Читать книгу Il mondo è rotondo - Alfredo Panzini - Страница 8
Capitolo V. — Fragole e ale di pollo.
ОглавлениеErano le undici e mezzo, e nella sala da pranzo non c'era nessuno ancora, fuorchè Giggia, la profuga dai chiari occhi idioti. Ella, senza pudore, essendo già l'ora di servire in tavola, infilava i suoi piedi nudi nelle calze.
— Voi che state facendo? — domandò Pasquà a Beatus.
— Caro Pasquà — rispose Beatus —, vorrei fare colazione, e mi è sembrato di sentire dalla cucina un odorino di brodo. Avete messo un pollo nella pentola?
— Ce steva — disse Pasquà — ma sono venuti due operai e se l'hanno magnato.
— Due operai hanno mangiato un pollo?
— Eh, caro signore — rispose Pasquà — mo' i polli li magna chi lavora.
E allora entrò Carmè, la bianca, con un cestello di fragole.
[pg!34] — Oh, le bellissime fragole — esclamò Beatus.
— Queste non sono per voi — disse Pasquà.
— E perchè?
— Questa è una cosa troppo fina, e co' zucchero e co' cugnac, meno di quattro lire non ve le posso dà. È roba da cocottes che ponno pagà. E poi scusate; mo' che la gente soffre la fame e muore in guerra, vui andate cercando le fragole? Vui siete gentiluomo!
E queste parole furono proferite in tono di rimprovero.
Ora, siccome Beatus girava appunto l'Italia per rimproverare altrui, così gli dolse esser rimproverato dall'oste, e domandò:
— Come fate a sapere che io sono un gentiluomo?
— Ih, si vede! V'aggio domandato il nome? Se siete profugo, internato, se siete francese, chi siete, che cosa siete venuto a fare in questo paese? V'aggio presentato il conto? Vui siete gentiluomo e basta! Vedete quella tavola? Mo' arrivano le cocottes.
Una compagnia d'operette agiva in un piccolo teatro lì presso, e Pasquà chiamava, senza cattiva intenzione, col nome di cocottes [pg!35] o di ciantose ogni donnina un po' eteroclita.
— Assettateve, assettateve, che mo ve porto una minestrina di verdura, che va bene per vui.
*
Realmente Pasquà aveva dato a Beatus una lezione di sociologia: mangiano delicatezze coloro di cui la società ha bisogno: operai e cocottes.
*
Un fruscio di seta, un incrociarsi di voci e di risa avvertì Beatus che le cocottes o ciantose erano giunte.
Entrarono con passo di danza e occhi sfacciati. Seguivano due giovanotti alti e membruti, stilati all'ultima moda; ma parlavano come Pasquà. Le signorine parlavano con la voce sguaiata del palcoscenico.
Pasquà, derogando al suo costume, prese lui i servizi di mensa e cominciò: — Mo' ve servo 'na supressata di verace maiale «Eccellentissimo!», significò trivellando la gota.
Ma non ottenne il meritato successo di approvazione perchè i due giovanotti consultarono [pg!36] prima le ciantose, e si sentì la voce di Pasquà che aveva perso la pazienza e disse: — Più fine? Più fine di vermicelli con le vongole che v'aggio a dà?
A Beatus, Pasquà fece portare la minestrina di erbe cotte. Mangiando la quale, Beatus si ricordò di quel sapientissimo Esiodo, quando dice: «Stolti gli uomini, che non sanno quanto maggior guadagno sia cibarsi di malve e di asfodelo che di opere ingiuste» Vero! Ma è seccante aver vicino chi mangia pollo e fragole.
Nell'attesa degli spaghetti con le vongole, le due ciantose si tolsero i cappelli e i mantelli. Poi aprirono le loro borsette, ne levarono piumino, specchietto, lapis e cominciarono a ritoccarsi il volto come in casa propria.
I due giovanotti assistevano all'operazione con molta serietà.
Per quello che Beatus poteva distinguere, le due ciantose erano due babbuine dipinte: carni un po' travagliate, roba di terzo ordine. Pretesa di gran mondane, come i piumacci dei loro cappelli avean pretesa di colibrì. Uno dei visetti era mantecato all'alchermes, l'altro al pistacchio. Se avessero avuto più senno, [pg!37] si dovevano mantecare allo stesso modo. Ma forse pei due provinciali erano più interessanti così.
