Читать книгу L'arte di far debiti - Ghislanzoni Antonio - Страница 4

CAPITOLO III

Оглавление

La vittima

Cosa si intende per vittima nel linguaggio puffistisco?

La vittima è quellʼente individuale o collettivo destinato a rappresentare, in un contratto puffistico, la parte passiva, quella parte che più tardi gli accorderà il nobile titolo di creditore.

Tutto gli individui della specie umana possono in date circostanze divenir vittima di un contratto puffistico – ad eccezione di quei nullatenenti che non danno veruna promessa di tenere in un avvenire prossimo o lontano.

Il grande puffista, il puffista di prima classe non può umiliare il suo vasto talento alla designazione di una vittima individuale. Il puffista di prima classe non può esercitare il suo genio che sopra una vittima collettiva. Il mondo è tutto per lui. Egli non ha bisogno di studiare la società e le persone che lo circondano – egli segna i suoi piani sulla carta geografica – egli invade i territorii, le provincie, le città. Egli sa che dappertutto cʼè pastura pei suoi denti. Simile allʼavoltoio si lascia cadere a piombo dalle regioni nuvolose – il suo istinto gli dice che la terra è popolata di pecore– e che dove ci sono pecore, cʼè lana da tondere, ci sono costolette da friggere. – La vittima del puffista di prima classe non può essere che un ente collettivo!

Non a caso vi ho detto che questo avoltoio si lascia cadere a piombo delle regioni nuvolose. Quando un puffista di prima classe incomincia ad esercitare la sua missione in una città, è assai difficile che alcuno sappia dire da qual porta egli vi sia entrato, e in qual giorno vi abbia preso dimora. – È un russo, è un lord inglese, è un ex-pari di Francia, è un segretario del Bey di Tunisi, è un cavaliere della Guadaluppa… Donde viene? a che viene? Non importa si sappia. Gli è appunto sullʼincognito, sul misterioso, che deve basarsi il grande edifizio… Vedete quei volti estatici e balordi? quelle bocche spalancate? quegli occhi ebeti di meraviglia? Sono le vittime in germoglio. – Aspettate! fra una settimana… fra un mese… voi mi darete le nuove del vostro incognito!

Perchè vi formiate un concetto del puffista di prima classe, perchè vediate di un solo tratto comʼegli possa riuscire a mistificare in un giorno una intera popolazione; voglio rammentarvi una storiella avvenuta a Como or fanno quarantʼanni circa – una storia di cui molti non avranno perduto il sovvenire, coloro in specie che ebbero la fortuna di rappresentare in quella occasione la parte di vittime.

Nel settembre dellʼanno 1836, verso lʼora di mezzodì, un elegante giovinetto bizzarramente vestito usciva dallʼalbergo dellʼAngelo col portamento di un nobile e brioso puledro che fiuti la carriera per slanciarvisi di galoppo – era alto, di struttura quasi atletica, di viso rubicondo; e il bruno dei suoi capelli, il fuoco dello sguardo, la pienezza delle gote, la rotondità della sua corporatura porgevano il tipo di un meridionale puro sangue. Ma era convenuto che quel signore eccentricamente abbigliato di un soprabito a scacchi verde-pavonazzo dovesse chiamarsi lʼinglese– e il nostro puffista (affrettiamoci a designarlo col suo titolo più competente) si lasciava chiamar inglese col miglior garbo del mondo.

A quellʼepoca tutti gli inglesi erano ritenuti milionari come più tardi lo furono i russi. Oggigiorno queste due razze hanno alquanto perduto del loro credito proverbiale – e un puffista che sappia il suo conto non oserebbe in Italia avventurarsi ad una impresa gagliarda senza assumere il titolo di indiano o di brasiliano.

