questa scienza, e scoprirne, per quanto era concesso al mio tenue ingegno, le fonti e le ragioni del bello che è a lei proprio, onde vieppiù gustarlo. Contrassi perciò amicizia con molti de' più celebri artisti del p. p. secolo, che fu il secol d'oro della musica, e singolarmente col maestro Haydn, che il padre dee dirsi della musica istrumentale. Questi studj, e questi legami mi posero in istato di compilare la vita di Haydn, e di favellare della di lui arte. È innegabile che questa scienza va ognidì più decadendo, perchè, abbandonate le tracce de' buoni compositori, si è andato in cerca di novità pericolose”. (Triste, tristissima verità, che non può abbastanza inculcarsi a' giovani compositori d'oggigiorno!) “E gli uni hanno sostituito il capriccioso al vero, altri l'erudito al bello, e quasi tutti hanno confusi i generi, e volte le spalle alla natura; con che un bello fittizio si è introdotto, che invece di parti luminosi, produce degli aborti di effimera durata. Mi parve ciò posto, opera e dovere d'ogni buona persona l'opporsi, per quanto da noi dipende, e far argine a questa rovina”. Questo dotto biografo di Haydn tesse adunque con i lumi di una sana e giudiziosa critica la storia dell'arte musicale dello scorso e del presente secolo in quindici lettere, in uno stile facile e grazioso, evitando, come dice egli stesso, le aride espressioni tecniche e le astruse ricerche dell'acustica e del contrappunto, ed occupandosi principalmente della parte estetica, che d'ordinario è la più trascurata dai maestri e che ha più bisogno delle altre di essere inculcata.

Carré (Luigi), dell'Accademia delle Scienze, morto in aprile del 1711; fu incaricato dall'abbate Bignon di fare la descrizione di tutti gl'istrumenti in uso nella Francia. Egli pubblicò pienamente una Teoria generale di suono, e nel 1709, diè la proporzione che aver debbono i cilindri, per formare, col mezzo de' loro suoni, gli accordi della musica.

Carré (Fra Remigio), monaco benedettino laico, è autore del Maestro de' Novizj nell'arte del cantare, Parigi 1744, in 4º. Nel Giornale de' Letterati, che stampavasi in Parigi, dell'anno 1745, si fa l'elogio di questo libro. All'articolo della voce, il frate Remigio fa il panegirico del vino, lo raccomanda per tutti i morbi, e dice: Il vino solo senz'altro fa quasi altrettanto che gli altri medicamenti insieme. Vi si trovano ancora alcune altre proposizioni che non sono men curiose e bizzarre.

Cartaud de la Vilate (Mr.), autore di un Essai historique & philosophique sur le goût, a Paris 1735, in 12º. Nella seconda parte di questo Saggio vi si trovano molte riflessioni che fa quest'autore su la musica in generale, su la musica italiana, su la francese, e su i cambiamenti da alcuni anni in quà fatti in quest'ultima. “I partigiani di Lully, egli dice, gridano che l'armonia prende un tuono geometrico che disgusta il cuore: convengono essi, che questa musica è dotta e bene eseguita, ma che interessa meno le passioni di quella del Lully. De' begli accordi ben variati, ma sprovveduti di sentimento, sono effettivamente uno studio per gl'intendenti, e cagione di noja e di sonno per quei che temono si fatte ostruzioni.” L'autore per ultimo esamina in che consiste il Geometrico dell'armonia. Pare che egli intenda poco questa materia.

Cartier (Giovan-Battista), nato nel contado di Avignone, fu scolare del Viotti per il violino nel 1783. Egli entrò nell'orchestra dell'opera nel 1791, e Paisiello il nominò nel 1804, membro della musica particolare di S. M. Senza che fosse egli professore del Conservatorio di Parigi, Mr. Cartier ha contribuito con le sue opere a formare i migliori violinisti usciti da quella scuola. Egli ha dato successivamente le tradizioni di Corelli, di Porpora e di Nardini, pubblicando le sonate di questi tre valenti maestri. Segli deve in oltre l'Arte del violino, ossia la Divisione delle scuole, per servir di compimento al metodo di violino del Conservatorio, in un vol. in fol. Ella è questa una scelta delle migliori sonate estratte dalle opere de' violinisti delle tre scuole, Italiana, Francese e Tedesca. Mr. Cartier promette di recente la tradizione dell'Arte dell'archetto di Tartini, e un Saggio storico e ragionato sopra l'arte del violino. In tutte le orchestre de' teatri di Parigi vi sono de' di lui allievi, che fanno molto onore al maestro e all'arte.

Caruso (Luigi), compositore distinto e vivente tuttora dell'Italia, nato in Napoli da un padre maestro di cappella, e fratello di Emmanuele Caruso abile cantante di tenore, da più anni stabilito in Palermo in servigio delle chiese. Luigi nel 1777, scrisse in Firenze, il Medico magnifico: ed il Fanatico per la musica in Roma nel 1781; questa musica diè molto nel genio de' Romani, e fece al suo autore gran nome in Italia; nel 1787, e 1788 scrisse egli il Maledico confuso, la Tempesta ed il Colombo tutte e tre per Roma, e Gli Amanti dispettosi per Napoli. È anche conosciuto in Germania per diverse composizioni di musica vocale.

Caruzio (Gaspare-Ernesto), al servigio dell'Elettore di Brandeburgo, ed organista a Custrin, eccellente maestro nella sua arte, vi fece imprimere nel 1603, un'opera intitolata Examen Organi pneumatici.

Casa (Girolamo della), udinese, professore di musica su la fine del quindicesimo secolo. Oltre più madrigali da lui raccolti di diversi autori, egli scrisse ancora un trattato con questo titolo: Il vero modo di diminuire con tutte le sorti di stromenti, il quale è divenuto rarissimo.

Casali (Giovan-Battista), valente maestro di cappella di san Giovanni di Laterano in Roma nel 1760, autore di un gran numero di messe, d'oratorj ed eziandio di opere teatrali. Il suo stile era assai brioso e nitido: egli ebbe per allievo il celebre Gretry.

Casali (Ludovico) di Modena, autore di un libro intitolato: Le Grandezze e Maraviglie della musica, Modena 1629. Il P. Martini lo cita con elogio nella sua storia.

Casella, cantore e compositore in musica, contemporaneo di Dante e suo intimo amico, viveva in Firenze verso il 1280. “Fu costui Musico eccellentissimo, dice l'annotatore di quel poeta, e come s'intende da' suoi versi di lui amicissimo, e un uomo di natura facile e compagnevole.” Egli è il primo compositore di madrigali che si conosca. Nella biblioteca del Vaticano si vede un madrigale del 1300, sul quale è rimarcato Casella come autore della musica; e più altri ancora ne compose di Lemmo pistojese. Egli morì prima del 1330, poichè fa di lui onorevole menzione il Dante nel canto, secondo del Purgatorio – Casella mioSe nuova legge non ti toglieMemoria o uso all'amoroso cantoChe mi solea quetar tutte mie voglieDi ciò ti piaccia consolare alquantoL'anima mia, ec.