Una di esse, d'un tratto, fece scattare contro i giovanotti la pompetta dei profumi. Il loro incanto di contemplazione fu rotto e parvero felici come bimbi a cui il giocoliere fa un bel giuoco. Chiusero gli occhi e accolsero in faccia l'acqua benedetta.
Ma quando Pasquà ebbe stappato la bottiglia, e versò il nero vino, fu dolcemente redarguito da uno dei giovanotti. Ma non dolcemente rispose Pasquà:
— Vui pazziate, compà — disse. — Io vi apro una bottiglia che è una reliquia, e vui andate trovando 'a sciampagna!
Dopo gli spaghetti e il vino fumoso, il simposio si animò.
Beatus sentì uno dei giovanotti che diceva a una delle ciantose: — Facite vedè!
Era il modo come esse tenevano la forchetta.
Si provarono essi, ma non vi riuscirono.
— La vostra maniera è aristocratica — disse uno —, ma accussì non se ponno magnà li vermicelli.
[pg!38] Una ciantosa intonò:
Mi chiamano Mimì
il perchè non so.
I due giovanotti si distesero estasiati come due grossi cani a cui si faccia una carezza.
Beatus provò un senso di nausea a quel romanticismo da strapazzo.
Ma il passaggio al realismo fu rapido, chè una delle ciantose disse forte ad uno dei due giovani: cochon, mon petit cochon.
Parve al giovane parola gentile e se la fece spiegare. La spiegazione fu data all'orecchio e piacque tanto che il giovane diè in uno sguaiato scoppio di risa. Allora anche l'altro giovane reclamò la sua porzione, e le due ciantose la diedero in toscano: — Schifosino, schifosetto, schifosone!
Ma quando le due ciantose dissero:
— Imboscato, imboscatissimo! — i due giovani mostrarono di non gradire molto.
— Ma se non c'è nessuno! — disse una delle due ciantose.
Il giovane ammiccò a Beatus.
Le ciantose volsero verso quella parte l'occhio protervo, videro l'omiciattolo e alzarono [pg!39] le spalle, come a dire: «quello lì non conta».
E proprio non doveva contare, perchè quando furono portate le fragole, una delle ciantose si metteva una fragola fra le labbra e se la faceva togliere da uno dei due. Assaporava costui e diceva: — Mo è condita più meglio che con la cugnac. Prova anche tu, compà. Questa sta la moda de Pariggi.
Et ultra! parve assentire la compagna.
*
Beatus credette opportuno togliersi di lì.
Egli, l'illustre pedagogista, aveva assistito ad una lezione delle più squisite grazie francesi.
*
— Sono gentiluomini anche quei due? — domandò Beatus a Pasquà.
— Ih, che dicite! Quello biondo, prima della guerra, faceva o scarpariello, e mo fa il negoziante di scarpe de cartone pei soldati; quello più anziano ha fatto un sacco di danari coi fichi secchi pe' Governo. Non sono gentiluomini come me e come vui: sono plebbe, ma tengono alte amicizie. Ma stateve buono, signorì; per questa sera v'aggio stipato due fragole.
[pg!40]
Veramente le fragole erano diventate odiose a Beatus.
«Dicono, — rispondeva Beatus mentalmente a Pasquà — che la sociologia sia una scienza moderna; ma Esiodo, benchè vissuto tanti secoli fa, ne sapeva almeno quanto Vilfredo Pareto».
Pasquà ora serviva caffè e rosoli. Ma tornò indietro subito col vassoio:
— Vogliono il caffè in to giardino, sotto il bersò.
— Caro Pasquà, — gli disse Beatus — l'aristocrazia non prende mai il caffè dove ha pranzato.
Ma Beatus sul tavolo di Pasquà vide una lettera e disse: — Questa è per me.
— E se è vostra, pigliatevella.
— Ma quando è arrivata?
— Ma che saccio io quando è arrivata! Domandate al portalettere. Vui volete sapè tutte cose. Ringraziate Iddio che è arrivata.
Era il caso di osservare a Pasquà che lui era poco gentiluomo; ma era così arrabbiato per quei signori là, sotto il bersò.
[pg!41]