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L'UTERO NERO

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Pena! Rete! Lama! Pena! Rete! Lama! Pe... Re.... La....

— Voi siete un uomo forse?

— No, signore, io sono una povera vecchia.

— È vero, è vero sì, avete ragione, voi siete una povera vecchia, un uomo sono io.

— Voi che cosa siete signore?

— Io sono.... io sono.... molto leggero, io sono un uomo molto leggero; e voi siete una povera vecchia: come Pena, come Rete, come Lama, anche loro erano vecchie. Vorreste dirmi se quello che si vede laggiù, in fondo a questa via, è la città?

— Sì.

— Quella che si vede laggiù.... sarebbe forse la casa del Re?

— Quella è la porta della città. La casa del Re è situata nel mezzo, ed è circondata da mura, e guardata dai vigili. Quei cittadini uccidono sempre il loro Re. Ora è Re Torlindao. Voi andate alla città signore?

— Sì.

— Ci sarete fra poco. Di dove venite?

— Di lassù.

— Non vi hanno mai veduto in città?

— Ci vado per la prima volta.

— Guardate guardate quella nuvola di polvere che viene verso di noi, sono i vigili del Re, è la scorta a cavallo, vengono per fare la perlustrazione nelle vicinanze, io vi saluto, addio, addio signore, vedendomi qui con voi potrebbero sospettare, sappiategli rispondere nel caso, voi potete colpire i loro occhi. Addio, buon viaggio.

— Hai veduto come lo abbiamo impolverato?

Non si capiva più che cosa fosse.

— Quando siamo stati vicini mi è sembrato di averlo visto scomparire.

— Scomparire?

— Sicuro, anche a me.

— Ma quello non era un uomo sapete!

— Che cos'era sentiamo?

— Sembrava una nuvola.

— Lo abbiamo ricoperto di polvere, una nuvola sembriamo noi caro mio, su questa porca strada!

— No no, l'ho veduto prima che la strada fosse invasa dalla polvere, è un uomo di fumo!

— Imbecille!

— Va' là, uomo di fumo, sarà un arrosto di asino, hai sbagliato.

— Io gli ho visto benissimo le scarpe.

— Aveva degli stivaloni lucidi come quelli dei nostri ufficiali.

— Ma è un cavaliere antico però.

— Fermiamoci un momento.

— Perchè non torniamo indietro?

— Per far che?

— Per vederlo, almeno per interrogarlo.

— Per niente io non faccio un passo di più.

— Scommettiamo.

— Che cosa?

— Dite voi.

— Un paio di stivali come quelli del tuo asino antico, asino alla moda!

Pena! Rete! Lama! Pena! Rete! Lama! Pe.... Re.... La....

— Ehi, galantuomo, dove andate?

— Alla città.

— Ci sapete dire un po' che razza di bestia siete?

— Io sono.... molto.... un uomo.

— Voi siete poco un uomo, di uomo mi sembra non abbiate che le scarpe.

— Di dove venite?

— Di lassù.

— Bel discorso, ehi galantuomo, lo sapete con chi parlate?

— Con la scorta del Re.

— Meno male, allora le ciarle sono inutili.

— Dimandiamogli di che cos'è.

— Domandaglielo te, imbecille.

— Di che cosa siete signore?

— Io sono.... molto leggero.

— Volevo dire: di quale materia è formato il vostro corpo?

— Fumo.

— L'avevo detto! Ecco! Ecco! È un uomo di fumo. Un uomo di fumo! Fumo! Fumo! Fumo!

— Taci marmocchio, se non vuoi andare anche te in fumo.

— Ma egli ha ragione!

— Perchè ostinarsi poi?

— Non si vede bene tutti?

— Fumo! Fumo! Fumo!

— Taci....

— Ma no che è vero, ha ragione.

— A voi sta a cuore la vostra scommessa, ecco.

— Come sono belle quelle scarpe!

— Tacete....

— Ma è inutile, è vero.

— Fumo! Fumo! Fumo!

— Lo vediamo tutti.

— Andiamo a dirlo al Re?

— Andiamo a dirlo al Re.

— Sì sì, andiamo.

— Può aver piacere di vederlo.

— Chi sa che cosa dice!

— Un uomo di fumo!

— Fumo! Fumo! Fumo!

Pena! Rete! Lama! Pena! Rete! Lama! Pe.... Re.... La....

— Niente per il dazio signore? Galantuomo non fate da sordo! C'avete niente? Dentro le scarpe?

— Io sono.... molto leggero.

— Eh caro mio, ci sono delle cose molto leggere che pagano il dazio. Coi vostri stivaloni potreste frodare benissimo il governo. Che tipo buffo!

— Hai veduto che strano colore?

— Colore della nebbia caro mio.

— No!

— Che c'è?

— Ho capito.

— Che cosa?

— È di fumo!

— Ah! ah! ah! ah! ah!

— Sì, è di fumo!

— Venite a sentire, ha visto passare un uomo di fumo.

— Sicuro.

— Ah! ah! ah! ah! ah!

— Pazzo!

— Quanto gli hai fatto pagare?

— Tipo ameno te e lui.

— Vi assicuro, non poteva essere altrimenti egli ha detto di essere molto leggero, l'ho visto bene da vicino!

— Ah! ah! ah! ah! ah!

— Voi siete un uomo, vero?

— Naturalmente.