Caserta (Filippo di), antico scrittore di musica, di cui fa menzione il Gaffurio nella sua musica pratica, Martini e Gerbert nella Storia. In un codice manoscritto di Ferrara del secolo 15º, si legge la di lui opera De diversis figuris.

Casimir (Luigi-Arrigo Brecker, detto), nato in Berlino nel 1790, dalla Prussia fu portato in Francia all'età di dieci anni dalla cel. madama de Genlis, che dopo questo tempo il fece suo allievo e scolare per l'arpa, ch'egli ha sonato in pubblico con i più brillanti successi. “Questo Giovane virtuoso ha veramente perfezionato uno dei più belli istromenti che si conoscono, mostrando che possono eseguirsi sull'arpa le più difficili sonate per il piano-forte, e che eziandio possano sonarvisi le difficoltà impossibili ad eseguirsi sul clavicembalo. Egli è il solo sonator d'arpa che faccia uso delle due piccole dita, come sul forte-piano, e che produca con ambe le mani de' suoni armonici con una prestezza estrema. È inoltre il solo, la cui arpa sia montata di corde eccessivamente tese, il che richiede una particolare forza; e rende il suono dell'arpa infinitamente più bello. Egli ha sonato finalmente in pubblico alcuni pezzi di sua composizione, fra l'altre una Marcia a battaglia, e un rondò che hanno prodotto grandissimo effetto. Dicesi in oltre che questo giovane e sorprendente artista, possegga per altro varj talenti. Non si è entrato giammai nella carriera delle arti d'una più brillante maniera, e con vantaggi così insieme riuniti” (Mad. Genlis).

Casini (Giovammaria), fiorentino, dotto compositore su i principj del p. p. secolo, pubblicò in Roma: op. 1, Moduli 4 vocibus, 1706; Pensieri per l'organo in partitura, op. 3, Firenze 1714; ed inoltre: Tastatura per levare le imperfezioni degli strumenti stabili, ove pretende rinovare li perduti antichi Generi con moltiplicare gli ordini de' Tasti, onde non solo in tal sorta di strumenti vi si trovassero tutti i semituoni diversi, come diesis e come bemolli, ma fin tutte le voci corrispondenti agli intervalli della musica greca in qualsivoglia Genere, ed in ogni varietà di ciascun Genere (V. Martini, Tom. I, Dissert. 1.)

Cassiodoro (Magno Aurelio), nato da un'antica famiglia Romana nella Lucania l'anno 472, fu console romano, ed impiegò presso il goto re d'Italia Teodorico tutto il suo credito, le sue ricchezze e la sua dottrina per far risorgere l'antica coltura degl'Italiani nelle arti e nelle scienze. Sotto il re Vitige, dopo aver resi degli importanti servigj allo Stato ed alle Lettere, ritirossi dalla Corte in un monistero da lui fondato in Squillaci sua patria, dove avendo preso l'abito religioso più non si occupò che della sua salvezza, de' suoi studj, e de' mezzi di eccitare gli ecclesiastici a coltivar le scienze sacre e profane. Egli procurava di svegliar l'antico amore de' Romani per gli studj, e volendo far lo stesso co' suoi monaci, li providde di una gran Biblioteca, ed impiegò una porzione de' suoi tesori a cercare da per tutto i buoni manoscritti, ch'egli fece copiare, e di cui ne accrebbe il numero con una diligenza incredibile. Egli morì nel 575, nella decrepita età di 93 anni. Fra' suoi studj egli non aveva trascurata la musica: mentre era ancora nel secolo aveva nella sua Biblioteca in Roma raccolti alcuni libri intorno a questa scienza sì greci, che latini, tra' quali, dice egli stesso, esservi stati quei di Albino uomo proconsolare, che fu il primo tra' latini a scrivere di questa facoltà, probabilmente sotto Augusto, e che Cassiodoro dice di avere smarriti nell'invasione de' Barbari. Aveva inoltre fatto recare in latino dal suo amico Muziano il libro della Musica del greco Gaudenzio. Scrivendo finalmente a' suoi monaci le Istituzioni delle divine ed umane lettere, nel secondo libro che tratta delle sette discipline, dà loro un Compendio di musica, nella quale saggiamente voleva egli che fossero istruiti. Il principe abbate Gerbert ha inserito nel primo volume de' suoi autori di musica questo trattato di Cassiodoro, da lui intitolato: Institutiones musicæ.

Castel (Luigi Bertrando), geometra e filosofo nato a Montpellier nel 1688, fecesi gesuita nel 1703. Fattosi conoscere da Fontenelle e dal p. Tournemine per alcuni abbozzi, che annunziavano i più gran successi, costoro il chiamarono dalla provincia nella Capitale nel 1720, e sostenne quivi l'idea che i suoi Saggi dato avevan di lui. La sua Mattematica universale nel 1728, in 4º, fu applaudita in Inghilterra e in Francia; la società reale di Londra aprì le sue porte all'autore. Il suo Clavecin oculaire, di cui annunziò il progetto sino dal 1725, e ne sviluppò tutta la teoria all'ill. Presidente de Montesquieu ne' sei ultimi volumi del giornale di Trevoux del 1735, servì a far conoscere la tempra del suo spirito naturalmente facile e fecondo nell'inventare. Egli fu trasportato dalla vivacità di sua immaginazione, e passò la più parte di sua vita nell'esercizio quasi meccanico del suo Clavicembalo oculare, progetto che fece allora gran rumore, ma fu ben tosto messo in oblio qual progetto bizzarro e impossibile ad eseguirsi: “Non vi ha sorta alcuna di assurdità (dice su questo proposito il ginevrino filosofo) a cui le osservazioni fisiche non abbian dato luogo nella considerazione delle belle arti. Nell'analisi del suono si sono trovati i medesimi rapporti che in quelli della luce. Ben tosto si è spiritosamente abbracciata cotesta analogia, senza imbarazzarsi dell'esperienza e della ragione. Lo spirito di sistema ha confuso tutto, e in mancanza di saper dipingere all'orecchie, si è pensato di cantare agl'occhi. Io ho visto quel famoso clavicembalo, sul quale pretendevasi far della musica per mezzo de' colori; ma ciò era lo stesso che mal conoscere le operazioni della natura nel non iscorgere, che l'effetto de' colori consiste nella loro permanenza, e quello de' suoni nella loro successione”. (V. Essai sur l'origine des langues cap. 16.) Il padre Castel non proponeva da principio i suoi sistemi che come ipotesi: ma poco a poco egli credeva di venire a capo di realizzarli: Montesquieu lo chiamava l'arlequin de la philosophie. Bisogna non per tanto convenire, che questa chimera del suo clavicembalo ha prodotto delle scoverte utili (Veggasi quì l'articolo del p. la Borde). Sarà anche utile il leggere quel che ne ha scritto l'ab. Arteaga, nell'indicare l'analogia e la relazione tra i colori e i tuoni musicali secondo i principj del Newton e del Mairan, benchè convenga poi che nell'esecuzione il Gesuita mostrò più ingegno che giudizio (V. tom. 1 delle rivoluz. in not. p. 10.) Il p. Castel morì in Parigi nel 1757. Se gli attribuiscono due lettere contro la lettera di Rousseau su la musica francese scritte a nome di un accademico di Bordeaux, e pubblicate nel 1754, a Parigi in 12º. Abbiamo ancora di lui: Dissertation philosophique et littéraire?, où par les vrais principes de la geometrie, on recherche si les regles des arts sont fixes ou arbitraires, 1738, in 12º. In questa dissertazione il p. Castel, per farsi vie meglio intendere, applica i suoi principj alla Musica; e scelse tanto più volentieri quest'arte, in quanto non compose egli la surriferita dissertazione se non in occasione di alcune conferenze avute con Rameau: vi si trovano delle buone osservazioni su la maniera di usar le regole, e quando il gusto ed il genio ci obbligano a trasgredirle. Dicesi inoltre che il Rameau si sia servito del p. Castel, perchè raffazzonasse le sue opere di teoria musicale, ove effettivamente si scorge una certa tintura geometrica, di cui non era capace l'artista.

