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CAPITOLO XVII
ОглавлениеCasa regnante a Marocco. – Genealogia. – Scheriffi. – Tattica. – Entrate del Sultano. – Sue guardie. – Sue donne. – Partenza d'Ali Bey da Fez. – Viaggio ad Ouschda.
Molti autori scrissero la storia de' Sovrani dei paesi, che formano l'attuale regno di Marocco. Tra le composte da' Scrittori Europei, quella del sig. Schénier incaricato d'affari del re di Francia presso l'imperatore di Marocco, mi sembra la più pregievole.
È noto che dopo Muley Edris, che vivea nel secondo secolo dell'Egira, ottavo dell'era cristiana, il regno di Marocco, di Fez, di Mequinez, di Sus e di Taffilet furono governati da diverse dinastie sempre in guerra tra di loro fino al tempo in cui il Sceriffo dell'Yenboa, Muley Schèrif si stabilì a Taffilet, acquistandosi colle sue virtù la stima di tutti i popoli, che si affrettarono di sottomettersi alle sue leggi.
Suo figlio Muley Ismaïl, che dopo molte guerre occupò il trono, e Muley Abdalla suo nipote resero colle crudeltà famoso il loro governo. Muley Mohamed più politico de' suoi predecessori fu meno crudele, ma non meno avaro. L'attuale Sultano Muley Solimano è il più moderato di quanti scheriffi occuparono prima di lui il suo trono.
L'impero di Marocco non ha nè costituzione nè legge scritta. La successione al trono non è regolata, ed ogni Sovrano prima di rimanere padrone dell'impero deve sempre combattere contro i suoi fratelli, ed altri rivali, che tutti del canto loro armano i popoli per la propria causa; talchè la morte di un principe Marocchino è sempre cagione di quella di centomille uomini.
L'attuale Sultano Muley Solimano ha tre fratelli, che sono Muley Abdsulem1 il maggiore della famiglia; Muley Selema, che dopo aver combattuto contro suo fratello, ritirossi vinto al Cairo ove vive miseramente; e finalmente Muley Moussa che dimora a Taffilet, ove mena una vita dissolutissima.
Muley Solimano è un uomo abbastanza istruito nella scienza della religione: è fakih o dottore della legge: ma per ciò appunto più devoto degli altri, consuma parte del giorno in preghiere, e veste d'ordinario un grossolano hhaik, sdegnando ogni sorta di lusso, ed ispirando la stessa religiosa severità ai suoi sudditi: quindi ad eccezione di Muley Abdsulem, e di me, non avvi forse alcun altro che osi far pompa di qualche appariscenza di lusso.
Dietro questo principio, allorchè Muley Solimano trionfatore de' suoi fratelli, si vide tranquillamente stabilito sul trono, fu sua prima cura quella di far estirpare tutte le piante di tabacco che trovavansi nel suo impero, e che davano il sostentamento ad alcune migliaja di famiglie. Quantunque l'uso del tabacco non sia dalla legge espressamente proibito, non avendone il profeta fatto uso, viene dai rigoristi riguardato come una lordura. Non pertanto Muley Abdsulem ne prende molto; e Muley Solimano, benchè di raro assai, non lascia di usarne alcune volte. Ad eccezione degli abitanti dei porti e dei marinai, pochi altri Marocchini prendono tabacco.
E questo è pure il motivo che lo ritrae dall'aver commercio coi cristiani. Teme sempre che le relazioni cogl'infedeli non finiscano col corrompere e pervertire i fedeli credenti. Questo modo di vedere rende tanto difficile ogni relazione commerciale, che sonovi persone che potrebbero caricare intere flotte di grani, e che mancano di danaro per vivere, per l'impossibilità di venderlo all'estero. In una nazione ove l'uomo non ha veruna proprietà, poichè il Sultano è padrone d'ogni cosa; ove l'uomo non ha la libertà di vendere, o di disporre dei frutti del suo travaglio; ove finalmente non può nè goderne nè farne pompa in su gli occhi de' suoi compatriotti, è chiara la cagione della sua inerzia e della sua miseria.