Il nostro puffista si trattenne alcuni minuti sulla porta dellʼalbergo ad esplorare la piazza… di Como. A quellʼora molti cittadini e villeggianti accorrevano verso il porto – era imminente lʼarrivo del battello a vapore. – Lʼinglese non era uomo da compromettere con degli indugi la riuscita delle sue concezioni strategiche. – Egli adocchia a poca distanza dallʼalbergo una carretta di melaranci – muove diffilato a quellʼindirizzo – e cerca colle sue maniere di attirarsi dʼintorno la folla dei curiosi, in cattivo italiano si fa ad interrogare il fruttivendolo: —quanto per pomo giallo? – Cinque soldi lʼuno, milord! – Quanto per dozzina? – Due svanziche, signor milord! – Quanto per tutti… pomi gialli? Saranno venti dozzine circa… per fare una sola parola… trattandosi di servire milord… sarei disposto a venderli tutti per un marengo…!

La folla dei curiosi va sempre ingrossando… e intorno a milord si forma una corona di occhi spalancati, di bocche aperte che stillano meraviglia.

Presto, il colpo di grazia, milord– il salto degli uomini, la tripla carambola… e siamo vincitori! – Il nostro puffista, dopo una breve pausa che raddoppia lʼattenzione dei circostanti, con voce montata di due toni e collʼaccento più inglese domanda al fruttivendolo: «e quanti per tutti palli oranzi con piccola carretta…?

– Milord…?

– Dico… quanto domandare… per tutta carretta… con tutti palli oranzi di dentro…?

Il fruttivendolo esita un poco – egli non sa risolversi a vendere la carriuola che è la sua bottega, il magazzeno mobile delle sue merci.

Ma alla fine incoraggiato dagli astanti che gli accennavano collʼocchio di non lasciarsi sfuggire la buona occasione, e comprendendo che lʼinglese è disposto a comperare la carretta pel doppio del suo valore – con voce fioca e tremante profferisce la domanda: centocinquanta svanziche per cedere tutto!

Lʼinglese non replica. Egli accenna al fruttivendolo di seguirlo colla carretta – attraversa la città – sale per le contrade più popolate, fin oltre la porta delle due torri, e venuto al largo del sobborgo, incomincia a lanciare i melaranci in questa e in quella direzione, dimostrando la più matta gioia nel vedere uno stuolo di ragazzi e di adulti i quali si accapigliano e ruzzolano nel fango per contendersi i frutti – Lʼinglese frattanto calcolava mentalmente: «questi frutti io me li farò pagare più tardi dalle vittime al prezzo approssimativo di duemila franchi cadauno!

Alla sera, tutta la città di Como, tutte le ville del Lario narravano la eccentricità dispendiosa del giovane milord, il quale, dopo aver pagato al fruttivendolo le centocinquanta svanziche patuite, gli aveva anche lasciato la carretta.

Dopo quellʼavvenimento, milord per circa una settimana si rese invisibile. – Egli stette chiuso nel suo piccolo appartamento allʼalbergo dellʼAngelo, non dʼaltro occupato che di mandare in giro a tutti i villeggianti del lago le sue carte di visita, che portavano il nome di Lord Boldegrits– Tutta la alta aristocrazia del lago, tutte le donne, tutte le fanciulle sospiravano il momento di vedere e di conoscere personalmente quel ricco figlio di Albione che aveva destato tanto rumore colle sue prodigalità.

Ma lord Boldegrits, prima di mietere nel gran campo delle vittime, voleva assicurarsi il successo con un prologo più completo. Dopo una settimana di reclusione volontaria, il nostro puffista discende inaspettatamente sul porto, sceglie collʼocchio un battello, vi si slancia colla snellezza di un cerbiatto, e ai barcajuoli che sorpresi e beati attendono i suoi cenni, ordina di vogare verso una spiaggia deserta.

– Milord… preferirebbe…?

– Luogo… qualunque… dove bagnarsi… avete capito?

I due barcajuoli invidiati, danno di mano ai remi e vogano con impeto miracoloso.

Approdati ad un spiaggia deserta, milord balza dalla barca, si spoglia rapidamente, si tuffa nelle acque e guizza come un luccio per oltre mezzʼora.

Finito il bagno, eccolo sulla riva tutto grondante e assiderato —Goddem…! non portato lingeria per seccarmi!.. qui morir di umido… di ghiaccio…!