Castillon (Mr. du), della real accademia di Berlino, autore di una Memoria sur les flûtes des Anciens, letta nella pubblica adunanza di Gennaro 1774. Egli fa precedere una notizia di molti autori che hanno trattato dello stesso argomento, benchè con poco buon esito, tali sono stati un Tanneguy Le Fèvre, quel letterato così celebre per le belle opere e per la dotta figlia ch'ei diè alle lettere; tale un Bartholin e più altri: e ciò per avere scritto di un'arte, di cui eglino eran poco intendenti. Ma siete voi Musico? Se io rispondessi, egli dice, che nella mia gioventù le mie dita impararono con arte il manico di un violino, e la tastatura di un cembalo, mi si replicherebbe senza dubbio che un cembalo ed un violino non sono un flauto. Dirò adunque che io non sono stato costretto di andar molto lungi per trovare un pò di letteratura unita alla teoria della musica ed alla pratica del flauto. L'autore procura di provare che gli antichi non avevano che delle spezie d'oboè, cioè di Flauti che risonavano per via di linguette; che questi flauti erano di due sorti, l'una avente la linguetta a scoverto, come nei nostri oboè; l'altra con la linguetta occulta, presso a poco come nelle trombette dei ragazzi. Questa Memoria vien terminata con la spiegazione di alcuni passaggi degli Antichi, e con alcune riflessioni sopra diverse parti degli flauti degli antichi, e sopra i differenti nomi dati a questi flauti, nomi che spesso non sono che degli epiteti poetici (V. Tom. 30 des Mem. de l'Acad. de Berlin 1774.).

Castro de Gistau (Salvadore), d'una nobil famiglia aragonese, nacque in Madrid nel 1770. Come la più parte de' spagnuoli, egli sonava sin da ragazzo la chitarra. Questo passatempo nazionale sviluppò il suo gusto particolare per la musica, che in breve tempo lo mise nel numero degli amatori ricercati nella società. Fornito d'una viva fantasia, si avvide che la chitarra poteva pretendere ad altri vantaggi oltre a quelli di accompagnare il canto degli amanti spagnuoli: fecene adunque uno studio particolare, e applicossi a quello dell'armonia e della composizione, senza voler sortire dalla classe degli amatori. Un talento così ben formato non tardò a farlo ricercare in tutti i circoli, ove gli artisti ragionavano de' suoi successi, ma Mr. Castro, come lo ha scritto Mr. de Boufflers (pag. 479 del Mercurio di Francia del mese di giugno 1809), sapeva, che i più piccoli appartamenti si convengono alla chitarra; che essa non vi fa mai più chiasso di quello che se le domanda; e che con la voce la meno forte fa le veci d'un'amica modesta, sempre attenta a dar risalto alla sua amica, senza pretendere di rivolgere a se l'attenzione. Conoscendo dunque tutto il merito di tale istrumento, e scegliendo giudiziosamente i luoghi ove può far meglio intenderla, Mr. Castro non ha mai avuta pretenzione che quella di non farsi sentire se non in un salone della famiglia, o nel modesto asilo dell'amicizia. Ciò non ostante, l'incantatrice sua maniera di sonarla lo ha fatto desiderar per ogni dove, e specialmente in quei luoghi, come in Francia, ove i successi della chitarra si limitavano a darle la riputazione di uno strumento ingrato. A lui deve quest'istrumento il diritto a nuovi titoli, che con la sua abilità gli ha acquistati: giunto appena in Francia, la musica contò realmente un istrumento di più. Invitato a farlo sentire a Bayonne in un concerto, egli vi eseguì a solo differenti pezzi, che servirono di misura del suo gusto e del suo talento. Questo successo gli preparò la più favorevole accoglienza in Parigi, dove si è stabilito, e dove vien ricercato dalla miglior compagnia: egli vi ha avuto degli illustri scolari. La premura di piacere a tutti avevagli fatto comporre e pubblicare un giornale di chitarra. Quest'opera ha il singolar merito di dare in ciascun numero un pezzo spagnuolo, un italiano, un altro di canto dell'una e dell'altra lingua con accompagnamento, e un pezzo di chitarra, ma scelti sempre nelle composizioni che meglio caratterizzano il gusto particolare di ciascuna delle due nazioni, e che vie più si risentono delle abitudini e de' costumi del paese. Mr. Castro non limita i suoi travagli alla pubblicazione del suo Giornale: egli prosiegue quelli della composizione. Le sue opere hanno un carattere d'originalità ben marcata, che le faranno ricercar sempre da quegli, i quali amano che la musica esprima bene i sentimenti che ella dee dipingere; e Mr. Castro si mostra da dovvero dipintore, nello scrivere un accompagnamento o dei temi, ch'egli sviluppa con tutta la grazia che risiede nella sua feconda immaginazione.

