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CAPITOLO II.

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Indice

Se una legge fissa governi le cose morali e politiche come le fisiche: difficoltà di rinvenirla. — Scienza politica fallacissima e perchè. — Quante volte nei suoi presagi politici sbagliasse il Machiavello; esempio solenne di giudizio errato accaduto ieri. — Burbanza e vanità delle cicalate che appellano Filosofia della storia; sistemi a vicenda divoransi. — Secolo XVI secolo caposaldo; comincia epoca nuova non anco compita: a qual patto i popoli cesserano le guerre. — Ciclo perpetuo dei medesimi eventi presagito dal Machiavello non è fatale: nuovi semi partorirono e partoriranno sempre nuovi frutti. — Speranza e pazienza veraci angioli custodi della vita. — Stato di Europa nel punto della storia nostra: conquiste normanne in Inghilterra; Inglesi conquistano la Francia. — A Carlo VII succede Luigi XI che compone il reame di Francia in arnese di guerra. Prosunzione dei giudici moderni; con quali norme hassi a giudicare dei tempi e degli uomini passati. — Come la religione diventi flagello del consorzio civile: colpe del cattolicesimo pervertitore di morale e impedimento al migliorare della stirpe umana. — Luigi XI morendo non si pente, anzi crede di aver ben meritato della monarchia e di Dio. — Se Ludovico il Moro e le donne di Savoia e di Monferrato fossero unicamente cause che i Francesi calassero in Italia, e sembra di no. — Stato d'Italia per colpa dei suoi principi dispostissima ad essere invasa. — I Francesi l'avrebbero conquistata e tenuta se non era la Spagna; la quale in breve per virtù e per fortuna si costituisce in potente reame. — I reali di Spagna; consentono a starsi in mezzo neutrali perchè Carlo VIII spogli gli Aragonesi di Napoli, poi sotto pretesto di soccorerli vanno a spogliarli essi. — Dura sentenza del Prescott contro la Italia e non giusta. — Tra il re di Francia e il re di Spagna cresce l'odio per la contesa dello impero: prevale la fortuna di Carlo, ch'è assunto imperatore; Francesco I è condannato nelle spese e perde la causa. — Larghezza di stato non fa grandezza. — Lo imperatore non arriva mai a soggiogare la Francia; se ne assegnano le cause diverse interne come esterne. — Carlo V come politico sommette ogni considerazione all'interesse, pure pende per natura al beghino. La libertà di coscienza in Germania si desiderava davvero, pure serviva a colorire il fine della libertà politica. — Pace inopinata di Crespy; in apparenza la Francia ne ha il meglio; vantaggi grandi che ne cava Carlo V. — Opinioni contrarie sopra cotesta pace: anche nelle famiglie dei contraenti genera dissidi. — Misero stato d'Italia. — La Francia procura tregua, non potendo pace, fra lo imperatore e il Turco. — Carlo scarrucola Francesco, e questi non se ne vuole accorgere. — Carlo si volta intero alle cose di Germania: convoca la dieta a Vormazia per istabilire il concilio, il quale abbia a definire le questioni religiose. — Interim che fosse, e quando, ed a quali fini si concedesse. — I Tedeschi cresciuti di forze repugnano a mettere in compromesso il presente loro stato: e poi non hanno sicurezza recandosi a Vormazia: salvocondotto imperiale da non se ne fidare: quando salva e quando no; perse Hus e Girolamo da Praga; difese Lutero ma perchè: parole animose di Lutero recandosi a Vormazia. — Ferdinando re dei Romani sotto apparenze sante nasconde fine scellerato pel quale convoca la dieta a Vormazia. Altri fatti donde i protestanti desumono prova di animo ostile dello imperatore contro di loro; e segnatamente dal caso dello arcivescovo di Colonia. — Si apre il concilio di Trento; con quali intenti di Carlo. — Morte di Lutero; allegrezza dei cattolici e sbigottimento dei luterani; a torto entrambi; le cose apparecchiate, protratte per necessità di tempi poco si offendono per la morte di un uomo. — Paolo papa mette le mani nel negozio dell'arcivescovo di Colonia per arruffare la matassa allo imperatore. — Lo imperatore apre la dieta a Ratisbona; i protestanti vi si presentano per via di mandatari. — Se meriti lode di astuto il contegno tenuto da Carlo in cotesta congiuntura. — Trattato dello imperatore col papa, e patti della lega: girandole di Carlo e stizza del papa che si vede rubare il mestiere. — La Germania va in fiamme: apprestansi armi a combattere. — I Veneziani dissuadono il papa di porgere aiuto allo Imperatore, e buone ragioni che ne danno, ma invano. — Tradimento di Maurizio di Sassonia a carico del suocero e del cognato. — Conchiudonsi nozze, come sempre, favorevoli a casa di Austria. — Iattanze del langravio: numero stupendo di milizie raccolte. — Dannose dimore e peggio che inutili proposte dei luterani a Carlo; il quale, montato in furore, senza consultare la dieta, gli mette al bando dello impero. — I principi mandano l'araldo a intimare la guerra contro lo imperatore ed a protestare contro il bando. — Così le armi dello impero ingaggiate in guerra piena di pericolo, ottima la occasione per tentare novità in Italia, il Burlamacchi poi uomo da volere e sapere cogliere la occasione.