Ho copiato l'albero genealogico di Muley Solimano, ch'egli medesimo mi confidò originale. Rimontando da lui fino al profeta conserva il seguente ordine:
Примечание 12
In Taffilet contansi più di due mille scheriffi, che tutti vantano diritti al trono di Marocco, e che per tale cagione godono di alcune leggieri gratificazioni del Sultano. In tempo degl'interregni molti prendono le armi, siccome Marocco non ha verun'armata propriamente tale per comprimere all'istante questi parziali movimenti, la nazione intera soffre tutti i mali dell'anarchia.
La tattica de' Marocchini è sempre la stessa in tutte le battaglie. Consiste nell'avvicinarsi alla distanza press'a poco di cinquecento passi dal nemico. Colà giunti dispiegansi con un subito movimento cercando di presentare la più estesa fronte possibile; indi corrono a tutto potere imbracciando il fucile. Giunti a mezzo tiro fanno il loro colpo: fermando allora il cavallo tutt'ad un tratto, ritiransi colla medesima celerità con cui avanzarono. Ricaricano il fucile correndo, e se il nemico si ritira, continuano il fuoco guadagnando terreno. Ma se l'azione si fa calda, e si viene a far uso della spada, in quale imbarrazzo non devono trovarsi questi combattenti, i quali senz'alcun ordine, sono costretti di tenere colla sinistra la briglia, ed un lungo fucile, e la spada colla mano destra! In questa circostanza collocano essi il fucile sopra l'arcione della sella, ed in allora ogni uomo occupa una fronte più estesa che quella di due, e rimane isolato, e senza appoggio ai fianchi. Quale sarebbe in allora l'effetto di una linea di battaglia europea sopra tali ranghi di truppe! Per tale motivo appunto il soldato moro non s'impegna che sforzato, a battersi colla spada; riponendo la sua superiorità nella velocità dell'attacco, della ritirata, e nella destrezza del maneggio del fucile.
Le entrate del Sultano di Marocco si valutano venticinque milioni di franchi. Avendo pochi impiegati, i quali non hanno altro appuntamento che i prodotti eventuali, ed alcune gratificazioni che ben poche volte sono loro accordate; non avendo bisogno di mantenere un'armata, perchè nel caso di guerra ogni Mussulmano è soldato per religione; la maggior parte di questo danaro va a seppelirsi nel tesoro di Marocco, di Fez, e principalmente di Mequinez.
La guardia del Sultano, che si vuole di circa dieci mille uomini è la sola truppa che venga mantenuta anche in tempo di pace: è questa in parte composta di schiavi negri comperati dal Sultano, o ricevuti in dono, o in pagamento; oppure figli di soldati negri. L'altra parte è formata di mori tolti dalle tribù Oudaïas. Queste truppe rimangono di fazione nelle provincie dell'impero, ed un grosso corpo segue sempre il Sultano. I soldati quasi tutti a cavallo hanno il nome di el bokhari, che presero, quasi mettendosi sotto la protezione dell'imam espositore di questo nome, la di cui dottrina è addottata a Marocco.
Quantunque Muley Solimano viva senza splendore, la spesa della sua casa è per altro ragguardevole per cagione delle moltissime sue donne e figliuoli. Egli non può avere più di quattro mogli legittime, oltre le concubine; ma egli suole ripudiarle frequentemente per prenderne delle altre. Le ripudiate vengono relegate a Taffilet, accordando loro una pensione per il mantenimento. Ho veduto più volte gli abitanti presentargli le loro figliuole, che in conseguenza entravano nell'harem sotto nome di serventi, e che avendo la fortuna di piacere al Sovrano, vengono poi sollevate al rango di sue mogli, per essere poscia a vicenda ripudiate. Nè Muley Solimano si fa scrupulo d'avere nello stesso tempo due sorelle per mogli, quantunque i dottori non riguardino quest'azione di buon occhio, come ne pure quella di bever vino la notte nell'harem; cose proibite dalla legge.
