Читать книгу Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti - Italo Svevo - Страница 26

XIX

Оглавление

Fu una serata agitatissima. Arrivato a casa, Alfonso non si accorse subito che ai Lanucci doveva essere accaduto qualche cosa di grave; era troppo preoccupato per proprio conto. Nel tinello non c’erano né Lucia, né Gustavo e la signora Lanucci sedeva perduta in riflessioni e gli occhi rossi dal pianto, distante dal tavolo, su una sedia che non si capiva perché fosse stata messa a quel posto. Unico al suo posto solito era il vecchio Lanucci con le gambe fasciate da coperte.

Dovette loro rivolgere la sua attenzione, visto che non parlavano e non rispondevano alle sue domande, e impazientito chiese:

— Si potrebbe sapere che cosa vi è accaduto?

Gli costava un grande sforzo distrarsi dai propri pensieri.

Parve che la Lanucci non volesse rispondere, ma quando vi si risolse in poche parole disse molto:

— Oh! piccolezze! Finora si soffriva in casa nostra soltanto di miseria, ora vi si aggiunge anche il disonore. — Il vecchio protestò imponendole di tacere, ma ella gridò ch’era cosa che prima o poi tutti avrebbero saputo e che tanto meno si poteva pensare di celarlo ad Alfonso. Crudamente aggiunse: — Divento nonna!

Alfonso finse di venir grandemente sorpreso da tale notizia che esplicitamente non gli era stata data da nessuno.

Qualche sospetto ne aveva avuto per le parole dettegli da Gustavo la sera del suo arrivo, ma costui le aveva smentite ed egli non s’era fermato a esaminare se Gustavo fosse più degno di fiducia dicendo quelle parole o smentendole.

Gli venne raccontata l’avventura della giornata, quella che aveva fatto che Lucia si tradisse. Sembrava che appena quel giorno ella si fosse accertata del suo stato perché nella sua disperazione era corsa da Gralli a raccontarglielo e a chiedergli aiuto. Gralli l’aveva respinta dicendole ch’egli non poteva addossarsi quel peso e che gli doleva ma che doveva lasciarla a sé stessa. Le offriva un soccorso mensile a patto però che gli si concedesse il libero accesso in casa Lanucci. La disgraziata aveva perduto la testa ed era corsa dalla madre a raccontarle tutto.

— Che fosse morta! Il dolore sarebbe stato meno grande, glielo assicuro.

La Lanucci esponendo il fatto con vivacità s’era sfogata e aveva acquistato la calma sufficiente per tentare di salvare a forza di frasi l’onore della famiglia compromesso per quel fatto agli occhi di Alfonso.

Lucia dalla sua stanza aveva udito queste ultime parole ch’erano state gridate e s’era messa a piangere dirottamente invocando sua madre, chiedendole perdono.

— È troppo tardi per piangere, ci dovevi pensare prima, — gridò la Lanucci senza compassione.

La Lucia, poveretta, non poteva distinguere come Alfonso quello che c’era di simulato nelle parole della madre e pianse più fortemente ancora, senza più parlare; forse riteneva essa stessa di meritare d’essere ammazzata. Alfonso non si commoveva che per essa; i gridi della Lanucci lo stordivano e lo seccavano.

Il vecchio Lanucci imitò la moglie:

— Se fossi sano, — disse, — andrei dal seduttore, lo piglierei per il collo e lo costringerei a restituire l’onore che ha rubato a mia figlia. Ma così, in questo stato, dovrei farmi portare da lui su una sedia.

— Gustavo è andato da Gralli! — disse la Lanucci con fierezza, e come Alfonso poco commosso e niente irritato disse che avrebbe dovuto impedirglielo acciocché dalla prima sventura non derivasse loro un’altra, ella gridò che non si poteva obbligarli a sorbirsi in pace l’offesa ch’era stata loro fatta e che se Gustavo ammazzava il traditore era ben ammazzato; anche condannato a vent’anni di galera non avrebbe dovuto pentirsi della sua azione.