Forse una legge governa con ordine eternamente fisso così le fisiche come le politiche e le mortali cose; ma se riesce arduo a scoprirla nelle prime, disperato è poi nelle seconde e nelle terze; nulla fu senza grande di vita travaglio concesso ai mortali; anco la natura materiale s'inviluppa per entro veli impenetrabili, che a stento ella si lascia strappare da dosso o per grande amore che porti, o per grande violenza che altri le faccia. E lasciando la morale da parte, per toccare della politica, ti si fa manifesta la difficoltà di rintracciarne la legge da questo, che nonostante la molta scienza dei passati eventi e la molta pratica delle faccende quotidiane, male puoi presagire lo esito dei negozi prossimamente futuri, peggio i lontani, ossia perchè ti avvenga di scambiare per causa quello che insomma altro non è che effetto ossia che la sequela di ragione indotta dal giudizio vada esposta a trovarsi scompigliata da altre cause nè prevedibili nè prevedute; di questo somministrano esempi in copia le antiche e le moderne storie; il nostro Giuseppe Ferrari ci chiarisce come e quante volte s'ingannasse l'arguto ingegno di Nicolò Machiavello sia giudicando la potenza dei Medici, o le sequele della riforma, o il pericolo d'invasioni svizzere e turche in Italia, e via discorrendo: di tanti recenti ne basti uno solo a noi e d'ieri; per le superbe tumidezze francesi e per le procaccianti burbanze prussiane l'universale bandiva prossima la guerra; l'acqua è in terra, dicevano da per tutto, e pure i nugoli si sono tirati in su, ed abbiamo veduto succedere alla temuta procella una quiete torbida che salutano pace in mancanza di meglio.

Ma ciò che sembra più strano a concepirsi si è, che nè manco degli eventi ormai compiti ed antichi ci riesca addurre ragione certa. Di vero s'impadronì delle storie una maniera di argomentatori, e chi tirandole da un lato, e chi dall'altro, chi sbattendole con ala che a taluno pare di aquila e ad altri di pipistrello, se ne serve di materia alle fantasie proprie o agli errori: di qui i sistemi filosofici, i quali nati appena, come i guerrieri dai denti del dragone di Cadmo, si combattono a vicenda e si uccidono: onde il secolo, che inclina al positivo, comincia a mettere passione nelle scienze fisiche da vantaggio che nelle filosofiche, nè a torto; imperciocchè nelle prime quantunque poco avanzo egli ci faccia alla giornata, pure questo poco mette da parte nel salvadanaio; così mano a mano crescendo di capitale, noi lo vediamo adesso possessore di quello stupendo patrimonio che tanti maravigliosi portati ha partorito, pure promettendone altri più mirabili ancora. Dalle metafisicherie si diparte; non già, che le odii, dacchè, agitando le braccia, se l'uomo non vola, ei fa esercizio utile all'agilità dei nervi, ma sì per questo, che al chiudere delle tende gli pare a modo del dio Odino avere perseguitato sopra le nuvole un cervo di nebbia sopra un cavallo di nebbia.

Infiniti scrittori parlarono dei tempi intorno ai quali io pure mi affatico, e mirifiche cose ci escogitarono sopra: certo cotesto fu secolo caposaldo dei secoli; per lui incominciò nuovo ordine di cose, che a mio senno non è anco compito, dacchè io creda che innanzi tutto, cessate le conquiste e le sequele di quelle, bisogni che ogni popolo si costituisca gagliardo di propria potenza: allora la forza genererà il diritto, come il terrore ribadì tra tempia e tempia nell'uomo la idea di Dio; dove tu attenda giustizia dallo amore, aspetta prima mirare in branco pecore e lupi a pascere erba; e l'uomo ancora tiene del lupo più che non credi, e il civilissimo due cotanti sopra quello che i diari nostri costumano per vezzo appellare barbaro; non però di lupo, sibbene di volpe, ma bestia sempre. Quando per tanto gli universi popoli si troveranno armati di becco e di ugne, e tra sgraffio e sgraffio non ci correrà divario o poco, fatti e rifatti i conti, conosceranno come sia meglio per essi lasciarsi stare, barattarsi i frutti delle terre e le opere delle mani loro: si ameranno forse (e se senza forse, magari!) ma si rispetteranno di certo, e questo è quello che importa. Per ora non siamo a mezza via; bisogna che molte nazioni si compiano, altre che comincino a farsi: compite, si accorderanno prima per istinto, poi per ragione, all'ultimo per via di trattati, i quali niente altro faranno che ridurre in carta male ciò che avrà creato ottimamente la necessità, e i barbassori di allora, in tutto pari a quelli di ora, per avere scritto la fatale corrispondenza del genere umano reputeranno davvero di averla fatta essi. Così tenendosi per mano i popoli con più o meno celere, ma sicuro ed irrevocabile passo potranno camminare sopra la via del miglioramento umano: dacchè la storia somministri questo insegnamento solenne, che potenza ed intelletto pari creano reverenza ed emulazione, mentre sbilancio o dell'una qualità o dall'altra in un popolo a danno di un altro popolo lo spinge alla dominazione, alla ingiustizia, alla barbarie e con assidua vicenda ad essere preda del predatore: siffatto circolo fin qui agitò il mondo, e sembra che il Machiavello lo giudicasse inesorabilmente eterno: adagio, a giudicare il futuro che sta chiuso nel pugno di Dio; il Machiavello non potè immaginare quali e quanti missionari sieno dell'accordo dei popoli il telegrafo e il vapore; chi sa quante altre scintille sprizzeranno dalla pietra percossa dal ferro: noi che giovani spregiammo la Pazienza, e la Speranza, adesso vecchi propiniamo loro ogni dì nel sacrario della famiglia, votiamo loro i capi a noi dilettissimi e le salutiamo veraci angioli custodi della vita.