— Sapreste dirmi chi è quell'uomo là? È un uomo anche lui?

— Ma si capisce, è un soldato. Egli è pronto per la guerra.

— La guerra!

— Non vedete come è ben guernito di ferro, di piombo e di acciaio? È un soldato, si capisce.

— La guerra! Piombo.... ferro.... acciaio.... ma non sono queste cose molto pesanti?

— Naturalmente. Non si può mica farsi sul nemico con dei confetti. Ma voi che cosa siete?

— Io sono.... un.... molto leggero, sì, un uomo molto leggero.

— Che tipo strano!

Quante volte ho sentito questo nome: guerra. Pena, Rete, Lama, leggevano sempre di guerre, ed io mi figuravo che gli uomini andassero nudi alla guerra, facendosi leggeri; che i loro passi fossero agili, silenziosi, come quelli di un leopardo; lanci furtivi, volute serpentine per insinuarsi, per nascondersi, per sottrarsi; e li vedevo carpire ali ad uccelli da usare quali strumenti. Piombo.... acciaio.... ferro.... E non cadono essi schiacciati sotto il peso dei loro arnesi? Come possono velocemente inseguire il nemico, e inseguiti, come possono velocemente fuggire?

Io vedevo dei campi tutti bollati di sangue vermiglio, come se quegli uomini se ne fossero liberati per correre più leggeri a gridare la loro vittoria!

Ora vedo la guerra.... un'enorme minestra grigia, scodellata con stridulo crocrolo sciulo frastuono, e rimasta lì.... immangiabile.

— Gente! Gente!

— Signore! Signore!

— Signore! Correte!

— Venite!

— Anche voi!

— Correte presto!

— Dateci aiuto!

— Aiuto!

— Guardate, venite!

— Vedete, vedete questo pozzo? Affacciatevi, guardate. Si sono or ora calate laggiù due fanciulle e non è possibile trarle fuori.

— A quest'ora saranno morte!

— Aiutateci signore!

— Dicono che questo pozzo non abbia il fondo!

— Quanto erano belle!

— I loro occhi sembravano quattro stelle del cielo!

— Avevano i riccioli neri più delle ali dei corvi!

— Le loro bocche sembravano due cofani di corallo pieni di perle!

— Erano nate per salutar l'aurora!

— Per amore! Per amore!

— Si sono volute uccidere!

— Tutte e due erano invaghite di uno stesso uomo!

— Fino alla perdizione!

— Egli è là che piange e si rotola sulla terra, sua madre lo tiene, altrimenti si sarebbe già calato nel pozzo!

— Due fanciulle!

— Veneziane!

— Erano venute qui ad infilare le perle alle dame della città.

— E per amore hanno troncate le loro giornate.

— Amavano uno stesso uomo?

— Sì, signore.

— E perchè si sono gettate nel pozzo?

— Bella, perchè erano infelici. Come poteva egli con un cuore solo corrispondere a due cuori così ardenti?

— E allora una sola doveva gettarsi nel pozzo.

— Tacete, cosa sapete voi?

— Chi siete?

— Una sola! Che faccia!

— Mandatelo via, fatelo andar via!

— Non vedete che uomo buffo?

— Non dev'essere mica un uomo, sapete.

— Che cosa dev'essere?

— È un poco di buono, ecco che cos'è!

— È un nuvolone venuto basso basso.

— Un nuvolone! Ha una cappa di piombo!

— Non è un uomo, non è un uomo!

— Sì è un uomo, ma è vestito di pelle d'elefante.

— Guarda che belle scarpe!

— L'ha rubate, l'ha rubate in qualche posto!

Amore! Quante volte sentii salire fino a me questa parola: amore. Io ricordo Pena, Rete, Lama, quando pronunziavano questa parola: le voci si facevano incerte, tremule, come se la parola dovesse elevarsi, come il muoversi dei piccoli uccelli nel nido, ai primi pruriti vitali, quando ancora inconsci intuiscono le loro ali e i loro voli. Amore. E vedevo due creature dalla chioma d'oro coperte di vesti leggere, rosee, guardarsi con un sorriso candido, e in un'aureola di ali bianche salire salire nell'azzurro portate da una nube di rose....

Laggiù, nel fondo di quel pozzo oscuro.... egli è là che si rotola sulla terra....

Vedo ora una vecchia dalle carni verdi, grinzita, tutta avvolta in uno zendado nero, liso, divenuto turchiniccio col tempo, è inginocchiata, ha in mano un pentolo oblungo di terra rossa, guardinga, torva, si volge, spia, che nessuno la colga mentre versa dell'acqua gialla in una fenditura nera del terreno.

— Entrate, entrate signore!

— Salite. Il grande cerimoniere della corte vi attende con tutti i gentiluomini.

— Signore, in nome del Re, della Regina, e di tutta la corte, io vi saluto ospite della reggia.

Il Re è stato informato della vostra presenza in questa città ed ha subito espresso il desiderio di avervi sotto il tetto regale.

Le guardie reali non hanno punto esagerato portandoci le vostre notizie, voi siete davvero l'uomo più singolare che si sia mai veduto sotto tutti i regni di questo mondo. Voi venite dunque?

— Di lassù.

— Dove lassù?

— Lassù dove io rimasi sempre prima di scendere alla luce.

— Siete stato molto tempo prima di venire alla luce?