Invece poco dopo venne Gustavo sano e salvo e abbastanza calmo. Raccontò che da due ore correva in cerca di Gralli senz’averlo potuto trovare; gli era riuscito però di sapere dove lo avrebbe trovato di là a mezz’ora; in un’osteria non troppo lontana.

— Ci andrò! — e seppe mettere un tono di minaccia in queste parole. Chiese poscia alla madre dei particolari sul fatto di quel giorno. Prima, nella furia di correre via in cerca di Gralli, non si capiva come, egli aveva inteso che Gralli aveva maltrattata la sorella allorché ella s’era portata da lui a chiedergli che la sposasse. Si sentì, disse, alquanto alleggerito all’udire che ciò non era vero, e prima di uscire chiese da mangiare. Rivolto ad Alfonso chiese: — Che te ne pare di quanto ci avviene?

Alfonso gli raccomandò di trattare Gralli con le buone; non era escluso che tutto ancora terminasse bene e sarebbe stato disaggradevole aver offeso un futuro membro della famiglia.

Allora appena Gustavo si adirò e, parve, con Alfonso; tutto rosso in volto rispose:

— Con le buone lo tratterò. Gli dirò: Vuoi sposare mia sorella? Se risponderà di sì lo bacerò e lo chiamerò fratello, se di no, lo piglierò pel collo e che si raccomandi l’anima perché gliene lascerò appena appena il tempo.

La madre riconoscente gli circondò con un braccio il collo e lo baciò. Gli disse però che gli proibiva in tutti i casi di commettere un omicidio perché Gralli non meritava che per lui si avesse a sopportare la galera. Aveva paura la povera vecchia di perdere troppo continuando nella commedia eroica. Gustavo invece infiammato dalle carezze non rispose nulla, ma parve come uomo che avesse fisso il suo proposito e che desse poco ascolto a quanto gli altri andavano dicendo. Alfonso si offerse di accompagnarlo da Gralli ma egli non volle. Il rifiuto fu gentile. Era ben vero che Alfonso apparteneva alla famiglia, ma non tutti lo sapevano.

Poco dopo l’uscita di Gustavo l’impazienza spinse la signora Lanucci alla finestra ove rimase per un’ora circa ad onta del freddo rigido. Il vecchio andò a coricarsi dichiarando che sapeva che non avrebbe dormito, ma che per la sua malattia abbisognava del caldo del letto. Alfonso si mise a leggere. Il vecchio orologio brontolava lungamente ogni quarto d’ora; non suonava più perché Gustavo gli aveva levato la soneria.

— A me pare che questo ritardo sia un buon indizio, perché, se fosse avvenuto qualche malanno, a quest’ora noi già lo sapremmo, — disse la Lanucci ritirandosi dalla finestra e guardò Alfonso nella speranza ch’egli fosse del suo parere. Egli le disse che così spiegava anche lui il ritardo.

Dalla via salì il rumore di una baruffa. Ambidue si slanciarono alla finestra. Lentamente, con lunghe fermate, salivano l’erta cinque persone discutenti con vivacità. Ad intervalli, già si vedeva, due di esse si ponevano a faccia a faccia e venivano divise con sforzo dalle altre. Una aveva la statura di Gustavo e l’altra, o sembrava, di Gralli. Si fermarono giusto sotto alla finestra, e allora appena Alfonso e la signora Lanucci si accertarono che in quel gruppo non v’era né Gustavo, né Gralli. Respirarono e si guardarono sollevati.

Tuttavia la vista di una baruffa parve avesse rattristato la signora Lanucci. Confessò che aveva perduto ogni speranza e che già sapeva il destino riservato alla figliuola. Ella sapeva quale uomo fosse Gralli. Non ci aveva badato prima, ma ora si rammentava di certi particolari nel suo contegno, i quali avrebbero dovuto metterla in guardia e farle sospettare della sua sincerità.