Di Francia uscì il ferro normanno che conquistò la Inghilterra: Normanni contro Sassoni, Danesi ed Angli (dopo tante invasioni gli aborigeni Zimry senza dubbio i meno) furono vipere contro vipere; dopo molte offese si persuasero che sarebbe stato più spediente per loro unirsi a danno altrui e si unirono rivoltandosi contro il nido che le aveva allevate; di qui la guerra inglese, le fiere battaglie onde stette battuta la Francia, un re inglese consacrato re di Francia a Parigi, un re di Francia prigioniero a Londra; ora poichè venga da natura che la reazione sottentri immediata all'azione, al regno di Carlo VII memorabile per codardia di re e per virtù di popolo succedeva il regno di Luigi XI; del quale fu scopo ridurre la Francia in forte e bello arnese prima per difendersi e poi per guadagnare: allora la Francia appariva un cumulo di feudi, di cui i principi spesso pari e talvolta superiori al re; fra loro o contro la monarchia senza requie combattenti; causa perpetua di subbuglio in mezzo a lei, impedimento a costituirsi gagliarda. Questo re adoprò le arti imitate dal Valentino più tardi ma con esito felice: grande lo scopo, la fortuna propizia, le vie praticate, trucissime talvolta, inique sempre: in Francia veruno lo loda, e tutti si avvantaggiano della opera di cotesto re; ipocrisia in contrasto o piuttosto d'accordo con la comodità. A parere nostro vanno errati coloro i quali credono che i casi e gli uomini dei secoli passati abbiansi a giudicare con le norme di giustizia che professiamo adesso noi; arduo del pari è stabilire se la nostra giustizia di oggi sarà giustizia domani; e comunque si pensi, chi ragiona considera i successi in corrispondenza dei tempi e con le qualità di sapere e di sentire degli uomini in mezzo ai quali cotesti eventi compironsi. Non unico Luigi diede mano ai veleni, alle mortali insidie, ai tradimenti; solo fu più avventurato degli altri; continuo allora il gioco col quale invece di una moneta si buttava all'aria una corona esclamando: o morte, o vita: quello che Luigi fece agli altri o emuli o parenti o fratelli, se non lo avesse fatto egli, lo facevano a lui: complice poi e instigatrice di delitti la religione: se, posti da un lato tutti i beni e dall'altro tutti i mali di cui è madre la religione fra i popoli, noi dobbiamo desiderare o no ch'ella cessi, mi asterrò decidere, ma veramente voglionsi addirittura bandire al mondo flagelli di Dio, quelle che come la cattolica nostra insegnano ad aprire un conto corrente con la coscienza dove una partita di bene compensi una partita di male, e bene si reputi la prodigalità ad alimentare l'errore e gli apostoli suoi. Nè ciò che noi da maggiore lume assistiti conosciamo assurdo ed anco sacrilegio, tale appariva a Luigi XI, il quale, pervertito lo intelletto, credeva davvero che la Madonna di Embrun ignorasse i suoi delitti, noti solo alla Madonna di Parigi; così presso a morire, narrano gli storici egli non mostrasse verun rimorso per le tante crudeltà commesse protestando averle stimate necessarie pel vantaggio della monarchia, vale a dire di sè medesimo; solo, mostrando qualche scrupolo per la morte del duca di Nemours, parve un cotal poco pentirsi di aver fatto perire questo amico della sua giovinezza.

Per questa guisa convertito il reame in arnese di guerra per forza di cose era mestieri adoperarlo; i re vincere l'un l'altro con le opere della pace non sanno; figli della prepotenza, da questa in fuori non pongono fede in altro, nè la occasione a cui la cerca e può valersene manca mai, anzi ella viene da sè: affermano gli storici che le Alpi furono aperte alla Francia dalla chiamata di Ludovico Sforza e dalla insania delle due donne, che Dio faccia triste, di Savoia e del Monferrato, ed è vero; però giustizia vuole che si aggiunga che, dove si fossero opposti anco tutti gli Italiani, mal vietate le Alpi sarieno state sempre: di vero prima di voltarsi alla Italia la Francia tastò la Spagna, ma per ben due volte se ne tornò indietro da Perpignano con la testa rotta; onde, volendo fare esperimento delle proprie armi, egli era naturale, che colà le adoperasse dove ne presagiva la impressione più agevole. Il paese più atto a ciò compariva certamente la Italia. Qui unico vincolo di unione fra gli stati nuocere altrui: se taluno accennava levare il capo sopra gli altri, tutti addosso: a cotesti tempi Dio ci voleva male davvero; lo ingegno si adoperava dagli stati a ordire sottili insidie in detrimento scambievole, le forze per affliggersi a vicenda; uno prevalendo su l'altro, non seppe comporre una forte monarchia, ovvero, deposto ogni concetto di primato, costituire una lega capace di opporsi con profitto ad ogni invasione straniera: ci volea poco a prognosticare che questo mosaico di frammenti non legati insieme, anzi discordi, ad ogni più leggiero urto sariasi scomposto; nè questo ignoravano i Francesi, i quali però, chiamati o no, io credo che sarebbero calati dall'Alpi; il consiglio perverso dello Sforza accelerò forse e agevolò la impresa, ma la sua origine hassi a derivare dalla necessità delle cose: e la Francia di certo avrebbe vinto, nonostante il precipitoso retrogradare di Carlo VIII, il quale non ha paragone che con la ruina del suo spingersi innanzi, se frattanto non sorgeva una potenza la quale non pure valse a tenerla in cervello, ma più volte la ridusse a un pelo di andare sbrizzata come tazza di porcellana caduta per terra.

Questa potenza è la Spagna; divisa in più regni, lacerata dalle fazioni, re in guerra fra loro, baroni in guerra contro i re e contro il popolo; popolo combattente contro tutti; Saracini in casa ormai radicati; occupanti le più belle provincie che essi felicitavano con le arti, co' commerci, con la cultura ed anco co' costumi ad un punto eroici e gentili: pareva non solo strano, ma impossibile che in simili condizioni la Spagna mai si conducesse a formarsi in istato grande: e tuttavia fortuna e senno operarono siffatto portento nel giro di pochi anni. Col matrimonio di Ferdinando e d'Isabella i due regni sparirono; la guerra contro i Mori, oltre ad affrancare lo stato dalla presenza dello straniero, il quale quanto più vuoi industre e cortese, tuttavia straniero era e causa perpetua di umiliazione e di debolezza, giovò a ricondurre i baroni al guinzaglio e, rinforzati gli ordini del governo, a scemare l'anarchia dei comuni: quindi si accese la febbre delle scoperte, onde l'ardimento degli uomini toccò il sopranaturale, e le ricchezze rapite somministrarono abilità di ammannire armi e di soldare milizie; per ultimo le nozze di Giovanna con Filippo il Bello di Austria recarono sul capo del figlio Carlo il retaggio di Austria, della massima parte della duchea di Borgogna e la speranza della corona imperiale.