Il Sultano è del resto sobrio, e mangia colle dita come gli altri arabi; pure quando m'invitava a pranzo con lui, mi faceva portare un cucchiajo di legno, perchè la legge non permette l'uso de' preziosi metalli nel vassellame; e per questo motivo i suoi piatti e la tavola sono affatto simili a quelli dei suoi sudditi. Egli non mangia che le vivande cucinate nell'harem dalle sue negre. A casa mia per altro mangiò cibi preparati da' miei cuochi.
Io tenni andando a Fez la medesima strada che avevo fatto venendo a Marocco. Benchè non fossi pienamente ristabilito in salute, non ommisi nel mio viaggio di fare alcune osservazioni astronomiche, che confermarono le precedenti; sgraziatamente però non ero ancora capace di sostenere un lavoro continuato.
Ne' primi giorni dopo il mio arrivo a Fez ebbi una disputa col pascià; egli pretendeva che in conseguenza d'essermi congedato dal Sultano per andare in Algeri, avrei dovuto partire entro otto o dieci giorni; e mi preparò pure gli oggetti necessarj al mio trasporto, e la scorta che doveva accompagnarmi, ma io mi dichiarai in termini positivi, che non poteva ancora partire, e rimasi a Fez un mese e mezzo. Poco prima ch'io partissi Muley Abdsulem venne a Fez, mi portò una commendatizia del Sultano per il Dey di Tunisi, ed un'altra per il pascià di Tarabba o di Tripoli: Muley Abdsulem me ne diede una sua per il Dey d'Algeri, cui per alcune considerazioni politiche il Sultano non aveva voluto scrivere.
Avendo finalmente fissato il giorno della mia partenza da Fez, mi congedai da Muley Abdsulem, e dai miei amici con maggior rincrescimento che la prima volta, perchè vedevanmi intraprendere un viaggio azzardoso, e temevano di non più vedermi.
La mattina del giovedì 30 maggio 1805 sortj a nove ore e tre quarti di casa coi miei amici che mi accompagnarono prima alla moschea di Muley Edris, indi per un tratto di strada fino all'istante in cui li congedai. La mia casa, le strade, la moschea, e l'uscita della città erano affollate di gente, che da ogni banda cercava d'avvicinarmisi per toccarmi, per chiedermi una preghiera, ec. Dirigendomi al N. giunsi a mezzogiorno nel mio campo di già stabilito al di là del ponte sulla riva destra del Sebou, fiume assai considerabile, che scorre all'ouest.
Venerdì 31 Maggio
Ci ponemmo in cammino alle otto del mattino, diriggendoci d'ordinario all'E. N. E., e facendo mille ravvolgimenti nelle montagne, fino alle due dopo mezzogiorno, che feci alzare le tende in riva al fiume Jenaoul che scorre con poche acque all'ouest.
Il paese è composto di montagne secondarie, la maggior parte calcaree, con alcuni tratti di terra coltivata.
Tra gli omaggi che mi furono resi dagli abitanti de' Dovar posti lungo la strada merita d'essere ricordato il seguente. Io vidi i fanciulli riuniti per incontrarmi; de' quali colui che precedeva gli altri era vestito d'una tonaca bianca, con un fazzoletto di seta sul capo, e portava in mano un bastone alto sette piedi, all'estremità del quale eravi una tavoletta su cui era scritta una preghiera. Dopo avermi fatto un complimento studiato, mi baciarono la mano, la stoffa, o ciò che potevano toccare, e partirono in seguito assai soddisfatti. Quanto era commovente la loro semplicità! Le madri facevano la scolta per vedere l'accoglimento ch'io faceva ai loro figliuoli.
Sabbato primo Giugno
Alle otto del mattino eravamo già in su la strada andando nella direzione di E. seguendo più d'un'ora e mezzo il fiume Yenaoul che scorre lungo la vallata. Si entrò subito dopo nelle montagne, e si attraversò un piccolo fiume ad un'ora dopo il mezzogiorno. Alle due si fece alto sulla sponda destra.