Castro (Rodrico de), medico giudeo nel Portogallo, fece i suoi studj in Salamanca, e vi si distinse talmente con la sua assiduità e le sue cognizioni, che ottenne la dignità di dottore. Verso il 1594, egli si stabilì ad Hambourg: esercitò quivi l'arte sua con molto successo sino al 1627, in cui morì alli 20 di giugno. Oltre a molte opere, egli pubblicò nel 1614 a Hambourg, il suo Medicus politicus, il di cui capitolo decimo quarto del quarto libro tratta dell'utilità della musica nella cura delle malattie.

Catalani (la Signora), celebre cantatrice italiana attualmente in Inghilterra, brillò grandemente nel 1807, nei concerti di Parigi. Niuna l'uguaglia nelle arie di bravura, ma lascia molto a desiderare dalla parte dell'espressione.

Catalisano (Il P. Gennaro), nato in Palermo da un padre maestro di musica bravo contrappuntista, ma di poco gusto nelle sue composizioni: da costui apprese egli i primi elementi di quest'arte, ma entrato quindi nell'ordine dei Minimi, dopo quivi compito il corso de' studj, si diede intieramente a quello della musica. Portatosi in Roma divenne maestro di cappella della chiesa nazionale di sant'Andrea delle Fratte del suo ordine, e quivi pubblicò per le stampe una Grammatica Armonica Fisico-matematica ragionata su i veri principj fondamentali teorico-pratici, Roma 1781, in 4º con varj esempj e figure in rame. L'autore suppone i suoi proseliti iniziati nelle mattematiche, o almeno istruiti del libro quinto di Euclide. Quindi prende egli cominciamento da quanto appartiene alla musica, rimettendo al fine le matematiche nozioni. Cinque capitoli abbraccia l'opera, tre appartenenti al musicale sistema, e due relativi alla matematica. Nel primo capitolo tratta della generazione delle consonanze e delle dissonanze in forza delle proporzioni armonica, aritmetica e geometrica, e de' fenomeni fisico-armonici. Si riserba però a spiegare nell'ultimo capo le proporzioni matematiche. Nel cap. secondo tratta de' precetti particolari dell'armonia, e della maniera di comporre a più parti. Nel cap. terzo spiega i noti artifizj dell'imitazione, del canone e della fuga. Nel capitolo quarto tutto si occupa in trovare dati numeri un mezzo geometrico, aritmetico ed armonico. Nel quinto s'ingolfa nell'immenso mare delle proporzioni numeriche. Leggiadria di stile, colta favella, chiarezza e precisione d'idee, buon metodo, tutto è da desiderarsi in quest'opera. Lo spirito dell'autore agghiaccia quello de' suoi lettori; invano vi cercherebber eglino di che trarre il loro profitto. Senza gusto, senza genio, per la teoria egli copia Mersenne, Rameau e alcun altro più usato: per la pratica dice quel che altri ne hanno già detto e nulla più. Tale in somma è il suo libro, che poche persone a mio credere, aver potranno la pazienza di leggerlo; nè l'avrei avuta io stesso, se non portasse in fronte l'approvazione di sommi uomini, come un Jacquier suo confratello e di gran nome fra' mattematici, un Sabbatini illustre fra' scrittori didattici di quest'arte, ed alcuni altri. Con queste lettere di raccomandigia può viaggiar quanto vuole il suo libro, ma difficilmente troverà ricapito presso gl'intendenti e gli uomini di gusto; lungi dal poter ritrarne la gioventù studiosa dell'armonia una chiara ed utile istruzione. Il pad. Catalisano morì in Palermo nel 1793, poco meno che sessagenario.

Catel (Mr.), nato a Parigi nel 1770, allievo di Gossec e professore d'armonia e di accompagnamento nel Conservatorio, ha composto un gran numero di opere musicali in differenti generi; ma quel che gli ha fatto maggior nome si è il Trattato d'armonia, che ha pubblicato nel 1802, adottato dai direttori del Conservatorio per servire all'istruzione. “Questo Trattato, dice M. Choron (dans la préfac. aux Princip. de composit.), contiene una teoria della scienza armonica, che da alcun tempo in quà, ha fissato l'attenzione degli artisti, e che non può far a meno di non divenire classica. Essa consiste a non considerar come accordi propriamente detti se non quelli, che non hanno bisogno di preparazione alcuna. M. Catel gli chiama accordi naturali, il loro impiego dà l'armonia naturale. L'armonia artifiziale si deduce da questa, mediante il ritardo di una o più parti, che si prolungano su gli accordi seguenti. Questa teoria è straordinariamente semplice e luminosa, e mi è stata sommamente utile.” Quest'idea propriamente parlando, è un'estensione di quel principio del contrappunto, che la dissonanza non è se non la prolungazione della consonanza; ma applicato alla scienza degli accordi, ne ha fatto in certo modo una scienza dell'intutto nuova. Noi ignoriamo se questa teoria appartenga in proprietà a M. Catel, o pur la debba alla scuola d'onde è sortito; ma essendo stato egli il primo ad enunciarla d'una positiva maniera, deesi a lui appartenere l'onor dell'invenzione. Mr. Choron ha aggiunto alcune nuove ed interessanti considerazioni sopra questa materia ne' suoi Principes de harmonie et d'accompagnament à l'usage des jeunes élèves. Le composizioni di Mr. Catel consistono in una massima quantità di musica istrumentale, sinfonie, concerti ec. e in tre drammi: la Semiramide, l'Albergo di Bagneres e gli Artisti per occasione. De' due primi possono leggersene i saggi ed il giudizio nel libro intitolato: Rapport et discussions pour les prix dècennaux, Paris 1810 in 4º.

Cavalieri (Bonaventura) nacque in Milano nel 1598, e giovanetto entrò ne' gesuiti (non nell'ordine de' gesuati, come dicono alcuni dizionarj, che più allora non esisteva). Fu celebre mattematico del suo tempo, della quale scienza fu professore primario nell'università di Bologna fin dal 1629. Morì di podagra nel 1647. Egli era stato discepolo del Galileo, e fu sommamente amato da tutti i letterati ed intimo amico di Castelli, Torricelli e dello stesso Galileo, che nelle opere sue grandemente lo loda. Tra le altre sue opere è molto stimata quella che ha per titolo: Centuria di varj problemi per dimostrare l'uso e la facilità de' Logaritmi nella Gnomonica, Astronomia, Geografia ec., toccandosi anche qualche cosa della Meccanica, arte militare e Musica, Bologna 1639, in 12º. Il dotto ab. Frisi ha scritto un erudito elogio del Cavalieri, Milano 1778, in 8º, in cui lo difende contro alcuni attacchi del Montucla.