Ormai la Francia e la Spagna sono salite in grado che, possedendo entrambi orgoglio sterminato e modo di appagarlo, forza è che fra loro contendano: signoria non pate compagnia; per venire in cozzo la casa regnante di Napoli sbattacchiata dalla bufera francese era spagnuola e congiunta dei reali di Spagna; adesso nè manco a fabbricarselo da sè poteva occorrere più santo o più giusto pretesto per pigliare parte a coteste guerre e spogliare i parenti dei loro stati, quanto quello di accorrere a difenderli per impedire che altri ne li spogliasse: vero è bene che Ferdinando e Isabella col trattato di Barcellona aveva pattuito con Carlo VIII, che, mediante la restituzione della Cerdagna e del Rossiglione già ipotecati a Luigi XI, di lasciare in balìa di lui amici e parenti, ma simili contradizioni le sono rifioriture nella politica degli stati e poi ormai la Cerdagna e il Rossiglione erano stati restituiti, e l'appetito viene mangiando. Una sentenza dura occorre nella storia di Ferdinando e d'Isabella dello americano Prescott a carico della Italia, ma come dura non del pari giusta; di fatto egli afferma: la Italia in cotesti tempi scuola magna della infame politica così astuta come vile, fraudolenta ad un punto e sfrontata, onde gli uomini del tempo si mostrano turpi di macchie che per età non si lavano; ma nè Ferdinando di Aragona nè Luigi XI avevano mestieri imparare in Italia, essi erano abbastanza matricolati da loro, e lice a noi dubitare se con altre norme si governino adesso gli stati in sostanza, quantunque il linguaggio sia del tutto mutato e ci si faccia un grande consumo anzi scialacquo di umanità. La fortuna delle armi non arrise ai Francesi, per cui ogni dì si fece più aspra emulazione fra la Spagna e la Francia, la quale giunse al culmine quando comparvero sopra la scena del mondo Carlo V e Francesco I a contendere dello impero: giovani entrambi, entrambi cupidissimi, eredi delle tradizioni dei loro antenati, forse spinti dalla necessità, la quale sebbene composta di argomenti artifiziati urge tuttavia come natura: l'uno e l'altro smanioso della monarchia universale di Carlo Magno, che quegli pretendeva francese, e questi tedesco. Anco nella contesa dello impero prevalse la fortuna di Carlo e fu salutato imperatore. Francesco ci spese attorno una grossa moneta, ma gli elettori si tennero gli scudi, non diedero i voti, e Francesco rimase condannato nelle spese. Senza timore di sentirci smentiti affermiamo la vita di questi due potenti essere stata un perpetuo duello per la dominazione del mondo, e a Carlo parve prossimo il tempo di porre la mano sul dominio del mondo, poichè alla Spagna, al regno di Napoli, al ducato di Milano, alla Borgogna, ai Paesi Bassi, all'Austria, all'Africa in parte e all'America ora si aggiunse l'essere capo dello impero, e collegati con lui da un lato i principi germanici, dall'altro i diversi stati italiani. Ma larghezza non fa grandezza; chi troppo abbraccia meno stringe, un po' perchè la forza manca, e un po' perchè la materia discorde e fra sè pugnace non si lascia agguantare: molte le vittorie riportate da Carlo ed anco dal figliuolo Filippo contro la Francia, e nondimanco riuscì loro impossibile soggiogarla, talvolta invasero le provincie francesi o vuoi dalla parte d'Italia o vuoi dalla parte di Borgogna, ma quindi ebbero sempre a sostare, e ad accordarsi; e ciò perchè quanto più s'inoltravano e più occorrevano in duri intoppi, quali sono la guerra popolesca, la diffalta dei viveri, la desolazione, lo incendio: i danari mancavano, però il bisbiglio sommesso poi il ribellarsi riottoso della milizia condotta al soldo, le malattie ed altri che non si narrano guai: a non ritrarsene correvano il rischio del tarlo che si ammanisce il sepolcro nel buco che scava. Aggiungi due flagelli che minacciavano del continuo lo impero, i Turchi e i luterani. Formidabili i primi, di tratto in tratto con danno pari allo spavento invadevano la Ungheria e minacciavano Vienna, sicchè sul più bello bisognava lasciare in asso le imprese e correre a rintuzzarli se non si voleva che il Turco allagasse in Europa; questo per di fuori, dentro limava l'autorità imperiale la setta luterana; e se si affermasse che a Carlo poco calessero le faccende della religione, non si direbbe il vero; devotissimo cattolico egli era, di ogni pratica osservante; non passava giorno che non assistesse ad una messa, qualche volta a due; si comunicava tutte le feste capitali dell'anno; almanco un'ora il giorno meditava sopra i misteri della fede: può darsi che il diavolo sovente lo tentasse intorbidando le pure linfe della sua devozione con qualche immagine di futuro acquisto, ma la buona volontà ci era; e tutto ciò senza pregiudizio di tenere in carcere papa Clemente VII, di chiudere un'occhio perchè ammazzassero il figliuolo di Paolo II, di minacciare il cardinale di San Marcello, che poi fu papa Marcello I, di farlo buttare nell'Adige se non si rimaneva da sobillare i padri del concilio perchè piantassero Trento, con altre cosiffatte dolcezze. Oltre pertanto quest'odio feroce di beghino, lui moveva con ispinta se non più veemente almeno pari la paura che i luterani sotto pretesto di libertà religiosa gli scalzassero il trono: nè oggimai questo punto rimaneva dubbio, nonostante le proteste e le dichiarazioni in contrario di Lutero e de' suoi, le quali in simili congiunture sempre si fanno, non si credono mai, e tuttavia sempre si rifanno; onde, l'eresie ogni giorno più impigliandosi in Germania, crescea per Carlo la necessità della guerra germanica, se pure non volesse sopportare con pazienza che l'autorità imperiale illanguidisse, e con essa mancasse la suggezione delle provincie dell'Austria: e tuttavia Carlo si trovava travolto nella più acerba guerra che avesse mai assunto con la Francia; nè le lusinghe per continuare mancavano; facile come sempre la prima impressione in cotesto paese, arduo inoltrarsi. San Desiderio ei prese, ma per inganno non per virtù: la stagione iemale gli stava addosso; l'annona scarsa, l'erario vuoto, l'esercito in procinto di ammotinarsi; male da questo lato, peggio dall'altro tanto che Francesco scorato esclamava: «O mio Dio come mi fai pagare cara questa corona che sperava tu mi avessi conceduta senza spine!» e ormai ai voleri del destino si rassegnava; però ognuno dei combattenti, secondochè succede, sapeva in qual punto lo affliggesse la scarpa; onde di un tratto ne surse la più strana pace, quella di Crepy, che mai si fosse vista: per essa la Francia ottenne vinta quello che appena le sarebbe stato lecito sperare vittoriosa; le conquiste fatte da entrambe le parti si restituissero; Carlo accordasse per moglie al duca di Orléans o la figlia propria o quella di Ferdinando suo germano; se la figlia, portasse in dote i Paesi Bassi, se la nipote, il ducato di Milano; con altri più patti che al nostro assunto non preme ricordare; però lo imperatore, astutissimo uomo, in virtù di cotesta pace ottenne in prima la sicurezza che non lo avrebbe il re di Francia molestato pel reame di Napoli nè per le Fiandre; non soccorso il re di Navarra, quantunque congiunto, per lo appunto come aveva costumato Ferdinando il Cattolico dirimpetto al re di Napoli; e' sono tutti di razza; per ultimo o per via di pace o di tregua Francesco tolse il carico di assettarlo col Turco; dall'altro lato Carlo lasciava Francesco ad accapigliarsi con Enrico re d'Inghilterra per causa di Bologna, sicurtà di fatti assai più efficace che di parole anco giurate: nè qui finirono i vantaggi; chè in virtù di patto segreto tra loro convennero instare affinchè il concilio si radunasse, e le mutue forze mettessero insieme per isradicare la eresia, minaccia della tirannide così in Francia come in Germania.