Il terreno non diversifica da quello di jeri, se non che la vegetazione era alquanto più rigogliosa. Vidi molti campi lavorati, ed un solo dovar.
Il tempo era in parte coperto, ed il termometro nella mia tenda segnava alle quattro della sera 26 e 7 di Réaumur.
Domenica 2
Si riprese il cammino alle sette del mattino seguendo l'andamento di molte vallate tra montagne di mediocre altezza, ove si dovettero attraversare ad ogni istante alcuni piccoli fiumi; ed alle quattr'ore ed un quarto della sera si piantarono le tende presso a Tezza, piccola città posta sopra una rupe alle falde d'altre montagne più alte al N. O. Assai pittoresco è il quadro che offre questa città, circondata di antiche mura, colla torre della moschea che s'innalza fuori delle case come un obelisco. La rupe è scoscesa in alcuni lati, ed in altri coperta di piante fruttifere. I giardini ne circondano la base. Da un altro lato aggiungono varietà alla veduta un ruscello ed altri minori rigagnoli che si precipitano dall'alto, ed un ponte mezzo rovinato. Una sorprendente quantità d'ussignuoli, di tortorelle, e d'altri uccelli di varie specie, rendono questo luogo assai delizioso.
La valle coperta d'abbondante messe, mi convinse che questi abitanti sono più laboriosi che quelli delle coste del mare.
Il tempo fu sereno, e caldo assai fino all'istante di far alto, in cui il cielo coprissi di dense nubi; ed appena alzate le tende si udirono terribili colpi di tuono, e cadde una dirotta pioggia.
Malgrado questo contrattempo, ebbi il vantaggio di poter approfittare d'un istante in cui il sole apparve tra le nuvole, e trovai la mia longitudine cronometrica – 6° 0′ 15″ Ouest dell'osservatorio di Parigi.
Incontrai sulla strada molte carovane di Arabi che venivano da Levante, cacciati dalla carestia che regnava ne' loro paesi: erano composte d'intere tribù, che conducevano con loro gli avanzi de' loro bestiami, e tutto quanto possedevano. L'aspetto di tali carovane può dare un'adeguata idea delle antiche emigrazioni della Palestina e dell'Egitto, prodotte dalla stessa cagione.
Un colpo di sole sul rovescio delle mani mi cagionò una resipola. Si gonfiarono assai, e l'infiammazione diventò forte in modo di farmi soffrire acuti dolori.
Lunedì 3
Non diminuendo le mie doglie non feci levare il campo: altronde tutta la notte e la mattina il tempo imperversò.
Osservai il passaggio del sole di mezzo a grosse nubi, che mi diede la latitudine al N. di – 34° 30′ 7″; ma quest'osservazione non è attendibile. La pioggia continuava ancora verso sera con un gagliardo vento d'O., e la mia mano sinistra proseguiva a tormentarmi.
Martedì 4
La dirotta pioggia non ci permise di riprendere il cammino.
Mercoledì 5
Alle otto del mattino si partì dirigendoci all'E., attraversando vallate, salendo e scendendo colline rinfrescate da molli ruscelli. Ad un'ora ed un quarto essendosi passato un fiume, feci alzare le tende entro il circondario d'un antico Alcassaba (castello) detto Temessovín.
Il terreno di questa contrada è tutto composto di argilla glutinosa che forma le colline e le valli fino ad una grande profondità, poichè io vidi degli strati verticali di oltre quaranta piedi. Io suppongo essere il medesimo strato generale, che da una parte va fino alla strada che conduce da Tanger a Mequinez, e dall'altra va a formare le montagne del Tetovan.
In questo giorno incontrai una càffila (carovana) proveniente dal Levante, che conduceva una greggia di più di mille cinquecento capre. Avevano collocate sopra alcuni camelli una specie di baldacchini o piccole tende entro le quali stavano le donne ed i fanciulli delle famiglie più ricche della tribù; le altre camminavano scoperte. Molti buoi e vacche erano cariche, e portavano, come i muli loro carico sul dorso.