Cavaliere (Emilio del), celebre compositore del sec. 16º, nato in Roma, si conta fra quegli che cercarono i primi di levar l'arte in Italia. La corte di Firenze vi contribuì moltissimo nominandolo nel 1570, al posto di maestro di cappella. Egli fu il primo a tentar l'impresa nel genere delle rappresentazioni teatrali scegliendo il più semplice della pastorale, e due componimenti di questa specie intitolati la Disperazione di Sileno, ed il Satiro, lavorati da Laura Giudiccioni dama lucchese, mise egli sotto le note fin dall'anno 1590. Ma non essendo fornito abbastanza di quel talento, nè di quella cognizione della musica antica, che bisognava per così gran novità, e ignorando l'arte d'accommodar la musica alle parole nel recitativo, altro non fece che trasferir alle sue composizioni gli echi, i rovescj, le ripetizioni, i passaggi lunghissimi e mille altri pesanti artifizj, che allora nella musica madrigalesca italiana fiorivano; onde mal a proposito, dice l'ab. Arteaga, è stato costui annoverato fra gli inventori del melodramma da quegli Eruditi, che non avendo mai vedute le opere sue, hanno creduto che bastasse a dargli questo titolo l'aver in qualunque maniera messo in musica alcune poesie teatrali. Quel ch'è certo si è, secondo Burney, che il suo Oratorio Anima e corpo è il primo dramma religioso ove il dialogo si trova in forma di recitativo, e fu rappresentato in Roma nel mese di febbrajo dell'anno 1600.

Cavalli (Francesco), veneziano, è uno dei primi che abbiano composto in Venezia delle grandi opere drammatiche. Egli era maestro di cappella della chiesa di san Marco. Nel 1637, cominciò a faticar pel teatro, e continuò, per più di trent'anni, ad arricchirlo di buone opere, tali sono le Nozze di Teti e di Peleo, nel 1639, la Didone nel 1641, il Romolo ed il Remo nel 1645, l'Elena rapita da Teseo nel 1653, Scipione Africano nel 1654, Pompeo nel 1666, ec. ec. Scheibe, che possedeva l'originale di una di queste opere, dice in una nota del suo Musico critico: “Egli è stato eccellente nel suo tempo; i suoi recitativi sorpassano tutto quello che ho visto d'un Italiano in questo genere. Egli era ardito, nuovo, pieno di espressione, ei sembra essere il primo che per esprimere certe passioni, si è servito della mutazione del genere di tuono. Gl'Italiani, più che oggidì, dovevano allora aver fatto stima della diversità delle voci, poichè si trovano in questo delle voci di tenore e di basso ec.” Il cav. Planelli assicura in oltre nel suo Trattato dell'opera in musica, che “l'opera Giasone del Cavalli è la prima dove si trovi alla fine di alcune scene, la parola Aria in fronte dei pezzi staccati, ne' quali signoreggiavano sì il canto, come gl'istromenti, e che prima di lui, le opere erano interamente formate di un serio recitativo, cui sostenevano gl'istrumenti ed alcuna volta interrompevano”. Presso Baglioni, cose notabili della città di Venezia, trovansi eziandio due passaggi, in cui l'autore rende giustizia ai gran talenti del Cavalli. Il primo, p. 206, dice così: “Per le sue dilettevoli composizioni fu chiamato alla corte di Francia, alla corte di Baviera, dove diede gran saggi della sua virtù”. Il secondo alla pag. 208, è come siegue: “Francesco Cavalli veramente in Italia non ha pari, e per isquisitezza del suo canto e per valore del suono dell'organo, e per le rare di lui composizioni, le quali in stampa fanno fede del di lui valore”. La lista delle costui opere finisce all'anno 1666, ma troviamo che Giovan Fil. Krieger l'incontrò ancor vivente in Venezia nel 1672, e profittò delle sue lezioni per perfezionarsi nella sua arte. (V. Flor. della poes. e della mus., e Marpurg Beytræge, t. II.)

Caylus (Anna-Claudio-Fil. conte di), nato nel 1692 e morto a Parigi nel 1765, celebre viaggiatore ed antiquario. Dopo lunghi viaggi in Costantinopoli ed alle rovine di Troja tornò in Francia nel 1717, e andò due volte in Londra. Divenuto sedentario, non fu nel suo riposo perciò meno attivo, occupossi della musica, del disegno e della pittura. In più di quaranta dissertazioni lette da lui all'Accademia le arti e le lettere danno uno scambievole soccorso allo scrittore; tra gli scritti da lui pubblicati alcuni ve n'ha sulla Musica degli Antichi, sul quale argomento aveva a lui diretta un'eruditissima lettera il suo amico l'ab. d'Arnaud. Il suo epitafio composto da Diderot è singolare: Ci-gît un antiquaire, acariâtre et brusque: – Oh! qu'il est bien logé dans cette crache etrusque: “Quì giace un antiquario un pò ritroso e brusco: – Oh quanto ei bene alloggia in quel vecchio vaso etrusco.”

Caza (Francesco), uno de' letterati italiani del quindicesimo secolo che co' loro scritti diedero opera al rinnovamento della musica. Egli è autore di un Trattato sul Canto figurato: fan di lui menzione l'Arteaga (tom. 1, p. 196) e 'l Bettinelli (Risorgim. d'Ital. tom. II, p. 157, not. 6.)

Celio Aureliano, antico medico Africano, secondo il Reinesio, fioriva verso il quinto secolo dell'era volgare. Nei suoi cinque libri Tardarum passionum, ossia delle malattie croniche tratta egli dell'applicazione della musica alla medicina come antichissima, e riferisce che Pitagora si fu il primo, che l'abbia impiegata apertamente per guarire le malattie. Egli inoltre dice di avere osservati i buoni effetti della musica nell'ischiade, e che quando si cantava o suonava sopra le parti dolorose, saltellavano palpitando, e si allentavano e si ammollivano a misura che svanivano i dolori. (V. Lichtenthal p. 62, e Fabric. Bibl. lat. t. 2, L. IV, c. 12.)

Celestino, maestro di concerto nella cappella del duca di Meklenbourg Schwerin dopo il 1781, era uno de' più grandi violinisti de' nostri giorni. Wolf nel suo viaggio parlando di lui, dice così: “Per giudicare del carattere di un pezzo di musica non gli abbisogna che un solo colpo d'occhio su lo spartito; egli suona con precisione in tutti i tuoni con la più pura intonazione.” Nel 1770 viveva in Roma, dove Burney il conobbe come sonatore principale degli a solo in quella patria della musica. Vi sono di lui de' pezzi per il canto manoscritti, ed oltre a ciò si sono pubblicati a Berlino nel 1786 due trio per violini e violoncello di sua composizione.