Poichè agli uomini dispiacciono o piacciono le cose secondochè loro apportarono o presumono riportarne utile o danno, così questa pace fu giusta simile stregua o celebrata o ripresa; nè fra gli strani solo, sibbene anco nelle famiglie delle parti contraenti; al delfino seppe mal di morte, onde, venuto in iscrezio col fratello D'Orléans, se ne temevano guai: sicchè quando più tardi di un tratto cotesto principe scomparve i cortigiani l'ebbero per provvidenza, volendo essi servire sì, ma servire tranquillamente. Gli stati d'Italia seguaci delle sorti di Carlo vivevano di pessima voglia presentendo scemata la propria autorità e il giorno di non lontana ruina: all'opposto i parziali di Francia aprivano la mente a superbe speranze o almeno quali era dato concepire allora alla degenerata razza latina: opprimere di seconda mano brani di popolo strappato di bocca al maggiore padrone straniero.

Di fatti la Francia tanto s'innamorò di cotesta pace che si mise coll'arco del dosso a negoziare l'accordo fra lo imperatore e il Turco, nè questo potendo ottenere, strappò una tregua, di un'anno prima, poi di cinque. Chiunque non avesse perduto il bene dello intelletto avrebbe conosciuto espresso che Carlo scarrucolava Francesco: tuttavia questi non se ne voleva accorgere; quello che gli talentava doveva essere, e i cortigiani tacevano: non si ha a sturbare il sire, nè pure coll'annunziargli la necessità suprema della morte imminente; però quasi sempre gli casca addosso come il nibbio che abbia chiuse le ale. Al nostro assunto non preme riferire il diuturno inganno; basti solo che la Francia alle ingiurie austriache quando potè non seppe o non volle apportare riparo, quando poi o volle o seppe ella non potè. —

Carlo, assettatesi a questo modo le cose dintorno, prese ad attendere alle faccende di Germania come uomo che vuole venirne al chiaro; e davvero n'era tempo, perchè lo indugio pigliava vizio, e di che tinta! Cesare aveva convocato la dieta a Vormazia con questo intendimento, che quivi si deliberasse la necessità di un concilio dove si avessero a definire le quistioni religiose, e poi al giudicato si stesse; che insomma era lo adempimento di quello che due anni prima fu stabilito alla dieta di Spira: ma da ora a quel tempo gran tratto ci correva; imperciocchè allora facendo mestieri a cesare tenere quieta la Germania, anzi cavarne sussidi per la guerra contro la Francia, con editto imperiale aveva conceduto che fra tanto e finchè il concilio si convocasse i protestanti senza molestia la religione loro liberamente professassero; la quale concessione appellarono Interim, che appunto nello idioma latino suona frattanto. Ai protestanti, che allora non si sentivano abbastanza gagliardi, non parve vero quel po' di respiro, e non istettero a guardarla tanto pel sottile: adesso poi, sentendosi forti da sostenere l'assunto repugnavano mettere ogni cosa in compromesso, considerando come Carlo non avesse più bisogno di piaggiarli, all'opposto mirasse a finirli, e come nonostante i passati e i recenti rancori ei si fosse accontato col papa ai danni loro, nè si sapesse se il concilio da Trento in qualche città germanica si trasportasse, e pareva che no, dacchè dopo il primo scalpore mosso da cesare per siffatta decisione del papa, ei se n'era rimasto cheto, onde a molti era entrato in sospetto che cotesti formicoloni di sorbo facessero le forche. In fine convocato il concilio l'Interim veniva a cessare: per le quali cose tutte dal concilio rifuggivano come il can dalla mazza; e avevano ragione da vendere, imperciocchè a Giovanni Hus il salvocondotto imperiale tanto non gli fece scudo che i padri del concilio di Costanza non lo pigliassero e ardessero; bene il medesimo salvocondotto salvò Lutero quando si commise alla dieta di Vormazia, ma, oltrechè il salvocondotto di Lutero fosse garantito da tutti i principi germanici i nuovi convocati non si sentivano dell'umore di lui, il quale dissuaso dall'andare coll'esempio di Giovanni Hus e di Girolamo da Praga rispose incollerito: «Levatemivi dinanzi, che io ci vo compire ad ogni modo, quando anco ci avessi a trovare tanti diavoli quante sono le tegole sopra le case.» E poi in conchiusione, quando pure volessero correre rischio del salvocondotto imperiale ora tutela, ed ora insidia, Ferdinando fratello di cesare che faceva per lui, di dare sicurezza non voleva saperne, onde si rendeva manifesto, ch'essi andavano a mettersi addirittura in bocca al lupo. Ferdinando secondo l'usanza vecchia e rinnovata sempre da cotesti messeri, e quello che maraviglia di più, creduta sempre dagli uomini, i quali nonostante perfidiano a volere essere chiamati animali ragionevoli, dava apparenza onesta, anzi santa, a fini fraudolenti, e diceva: il Turco stare sul collo alla Germania, sbrigatosi della guerra persica tornerebbe più terribile che mai ai danni dei cristiani: durante la brevissima tregua aversi a provvedere arme ed armati per dare buon recapito a questo flagello di Dio: alla necessaria concordia per conseguire tanto fine fare ostacolo le dissidenze religiose, difficili a comprendersi, impossibili a definirsi, cagione di guai interminabili a disputarsi: qui più che altrove essere mestieri che un consesso augusto quanto autorevole dichiarasse le norme a cui i cristiani tutti avessero a stare, ed a quelle si stesse; però finchè i Turchi non fossero dispersi, ciò si mettesse da parte; ne parleremo a causa vinta. — I papisti che sapevano o indovinavano la ragia esclamavano; «perfettamente;» ma i protestanti di contrasto: «No davvero, prima andiamo d'accordo, e poi saremo con voi: patti chiari amicizia lunga:» alla meno trista si stabilisca subito una dieta, e finchè non vi si decidano gli screzi sia prolungato l'Interim; bene inteso però, che la si dovesse tenere in qualche città dello impero, nè il papa la convocasse, molto meno la presiedesse egli, giudice e parte. — Da un lato l'imperatore puntò i piedi, i protestanti dall'altro i piedi e le corna; la ragione più da questa parte che da quella; la pertinacia pari in entrambe; si sciupò tempo; parole a fusone, e, come di ordinario accade, non conchiusero nulla.