— Ci sarà stato quanto tutti gli altri, nove mesi.

— Forse più di trent'anni. Anzi, certo, trentadue in trentatrè anni.

— Ma ci canzona sapete, ci canzona.

— Non ha punto aria da canzonare, taci.

— Domandagli quando è nato.

— Quando siete nato?

— Non so. Stamane all'alba io discesi alla luce.

— Ma che diavolo vuol dire con questo scendere?

— Vuol dire che è venuto alla luce stamani, nascere e venire non è la stessa cosa?

— Ma lui dice che è sceso.

— E quando uno nasce cosa fa, sale?

— Ma nemmeno scende. Ed è nato così grande e grosso?

— Ma è di fumo, è di fumo, cosa c'è da stupirsi?

— Scusate, siete nato con le scarpe?

— No, le trovai appena sceso.

— E dagli con questo sceso!

— Ma lui dice sceso per nato, cosa c'è da stupirsi?

— E avendo vissuto trent'anni e forse più, come voi dite, nel seno materno, dovreste serbare un ricordo, una visione di quel tempo.

— Un ricordo, non una visione. Tutto io rammento ora per ora, ma vedere non mi era possibile, intorno a me era tutto nero.

— Ma allora vedevate?

— Nero.

— Voi vedevate nero?

— Ma sicuro, ma sicuro, cosa c'è da farla tanto lunga, nel seno materno non si può vedere che nero. Che cosa si deve vedere?

— Caro mio, nel seno materno si vede un bel corno!

— Si vede che lui ci vedeva, e vedeva nero, un utero nero, ecco tutto!

— Utero nero?

— Ma naturalmente, cosa c'è di strano?

— Diteci un poco, signore, come lasciaste vostra madre?

— Quando io discesi esse non c'erano più, ed io discesi appunto perchè non udii più la loro voce.

— Esse? Chi?

Pena! Rete! Lama!

— Chi sono?

— Sono le sue madri.

— Ma è pazzo, è pazzo!

— Come come come?

— Sì.

— Sì? Avete tre madri?

— È pazzo!

— Sicuro, ha tre madri, cosa c'è di strano, è un uomo strano, è strano in tutto, cosa c'è di strano?

Pena! Rete! Lama! Pena! Rete! Lama! Pe.... Re.... La....

— Chiamiamolo Perelà!

— Chiamiamolo Perelà.

— Ma no Perelà, cosa vuol dire Perelà?

— Ci fu un re che si chiamava Gola, cosa vuol dire Gola? Si può chiamare lui Perelà.

— Ma dunque spiegateci, spiegateci per amor del cielo, che cosa dobbiamo raccontare al Re?

— Dove io restai fino a stamane, non era il seno di una qualunque madre, era la sommità di un camino.

— Ahaaaaa!

— Uhuuuuu!

— Ohooooo!

— Ecco!

— Un camino?

— Povero diavolo!

— Ardevano sotto a me costantemente alcuni tronchi, un perenne, mite fuocherello, ed una spira di fumo saliva su su per il camino dove io era. Non ricordo quando in me nacque la ragione, ma io incominciai ad esistere, e gradatamente conobbi il mio essere, udii, capii, sentii. Udii in principio una confusa cantilena di voci che mi sembrarono uguali, capii che sotto a me esistevano degli esseri che avevano qualche attinenza con me, sentii che io era una vita.

Intesi giorno per giorno meglio le voci, incominciai a distinguere le parole, capirne il significato, e sentii ch'esse rimanevano in me non inerti, ma incominciavano la trama di un loro lavoro.

Senza interruzione il fuoco ardeva e la spira calda saliva ad alimentare questa mia vita. Io era oramai un uomo.

Sotto a me erano tre vecchie che alternativamente leggevano, alternativamente parlavano. Appresi così quello che gli altri uomini apprendono dai loro insegnanti. Pena, Rete, Lama, non tralasciarono di prepararmi a nessuna utile cognizione.

Io imparai di guerra, d'amore, di filosofia.... tutto era in quel libro.

— Anche la filosofia?

— Sì.... una filosofia leggera.... leggera.... era quella che poteva giungere sino a me.

— Meno male.

— E tutte le cose mi giungevano così.

— Le tre vecchie si chiamavano dunque?

Pena, Rete, Lama.

— Che nomi!

— Io ho conosciuto un uomo che si chiamava Dato, che prodezze!

— Quelli non erano i loro nomi, erano solamente tre parole che usavano per distinguersi. Oh! Esse dovevano chiamarsi bene altrimenti!

— Ma sapevano che voi eravate lassù, alla cima del camino?

— Lo sapevano? Io non riuscii a scuoprirlo mai. Esse non dissero mai una parola che riguardasse me.

— E voi non parlaste mai?

— Solamente stamane mi sono accorto di parlare, quando per la prima volta le ho chiamate. Pena! Rete! Lama! Pena! Rete! Lama! Pe.... Re.... La....

— Non piangete più.

— Fatevi coraggio.

— O bella, erano le sue mamme vè, lasciatelo piangere povero diavolo.

— Ma se stavano sempre lì a leggere avranno avuto la loro buona ragione.

— Potevano stare al camino per scaldarsi, o bella!

— Anche d'estate tenevano il fuoco acceso?

— Sempre.

— Allora lo sapevano, erano d'intesa di non parlarne.