— Essendo buoni è tanto difficile di sospettare in altri la cattiveria. — Lodò Alfonso; egli era buono ed ella sentiva, sapeva che a lui il male ripugnava. — Ci si sente tanto bene accanto ad una persona in cui si ha tale fiducia. — Poi riandò con la mente tutte le fatiche ch’ella aveva sopportate per allevare quella sua unica figliuola e chiedeva se c’era giustizia a questo mondo che tali e tante pene non avessero ad avere altro risultato. Con amarezza si rammentò che per essa era già stato un dolore la promissione con Gralli. — Avevo sperato di meglio per Lucia. Non ricchezze o principi, ma una persona intelligente. Non sarebbe stato possibile che lei s’innamorasse di Lucia?

Era la seconda volta che gli confessava questa speranza con tutta franchezza. Anche questa volta la faceva parlare così una profonda commozione; la vergogna che poco prima l’aveva spinta al melodramma era scomparsa e non rimaneva in lei che il dolore per la sorte della figliuola, non per la perdita dell’onore della famiglia.

Egli s’imbarazzò e citò qualche parola dettagli da Lucia nell’ira e ch’egli riteneva provasse che Lucia non lo aveva amato.

— L’amava! — disse la Lanucci con convinzione. — Non me lo disse, ma io lo compresi e mi meraviglia che lei non lo abbia capito, lei che pure crede di conoscere il cuore umano. Quanti dispiaceri ci sarebbero stati risparmiati! — Credeva che solo per un malinteso egli non avesse amato Lucia e si commoveva sul destino della povera figliuola tanto maltrattata dal caso. Poi uscì in uno sproposito. — Sarebbe pur bello di poter dire a Gralli se in seguito alle esortazioni di Gustavo chiedesse di sposare Lucia: Vattene all’inferno; abbiamo di meglio e tu non la meriti.

Alfonso non aprì bocca. Gli si proponeva di sposare Lucia. Il fatto era enorme, ma egli volle comprendere e scusare. Comprendeva la voluttà in cui doveva cullarsi quella povera madre sperando di poter salvare la figliuola dal disonore e nello stesso tempo vendicarsi di chi l’aveva offesa nel suo più caro affetto; egli stesso si rifugiava quando si sentiva più disgraziato in sogni di realizzazione impossibile! Ella gli chiedeva un sagrifizio perché di certo non credeva ch’egli desiderasse di sposare Lucia; lo poneva tanto in alto da ritenerlo capace di una simile bontà! Perché avrebbe avuto da offendersene? Dacché egli si compiaceva nelle sue nuove idee era la prima volta che s’imbattesse in qualcuno che le adottasse. Era ben vero che più che adottarle per sé la signora Lanucci voleva imporle ad altri, ma, vedendo ch’ella aveva parlato senza artifizio come della cosa più naturale di questo mondo, ammise ch’ella fosse convinta che trovandosi nei suoi panni avrebbe agito come gli consigliava.

Nel desiderio di porgere aiuto in qualche modo egli si profferse di andare in cerca di Gustavo e di riportarne immediatamente notizie. La Lanucci lo ringraziò ma già freddamente.

Giunto in via degli Artisti, una piccola via a quell’ora molto oscura, l’osteria gli sembrò chiusa; picchiò e fu lieto quando udì che dopo lunga esitazione si veniva ad aprire. Il locale era irregolare; per formarlo dovevano essere stati atterrati uno o due muri divisori di cui erano rimaste tracce sul pavimento, a metà di terrazzo.

Due uniche persone erano sedute in un canto ad un tavolo rotondo. L’una era Gustavo che Alfonso riconobbe ad onta che gli volgesse la schiena; poggiava la fronte su una mano in atto di profonda meditazione. L’altra era Gralli che salutò Alfonso.

Al vederli seduti tanto amichevolmente uno accanto all’altro coi bicchieri vuoti dinanzi, Alfonso pensò che dovevano essersi accordati e stese la mano a Gralli che la strinse ordinando subito all’oste di portare un altro bicchiere. Un’occhiata gettata su Gustavo, che ridendo gli diceva di bere quanto potesse perché tutto era pagato, gli rivelò che quel fanciullo mandato da casa con una missione tanto seria s’era lasciato ubbriacare.

