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III.

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Se è in tutti, è anche in me. E io, perchè da quando s'era fanciulli insieme, non ho vissuto una vita cui almeno il dolore, che fu tanto, desse rilievo, non l'ho perduto quasi mai di vista e di udita. Anzi, non avendo io mutato quei primi miei affetti, chiedo talvolta se io abbia vissuto o no. E io dico sì, perchè ivi è più vita dove è meno morte, e altri dice no, perchè crede il contrario. Comunque, parlo spesso con lui, come esso parla alcuna volta a me; e gli dico:

Fanciullo, che non sai ragionare se non a modo tuo, un modo fanciullesco che si chiama profondo, perchè d'un tratto, senza farci scendere a uno a uno i gradini del pensiero, ci trasporta nell'abisso della verità...

— Oh! non credo io che da te vengano, semplice fanciullo, certe filze di sillogismi, sebbene siano esposte in un linguaggio che somiglia al tuo, e disposte secondo ritmi che sono i tuoi! Forse quei ritmi ce le fanno meglio seguire, quelle filze, e quel linguaggio ce lo fa meglio capire, quel ragionamento; o forse no, chè l'uno, abbagliando, ci distrae, e gli altri, cullando, ci astraggono; sì che il fine del ragionatore non è ottenuto come sarebbe senza quelle imagini e senza quella cadenza. Ma mettiamo che sia: ora il tuo fine non è, credo, mai questo, che si dica: Tu mi hai convinto di cosa che non era nel mio pensiero. E nemmeno quest'altro: Tu mi hai persuaso a cosa che non era nella mia volontà. Tu non pretendi tanto, o fanciullo. Tu dici in un tuo modo schietto e semplice cose che vedi e senti in un tuo modo limpido e immediato, e sei pago del tuo dire, quando chi ti ode esclama: Anch'io vedo ora, ora sento ciò che tu dici e che era, certo, anche prima, fuori e dentro di me, e non lo sapeva io affatto o non così bene come ora! Soltanto questo tu vuoi, seppure qualche cosa vuoi dal diletto in fuori che tu stesso ricavi da quella visione e da quel sentimento. E come potresti aspirare ad operazioni così grandi tu con così piccoli strumenti? Perchè tu non devi lasciarti sedurre da una certa somiglianza che è, per esempio, tra il tuo linguaggio e quello degli oratori. Sì: anch'essi gli oratori ingrandiscono e impiccoliscono ciò che loro piaccia, e adoperano, quando loro piace, una parola che dipinga invece di un'altra che indichi. Ma la differenza è che essi fanno ciò appunto quando loro piace e di quello che loro piaccia. Tu no, fanciullo: tu dici sempre quello che vedi come lo vedi. Essi lo fanno a malizia! Tu non sapresti come dire altrimenti; ed essi dicono altrimenti da quello che sanno che si dice. Tu illumini la cosa, essi abbagliano gli occhi. Tu vuoi che si veda meglio, essi vogliono che non si veda più. Il loro insomma è il linguaggio artifiziato d'uomini scaltriti, che si propongono di rubare la volontà ad altri uomini non meno scaltriti; il tuo è il linguaggio nativo di fanciullo ingenuo, che tripudiando o lamentando parli ad altri ingenui fanciulli.

Non è così? —

Fanciullo, dunque, che non ragioni se non a modo tuo, dicendo di quando in quando le sentenze più comuni e più sublimi, più chiare e più inaspettate, tu puoi per altro in ciò che ti riguarda più da presso, e intendere la mia e dire la tua ragione. Per questo ti parlo con più gravità che io non soglia, e vorrei avere da te una risposta meno... come ho a dire? infantile?... poetica, che tu non costumi.