— Ma voi che cosa pensate di voi?

— Fui ammassato e composto da quella spira di fumo, cellula per cellula, come le pietre di un edifizio? In maniera che tutto il prodotto di quel fuoco venisse usato per la mia costruzione....

— Ma il fumo non andava fuori dal camino?

— Il camino era otturato alla sommità dove io giungeva colla mia testa.

— Ah! Ecco! L'utero nero era dunque serrato.

— Come tutti gli altri uteri mi sembra, fin qui....

— O fui un giorno introdotto lassù uomo, come sono adesso, ma di carni e con vesti uguali a quelle di tutti gli altri uomini?

— Ecco!

— Ora sì! Vi ci hanno nascosto!

— Quelle tre vecchie avevano il loro segreto.

— Ma è lampante, quella di non voler far sapere il loro nome....

— Eppoi di non volerne parlare.

— Allora, sotto l'azione del fuoco, io sarei giorno per giorno lentissimamente carbonizzato, trasformato nel lungo volgere degli anni, fino a rimanere intatto ma di compattissimo fumo. Fu questa la più accurata purificazione che il fuoco abbia mai compiuta sopra la carne?

— Purificazione!

— Purificazione!

— Purificazione!

— È così, è così.

— Ma sì, sì è così.

— La purificazione!

— Sarà stato un loro amante, di quelle tre vecchie, e loro per lavarlo dal peccato....

— Ma che amante d'Egitto!

— Quanti anni avevano le vecchie?

— Cento!

— Accidenti!

— E voi quanto siete rimasto nel vostro utero nero?

— L'ha detto, trent'anni circa.

— E a settant'anni avevano un amante?

— Eppoi, un amante in tre?

— Erano tanto vecchie!

— State pur certo signor Perelà, lassù vi ci avevano nascosto uomo tale e quale voi siete, a furia di star sul fuoco siete diventato di fumo, la cosa è naturalissima, se bruciamo qualcosa vediamo che si carbonizza e dopo se ne va in fumo.

— Ma il fumo ti va per l'aria.

— Ma siccome quel camino era otturato alla sommità non poteva andar per l'aria; mi sembra tanto naturale.... Ma vi pare, ammassato, costruito di fumo? Il germe di un uomo ci doveva pure essere alla cima del camino! L'utero, nero o bianco, ha bisogno di un seme per generare.

— E il seme per un camino è il fumo!

— Ma nossignore che lui è un uomo! State sicuro signor Perelà, ci foste messo tale e quale voi siete, e potete avere appunto trentadue in trentatrè anni, che cosa ne dite?

— Sì, sì.

— Mi pare ne dimostri di più.

— Sì, dimostrerà tutto quello che voi volete, ma non li può avere.

— Tanto ha vissuto uomo e tanto gli ci è voluto....

— Per purificarsi.

— Infatti! Trentatrè anni di peccato ne vogliono trentatrè di penitenza.

— Allora ne ha sessantasei!

— Vuoi finirla, mondo ladro?

— Voi siete, signor Perelà, un uomo purificato, e questo vi renderà ai nostri occhi un essere di privilegio ed eccezionale.

— Chi sa il Re come ne godrà!

— Come sarà contenta la Regina!

— Due di voi vadano subito da Sua Maestà che attende con ansia, ditegli che l'uomo lo abbiamo visto, toccato e interrogato, è veramente di fumo, è un gran gentiluomo, e non c'è nulla da temere. Che stia pure tranquillo, poi gli daremo ogni utile spiegazione. Il tutto si spiega assai più facilmente e naturalmente di quello che a prima vista possa sembrare. Presto, andate andate.

— E dunque eccoci, bravo bravo signor Perelà vi faremo preparare subito l'appartamento, e per tutto quello che potrà occorrervi non avrete che da dimandare.

— Certo certo, non può essere altrimenti foste messo lassù, per quale ragione bene non si sa, gli stessi vostri abiti ce lo rivelano.

E forse avremo in seguito la rivelazione completa della vostra vera ragione. Certamente.

Abbiate la compiacenza di girarvi. Ecco.... probabilmente sarete uno spagnolo.

— O un francese.

— È un francese.

— Ma che francese!

— Se fosse francese si sentirebbe.

— Sembra un moschettiere.

— Ma che moschettiere!

— È un cavaliere scappato dalla rivoluzione, si vede dal costume.

— Sì sì, è un moschettiere!

— È scappato dalla rivoluzione.

— E vi sembrano gli stivali della rivoluzione quelli?

— Ma quelli gli ha trovati caro mio, gli ha trovati stamani prima di venir via dal suo luogo, lassù....

— Che c'entrano con lui! Non sono già di fumo!

— Quelle sue vecchie signore glie li hanno fatti fare ultimamente da un ottimo calzolaio, sono precisi a quelli di tutti i nostri ufficiali.

— Al taglio mi sembrano del calzolaio di mio fratello.

— Vedete che lo sapevano! Cosa se ne facevano tre vecchie di un paio di stivali?

— Signor Perelà finite il racconto, come vi decideste a lasciare il vostro nascondiglio?