— Siamo ottimi amici noi due! — gridò Gustavo e guardò Gralli affettuosamente. — Ero venuto con l’intenzione di bastonarlo, ma l’ho trovato così buono che sarebbe stato un delitto fargli del male. Prova, prova anche tu e vedrai. È un’ottima pasta d’uomo e Lucia sarà molto felice con lui.

Rise sgangheratamente.

Chiese del vino e Gralli diede ordine che gliene portassero dicendo ad Alfonso con un sorriso malizioso:

— Vino quanto ne vuole!

— Basta vino! — intimò Alfonso. — Bevi acqua!

— L’acqua serve per lavarsi! — rispose Gustavo spiritosamente e tracannò l’intiero bicchiere di vino. Dopo un lungo silenzio si rimise a ridere e asserì che qualcuno gli faceva il solletico al cervello. — Capisco che non ci può essere nessuno che arrivi fin là, ma almeno qualcuno mi augura questo solletico ed io l’ho — si affannò dal ridere.

Alfonso gli disse che la madre lo attendeva alla finestra e che aveva mandato lui all’osteria per condurlo a casa.

— Mamma mi attende? — chiese Gustavo ridendo. — Infatti posso andarmene perché con Gralli ho parlato abbastanza a lungo. Ed io che volevo bastonarlo! Povero diavolo! con quel musetto nero!

Infatti non si poteva credere che quell’ometto, che quasi scompariva dietro al tavolo, fosse un tal seduttore a cui la buona vecchia Lanucci dovesse augurare la morte.

— Vado a dire a mamma che ho messo tutto in ordine; poi ritorno qui. È giusto che la povera vecchia non sia in pena.

Pareva che se ne andasse per ritornare immediatamente e invece non lo si vide più.

Gralli rise di gusto:

— Venne qui con propositi terribili e in mezz’ora l’ho ridotto come ha veduto, perché sono già due ore che siamo ridivenuti i buoni antichi amici.

— E come si sono accordati? — chiese Alfonso turbato di vedersi trattato da complice, e incapace però di usare modi bruschi.

— Sposarla non posso! — disse Gralli con tranquillità, — ma però è lontana da me l’idea di abbandonarla; finché potrò l’aiuterò. Ritengo che la famiglia si adatterà e le permetterà di venir a vivere con me. Anche il mio capo ha una donna così e non vuole neppur lui legarsi per tutta la vita! È affare troppo serio. E poi perché sposarsi?

Anche a lui il vino doveva essere salito alla testa per quanto l’effetto non ne fosse così rumoroso come in Gustavo.

— Ma lei l’ha sedotta! — osservò Alfonso già molto timido.

— Sedotta? Mai! Non sono mica un bellimbusto io! Ci lasciavano sempre soli! Io non pensavo ad altro ed ella ci pensava sempre... Naturale mi sembra!

— Ma perché non la vuole sposare? — gli domandò Alfonso già disperando di poter riuscire vincitore di tanta logica e sperando di portare la questione su altro terreno.

— Mancano questi! — rispose Gralli movendo l’indice e il pollice della destra sollevata come se contasse denaro.

— Non mancano del tutto! — rispose Alfonso.

Si sarebbe sentito felice di poter sagrificare per la felicità di Lucia una piccola somma di denaro e dimostrare alla Lanucci ch’egli non era del tutto indifferente al destino di Lucia.

Alla prima offerta di mille lire, Gralli lo guardò sorpreso ma rifiutò.

— Non capisco come c’entri lei!

Alfonso arrossendo fortemente, perché comprendeva quale dovesse essere il primo sospetto di Gralli, spiegò che da anni era l’amico intimo della famiglia e che doveva fare del suo meglio per salvarla da una sventura. Così, per quanto avesse da fare con persona di tanto inferiore a lui, finì coll’essere imbarazzato, e per sfuggire a tale imbarazzo non trovò miglior via che di raddoppiare la sua offerta e triplicarla, quasi senza lasciare il tempo a Gralli di riflettere.