Egli è da credersi che i protestanti avrebbono lasciato passare tre pani per coppia se lo imperatore col mutare dei tempi non avesse mutato animo dandolo a divedere troppo apertamente, ma ora premendo a costui lusingare il papa contro i Protestanti schizzava veleno: più di ogni altro valse a metterli in sospetto il caso dell'arcivescovo di Colonia: questi, insigne per pietà e per dottrina illustre, prese a tedio i romani errori, si piacque propagare nella sua diocesi le credenze dei protestanti giovandolo in questo zelantissimi coadiutori Melantone e Bucero, i quali trovarono non che atto il terreno, disposto; nemici solo ed infesti i canonici della cattedrale, nè già per amore di dogmi, bensì per moltissimo amore delle dignità e delle comodità loro, i quali, subodorato il vento e conosciutolo favorevole, si appellarono al papa come superiore chiesastico, allo imperatore come superiore civile; questi senza dare tempo al tempo, timoroso che il papa non gli preoccupasse il sentiero, tosto da Vormazia, dove allora si tratteneva, mandò un decreto ai canonici perchè vigilassero la fede della chiesa di Colonia e bandissero ribelle chiunque le contraffacesse, allo arcivescovo perchè dentro trenta giorni si presentasse a Brusselle per iscolparsi delle accuse messegli addosso. Oltre questo esempio, spaventavano i novatori la persecuzione dei loro correligionari nei Paesi Bassi, il divieto di salire sul pulpito ai predicatori protestanti a Vormazia, la balìa ai cattolici di tirare a palle rosse dalle bigonce e dagli altari contro i luterani.

Intanto si apriva il concilio di Trento; e lo imperatore, da quello svelto ch'egli era, voleva menare il cane per l'aia per pigliare tempo a compire gli armamenti e al punto stesso tranquillare i protestanti per coglierli alla sprovvista, e quando pure si avessero a mettere subito le mani in pasta, si cominciasse dalla riforma dei costumi e degli abusi della Chiesa: ai dogmi si penserebbe più tardi: accetta ai protestanti la riforma dei costumi, era agevole prevedere che nella trattativa dei dogmi sarebbesi incontrato l'osso. Il papa dal canto suo strologava per cavare il concilio da Trento, o se questo non poteva conseguirsi indilatamente, si definissero gli articoli della fede. Nonostante però quel fare alle braccia fra imperatore e papa, o per cacciarsi sotto l'emulo o non esservi cacciato, insieme poi ordivano fitto contro il comune nemico; in questa moriva Lutero, i cattolici ne menano gazzarra, i luterani si accosciano, e a torto entrambi: le necessità dei tempi si creano mano a mano come l'orologiaro fa l'orologio; compito ch'ei sia, rimarrà eternamente fermo se taluno non dia impulso al pendolo; all'orologio del tempo chi dia lo impulso non manca, imperciocchè per uno dei moventi che caschi ne subentrano dieci; e non lo trattiene scapito espresso anzi neppure la morte: quindi erra chi pensa che creasse il moto colui che si trovò a imprimergli l'ultima spinta; antichissima la materia del luteranesimo, Arnaldo, Savonarola, Giovanni Hus, Girolamo da Praga ed altri parecchi lo avevano ammannito, ma non ne vennero a capo, e per poco la fiamma che arse i corpi loro non ne abbruciò la memoria; a Lutero arrise la fortuna, però da lui si noma la riforma: da tutto questo se ne inferisce che la cosa messa su lo sdrucciolo per via va senza mestiere che uomo la spinga dietro; quindi la riforma procedè senza Lutero, come Lutero, caso mai avesse mutato partito, non avrebbe potuto farla stornare un'oncia: chi desta lo incendio non può spegnerlo poi.