I barcajuoli si guardano lʼun lʼaltro – non sanno suggerire alcun espediente – non osano offrire le loro camicie di tela grossolana per asciugare le membra del nobile milionario.

Ma lʼinglese si batte la fronte come un uomo colpito da una improvvisa ispirazione: e volgendosi ai barcajuoli: «quanto costare questa barca… se io voglio comperare…?

Dopo aver scambiato col compagno alcuni gesti insignificanti, uno dei barcajuoli risponde: «trattandosi di far piacere a milord, noi saremmo disposti a cedere la nostra barca per mille svanziche.»

– Ebbene! io prendo la barca!.. a patto che la tiriate fuori dellʼacqua… e bruciate subito grande incendio per asciugami…

I due barcajuoli, sbalorditi da quella proposta, esitano alquanto ad obbedire – ma dietro insistenza del lord, che già manovra di pugni e minaccia di voler bozzare risolutamente per ridurli al suo volere, essi tirano in secco la navicella, spezzano i remi ed il timone, affastellano gli attrezzi combustibili, e finalmente risolvono di dare il fuoco alla catasta. Mezzʼora dopo, immensi globi di fumo si elevano dalla spiaggia – la barca prende fuoco crepitando, e lʼinglese, tutto nudo, si abbrustolisce dinanzi a quellʼincendio, e applaudendosi del suo trovato, già enumera le vittime che dovranno pagargli la spese.

Questo secondo stratagemma infiammò di entusiasmo tutti i villeggianti – di là ad una settimana, Lord Boldegrits era lʼargomento di tutte le conversazioni, il lion della società più aristocratica, lʼidolo delle signore. Per un sorriso, per una stretta di mano di Lord Boldegrits, i più doviziosi ed orgogliosi proprietari delle ville comensi si sarebbero rovinati.

Inneggiate al glorioso puffista!– vedetelo signore di unʼintera provincia – divenuto arbitro dei milioni altrui per il tenue sacrifizio di mille e centocinquanta svanziche? – E voi, eterni incorreggibili allocchi della classe più elevata e, a dir vostro, più intelligente, accorrete in massa a deporre i volontari tributi a questo idolo abbagliante. – I banchieri di Lord Boldegrits sono in ritardo – presto! – offritegli una bagatella di trentamila lire tanto chʼegli non rimanga, Lord Boldegrits, in diffetto di spiccioli! – Lord Boldegrits ha perduto una somma enorme sulla parola – a voi, buoni figli di S. Ambrogio!.. prima che passino le ventiquattro ore pensate a fornirgli lʼoccorrente – per adempiere aʼ suoi impegni dʼonore… Lord Boldegrits vi rimetterà una cambiale pagabile dappertutto a vista dʼorbo – e frattanto somministrerà degli a conti segreti a vostra moglie… ed anche, se più vi piace, sposerà vostra figlia nel prossimo mese che non ha mai da venire…

Come sia finita la storia di Lord Boldegrits è assai facile immaginarlo a qualunque sia mediocremente dotato di spirito puffustico. – Lord Boldegvits, dopo la villeggiatura fu condotto a Milano fra le ovazioni e le feste deʼ suoi ospiti milionarii – egli rimase nella città di S. Ambrogio fino allo sparire del dicembre – e la sera di Santo Stefano, dppo essersi accapparrato collʼultimo puff un palco di prima fila per assistere alla solenne inaugurazione del teatro alla Scala, parti durante il secondo atto dellʼopera… per regioni inesplorabili. – Due mesi dopo si diceva in Milano che Lord Boldegrits aveva puffato ai suoi numerosi ammiratori la somma complessiva di lire duecentomila. – Non sʼè ancora detto sʼegli abbia fino ad ora pagati gli interessi del cospicuo capitale.

Io vi ho dato un esempio di vittima collettiva; vi ho dimostrato come la efficienza del puffista di prima categoria possa esercitarsi contemporaneamente sopra molti individui, e conquistare delle città, delle intere provincie con poche mosse strategiche.