Gralli ben presto mutò di contegno, fu esitante, là là per cedere, e Alfonso se ne avvide. Poi invece replicò il rifiuto:

— Io non la sposo, non posso sposarla. Ho anche una madre sulle spalle e non posso sobbarcarmi a nuove simili spese.

Con ripugnanza Alfonso passò di nuovo ai ragionamenti. Non aveva ancora compreso il vero significato dell’esitazione di Gralli e credette di poter finire col convincerlo. Gli disse che per mantenere Lucia non abbisognava che di pochissimo perché dove mangiavano due potevano mangiare tre e che la dote da lui offerta doveva bastare a coprire le spese maggiori.

Ma l’operaio sapeva fare di conti. Per quanto Alfonso avesse nominato un importo insignificante quale spesa per mantenere Lucia, l’operaio gli provò che gli interessi della somma offerta non bastavano a coprirne che un quinto.

— Ella dunque vuol vivere d’interessi! — esclamò Alfonso indignato.

Quel calcolo egoistico da cui Gralli faceva dipendere un’azione doverosa di riparazione lo toglieva alla sua calma.

— Non io, ma chi vuole vivere alle mie spalle, — rispose brutalmente Gralli. Fu lui che cessò dal ragionare. — Se Lucia avesse una dote di settemila lire, la sposerei.

Alfonso tentò di fargli diminuire questa domanda, già deciso però di cedere lui se l’altro resisteva, e Gralli fu irremovibile.

— Lei avrà queste settemila lire, — disse Alfonso alzandosi.

Gralli lo accompagnò fino alla porta dei Lanucci:

— Mi basterà la sua parola, la sua parola dinanzi ad un notaio. — Poi dopo di avere fatto il proprio interesse con tanta abilità volle fare anche buona figura. Disse che la somma che Alfonso gli dava era ben lungi dal bastare ai bisogni di Lucia, ma ch’egli metteva nella bilancia anche il suo affetto per essa e poi il suo affetto paterno che, assicurava, era nato dal momento in cui aveva saputo che stava per divenire padre.

— Sì, — aggiunse serio, — sono convinto ch’è molto meglio che quello o quella che ha da nascere sia figlio legittimo.

Le espressioni gentili e affettuose di Gralli stonavano siffattamente col contegno fino allora da lui seguito che ad Alfonso sembrò di udire citazioni testuali di pensieri altrui.

Era però lieto che tentasse di apparire innamorato e disinteressato perché così gli veniva tolta la preoccupazione che Gralli potesse sospettare un movente meno che puro all’interessamento ch’egli prendeva alla famiglia Lanucci.

Parve anche che Gralli indovinasse che cosa il suo benefattore da lui attendesse. Gli disse con aspetto commosso:

— Lei vuol bene ai genitori di Lucia come se fosse loro stesso figliuolo.

Non si poteva esprimersi più delicatamente. Rimasero d’accordo che il giorno appresso Gralli sarebbe andato dal vecchio Lanucci a chiedergli la mano della figliuola.

La Lanucci gli corse incontro sulle scale:

— È dunque tutto messo in ordine?

— Chi glielo ha detto?

— Gustavo! si trovava però in tale stato ch’io dubitava della verità delle sue parole! Caro il mio figliuolo! Gli feci torto!

Gettava baci all’aria e saltava sulle scale come una ragazzina.

Lo lasciò solo senza salutarlo e, coricandosi, Alfonso udì ch’ella aveva destato il marito per dargli la lieta novella. La intese poi di nuovo nella stanza di Lucia e pervenne sino a lui il suono di baci sonori. La ragazza, dalla gioia, si mise a singhiozzare.

Finalmente nella casa tutti riposavano all’infuori di lui. Aveva fatto bene a non gettare in faccia alla Lanucci il suo beneficio perché sarebbe stato un voler diminuire la sua gioia. Prima o poi ella l’avrebbe appreso. Non voleva fare la parte di benefattore sconosciuto, ma nemmeno avere l’aspetto di ricercare riconoscenza. S’addormentò lieto; precisamente quella riconoscenza a cui s’attendeva lo rendeva tanto lieto. Soltanto parecchi giorni dopo egli s’avvide della grandezza del sagrificio fatto e di quanto avesse peggiorato la sua condizione con quell’enorme diminuzione del suo capitale.