— Tre giorni or sono io sentii spegnersi sotto a me la cantilena, attesi, non udii più la voce adorata delle mie vecchie, dopo, anche il fuoco si spense là sotto, e tutto attorno a me divenne freddo e silenzioso. Le mie membra perderono gradatamente la loro immobilità, incominciarono ad agitarsi. Attesi trepidante. Dove erano andate Pena, Rete, Lama? Perchè mi avevano lasciato solo? Mi avevano abbandonato? Per sempre forse? Io mi agitava, mi attorceva in uno spasimo terribile, quel luogo mi era divenuto insopportabile, e mi svoltolavo da ogni parte come un globo di una materia divenuta estranea in un organo umano. Puntai le mani alle pareti, e poggiandomi colla schiena e puntando le ginocchia, riuscii a scendere giù, dove il camino si allargava, lì incominciavano gli anelli di una catena, a quella mi aggrappai e discesi giù giù fino a terra. Sotto c'era ancora l'ultima cenere e attorno al camino tre poltrone vuote, un grosso libro a terra chiuso. Dove io avevo posato i piedi, accanto, un paio di bellissimi stivali lucidi, questi. Io che mi sentiva così estraneo alla terra e attratto ancora alla sommità del camino, infilai inconsciamente le gambe in quelli stivali, e allora soltanto mi sentii sicuro, dritto, piantato, capace di poterci restare, lasciai la catena e incominciai a camminare. Corsi per tutte le sale della villa, vuote, non un mobile, non una persona, non un segno di vita! Gridai fino a lacerarmi la gola: Pena! Rete! Lama! Nessuno! Urlai come un folle, piansi, mi disperai, e quando credetti che tutto per me fosse finito, che la mia vita fosse finita, mi trovai alla porta della villa. La porta era aperta, si estendeva davanti polverosa la via provinciale che mena a questa città.

Sapevo tutto, come il cieco, senza avere mai veduto nulla. Mille storie di uomini, senza sapere preciso come gli uomini fossero, tutti i nomi delle cose, senza sapere quali fossero le cose che a quei nomi corrispondevano, come il cieco cui sia donata per incanto la luce. Io dovevo ora vedere.

— La reggia è circondata di popolo, tutti vogliono sapere, vogliono vedere, conoscere Perelà.

— Si sa già dovunque il suo nome!

— Molti dicono di averlo visto passare, vogliono ad ogni costo vederlo.

— Il popolo fa ressa alla porta!

— Tutte le dame della capitale hanno telefonato per assumerne informazioni.

— Il Re ha ordinato che Perelà sia ospitato con ogni onore come si conviene ad un principe reale.

— La Regina annunziò che lo riceverà in udienza particolare.

— Il gran cerimoniere di corte prepara intanto l'ordine del giorno.

— Alcune personalità cittadine domandano di essere ammesse dinanzi al signor Perelà. Possono essere ammesse?

— Signor Perelà, il vostro nome è sulle bocche di tutti, non si sente parlare più che di voi, dell'uomo di fumo! Perelà! Perelà! Perelà di qua, Perelà di là, ce ne vorrebbero dieci di uomini di fumo per contentare tutta questa gente!

— Il signor Perelà sia fatto passare in sala di udienze, il gentiluomo di servizio introdurrà i primi venuti.

— Il grande scultore nazionale Cesare Augusto Formichini.

— Illustrissimo signore, io mi tengo fortemente onorato d'essere ricevuto da voi per il primo e vi esprimo subito la mia matura risoluzione, e insieme il dovere, di assicurare alla patria il vostro monumento. Nel bronzo sacro ai secoli e agli eroi saranno eternate la vostra memoria e la vostra grandezza.

— Nel bronzo?

— Già, nel bronzo.

— Non è egli il bronzo una cosa dimolto pesante?

— E che intendete dire con questo? Che con esso non si possono esprimere e riprodurre le cose più leggere? Le chiome fluttuanti di Venere or ora sbocciata dalle onde? I veli di tutte le danzatrici di Ninive? Lo zeffiro che sfiora la guancia vellutata di Narciso? Sapete voi che sia il bronzo?

— Sapete voi che sia il fumo?

— Il pittore della Regina Crescenzio Pacchetto.

— Eccellentissimo signor Perelà, permettetemi di presentarvi insieme ai più devoti ossequî i sentimenti della mia più viva riconoscenza. L'onore che voi mi prodigate facendomi conoscere un uomo.... sì, un uomo come voi, è da me altissimamente considerato.

Sono sicuro che risponderete affermativamente all'invito ch'io sono per farvi. Io aspiro ad essere il vostro primo ritrattista. Sarete il modello del mio capolavoro. Nessun ritrattista del mondo troverà mai un modello quanto voi ispiratore, e alla prossima esposizione figurerete al fianco della Regina.

Lasciate ora ch'io esponga al vostro inappellabile giudizio l'ultima mia opera, quella che mi valse la celebrità.

Venite pure avanti, fermatevi, scuoprite.

Ecco, come voi potete bene osservare, signor Perelà, quella è una dama del diciottesimo secolo, il cavaliere che le è a fianco si è di fresco levato di ginocchio, dov'egli era per isporgere la sua dichiarazione di folle amore. E la nobile dama, in piedi, la vedete? accenna vaga coll'indice della sua pallida mano, la finestra, vedete quella rosea porpurea che vi sembra scoppiata per incanto nella notte di attesa? La vedete? Ecco, ella gli dice col gesto, prendetela. E non è come dire: la vostra dichiarazione è coronata dal mio amore? L'attesa è finita? Quel fiore che vi mancava eccolo, prendetelo, conservatelo sul vostro petto? Pegno di un primo bacio? Non vedete com'ella lo guarda? E con quanta grazia indica la bella rosa sul davanzale? Questo quadro si chiama appunto: il cavaliere senza la rosa.