I puffisti di seconda e terza classe debbono andare più cauti nelle loro operazioni. Concesso ai primi di attaccare contemporaneamente quattro o cinque individui; ma al momento decisivo, al punto culminante della lotta, io li consiglio a voler imitare il ben riuscito stratagemma di quellʼultimo Orazio, il quale, rimasto solo a combattere i tre avversarii Curiazii, trovò modo, lʼuno dellʼaltro discostando, di vincerli tutti.

Il puffista di terza classe, quello che è chiamato a rappresentare il partito moderato della specie, non deve mirare che ad un solo individuo, e in quello concentrare tutte le facoltà della sua mente, a quello dirigere tutti gli sforzi della sua volontà. Ai timidi, ai prudenti, che si tengono paghi dei piccoli trionfi, noi daremo alcune norme infallibili per la buona scelta della vittima, indicando al tempo stesso le maniere più acconcie dʼimpadronirsene e di cavarne il miglior vantaggio possibile.

Abbiamo detto più sopra che ogni individuo della specie umana, il quale non appartenga alla categoria dei nullatenti, può divenire una vittima del puff!

A tale proposito io vi esporrò delle massime generali, che a taluni, ai meno versati nella gran scienza, sembreranno paradossi.

Lʼavaro più facilmente si lascia puffare che non il prodigo – lʼoblio di questo principio produce ordinariamente dei crudeli disinganni negli inesperti e mal consigliati puffisti!

Il fenomeno si spiega facilmente. – Al prodigo avviene di raro di trovarsi in possesso di denaro superfluo – e quando ciò gli avvenga, egli non è mai padrone dei proprii tesori, in quanto i suoi istinti liberali lo traggano a permutarli inconsideratamente in gozzoviglie e diletti. – Voi non avete tempo di scoprire le sue ricchezze, dʼideare il vostro piano di attacco, che già il prodigo si trova allʼasciutto, in neccessità di dover puffare anzichè in condizione da essere puffato!

Il caso contrario si verifica nellʼavaro. Questi i suoi tesori accumula ed accarezza – nel contemplare le proprie dovizie, nel moltiplicarle, è riposto il segreto della sua felicità. Quando voi vi accingete a scavare in codesta miniera, avete per voi la certezza chʼessa racchiude dellʼoro. Questo è un dato positivo sul quale potete contare. Che importa se lo scrigno è serrato a doppio chiavistello, se lʼoro è sprofondato in una bolgia di ferro? – Quel medesimo istinto di cupidigia pel quale fu indotto lʼavaro ad ammassare, a seppellire tante dovizie, quel medesimo istinto vi fornirà la chiave per aprire lo scrigno di lui. Fatevi avaro collʼavaro, e i suoi tesori vi apparterranno. – Vi narrerò, a tale proposito, una breve storiella. Essa varrà meglio di qualsivoglia argomento a dimostrarvi quanto ci sia di vero nella sentenza da me esposta.

Nellʼanno 1849 io mi trovava a Parigi, dove esercitavo sopra amplissimo campo la mia grande arte.

In sul finire di marzo, venne a trovarmi un antico collega di università, un puffista di terza categoria, ma dotato, per le piccole guerriglie, di un acume infallibile e di una tenacità di propositi degna di maggiori fortune. – Quel povero amico mi si presentò allʼHôtel des étrangers, dovʼero alloggiato, in abito alquanto dimesso; mi narrò dʼaver consumato dietro una sottana un patrimonio di ottomila franchi guadagnato a Lion colle sue piccole industrie (puffistiche). – Mi chiese cinque lire, promettendomi la restituzione per una delle… domeniche… prossime. – Ordinai al garzone dellʼHôtel di versare nelle mani dellʼamico quellʼatomo di moneta spicciola – e poi – stringendogli la mano, – gli domandai con quali intenzioni si fosse recato a Parigi.

– Per continuare il mio piccolo commercio, rispose quegli sorridendo.