Avendo gironzato a lungo per le vie, la sera appresso giunse molto tardi a casa e non ci trovò più Gralli che doveva esserci stato per parecchie ore. Non arrivò a sapere di che cosa avessero parlato perché nessuno si curò di raccontarglielo, ma gli fu facile comprendere dal loro contegno che nulla sapevano ch’era lui che aveva salvato Lucia.

Subito dopo la sua venuta, la giovinetta uscì, facendogli, per unico saluto, un inchino riservato, freddo. La signora gli disse ch’era stato per un malinteso ch’essi di Lucia avevano creduto quella tale cosa. Questo tratto con cui ella lo escludeva dalla loro confidenza era di una freddezza voluta perché la Lanucci era abbastanza intelligente per comprendere che alle sue parole egli non poteva credere; non avevano dunque altro scopo che di ferirlo. Rimasto solo con Gustavo, a sua grande sorpresa trovò che anche costui credeva che la salvezza di Lucia fosse dovuta al suo contegno. Se ne vantava:

— Quanto non vale una parola messa ragionevolmente a tempo e luogo!

Fu per malizia che Alfonso lo lasciò per il momento in quell’opinione.

E neppure il giorno appresso nessuno fiatò della generosità di Alfonso né egli provò il bisogno di parlarne. Non voleva riconoscerlo, ma taceva perché si compiaceva di aumentare la sua generosità; ogni parola fredda dei Lanucci gli dava un’aspra soddisfazione perché tanto maggiore sarebbe stata la loro riconoscenza al riconoscere quanto ingiustamente lo avevano trattato. Avrebbe avuto voglia di ridere quando Lucia, che l’odiava perché due volte gli aveva offerto il suo amore, gli voltava la schiena per dimostrargli il suo disprezzo non maggiore però di quello che aveva per lui la vecchia Lanucci dacché definitivamente aveva abbandonato ogni speranza di potergli appioppare Lucia. Sorrise quando dovette confessarsi che ci teneva tanto a quella riconoscenza da fare delle commedie per accrescerla. Sempre ancora egli si trovava nelle sue azioni in contraddizione con le sue teorie. Quel desiderio intenso di venir ringraziato e ammirato non somigliava punto né a serietà né a rinunzia. Continuava ad essere anche vano.

A pranzo, il giorno dopo, il vecchio Lanucci attese gravemente che Alfonso si fosse seduto; poi, seccamente, avvertì che per ragioni che gli erano state indicate, ma ch’egli non rammentava, Gralli per quel giorno non sarebbe venuto. Poi immediatamente, volgendosi ad Alfonso, continuò:

— Io non sapevo che gli fossero state promesse settemila lire di dote. Ne chiese a me e io gli dissi che non ne sapevo nulla. È vero ch’è lei che le vuol dare?

— Sì! — rispose Alfonso, — già a me non servono a nulla.

Fu un coro di ringraziamenti, ma non tutti ugualmente vivaci. Alla signora Lanucci non doveva piacere troppo di passare improvvisamente dall’odio alla riconoscenza. Stese la mano ad Alfonso e volendo supplire con una forte brevità a quanto mancava d’intensità al suo ringraziamento gli disse:

— Grazie! — Sorrise alla figliuola che aveva gli occhi pieni di lagrime e le disse: — Perché piangi? Sciocca! Così almeno avrete anche qualche po’ di denaro!

Lucia ringraziò singhiozzando. Ella s’era lusingata che Gralli fosse ritornato a lei per solo amore e il dolore di apprendere che così non era fu maggiore che non la riconoscenza. Pianse molto e si ritirò nella sua stanza dopo aver salutato Alfonso, con un grazie ch’era forte perché ripetuto.