Cerf de la Vieuville (Gio. Lorenzo), guardasigilli del parlamento di Normandia, nato a Rouen morì ivi nel 1717 nel fiore de' suoi giorni che si abbreviò, per quanto si crede, coll'eccessivo travaglio. Di lui si ha una Comparazione tra la musica italiana e la musica francese contro il parallelo degli Italiani e de' Francesi, in 12º. Lo stile dell'opera di Cerf, sparso di aneddoti sul dramma francese, è vivissimo, e l'autore fa ogni sforzo per veder di sostenere l'onor della patria, con ardor non minore di quello siasi mostrato di poi in contrario dal cel. Rousseau, che anch'egli preferisce di gran lunga la musica italiana. L'abbate Raguenet era quegli che aveva attaccata la musica francese, ed esaltata l'italiana; e a dir vero, bisogna esser privi di orecchio ed avere sconcertati i sensi per non convenir seco di parere e di gusto. Ciò non ostante il Cerf volle sostenere il suo paradosso armonico, e pubblicò in difesa del medesimo altri due libri. Il medico André, che allora era associato al Giornale degli Eruditi pose in ridicolo questi due libri dopo aver parlato con molta lode di quello dell'abb. Raguenet. Cerf, piccato al vivo, rispose con un opuscolo intitolato: l'Arte di screditare ciò che non s'intende, ovvero, il Medico Musico; libricciuolo pieno di tutta l'acrimonia, che ne promette il titolo stesso. Diceva Fontenelle, che se alcuno per estrema vivacità e sensibilità aveva meritato il nome di pazzo perfetto, e di pazzo di testa e di cuore, questi era la Vieuville. Ma siccome la follia esclude la ragione e non l'ingegno, le Cerf ne aveva molto, ed anzi tanto che non aveva poi senso comune.

Cerone (Pietro), autore classico di musica, come lo chiama il Requeno, avvengacchè per isbaglio lo dica di sua nazione, cioè Spagnuolo, forse perchè in tal linguaggio scrisse costui la sua opera (V. Saggi tom. II, pag. 388.) Egli era di Bergamo, e fioriva sulla fine del 16º secolo e su i principj del seguente. La musica era allora caricata dalle tante difficili inezie, che poteva paragonarsi agli anagrammi, ai logogrifi, agli acrostici, alle paranomasie e simili scioccherie, ch'erano in voga presso a' poeti dell'antiscorso secolo: queste e più altre fantasie chiamavansi enimmi del canto con vocabolo assai bene adatto. Chi volesse sapere più alla distesa a quali strani ghiribizzi si conducevano in que' tempi i musici, vegga il libro XXII, della dottissima benchè prolissa opera di Pietro Cerone, intitolata: El Melopeo y Maestro, Tractado de musica theorica y pratica, Napoles 1613, in fol., nella quale saggiamente intraprende egli la riforma di quel gotico contrappunto, onde meritamente ha ritratti gli elogj dell'Arteaga, del Martini, del Choron, del Requeno e di quanti altri hanno scritto sulla storia dell'arte. Egli è anche autore delle Regole per il canto fermo, Napoli 1609.

Cerreto (Scipione), napoletano, è l'autore di un'opera intitolata: Della pratica musica vocale e stromentale. Napoli 1601 in 4º. Questo è un pregevole libro: vi si trovano de' contrappunti molto ben fatti. Zacconi li ha riferiti nella sua Pratica di musica, seconda parte.

Cerutti (Giacinto), abbate romano, pubblicò in Roma nel 1776, una nuova edizione corretta e più leggibile del Gabinetto armonico di Bonanni sotto il titolo di Descrizione degli stromenti armonici di ogni genere del padre Bonanni, ornata con 240 rami, in 4º. Quest'opera contiene molte dottissime ricerche su gl'istromenti antichi, per il gabinetto che se ne formò nel secolo 17º presso al collegio romano. (V. Forkel)

Cesti (Marc-Antonio), francescano di Arezzo, maestro di cappella dell'Imperatore Ferdinando III, era discepolo di Giacomo Carissimi. Egli contribuì molto ai progressi del teatro drammatico in Italia, riformando la monotona salmodia, che allora vi regnava, e trasportando e adattando al teatro le cantate inventate dal suo maestro per la chiesa. Cavalli, che travagliava in quella medesima epoca (1650) insieme con lui per le opere in Venezia, ebbe ancora parte a questo miglioramento: V. Cavalli. Le opere che Cesti ha date al teatro di Venezia, sono: Orontea 1649; Cesare amante, 1651; la Dori, 1663: quest'ultima ebbe il più grande successo, ed ebbe moltissime repliche non che in Venezia, ma eziandio in tutte le altre gran città dell'Italia; Tito, 1666; La schiava fortunata, 1667, da prima in Vienna, e quindi a Venezia nel 1674, (Ziani ebbe parte in questa composizione); Argene, 1668; Genserico, 1669; e nello stesso anno, Argia. Egli dee avere composto in oltre la musica del Pastor fido di Guarini. Il numero delle cantate ch'egli ha posto in musica, è infinitamente più grande. Questo si è quello che l'abbate d'Oliva, allievo di Cesti, uomo dotto ed eccellente compositore, che viveva nel 1700, affermò al maestro di cappella Giovanni-Valerio Meder. Lo stesso abbate ne citava principalmente una che cominciava da queste parole: O cara libertà che mi ti toglie? Adami, nelle Osservazioni, dice che Cesti era nato in Firenze, e che Papa Alessandro VII lo aveva ricevuto nel 1660, come tenore nella cappella pontificia.