– Già… cʼintendiamo…! il commercio dei piccoli puff! E tu briccone hai voluto incominciare da me…

– Dal mio primo maestro… dallʼuomo, a cui debbo quelle prime nozioni…

– Con quegli abiti indosso, con quel redingot cascante e sbottonato, con quegli scarponi da montanaro, a Parigi non riuscirai a nulla. Io ti ho detto più volte che il primo anello della interminabile catena dei puff vuol essere battuto nella bottega di un sarto… Pensa dunque ad abbigliarti un poʼ meglio… ovvero… senti, briccone! pensiamo un poco…! voglio fare anchʼio qualche piccolo sacrifizio per un fratello… Gli abiti non mi costano nulla; i tailleurs delle loro maestà gli imperatori dʼAstria e del gran Mogol mi hanno fornito la guardaroba a prezzo… di affezione. – Vuoi tu approfittare di un abito completo da soirée che ha implorato questa mattina gli onori della mia anticamera…?

– Unʼabito da soirée! – rispose con una smorfia sardonica il mio piccolo puffista– ma ti pare?.. questi non sono istromenti da par mio… Io lavoro assai meglio col mio rèdingot sdruscito e i miei grossi scarponi!

Io mi sentii umiliato da quella risposta, e da quel fare derisorio – e collo sguardo sollecitavo una spiegazione.

– Tu devi sapere, – rispose lʼamico indovinando la mia curiosità – tu devi sapere che io ho già trovato a Parigi la mia vittima– intendiamoci – la mia piccola vittima!– un vecchio usuraio romagnolo, il quale, dopo aver servito per ventidue anni il governo del papa in qualità di secondino, e poi in qualità di custode delle carceri ad Ancona, essendo riuscito a metter assieme coʼ suoi risparmii un capitale di circa quattordicimila lire, è venuto a Parigi tutto solo onde intraprendere qualche speculazione sicura. Tu non puoi immaginare quando taccagno e sordido colui sia. Da circa ventʼanni porta in capo un cilindro rossiccio chʼegli dice aver ereditato da suo zio – la sua marsina è rasa come il mento dʼun canonico, sudicia e cascante come una vecchia ragnatela piovuta dal camino. – Non puoi credere quanto io fossi desolato lʼaltro ieri nel dovermi presentare a lui con questo rèdingot che ai tuoi occhi apparisce cosi modesto! Quante storie ho dovuto contargli… quante favole, perchè il mio lusso non lʼadombrasse! Memore delle tue lezioni, io so che il segreto del mio successo deve consistere nel gareggiare di pitoccheria, di sordidezza con quello sporco animale!

– Mio bravo e degno scolaro!… Ma sentiamo cosa hai fatto… e cosa intendi fare?

– Lʼaltro giorno, per esempio, lʼho invitato a pranzo…

– Cattivo principio!.. Un avaro profitta volentieri dei pranzi altrui, ma al tempo stesso concepisce il massimo disprezzo per chi usa la cortesia di invitarlo… Per ogni boccone chʼegli inghiotte, non può che ripetere in cuor suo: questo imbecille mi fa le spese della giornata… si può essere più bestia?.. dar da mangiare ad un altro!

– Io sapeva che il mio romagnolo avrebbe avuto questo pensiero… Ma io aveva preparato il mio piano… io mi era preposto di regalargli un tal pranzo, che egli, quel miserabile taccagno, avesse a rimanere sorpreso deʼmiei talenti economici!

– Briccone!.. Sentiamo… un poco…

– Lo condussi ad un piccolo restaurant nella contrada della Fontaine Moliere– un restaurant molto celebre a Parigi dove si pranza per sedici soldi… Tu certo non conosci quel luogo…