— Quello che non capisco, — disse Alfonso, e parlava per togliersi all’imbarazzo che gli davano quei ringraziamenti, — quello che non capisco si è come queste cose stieno in relazione con l’assenza di Gralli.

Il Lanucci disse che gli sembrava che Gralli gli avesse detto qualche cosa anche per scusare la sua assenza ma che non se ne rammentava.

La scusa data dal Gralli al Lanucci e taciuta da questo fu compresa con facilità da Alfonso alla sera allorché uscì dall’ufficio. Sul Corso lo fermò Gralli che lo aveva di sicuro atteso espressamente ma che non voleva averne l’aria. Era amichevole molto ma si capiva che aveva il pensiero altrove, a cercare parole per dire cosa molto difficile.

— Come sta?

Fra di loro non avevano nulla da parlare fuori della cosa che stava tanto a cuore a Gralli. Dopo di aver risposto seccamente alla domanda fattagli e atteso inutilmente che l’altro si risolvesse a esporre il motivo per cui lo aveva atteso, Alfonso, impaziente e seccato di dover camminare per il Corso in sua compagnia, gli chiese che cosa da lui desiderasse così che a Gralli non fu concesso di preparare il suo discorsetto come avrebbe desiderato.

Gralli lo pregò di seguirlo fuori del viavai della gente e si diressero verso la fontana. Lo scirocco aveva reso più mite la temperatura e l’aria tiepida aveva chiamato dalle case molta gente.

— Oggi parlai col vecchio Lanucci e mi disse ch’egli non sa nulla della dote promessa... — Parlava lentamente per dar tempo all’altro di abituarsi alla sua diffidenza e di scusarla, ma in dieci parole aveva già espresso tutto.

— E che importa che il vecchio Lanucci ne sappia? Quando ho promesso io, basta! — gridò Alfonso infuriato capacissimo di far credere a Gralli ch’egli aveva desiderato che i Lanucci nulla sapessero del suo dono.

— Non ne ho mai dubitato io, — gridò Gralli.

Doveva essere vero perché Alfonso sapeva che Gralli s’era accontentato della sua promessa. Raccontò ad Alfonso con l’accento della sincerità che sua madre gli aveva imposto di non sposarsi se prima non avesse avuto in mano la dote.

Alfonso si mise a ridere con disprezzo; affettava di non credere a quello ch’egli già aveva compreso essere vero:

— Mi crede un mentitore dunque? In nessun caso le darei i denari in mano perché diffido io di lei per motivi migliori di quelli che lei può avere per diffidare di me.

Gralli si disperò:

— Se le cose stanno così, come faremo? Mamma è donna che quando ha detto ha scritto e dichiarò di non volerne sapere prima di aver veduto i denari! Non le basta neppure che lei faccia una promessa dinanzi al notaio.

Questo che a Gralli sembrava un ostacolo insormontabile avrebbe potuto servire ad Alfonso quale scusa per sottrarsi all’impegno preso. Non volle e indicando lui la via per mettersi d’accordo sentì gonfiarsi il petto per il sentimento della propria generosità. Gli propose di portarsi insieme il giorno appresso da un notaio e depositare presso di lui i denari con la dichiarazione che non doveva consegnarli che a Gralli e soltanto il giorno del suo matrimonio con Lucia.

Gralli accettò grato della proposta che gli piaceva e che gli sembrava dovesse piacere anche a sua madre. Andò subito dai Lanucci spintovi da Alfonso che lo avvertì ch’erano in pena per la sua assenza. Alfonso gli raccomandò di non lasciar trapelar nulla dell’avvenuto perché non molto lo avvantaggiava con Lucia. Ora che sapeva che non c’era più pericolo che i beneficati ignorassero il suo sagrificio si sentiva bene ad agire come se avesse voluto celarlo.

Quell’egoista, come Alfonso lo chiamava, fu più sincero di lui.

— Di Lucia non m’importa, — disse con ingenuità; — gli altri, se non vogliono essere sciocchi, devono comprendere che io faccio precisamente quello che debbo fare. Senza di questa dote io non potevo sposarla! — Asserì anche che andava in casa Lanucci senza timori perché dal momento che lo vedevano entrare, per quanto l’avessero con lui, i loro volti si rischiaravano.