— Che cosa dice quella signora?

— Prendete, quel fiore è vostro.

— Io credevo invece ch'ella dicesse: signore, uscite.

— Oh! Ma signor Perelà, che cosa dite mai? Non vedete come quegli occhi brillano? Come quelle labbra sono avide di baci e d'amore?

— E non si può dire con un sorriso uscite, ad un uomo?

— No certamente, e come potrebbe dire così s'ella indica la finestra?

— E non si può uscire sorridendo per una finestra?

— Ma no, ma no, ma no vi dico, non si può uscire, è come se gli dicesse io vi voglio vedere accoppato. Ella non può assolutamente dire questo, vi pare, non può, il significato del mio quadro ne sarebbe totalmente travolto.... Io vi prego caldamente di non dir ciò con alcuno, voi pregiudichereste a fondo la mia opera.... la vostra interpretazione in questo momento mi sarebbe fatale.... Venite pure avanti, fermatevi, cuoprite, andate.

— Alcuni fotografi.

— Pianino, pianino, due alla volta, c'è tempo per tutti.

— Avreste la compiacenza di voltarvi, signore?

— Io approfitterò per il profilo.

— Vorreste sedervi?

— E leggere un poco questo giornale così? Ecco.

— E tenere nella mano questa sigaretta, così? E questo fiammifero, così, in questa? Ecco, benissimo, ottimamente.

— Vorreste accavallare le gambe così?

— E le braccia così? Con questo dito qui, lì. Ecco, proprio.

— Potreste togliervi gli stivali?

— No!

— Per rimetterveli tosto ben inteso.

— No!

— Non vuol dire, lasciate pure, sarebbe stato tanto bello per il cinematografo....

— No!

— Non vuol dire, lasciate lasciate pure.

— Ma vi pare....

— Prego....

— Ecco.

— Grazie.

— Grazie.

— Riverisco.

— Illustrissimo.

— Eccellentissimo.

— Signor Perelà.

— Obbligatissimo.

blgtssm.

— Il banchiere Fortunato Rodella.

— Appena venuto a cognizione della vostra presenza nella nostra città, mi sono affrettato a presentarvi i migliori omaggi, e a pregarvi altresì di ascoltare quanto sono per dirvi.

Io ho altresì udito che voi siete giunto sprovvisto di tutto, e solo in possesso di un paio di bellissime scarpe.

— Eccole.

— Benissimo, dunque io vengo per mettere a vostra disposizione i miei capitali, e questo, ben inteso, non per giovare solamente a voi, ma perchè noi possiamo concludere associati ottimi affari.

— Io?

— Voi, precisamente.

— Io sono di fumo.

— Lo so, appunto.

— E come posso, di sì umile natura essere a voi fonte di ricchezze?

— Eh! non vuol dire, col fumo vedete, si possono fare le migliori speculazioni di questo mondo. Basta saper dare il valore alle cose, tutte le cose che ci circondano sono il nostro patrimonio, tutte possono diventare moneta delle nostre tasche se sapremo valercene. Lasciate fare a me. Il sole vedete, che pare la cosa più inaccessibile di tutte, non è che un enorme biglietto di banca che se riuscirete a spicciolare potrete spendere a vostro piacimento. E non vi dico poi la luna.

— Il sole?

— Precisamente, il sole.

— È vero, non può essere che così, perchè se fosse tutto di moneta metallica peserebbe troppo....

— Già, e cadrebbe, ineluttabilmente, anzi sarebbe caduto già.

— Invece essendo solamente un biglietto, un pezzo di carta, è leggero....

— E sta su.

— E voi lo spicciolate?

— Non facciamo altro dalla mattina alla sera.

Eccovi il mio indirizzo e alla prima occasione non mancherò di avvertirvi, e per tutto quello che vi possa occorrere subito io sono a vostra completa disposizione. Signor Perelà i miei complimenti.

— Il poeta Isidoro Scopino.

— Quando ho udito pronunziare il vostro nome, per la via, io passeggiava allora colla mia amante. Il nome che sulle volgarissime labbra della plebe m'aveva lasciato indifferente, su quelle di lei acquistò intero il suo significato.

Io le ho fatto ripetere mille volte il vostro nome, come ogni sera, prima di spengere il lume, le faccio ripetere l'eterna parola: poesia.

Su quelle labbra. Pe....re....là... lo si vede sfuggire rapido, come si vede partire per innalzarsi lieve, delicatamente la parola: poesia. Voi sentite il suono di questa maliarda parola? Quelle vocali. o....e.... i.... a.... E che cos'è mai una p su quelle labbra! Signor Perelà! È come la forza del soffio che la anima e le da vita; e chi mi soccorrerà a dirvi che sia una s che la spinge, di sotto, e la sostiene.... e la solleva, su, su, su!

— E che cos'è la poesia?

— La poesia, signor Perelà, è un mondo, è un globo tutto azzurro, ed è il poeta, sul Parnaso, l'alito che lo gonfia, e lo prepara per la sua ascensione celeste. Qual'è l'arte? Saperlo gonfiare, gonfiare fino a renderlo trasparente perchè possa innalzarsi.