Tuttavia il moto sarebbesi rallentato, o per indole della gente alemanna naturalmente gingillona, o per le bindolerie dello imperatore, maestro insigne di queste, se la troppa garosità della corte non fosse venuta a sbraciare il fuoco e ciò accadde perchè, deferita a Roma la causa dello arcivescovo di Colonia, al papa non parve vero di cogliere il destro per ostentare autorità, e quindi di punto in bianco, postergati i consigli, tenuti in non cale gli avvertimenti, ecco emana una bolla che lo spoglia delle dignità ecclesiastiche e, previa la consueta scomunica, scioglie i sudditi dal giuramento di obbedienza a cui erano tenuti. I protestanti s'inalberarono: temendo ognuno per sè, si rinforzò la concordia; tanto più veementi adesso quanto prima avevano ciondolato; al timore del danno si arroge la stizza di vedersi giuntati.

Con tali auspicii si apriva la dieta dello impero a Ratisbona: ci convennero i principi alemanni parziali a cesare, i protestanti se ne tennero lontani mandandovi in vece loro procuratori a rappresentarli: pretesto per non andare le soverchie spese a cui non potevano sopperire stante le angustie dei tempi, causa vera la paura di essere presi pel collo. Dicono che lo imperatore alla dieta di Ratisbona dimostrasse arguzia straordinaria, conciossiachè, invece di scuoprire i propri concetti, li tenesse con bell'arte celati, invitando i principi raccolti a palesare quello che sentissero e volessero, lui chiamarsi parato ad eseguire quello che a loro fosse piaciuto deliberare; a me sembra che questi sieno ganci diritti, dacchè ogni uomo si accorse che la proposta dello imperatore ai principi cattolici rassomigliava alla domanda dell'ospite all'oste: se ha buono il vino; pertanto ad una voce sentenziarono a quanto sarebbe per giudicare il concilio di Trento sacrosanto si avesse a piegare il capo sotto pena di sentirselo tagliare. Molto meno poi si comprende questa astuzia a che cosa approdasse quando ei subito dopo spedì per le poste il cardinale di Trento a Roma per sollecitare gli aiuti del papa, chiamò milizie dai Paesi Bassi, concesse a Giovanni e ad Alberto di Brandeburgo di levarsi in armi per cavare, se loro riusciva, Enrico di Brunswich dal carcere del langravio di Assia tenuto in conto di capo della lega di Smalcalda: sovente si annaspa per non perdere il vezzo di annaspare, e tale loda un atto nello imperatore che nel plebeo flagellerebbe a sangue. I rappresentanti si fecero a trovare Carlo per essere chiariti sopra gl'intendimenti suoi, ed essi domandando erano più che persuasi non ne avrebbero spillato niente che valesse; lo imperatore, rispondendo, fermo ad agguindolarli, se poteva: tempo perso e che tuttavia si perde: forse perchè l'uomo, non potendo esercitarsi nella lealtà, si trastulla volentieri con le apparenze di quella.

Stretti col papa i patti della lega, depositati i danari pei sussidi su banchi di Venezia, convenuto il numero e la qualità dello esercito ausiliario, accordati i capitani, distribuite indulgenze, messe in pronto le scomuniche, promesso che per sei mesi non si facesse pace, e dopo i sei mesi in verun modo senza il consenso del papa si conchiudesse; bene fra loro detto e ridetto e replicato poi scopi della guerra essere due o, per dire meglio, uno distinto in due atti cioè il primo estinguere il veleno dell'eresia, il secondo spartirsi le spoglie degli eretici; uno non si era mai fidato meno dell'altro, però lo imperatore, bugiardo più di due re, bandiva essere trascinato alla guerra pei capelli, non già per causa religiosa, Dio guardi! sacre le coscienze, credesse ognuno come meglio gli talentasse, solo volere richiamare all'osservanza dell'autorità imperiale alcuni tracotanti che se la mettevano sotto i piedi; ciò essere non pure suo diritto, ma obbligo espresso; diversamente, cessato o rilassato il vincolo della confederazione, anarchia dentro, debolezza fuori. Queste cose dava ad intendere Carlo come il pescatore gitta le reti: se chiappano, chiappano; e pel fine di riuscire, potendo, a mettere le male biette fra i protestanti, ed anco secondo le contingenze piantare il papa ed accomodarsi con loro. Il papa stizzito perchè Carlo la trinciasse da furbo in capite, mentre questo posto pretendeva egli (e a diritto, imperciocchè dove lo imperatore volesse per sè il primato delle armi e delle frodi, o che restava al papa?) spiffera tutto l'accordo della lega facendo toccare con mano come lo imperatore mentisse, e scopo principale della lega consistesse nella persecuzione a morte degli eretici: tuttavia chi pensasse che a questo modo il papa procedesse per pura stizza si apporrebbe male, forse la collera non era se non colore per coprire il concetto di rompere il ponte tra i protestanti e lo imperatore, talchè ogni via di accordo fra loro rimanesse almeno per certo tempo irrevocabilmente chiusa. Questi tiri papeschi fruttarono da un lato la presagita rottura, ma dall'altro eziandio augumento di forze ai nemici, imperciocchè svegliatisi proprio su l'orlo del precipizio si assembrassero ad Ulma per provvedere alla necessità della guerra: presto andava la Germania in fiamme: le chiese, le cattedre, i fori, e le campagne echeggiavano del grido popolesco (il quale se durasse quanto è potente, non continuerebbe a strascinare la sua catena il mondo) Patria e Libertà; si arrolano soldati, si muniscono terre, si mandano oratori agli Svizzeri ed ai Veneziani per averli confederati, alla peggio amici coperti o neutrali. I Veneziani scaltriti ricevono gli oratori a braccia quadre, e subito si mettono a zelare gl'interessi dei protestanti con inestimabile ardore: cotesti buoni Alemanni maravigliavansi possedere nei veneziani senatori così sviscerati fratelli; il fatto era che i Veneziani, aborrendo cotesta guerra come pericolosa alla Repubblica e alla Italia, ragionavano così: se cesare vince, mangia il papa e noi; se perde, questi bestioni di luterani inondano la Italia per vendicarsi del papa, e a tutti i principi italiani tocca a pagare i cocci. Per queste cose non mancarono di farne ufficio col papa per parole e per lettere, ma senza pro, essendo ormai tratti i dadi.