Tu sai che io ti amo, o mio intimo benefattore, o invisibile coppiere del farmaco nepenthes e acholon, contro il dolore e l'ira, o trovatore e custode d'un segreto tesoro di lagrime e sorrisi! E sai ancora che io non ti credo, come fanciullo, così irragionevole, nè stimo un perditempo l'ascoltarti quando detti dentro. Oh! no, molto ci corre. Sebbene qualche volta, a vedere le tiritere isosillabiche e omeoteleute (non ti spaventare! è come dire «versi rimati») con le quali certi orecchianti vogliono far credere di far l'arte tua, anch'io rischio di pensare, come molti, che codesto parlare cadenzato e sonoro non è naturale nè ragionevole. Ma è un momento. Dimentico quelle tiritere, e dico a te che per quel momento mi fissi tra spaurito e malcontento con codesti occhi che vedono con maraviglia; dico a te:

No no: non temere. Tu sei il fanciullo eterno, che vede tutto con maraviglia, tutto come per la prima volta. L'uomo le cose, interne ed esterne, non le vede come le vedi tu: egli sa tanti particolari che tu non sai. Egli ha studiato e ha fatto suo pro' degli studi degli altri. Sì che l'uomo poi dei nostri tempi sa più che quello dei tempi scorsi, e, a mano a mano che si risale, molto più e sempre più. I primi uomini non sapevano niente; sapevano quello che sai tu, fanciullo.

Certo ti assomigliavano, perchè in loro il fanciullo intimo si fondeva, per così dire, con tutto l'uomo quanto egli era. Meravigliavano essi, con tutto il loro essere indistinto, di tutto; che era veramente allora nuovo tutto, nè solo per il fanciullo, ma per l'uomo. Meravigliavano con sentimento misto ora di gioia ora di tristezza, ora di speranza ora di timore. Se poi tale commovimento volevano esprimere a sè e ad altri, essi traevano fuori dalla faretra, per dirla con te, certi preziosi e numerati strali di cui non si doveva far gettito.

Pronunziavano essi, i primi uomini, con lentezza uniforme, con misurata gravità, la difficile parola che stupivano volasse e splendesse e sonasse, e fosse loro e diventasse d'altri, e recasse attorno l'anima di chi la emetteva dopo la lunga silenziosa meditazione. Oh! non le gettavano essi, come cose vili che soprabbondano, le parole pur mo nate, legate coi più sottili nodi, segnate con le più vive impronte, lavorate coi più ingegnosi nielli! Ne vedevano essi tutti i pregi, e il peso e il timbro del loro metallo, e il suono col quale in principio rompevano dalle labbra schiudentisi, e quello col quale in fine ronzavano nelle orecchie aperte. Or tu, fanciullo, fai come loro, perchè sei come loro.

Fai come tutti i bambini i quali non solo, quando sono un po' sollevati, giocano e saltano con certe loro cantilene ben ritmate, ma quando sono ancora poppanti, e fanno la boschereccia, con misura e cadenza balbettano tra sè e sè le loro file di pa pa e ma ma.

E in ciò è ragione perchè è natura. Tu sei ancora in presenza del mondo novello, e adoperi a significarlo la novella parola. Il mondo nasce per ognun che nasce al mondo. E in ciò è il mistero della tua essenza e della tua funzione. Tu sei antichissimo, o fanciullo! E vecchissimo è il mondo che tu vedi nuovamente! E primitivo il ritmo (non questo o quello, ma il ritmo in generale) col quale tu, in certo modo, lo culli e lo danzi! Come sono stolti quelli che vogliono ribellarsi o all'una o all'altra di queste due necessità, che paiono cozzare tra loro: veder nuovo e veder da antico, e dire ciò che non s'è mai detto e dirlo come sempre si è detto e si dirà! E si ribellano, gli uni con schifi gesti di pedanti: Questa metafora non è in... (e qui il nome d'un poeta a mano a mano più recente); gli altri con pugnaci atteggiamenti di novatori: Questo non è assai inaudito e inaudibile! Quelli sono in generale vecchi che nella vecchiaia credono riposta ogni autorità; e questi, giovani che nella giovinezza imaginano insita ogni forza; più noiosi questi di quelli, perchè l'un vanto è sempre con impertinenza, e l'altro non è mai senza tristezza, e perchè se gli uni non intendono più, per senile sordità, l'arguto chiacchiericcio del fanciullo, gli altri non lo intendono ancora, per quello schiamazzare che fanno, miseramente orgoglioso, intorno al loro io giovane. E, in verità, giovani non sono, chè d'essere, se fossero, non si accorgerebbero. D'essere vecchio uno s'accorge sì, qualche volta, e allora si veste, si tinge, grida a giovane. È forse il caso di voi, vecchiastri?

A ogni modo, pace. Sappiate che per la poesia la giovinezza non basta: la fanciullezza ci vuole!

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