— E voi salite con lui dopo?

— Ma vi pare? Un corpo estraneo? Se mi ci attacco io addio Gesù, quello rimane a terra, quando l'ho gonfiato lo mando via. Io resto sul Parnaso.

— Voi dovrete allora sorvegliare mentre lo gonfiate, il vostro globo, che nulla ci vada dentro.

— Ma certo, basterebbe un granellino della più semplice cosa e non anderebbe più su. Pare che ci sia dentro chi sa che, e invece non c'è nulla, ottenere il vuoto, qui è tutta l'arte del poeta e la poesia.

— Io comporrò per voi un'ode in tredicimila versi endecasillabi e un settenario sdrucciolo, e ve la manderò quanto prima pubblicata sulla migliore rivista del paese.

Eccovi il mio ultimo libro di versi: Ballate.... malate.

— Oh! che peccato poverette.

— Non vi prendete pena.

— E di che male soffrono?

— Nessuno, stanno benissimo.

— E allora perchè avete detto che sono malate?

— Perchè altrimenti nessuno si occuperebbe della loro salute; così va il mondo signor Perelà. Contate sulla mia amicizia, ed io spero poter contare sulla vostra, siamo in fondo due poeti, e potremmo benissimo scrivere un poema drammatico in collaborazione.

Verrà subito dopo di me Costantino del Pesce, il critico, signor Perelà io vi supplico di non ascoltare una parola sola di quello ch'egli sarà per dirvi, il poltrone, è fuori della porta che attende, aspetta ch'io sia uscito per potervi parlare, vi parlerà di me senza dubbio, il parassita.

Monsieur de Perelà j'espère de vous rencontrer dans le monde.

— Costantino Del Pesce critico della letteratura Nazionale ufficiale.

— Non vi meravigliate s'io mi presento a voi dopo quel po' po' di fregnone, volle la sorte ch'io dassi a lui la precedenza ma ciò non accadrà per molto tempo ancora che voi vedrete camminare le cose alla rovescia.

— Chi? Quello del pallone?

— Già proprio lui, può aspettare benissimo a cantare dopo ch'io abbia parlato, non è difficile indovinare le scempiaggini che dirà.

— E ve lo fa vedere gonfiato o da gonfiare?

— Che cosa?

— Il pallone.

— Me lo fa vedere gonfiato.

— E voi dovete sempre andare lassù dov'ei lo manda, il suo pallone?

— Ho il mio cannocchiale. Non conoscete il canocchiale della critica? È il più lungo di tutti e insieme quello che si ripiega meglio. Lo porto nel taschino del gilet, guardate, e me ne avanza.

— Il dottore della Corte Agostino Pipper.

— Sono il medico della Corte, signor Perelà, voi sapete che cos'è un medico? È una fila di cose. E sono dì e notte perduto a vedere che sia mai questo inquietantissimo corpo umano che pare una faccenda tanto perfetta ed è di una grossolana scandalosa irregolarità, e di una trivialità sconcertante. Se sapeste con quale cautela un uomo della mia elevatura debba maneggiare la propria lingua. Scherzi pure finchè vuole con quella degli altri, ma.... in guardia colla propria! Il segreto è tutto lì, nel dire.... e nel non dire. Gli argomenti saranno sempre buoni e in vostro favore, è il fatto che vi frega. Se voi dite, poniamo: il malato guarirà, in men di due ore il fetente crepa. Se voi dite poniamo: certamente muore, e quello vi guarisce dopo avergli fatto dare l'olio santo. Sono il male e la medicina i due sposi più burberi che mai si sia dato nel tempo, che non fecero al mondo che farsi dispetti senza tregua, solamente in silenzio possono andare d'accordo.

Il vostro polso? Buono, buono.

La vostra lingua? Ottima.

Eccovi la mia carta, per quando possano venirvi utili i miei servigi, sono ai vostri comandi.

— Il grande filosofo indipendente Angiolino Pila, detto Pilone.

— Non sono mica un filosofo sapete signor Perelà, non date mai ascolto a quello che vi dicono. Quando un uomo ha detto del proprio simile ogni sorta di sconcezze, ecco che è subito un filosofo, e più lo avrà trattato come si meritava e più sarà grande lui, il filosofo.

Gli uomini hanno bisogno di sparlare sempre dei proprî simili e non avendo generalmente il coraggio e l'intelligenza per arrivarci a dovere inventano la verità detta da un altro e finiscono per credere che sia proprio quello che avrebbero pensato loro.

Vede ognuno così tutti i suoi simili affogare nel pantano e lui se ne sta a guardarli allegramente su dall'alto.

Ma voi, ditemi un poco una cosa, cosa siete venuto a fare qui?

— Nulla.

— Benone, e voi fatene un'altra, ritornatevene là dove siete stato fino ad oggi che sarà meglio per voi, gli uomini li conoscerete un'altra volta, non perderete molto, e non vi auguro che gli abbiate a conoscere proprio questa.

Aspirate anche voi a diventare un tarlo come tutti gli altri? Gli uomini rodono gli appartamenti della natura nè più nè meno come i tarli rodono i loro appartamenti.