— Mi vogliono bene, — disse con malizia.

Eppure non parve che quella sera l’avessero accolto troppo bene perché quando giunse Alfonso trovò ch’egli se ne era già andato e che tutta la famiglia, indizio di grande malumore, s’era coricata. Alfonso provò della delusione al vedere che neppure in quello stesso giorno la gratitudine dei Lanucci fosse stata tanta da indurli ad attenderlo per salutarlo.

Lucia lo aveva atteso ma chiusa nella sua stanza, non s’era accorta ch’egli era rincasato. Egli aveva già abbandonato il tinello e stava per coricarsi, allorché sulla porta si presentò la fanciulla.

— Mi permette? — chiese con timidezza a lei insolita e abbozzando un sorriso. — Vengo per ringraziarla. Mamma sa che ho da venire; anzi ho da ringraziarla anche in nome suo.

S’interruppe e si mise a piangere dirottamente. Pareva la continuazione di un pianto soffocato poco prima perché le lagrime non esitarono un solo istante a trovare la via.

Imbarazzato e commosso egli la pregò di calmarsi. Provava un sentimento disaggradevole, quasi un rimorso di aver soffocato la povera fanciulla sotto il peso della gratitudine. Le disse ch’egli non aveva fatto altro che il proprio dovere. Ella continuava a piangere tenendosi sulla bocca il fazzoletto e rimanendo sulla soglia senza appoggiarsi allo stipite.

— Non v’è nulla da ringraziare né da piangere. Saranno felici adesso, ecco tutto!

Ma Lucia riebbe subito la parola:

— Felici no! Mai! — Poi, di tempo in tempo ancora interrotta nel suo parlare dalle lagrime, raccontò che quella stessa sera ella aveva scongiurato Gralli di rinunziare alla dote e ch’egli vi si era rifiutato. — Ora non gli voglio più bene affatto, — e si rimise a piangere. Era proprio una bambina e giammai, pensando al tradimento di Gralli, Alfonso non aveva sentito tale ripugnanza. — Bene, veramente bene, — e Alfonso pensò ai sacchi di bene di cui parlavano i bambini, — veramente bene non gli volli mai. Mi dicevano e io stessa comprendevo che bisognava sposarlo, ma non mi sarei mai immaginata ch’egli fosse tanto cattivo.

Alfonso tentò di convincerla che Gralli era migliore di quanto ella credesse dicendole che se voleva del denaro era per goderne con lei. Non trovò altri argomenti. Non sapeva risolversi a usare astuzie per stornare da sé il dolce affetto ch’era nato per lui nel cuore della fanciulla e donarlo a Gralli.

Ella voleva baciargli la mano, ciò ch’egli non permise. L’attirò a sé e la baciò sulla fronte mentre fra le sue braccia la fanciulla tremava tutta. Con dignità, lentamente, sempre parlandole e pregandola di non piangere, la ricondusse in tinello e fino alla porta della sua stanza.

Ripensando al suo contegno con Gralli del quale egli non aveva sdegnato di ricercare l’ammirazione e con Lucia della quale aveva procurato di aumentare la riconoscenza, Alfonso si ripeté la domanda:

— Era quello il contegno da filosofo?

E ancora una volta dovette sorridere di sé allorché provò una grande soddisfazione per la riconoscenza del vecchio Lanucci. Costui gli si chinava dinanzi come ad essere superiore, lo stava ad ascoltare con riverente attenzione quando parlava:

— Io non ho mai visto una cosa simile dacché vivo! — aveva esclamato allorché ebbe assistito alla consegna del denaro al notaio.

— Sei molto buono! — gli disse Gustavo. — Quanti denari ti restano ora? Udita la risposta di Alfonso non volle ammettere che gli fosse stata detta la verità. E Alfonso ebbe la debolezza di perdere il fiato per farsi credere da lui.

R

Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti

Подняться наверх