Chabanon (Mr. de), nato in America nel 1730, e morto in Parigi nel 1792, letterato di pregio, dell'Accademia delle iscrizioni, era in oltre buon musico, buon poeta, ed autore di più opere sulla musica. Nel 1765, scrisse l'Elogio di Mr. Rameau, a Parigi in 8º. L'autore sa gustare da conoscitore, e far gustare agli ignoranti stessi le bellezze di quest'arte magica: quest'opera, che onora veramente l'autore e l'oggetto delle di lui lodi, unisce il calore dell'entusiasmo e l'esattezza della ragione: parci pensata da filosofo, sentita dall'amico, scritta dal poeta musico. Nel trigesimo-quinto tomo delle Memorie dell'Accademia abbiamo di Mr. Chabanon: Conjectures sur l'introduction des accords dans la musique des Anciens; egli vi sostiene con troppa animosità e presunzione il sentimento di Burette. “Mr. Burette fu il primo, egli dice, tra noi, che abbia avanzata cotesta asserzione che è stata impugnata da alcuni letterati: ma essi senza dubbio assai poco conoscevano l'arte, di cui ragionavano: in quanto a me, il parer di Burette mi sembra di una verità sì evidente, che io lo rimprovererei quasi della lunghezza delle prove, con cui ha cercato di sostenerlo; bastavano due parole per dare alla sua opinione l'autorità d'una dimostrazione”. Ma quando si tratta di una quistione cotanto intrigata e difficile, come si è questa, non bastan parole, vi voglion ragioni, e non si decide così alla cieca coll'ipse dixit della scuola pittagorica. Il dotto ab. Requeno, oltre alle ragioni intorno a questo argomento, mise in opera anche le osservazioni e gli sperimenti; e pure non ardì di dare a' suoi Saggi l'autorità d'una dimostrazione. Mr. Chabanon pubblicò ancora nel 1779, Observations sur la musique e nel 1785, De la musique considérée en elle-même et dans ses rapports avec la parole, les langues, la poésie et le théâtre, 3 vol. in 8º. Quest'opera non è che l'antecedente nuovamente rifusa e trattata sopra un piano più vasto. Le idee di Chabanon sono in generale di un uomo che non è abbastanza profondo nella scienza ed arte della musica: nulla insegnano a quegli che sanno, e possono far traviare coloro che non sono istruiti. Tra gli altri paradossi egli avanza esser falsa l'analogia tra 'l canto e la declamazione. “Reca molta sorpresa, dice un recente scrittore, che un uomo il quale ha riflettuto trent'anni su la musica, ed aveva delle grandi cognizioni in quest'arte, ch'egli esercitava con un talento assai distinto, e dà nelle sue Considerazioni quel ch'ei chiama l'opera di tutta la sua vita, e dove si trovano infatti una folla di vedute assai giuste, reca, io dico, molta sorpresa che questo giudizioso ed illuminato scrittore faccia consistere la natura del canto ne' trilli, ne' gorgheggi, nelle ripetizioni, cioè a dire in un vano tintinnio che, lungi dall esser canto, non ne è che l'abuso, e non fa che snaturarlo.” (V. Mr. Raymond, lettre a Mr. Villateau, 1811, in 8º.)

Chabanon de Maugris (Mr.), fratello del precedente, morto nel 1780, coltivò come egli la musica, era poeta, e compositore. Nel 1775, egli diede in Parigi al teatro dell'Opera Alessi e Dafne, pastorale, Filemone e Baucis, balletto eroico. Oltre la musica di queste due opere, vi sono di lui più sonate per il piano-forte.

Chamber (Efraimo), dotto inglese su i principj del prossimo passato secolo, e 'l primo compilatore d'una Enciclopedia, o Dizionario universale delle arti e delle scienze, che è stato tradotto dall'inglese in italiano idioma, Napoli 1752, e Venezia 1763, in 4º. All'articolo Musica vi ha la divisione di questa scienza in più rami: si tratta della sua origine, e vi si citano tutti gli articoli, ove si parla negli altri volumi della teoria e della pratica di quest'arte, affinchè riesca più facile il riscontrarli e connetterli. Mr. Giorgio Lewis ha fatti de' supplementi a questa Enciclopedia, ove si trovano eziandio de' nuovi articoli riguardanti la musica.

Champein (Stanislao), nato in Marsiglia nel 1753, ebbe per maestri di musica Percico italiano, e Chauvet. All'età di tredeci anni era già maestro di cappella della cattedrale di Pignan nella Provenza: e vi compose una messa, un Magnificat e alcuni Salmi. Giovine ancora, volle studiare il trattato dell'armonia di Rameau; e per meglio comprenderlo lo trascrisse da cima a fondo. Nel 1776, venne a Parigi e alcuni mesi dopo, ebbe la fortuna di dare alla cappella del re a Versailles, tra le due messe, un gran mottetto a ripieno (Dominus regnavit). Lo stesso anno egli fece la festa di santa Cecilia nella chiesa de' Maturini in Parigi, e vi fece eseguire una sua messa e 'l mottetto che aveva fatto a Versailles. Dopo il 1780, egli ha scritto più opere nei diversi teatri di Parigi. Tutti questi drammi in musica, che hanno avuto felice incontro, e che per la maggior parte sono restati ne' repertorj de' teatri per i quali sono stati composti, mettono Mr. Champein accanto de' Gretry e degli Dalayrac. La di lui musica è una felice mescolanza del gusto francese e della vivacità italiana. Il suo Nuovo Don Chisciotte è principalmente un capo d'opera in questo genere. Sino al 1809, egli aveva scritto e fatto rappresentare oltre a 22 opere, e altre sedeci ne ha pronte per il teatro.

Chapelle (Mr. de la), maestro di musica in Parigi nella prima medietà dello scorso secolo, pubblicò Les vrais principes de la Musique, cioè I veri principj della musica, esposti con una gradazione di lezioni distribuite in una maniera facile e sicura per giungere ad una perfetta cognizione di quest'arte, 1736, in 4º grande. Nel 1737, ne pubblicò egli la seconda parte, col titolo di Suite des vrais principes de la Musique Livre 2, a Paris grand in 4º, cioè Continuazione de' veri principj della musica, con un nuovo sistema facile ad esser capito ed eseguito, mercè il quale l'autore dà a vedere, che possono restringersi a tre i segni delle misure per eseguire ogni sorta di musica (V. Journ. des Sav. fevr. 1737, et nov. p. 428.)

Charpenter (Gian-Giacomo Beauvarlet, detto), nato a Abbeville nel 1730, di una famiglia assai antica, e che ha prodotti molti uomini distinti, era organista a Lione, allorchè Gian-Giacomo Rousseau, passando per questa città, lo intese e congratulossi seco de' suoi talenti, ch'egli stimò degni della capitale. Mr. de Montazet, arcivescovo di Lione ed abbate di san Vittore di Parigi gli fè dar l'organo di questa badia cui venne a prender possesso nel 1771. Un concorso, che ebbe luogo l'anno di appresso, ed in cui riportò egli il premio su i più celebri organisti, gli valse l'organo della parrocchia di san Paolo, e fecelo riguardare come uno dei primi organisti di Parigi, in un'epoca in cui questa città ne possedeva degli abilissimi, come Couperin, Sèjan, ed in cui l'organo era ancora in gran considerazione. Mr. Charpenter ha esercitato il suo talento con distinzione, sino alla sovversione del culto nel 1793. A quest'epoca la soppressione degli organi, e singolarmente degli organi di san Paolo e di san Vittore, gli cagionarono una tristezza così estrema e profonda, che la sua salute venne a declinar rapidamente, ed ei morì nel maggio del 1794. Egli ha pubblicato un gran numero di opere: quelle che ha fatte pel suo istrumento devono annoverarsi tra le migliori in questo genere. Giacomo M. Beauvarlet Charpenter, figliuolo del precedente, è nato in Lione nel 1766, ebbe suo padre per maestro, che lo pose in istato d'improvvisare a quattordici anni un Te Deum. Egli ha pubblicato gran numero di sonate di carattere e di pezzi contenuti degli aneddoti, tali sono la Battaglia di Austerlitz, di Jena, ec. Gervais o il giovane cieco, opera comica, rappresentata ai Giovani-Artisti, e un Metodo d'organo.