Sapete quale ragione adducono per giustificare questo rosicchiamento? Dicono che la terra li attrae! Li attrae! Sfacciati che non sono altro! Vi si sono spadellati, e vi si rotolano sopra mezzi vivi e mezzi fritti! Oh! La terra li vomiterebbe volentieri tutti all'infinito! Sono la sua pietanza più indigesta, gli ha tutti per la gola e sullo stomaco, nessuno deve esserle passato ancora nell'intestino.

C'è però una cosa che gli uomini hanno veramente creato e bisogna riconoscergliene il merito: la polvere! Guardate bene dove essi camminano strofinando senza tregua le loro sbrindellate miserie, guardate le vie che hanno pestate e sulle quali si strascicano con ogni sorta di attrezzi per stropicciare il suolo affinchè ne dia quanto più è capace. Si servono dei macigni più grandi per fabbricare dei pezzi di roba che gli stanno poi nel palmo di una mano. Voi vedete oggi una bella montagna di ròcce che vi sembrano inaccessibili, se gli uomini incominceranno a praticarla, ad introdurvisi, ad operarvi, in poco voi quella montagna non la vedrete più, che se ne saranno fatte tante saliere o calamai. Eccovi un bell'albero ampio e diritto che tiene nobilmente il suo legittimo regno, loro, questi sterpi ambulanti, vi si metteranno alle radici coi loro piccoli strumenti, e dagli a stridere, limare e rosicchiare, col più lungo e vile lavorìo ve lo faranno cadere, e non c'è caso che se lo facciano venire sulla testa, un corno! al momento giusto si fanno indietro. Un giorno vi accorgerete che con quell'albero sono dietro a stuzzicarcisi i denti.

Datemi ascolto, non rimanete qui, andate a casa vostra, non vi fidate, se vi fanno tutte queste smorfie, tutte queste moine, non vi ci attaccate, essi godono ad inalzare un uomo a furia di spinte, per potersi poi godere il doppio a lasciarlo andare giù di botto.

— Ma io sono di fumo....

— Già è vero, avete ragione, siete di fumo, e allora rimanete pure, ciao, egregio amico!

— Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale Arcivescovo.

— Voi vi chiamate dunque?

— Perelà.

— Ecco, benissimo.... Pe.... relà, sicuro Perelà. Dunque mio caro signor Perelà io sono certo di potervi contare fra le mie pecorelle più elette e predilette, perchè in fondo voi non siete che un uomo.

— Molto leggero.

— Ah! No no no no no, caro mio, essere leggeri di corpo non conta nulla, voi più d'ogni altro avete bisogno di aiuto e di protezione, bisogna essere leggeri di anima, e l'anima non si può alleggerire che collo sgravio delle proprie colpe: allora soltanto può salire al cielo. È un atto di umiliazione col quale anche i Re si sentirono sempre innalzati.

— Di che cos'è fatta l'anima?

— Anima è spirito.

— E si vede?

— Ma lo spirito non si vede.

— Voi dunque non avete mai veduto un uomo salire al cielo?

— Tutti gli spiriti eletti vi salgono senza che noi li vediamo.

— E gli altri?

— Gli altri piombano giù, nell'inferno profondo.

— Perchè pesano di più.

— Naturalmente, non furono liberati dal peso delle loro colpe.

— Ecco.

— Io non sono che un umile e fedele servitore della reggia, Alloro, il più vecchio cameriere delle stanze del Re. Ho veduto qui ed amato tanti Re, ho gioito della loro grandezza e del loro splendore, ho pianto per la loro morte. Ma oggi, quando ho sentito parlare di voi, e quando poi vi ho visto, ho avuto la visione di un nuovo Re, più grande e più bello di tutti gli altri. Ma è vero signore che siete proprio di fumo?

— Si.

— Come poteste rimanere sul fuoco senza bruciarvi? Come poteste giungere a questo? La mia piccola mente si perde a tanto prodigio. Permettetemi signore ch'io vi baci la mano. Consideratemi come il più umile e il più devoto dei vostri servitori, e qualunque cosa possa fare per voi ricordatevi che mi farete felice solo se mi comanderete, se mi dimostrerete la vostra benevolenza e mi farete sentire il vostro dominio.

— Il cerimoniere legge l'ordine del giorno, silenzio!

— Ordine del giorno.

«Domani venerdì a ore cinque, le dame della società e della corte offriranno un thè d'onore al signor Perelà».

— Con intervento della Regina?

— No, silenzio!

«Non saranno ammessi altri uomini che lui. Sua Maestà il Re ha dato speciali disposizioni acciò la festa riesca intima e solenne.

Dopodomani sabato, a ore cinque, Sua Maestà la Regina riceverà il signor Perelà in udienza particolare.

Domenica sera, ad ore ventuna, il signor Perelà sarà presentato al popolo. Sarà fatto girare per tutte le vie della capitale e sobborghi, nelle vetture reali, accompagnato dai nostri principali gentiluomini della Corte, e dalle principali dame della Corte e della società. Sul colle comunale il sindaco rivolgerà il saluto della cittadinanza.

La città sarà tutta illuminata e imbandierata, e nei punti più frequentati suoneranno ben quattordici bande. La stessa sera, a ore ventitrè, gran ballo a Corte con intervento del Re.

— Viva il Re!

— Inoltre.... silenzio! Inoltre, Sua Maestà il Re nominerà il signor Perelà terzo membro nella gravosa e ponderosa e annosa compilazione del nuovo Codice per il nostro paese».

— Viva il Re!

Il codice di Perelà

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