– Ci sono stato qualche volta… nei giorni più secchi… ma non me ne sovvengo… – Il mio romagnolo cominciò a far le meraviglie che in una città quale Parigi si potesse per la modica somma di sedici soldi avere un pranzo di due piatti, minestra, piccolo giardinetto, un bicchiere di vino od una bottiglia di birra, e pane a discrezione… Sopratutto egli rimase colpito del pane a discrezione!.. – Vedi, io gli diceva mettendomi a tavola, quando mi permetto uno di questi pranzi di lusso, non dimentico mai di indossare il mio grande rèdingot da quattordici saccoccie? Io non esco mai dal restaurant senza portar meco una provvigione di pane che mi basti per tutta la settimana. Di tal modo questo pranzo, che rappresenta un valore nominativo di sedici soldi, non viene a costarmi che sedici centesimi! – Il mio romagnolo, in udirmi, spalancò una bocca da ippopotamo… Da quella foce bavosa io vidi colare ad un tempo la sorpresa e lʼammirazione. Più tardi, mangiando, si venne a ragionare dei varii restaurants di Parigi, ove si danno pranzi al massimo buon mercato – promisi di condurlo il giorno seguente in una gargotte dove al prezzo di sedici soldi avremmo mangiato lautamente tutti e due. A tale annunzio il mio uomo divenne pallido dalla commozione – mi stese la mano come non aveva mai fatto, e col pianto sugli occhi, come chi violentemente reagisca contro la propria natura: – buon amico, mi disse, voi permetterete… non vorrete farmi il torto… domani… cosi alla buona… insomma io vi invito… a pranzo al restaurant… che ora avete nominato… a patto… come voi dicevate… che la spesa non oltrepassi gli otto soldi… per bocca!.. »

Il racconto del mio piccolo puffista mi destava il più vivo interesse. Non avrei mai immaginato che a Parigi esistessero delle gargottes cotanto economiche da fornire un pranzo per otto soldi. Io già cominciava a comprendere il piano strategico del mio povero allievo; ma pure, ondʼessere informato di tutto, lo pregai di continuare la sua storia.

«Per dirtela in brevi parole – proseguì lʼamico – allʼindomani, verso le ore quattro, io mi recai in compagnia del mio splendido anfitrione nella gargotte du Chat-gris in via dei Mathurins. – Scendemmo una diecina di gradini – ci trovammo in una camera oscura, tutta ingombra di piccoli tavoli che attendevano dei commensali. – Su quei tavoli erano schierate delle catinelle ricolme di pane affettato – quel pane non aveva colore – ciascuna fetta rappresentava una specialità del prodotto. – Noi sedemmo ad uno dei tavoli collʼaria di due epuloni decaduti – Il mio romagnolo mi faceva notare che la sala era più che decente, che dalle casseruole lontane esalava un profumo squisito, che infine tutto era pel meglio nel migliore dei restaurants possibili.

«Frattanto entravano degli altri commensali. – Il padrone della gargotte andava in giro a complimentare i suoi clienti, distinguendo di una particolare attenzione alcuni individui della specie più vorace, i quali, a giudicarne dallo sguardo, minacciavano dʼinghiottire per antipasto i cucchiari e le forchette di stagno. – Quando tutti i posti furono occupati, il direttore dello stabilimento diede lʼannunzio del pasto. – Unʼenorme caldaia di brodo fu portata nel mezzo della sala; gli abituati della gargotte accorsero intorno a quella colle loro zuppiere, e una donna di circa sessantanni, montata sovra una seggiola, diede principio alla solenne distribuzione del brodo. – Questa distribuzione si operava con un sistema tuttʼaffatto parigino. – La grande prètresse della cerimonia tuffava nella caldaia una lunga canna da clistero, e dopo averla riempita di quellʼonda senza, nome, la schizzava, a discrezione degli affamati, nelle ampie scodelle che stavano in giro. – Il mio romagnolo si levò in piedi come gli altri – io balzai dietro lui, e, raccolta la nostra porzione di liquido, tornammo a sedere presso la tavola per ruminare tranquillamente e a tutto piacere la nostra zuppa. Dopo quel pasto, venne servita una frittura di color tetro, bituminosa e salata, una frittura alla quale i più nobili visceri di tutto il regno animalesco avevano portato il loro tributo. – Quella frittura era abbondantissima – ragione per cui il mio romagnolo la trovò eccellente!