Charpentier (Marc-Antonio) nacque a Parigi nel 1634, e fece in sua gioventù il viaggio di Roma, dove apprese l'arte della composizione dal celebre Carissimi. Il duca d'Orléans reggente, fu il suo allievo per la composizione, e fecelo intendente della sua musica. In tutte le sue opere, Medea ebbe il maggiore successo. Ei morì nel 1702, maestro di musica della Santa-Cappella. Allorquando gli si offriva alcuno per apprendere la composizione: Andate in Italia, dicevagli, là è la vera fonte di questa scienza: benchè io non disperi che giorno verrà in cui gl'italiani verranno da noi ad impararla, ma io non sarò più tra viventi. (V. il Dizion. di Fontenay.)

Chastellux (il Marchese), autore de l'Essai sur l'union de la Poésie et de la Musique, Paris 1765, in 12º. Quest'opera si è il frutto di un viaggio che l'autore fece in Italia all'epoca delle riflessioni che si sono cominciate a fare intorno a quest'arte, abbandonata allora a professori che eran poco in istato di ragionarne. Egli dinota con ragione, che i musici non conoscono abbastanza la poesia, come i poeti non sanno abbastanza la musica. Si trova di quest'opera una ben ragionata analisi in due lettere scritte all'autore medesimo dal Ch. Metastasio, che per la prima volta furono pubblicate nel t. 14º delle opere drammatiche di questo Poeta dell'edizione di Napoli del 1785. Il Marchese di Chastellux era dell'accademia francese, e di altre diverse società letterarie, e morì in Parigi nel 1788.

Chateauneuf (L'ab. de), uomo di molto spirito e letterato di qualche merito, fu il padrino di Voltaire ed antico amico di sua madre. Costui era uno di quegli uomini, che impegnati nello stato ecclesiastico o per compiacenza, o per un movimento di ambizione estranea all'anima loro, sacrificano di poi al piacere d'una vita libera la fortuna, e la considerazione delle dignità sacerdotali. Non v'ha di lui, che un Traité de la Musique des anciens, che fu pubblicato dopo la di lui morte, ed a cui precede un avvertimento di Morabin, Parigi 1725, in 12º, ristampato nel 1735. L'autore vi prende il partito di coloro, che in questo genere pongono gli antichi a livello co' nostri musici. “Quest'argomento, dice nel confutarlo M. Burette, viene trattato con tutta la leggiadria, che possono rendere interessante la lettura dell'opera”. (V. Memoir de l'Accad. tom. 8.) L'abbate de Chateauneuf morì in Parigi nel 1709.

Chaves (Mr.), nato a Montpellier, annunziò delle sì felici disposizioni per la musica, che i suoi parenti lo ritirarono dal commercio per fargli apprendere il forte-piano e 'l violino. A quindici anni dell'età sua, egli fece la musica di una grand'opera intitolata Enea e Lavinia. I suoi talenti lo fecero ricercare nella società; ed avendo inspirato dell'amore ad una ricca erede, i parenti furono obbligati a dargliela in matrimonio. Allora Chaves brillar volle sopra un più grande teatro; venne a Parigi per sentire e conoscere i celebri professori della capitale. Padrone di una gran fortuna, ei consumolla al gioco, per il quale aveva un'estrema passione. Di ritorno nel suo paese egli vendette tutti i beni di sua moglie, per compensare, ei diceva, le sue perdite; ma la fortuna, che avevalo abbandonato, lo trattò crudelmente come già la prima volta; rimasto Chaves senza mezzi di risorgere, fu costretto di entrare in qualità di proto nella stamperia musicale di Mr. Olivier. Ed a questo tempo fu che egli pubblicò un Catechismo, ovvero Rudimenti di Musica, due opere di sonate, de' romanzi ec. Avendo così guadagnato qualche danaro, Chaves volle tentare ancora la fortuna; parve questa sorridergli un istante; ma avendo poi perduto tutto, andò a precipitarsi nella Senna nel 1808.

Chell (William), cappellano e cantore della cattedrale di Hereford; fu creato baccelliere in musica nell'università di Oxford nel 1524. Il vescovo Tanner fa menzione di due scritti di cui egli ne è autore; uno sotto il titolo: Musicae praticae compendium; il secondo: De proportionibus musicis.

Chelleri (Fortunato), maestro di cappella e membro dell'accademia reale di musica a Londra, nacque in Parma nel 1668, ove suo padre di nazione tedesco, e il di cui nome originariamente era Keller, benchè musico di professione e compositore, non faceva grand'uso di questi talenti, essendosi dato ad altre occupazioni. All'età di dodici anni Fortunato avendo perduto suo padre, e dopo tre anni ancor sua madre, un suo zio materno, Francesco M. Bassani, maestro di cappella della cattedrale di Piacenza, preselo in sua casa per vegliare, come tutore, alla sua educazione, proponendosi di fargli studiare la giurisprudenza. Quivi cominciò a mostrarsi il genio del giovane Chelleri. Senza che mai avesse avuta la menoma lezione di musica, egli provossi da se a sonare il cembalo: e suo zio essendosi accorto, ch'ei mostrava più talento per la musica che per la scienze, risolvette di coltivare questo pendio naturale, ed egli stesso gli diede a quest'effetto delle lezioni di canto e di cembalo. Ajutato dal genio e dall'assiduità del suo allievo, riuscì a formarlo, cosichè allo spazio di tre anni fu quegli capace di occupare il posto di organista. Per non rimanersi un musico della comune, il giovane Chelleri cominciò allora a studiare eziandio la composizione, sotto la direzion di suo zio, e vi fece tanto progresso, che cominciò in pochissimo tempo a comporre alcuni salmi a tre e a quattro voci. La morte di questo suo maestro, e di un secondo padre levogli il mezzo di passar oltre, e lo privò d'ogni soccorso. Abbandonato alla propria sorte e ridotto alle sole sue forze, egli raddoppiò il suo zelo e la sua assiduità per perfezionarsi nella sua arte. Ebbe la buona fortuna che il primo suo pubblico saggio che fece in Piacenza nel 1707, col suo dramma teatrale della Griselda

Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 2

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