Questo era l'ordine della marcia. Il bestiame collocato avanti era diviso in corpi di circa cento capi cadauno, e diretti da quattro o cinque garzoni, che cercavano di conservare un intervallo di circa venti passi tra un corpo e l'altro; le tende, gli equipaggi e la maggior parte delle donne e dei fanciulli collocati sui camelli stavano nel centro; gli uomini a cavallo e a piedi portando il fucile appeso, formavano la retroguardia, ed andavano pure dispersi sui due lati.
L'Alcassaba ove noi eravamo accampati è formato d'un quadrato di muri di 425 piedi di fronte con una torre quadrata ad ogni angolo, ed un'altra nel centro di ogni faccia. Il muro aveva tre piedi di spessezza, ed era alto diciotto. Da quest'altezza sorge un sottile parapetto sull'estremità esteriore tutto sparso di feritoj; e la residua grossezza del muro è il solo spazio su cui devono stare i difensori, che non possono fare alcun movimento senza pericolo di cadere. Vedesi nel centro dell'Alcassaba una moschea ruinata, presso alle rovine d'altri edificj. Varj gruppi, ciascuno di tre o quattro baracche, sono il miserabile asilo degli abitanti di questa solitudine. Il kaïd dell'Alcassaba che abita in un dovar distante una lega, venne a complimentarmi, e ad offrirmi un montone, orzo, latte, ed altre derrate.
Giovedì 6
Alle sette ore e mezzo del mattino la mia carovana si avanzava all'Est, e continuò a tenere la stessa direzione fino alle tre e mezzo della sera, quando a canto di un povero dovar, ed a poca distanza da alcune rovine, o informi abituri, feci collocare il mio campo.
Il terreno formato d'argilla pura presentava una vasta pianura, ed un vero deserto senz'abitanti, e senz'altra verdura che quella d'alcuni cespugli abbruciati. Alle dieci si passò presso ad una grande cisterna piena d'eccellente acqua, e verso il mezzogiorno si attraversò un piccolo fiume.
Il tempo benchè sereno era rinfrescato da un vento d'E.
Venerdì 7
Partj alcuni minuti prima delle sette del mattino, e dopo di avere passato il fiume Moulovìa, vidi le ruine d'un Alcassaba. Per lo spazio di due ore seguitai a tenere la strada al N. E. in poca distanza dal fiume, indi piegando all'E. continuai fino alle due dopo mezzogiorno. Passai in seguito presso ad un grande Alcassaba minato, intorno al quale vedevansi molti dovar: indi dopo aver attraversato il fiume Enzà si fermò il campo sulla sua sponda.
Profondo è il fiume Moulovìa, ma nel luogo in cui noi lo varcammo, avendo molta estensione, presenta un buon guado. Egli scorre al N. E., le sue acque cariche di melma erano rosse, e dense come quelle del Nilo, ma lasciate alquanto in riposo sono assai buone. Le rive sono basse e coperte di alberi nel luogo in cui eravamo jeri.
Il fiume Enzà, oltre d'avere naturalmente poche acque, viene impoverito di più dai canali che servono all'irrigazione. Era per me un vero piacere il contemplare in mezzo ad un deserto queste tracce dell'umana industria. Le sue acque scendono all'O.
A principio il suolo pare una continuazione della stessa pianura argillosa, deserta, osservata nel precedente giorno. Ma alle dieci del mattino si discese in un altro paese alternativamente composto di strati argillosi e calcarei che formano delle colline. A mezzogiorno passai innanzi ad una montagna che mi sembrò formata di basalto, e che lasciai sulla diritta. Ad un'ora e mezzo entrai in un bel paese, ben coltivato, coperto di belle messi nel di cui centro vedesi l'Alcassaba, ed al N. l'Enzà, sulla di cui riva diritta feci far alto.
Il cielo era mezzo coperto, ed un forte vento di N. E. rinfrescava l'aria. Questo deserto è noto sotto il nome di Angad. Sembra che si dilati nella direzione di N. O. dall'Alcassaba di Temessouinn fino al Sud d'Algeri.