I pelaghi di Carlo nella massima parte scorbacchiati qualche cosa fruttarono sempre; se gli si smagliò in parte la rete, fu merito del papa, e se la legò al dito: i principi brandeburghesi di Bareit e di Aaspak pertanto lasciaronsi pigliare; Maurizio di Sassonia per non parere pattuì con Ferdinando re dei Romani che si sarebbe mantenuto neutrale di mezzo finchè l'elettore Giovanfederigo non dichiarasse la guerra allo imperatore; in questa riuniranno le armi, ed assalito e vinto lo elettore, terranno lo stato ai suoi aderenti ed a lui, poi di santo accordo se lo divideranno: consiglio iniquo che partorì pessimi frutti a Maurizio, però che chi comincia il conto con la cupidità ordinariamente lo salda col danno. Cesare si valse eziandio delle nozze, profittevoli sempre alla casa di Austria; di due sue nepoti una allogò in casa di Baviera, l'altra in quella del duca di Cleves; vero è che questa era stata promessa al principe di Navarra, ma l'interesse scioglie bene altri nodi che questi non sono.

Di giorno in giorno crescono le offese. Il langravio Filippo, foggia di Aiace germanico di forma gigante, armato da capo a piedi di piastra e di maglia, andava iattando bastargli l'animo dentro tre mesi rincacciare lo imperatore fuori dei confini germanici; insieme uniti i principi collegati mandano intorno un bando: veruno si attenti pigliare soldo sotto principe che il proprio naturale non sia; la sentenza di cesare contro l'arcivescovo di Colonia (della bolla papale non si parla nè manco) dichiarano irrita, nulla e come non avvenuta; straziano di scede la corte romana e il vescovo di Augusta e, meglio di tutto questo, fanno massa di gente in Augusta e in Ulma: maravigliosi il numero delle milizie accorse e le cause tanto diverse che le mossero ad assembrarsi sotto le bandiere dei protestanti; il vincolo dei vassalli ai baroni tuttavia gagliardo in Germania, l'esercizio lungo nelle armi avendo da quasi mezzo secolo combattuto ora dalla parte di Francia ed ora di Austria secondochè la passione agitava o l'interesse persuadeva, la pace di Francia con l'Inghilterra conchiusa in cotesti giorni, per la quale di parecchi soldati, i quali dal menare le mani in fuori altro non sanno fare, stavano disperati a qual santo votarsi; ci era poi dove più dove meno la rabbia religiosa, che ubbriaca più trista del vino assai: per ultimo il naturale istinto dell'uomo, che lo spinge a ribellarsi contro la forza, finchè non arrivi il tempo, e arriverà tardi, dove da un lato l'amore, dall'altro la conoscenza compartiranno alla persuasione l'autorità che adesso usurpa la forza congiunta con la frode, o no: insomma corre fama che nel giro di pochi giorni si radunassero 70000 fanti, 15000 cavalli, centoventi pezzi di artiglierie, ottocento cariaggi di munizioni, ottomila somieri, seimila guastatori: il più bello e fiorito esercito che fosse stato riunito fin lì, e bada che lo avevano posto insieme i soli principi di Sassonia, Assia, Vurtemberga, Analto e le città imperiali Augusta Ulma e Strasburgo. Se i collegati, rotti gl'indugi, avessero di subito assalito lo imperatore rinchiuso in Ratisbona città luterana, epperò tentennante, con soli attorno tremila Spagnuoli e cinquecento Tedeschi, non ha dubbio che lo avrebbero facilmente oppresso; e tuttavia nol fecero o perchè tardi per natura, o perchè sentissero una tal quale esitanza a percotere prima una istituzione così venerata come il sacro romano impero, o per qualunque altra causa a noi ignota. — Gingillaronsi i protestanti a scrivere certa lettera a Carlo, la quale non sarebbe stata accolta quando mai avesse contenuto proposte discrete; figurarsi se piena di enormezze come cotesta era! Chiedevano la pace generale della Germania, un concilio nazionale, e sia pure a Trento a patto che a loro sia libero andarvi o no, e si componga di padri o teologhi per metà cattolici, per metà luterani; siedano giudici lo imperatore con gli altri principi laici di Germania, ed altre più cose assai. Ghignò di rabbia Carlo al ricevimento di cotesto messaggio, conciossiachè, sebbene con parole onorate, egli insomma contenesse la proposta di renunzia alla corona, atto che per allora egli non si sentiva voglia di fare; onde contro suo solito, ordinariamente circospetto, non curando il pericolo dentro cui si versava, postergato ogni obbligo di consultare la dieta, di propria autorità metteva al bando dello impero l'elettore di Sassonia, il langravio di Assia e chiunque si accontasse con loro, i vassalli sciolti dal giuramento, chiunque avesse loro corso addosso per ammazzarli ed usurparne i beni, invece di pena, avria conseguito grazia e favori. Di rimando i protestanti spedirono al campo imperiale un araldo il quale con tutte le solennità che ordinavano i tempi gli dichiarava i principi collegati non riconoscerlo più per imperatore, e chiamare a decidere cui di loro avesse torto giudice Dio: protestare contro il bando perchè a quel modo decretato era atto tirannico e sovversivo delle libertà del corpo germanico. — Carlo accommiatò l'araldo incombenzandolo dire ai suoi signori: «simile protesta prima della battaglia non valere un bagattino, e dopo anco meno, perchè la forza legittima ogni cosa.»

Pertanto la guerra era dichiarata: secondo i giudizi umani lo imperatore si credeva l'avesse dovuta perdere; in ogni caso sarebbe andata per le lunghe, ed entrambe le parti ne sarebbero rimaste offese sì che quando anche ne fosse riuscito vittorioso Carlo, per parecchio tempo non gli sarebbe rimasta balìa da levare un dito. La occasione offeriva il ciuffo a chi volesse afferrarlo: il Burlamacchi voleva e sapeva.

Vita di Francesco Burlamacchi

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