«Durante quel pasto, cominciarono le intimità, le confidenze reciproche. Lʼamico mi pose al fatto dei suoi piccoli segreti che in parte io già conosceva, si fece a discutere meco i suoi piani, mi chiese dei consigli… Era il varco a cui io lo attendeva… Un uomo che domanda consigli sul modo dʼimpiegare i suoi capitali… è una vittima che si offre spontanea, è un piccione che vuoi essere spiumato ad ogni costo.

« – II consiglio chʼio vi posso dare – gli risposi trangugiando un morsello di frittura che forse il giorno innanzi era un turacciolo di bottiglia – il consiglio che io vi posso dare è quello di non accingervi in questo dannato paese a veruna speculazione, quando non siate ben certo che al termine di un mese ogni vostro quattrino debba moltiplicarsi nelle proporzioni che che ora sto per descrivervi.

«Ciò detto, io mi levai di tasca un portafogli, e colla matita gli dimostrai a tutto rigore di cifre qualmente da un sol quattrino si possa, in sedici giorni ricavare lʼinteresse di 325 lire, e in un mese di oltre un milione, a patto che il prodotto di questo prodotto vada ogni giorno raddoppiando.

«Il mio uomo era stordito dalla logica dei miei calcoli – egli fissava le cifre collʼocchio del basilisco – il suo collo si era allungato di due spanne. Malgrado la fiera tensione di tutte le membra, di tutti i sensi, il mio romagnolo non sapeva capacitarsi.

«Io dovetti spiegargli il mio sistema col denaro alla mano.

«Vedete, gli dissi, questo è un centesimo: se nel termine di 24 ore voi riuscite a raddoppiarlo, domani questo rappresenterà necessariamente il valore di due. Or bene, come avete raddoppiato lʼuno, colla medesima facilità, voi otterrete che per lʼindomani si raddoppi anche il due– eccovi quattro centesimi, che il dì seguente diverranno otto, poi sedici, poi trentadue, poi sessantaquattro, e via via…

«Provatevi a tirare innanzi con questo metodo, e al termine di due anni, il vostro quattrino avrà prodotto una tal cifra di milioni da imbarazzare tutti i calcoli umani.

«Io non posso descriverti lʼeffetto di questo mio piano… puffistico!

«Ti basti sapere che il mio romagnolo, dopo aver pagato quel lauto pranzo di otto soldi per cadauno, volle anche costringermi ad accettare un caffè da cinque centesimi. Quellʼuomo è mio!.. Non mi lascia più… Ieri mattina è venuto a svegliarmi alle ore cinque… Ha voluto mostrarmi una parte deʼ suoi capitali – un portafoglio contenente dodici mila franchi in biglietti di banca, e una cinta di cuoio imbottita di napoleoni doppi…

«Due giorni ancora… e se il diavolo non ci mette la coda… la vittima farà spontaneamente la rassegna dei suoi beni nelle mani del tuo umile ed indegno scolaro… del tuo piccolo puffista!..»

Questa istoria dellʼamico mi diverti infinitamente, ed io non ho cessato mai di applaudire a me stesso dʼaver contribuito in quel giorno, col mio obolo da cinque franchi, ad agevolargli la riuscita di quellʼameno colpo puffistico. Due settimane dopo, il mio piccolo allievo era divenuto socio e amministratore del romagnolo taccagno – il quale, dopo avergli confidato tutto il suo patrimonio, lo aveva spinto a partire per le Antille onde intraprendervi con sollecitudine la coltivazione del cafè-sucrè. Il mio piccolo allievo era riuscito a persuadere la sua vittima, che mettendo i semi del caffè comune ad ammollirsi per ventiquattro ore in una infusione di melassa, questi semi avrebbero prodotto un caffè perfettamente raddolcito e tale da potersi servire senza zucchero.

Il romagnolo sta ancora attendendo i dispacci che gli annunzino dalle Antille i primi risultati di questa grandiosa non meno che immaginosa speculazione!

L'arte di far debiti

Подняться наверх