Sabbato 8
La mia gente levò il campo alle sette ore ed un quarto, e prendemmo la direzione di N. O. seguendo lo stesso deserto. Alle otto trovammo un ruscello di acqua assai buona. Alle nove e mezzo il paese si andava restringendo tra piccole montagne calcaree ed argillose. Ad un'ora e tre quarti dopo mezzogiorno si passò un piccolo fiume, e volgendomi all'E. camminai alcun tempo lungo la riva destra; alcun tempo dopo si cominciò a vedere qualche terreno coltivato, ed in seguito un dovar. Alle tre e mezzo si alzarono le tende vicino ad un Alcassaba, e ad un dovar chiamato l'Aaïaun Maylouk.
Il suolo attraversato questo giorno è a vicenda argilloso e calcareo. Due linee di montagne che fanno parte del Piccolo-Atlante chiudono l'orizzonte al N. ed al S.
In tutto questo deserto non si videro altri animali che alcuni piccoli ramarri, alcuni ragni morti o addormentati sui rami spinosi di una piccola pianta abbrucciata.
Sopraggiunsi colà nell'atto che gli abitanti facevano la ceremonia d'un convoglio funebre. Il cadavere posto in parata sopra un luogo eminente era circondato da una quarantena di donne, che divise in due cori gridavano in misura avvicendando: Ah-ah-ah ah. Tutte le donne del coro pronunciando il loro ah rispettivo, graffiavansi, e guastavano la cute del volto in modo che grondavano sangue. Stavano al loro fianco sei uomini in linea cogli occhi rivolti al paese d'una tribù nemica, che aveva ucciso l'uomo cui facevansi i funerali: gli altri Arabi a piedi, che formavano il corteggio, le circondavano interamente.
Rimasero mezz'ora in tale attitudine; e le donne dopo avere continuate per tutto questo tempo le loro grida e le loro graffiature, separaronsi dal morto piangendo in battuta. Gli uomini sepellirono il morto nello stesso luogo, e tutti ritiraronsi senz'altra ceremonia.
Il tempo sempre fresco fu costantemente coperto.
Domenica 9
Alle sei ore del mattino si riprese la via verso il N. E. Alle sette ore attraversammo un fiumicello; e piegando poi all'E. N. E., alle due dopo mezzogiorno si passò altro fiumicello uguale al primo, ed alle quattro meno un quarto entrai in Ouschda.
Qui il suolo conserva la stessa natura di quello della pianura deserta di cui abbiamo parlato. Alle otto del mattino vidi per altro una buona terra vegetale, ma mal seminata. Le due catene d'alte montagne continuavano a limitare l'orizzonte al N. ed al S. ad una ragguardevole distanza.
Alle sett'ore e mezzo del mattino avevo scoperto in lontananza sopra una eminenza presso al cammino due uomini armati a cavallo, che avanzavansi lentamente verso di noi. Le mie genti incominciavano ad allarmarsi, ma io li acquietai, e quando giungemmo presso di loro seppimo ch'erano scolte della tribù nemica che aveva ucciso l'uomo Aaïaun Moylouk, e che dietro di loro trovavansi le truppe della tribù.
Scontraronsi poi alcuni uomini che mietevano le biade che avevano tutti presso di loro i cavalli sellati ed imbrigliati. Più lontano vedevasi la truppa armata.
Alle dieci ore eravamo nel territorio di questa tribù: è questo uno spazio d'una lega di diametro, tutta coltivata, ed avente più di venti dovar. Ci vennero incontro quattro uomini armati a cavallo, che mi chiesero una preghiera, indi mi licenziarono cortesemente. Questa tribù nominata Mahaïa parvemi composta di gente armigera; e credo che il Sultano di Marocco non eserciti su di lei un precario potere.
1
Si crede che Muley Abdsulem morisse poco dopo. (Nota dell'Editore)
2
Quantunque il nome di Mohamèd sia sempre scritto coi medesimi caratteri in Arabo, l'uso ha consacrate le diverse maniere di pronunciarlo, come vedesi in questa nota. (N. dell'Edit.)