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CAPITOLO XXXI
ОглавлениеSbarco. – Stato politico del Cairo e dell'Egitto. – Le piramidi. – Djizè. – Il Mikkias. – Il vecchio Cairo. – Commercio.
Il giorno dopo diedi avviso del mio arrivo al mio amico scheih El-Medhluti, che ne informò all'istante Seid Omar el Makram primo scheih del Cairo, il quale spedì i cammelli necessarj per lo sbarco del mio equipaggio. Scheih-el-Medluti venne ad incontrarmi con molte persone, e mi condusse a casa sua ove mi aveva preparato un appartamento.
Colà ricevetti le visite di Seid Omar, e di molti altri grandi del Cairo. Ma fui altamente commosso alla vista di Muley Selema fratello dell'imperatore di Marocco. La sua figura, i suoi lineamenti, le sue maniere mi rammentarono vivamente quelle del mio rispettabile amico il Principe Muley Abdsulem: il mio cuore balzò di gioja, e gridai: Muley Selema!… e di già eravamo nelle braccia l'uno dell'altro: lungo tempo le nostre lagrime c'inumidirono le guancie. Sedemmo senza poter parlare. Io ero informato delle sue sventure, egli non ignorava ciò che m'era accaduto partendo dagli Stati di suo fratello; onde potevamo senza preamboli entrare in discorso. Selema si lasciò trasportare assai contro il fratello Imperatore. Cercai di calmarlo, e gli rimproverai amichevolmente alcuni suoi leggieri falli. Dopo un lungo trattenimento alzandosi mi baciò la barba, dicendomi che le mie parole erano più dolci dello zuccaro.
Poi ch'ebbi restituite le visite ai grandi scheih, andai con Seid Omar a trovare il Pascià Mehemed Alì, cui diedi la lettera del capitan Pascià; e non vi fu cortesia che non mi usasse. Questo giovane principe è di gracile corporatura e svajuolato; ha gli occhi vivaci ne' quali scorgesi una cotal aria di diffidenza: è per altro valoroso, e non privo di buon senso, ma non avendo avuto veruna istruzione trovasi spesse volte imbarazzato. In tali congiunture, Seid Omar che ha molta influenza sul di lui spirito, rende importantissimi servigi al popolo ed allo stesso Pascià.
Si fanno ascendere a cinquemila gli Arnauti sotto gli ordini di questo governatore dell'Egitto. Questi soldati sono caparbj ed esigenti oltre ogni dovere; ma il popolo li tollera pazientemente, perchè non sarebbe più felice nè co' Turchi, nè co' Mamelucchi; e non essendo in grado di darsi un governo rappresentativo, sopporta il presente giogo in silenzio. D'altra banda Mehemed Alì che riconosce il suo inalzamento dal coraggio di queste truppe, ne dissimula gli eccessi, e non sa rendersene indipendente. Altronde i grandi scheih avendo sotto questo governo molta influenza e libertà, lo sostengono con tutte le loro forze. Il soldato tiranneggia, ed il basso popolo soffre, ma tacciono i grandi perchè non soffrono, e la macchina va alla meglio. Intanto il governo di Costantinopoli privo di energia per tenere tutt'i paesi sotto l'immediata sua dipendenza, si accontenta di una specie d'alta signoria, che gli frutta alcuni leggieri sussidj, che ogni anno sotto varj pretesti cerca di accrescere. I pochi Mamelucchi che rimangono ancora, vivono rilegati nell'alto Egitto, ove non giugne la potenza di Mehemed Alì: ma siccome questi per una singolarità della natura non possono colla generazione mantenere la loro popolazione in Egitto, e loro non è permesso di tirarne altri dall'Asia, si ridurranno tra poco al nulla. Elfi Bey col suo corpo di Mamelucchi, di Arabi, di Turchi e di rinnegati scorre il deserto di Domanheur. Il governo di Costantinopoli non può fare verun conto d'Alessandria, la quale per la sua posizione geografica non è nè città Egiziana, nè città Turca: tale è il quadro fedele dello stato politico dell'Egitto.
Io non prenderò a descrivere la città del Cairo, troppo nota a tutti gli Europei; nè a parlare dell'immenso suo traffico presentemente ridotto in misero stato per le guerre d'Europa, per la rivoluzione de' Mamelucchi, e per i progressi de' Wehhabiti; nè de' principali scheih ond'è formato il suo governo, perchè il presente sistema dipende in gran parte dall'arbitrio del Pascià.
Quantunque le piramidi di Djizè fossero allora circondate d'Arabi ammutinati, e che fosse pericoloso l'avvicinarsi, volli ad ogni costo tentare di vedere questi colossi inalzati dalla mano degli uomini. Recatomi a Djizè m'avanzai verso le piramidi scortato della mia gente armata fino al punto in cui la prudenza permetteva d'inoltrarsi.
L'immaginazione senza il soccorso del tatto non basta per formarsi un'adequata idea delle piramidi, della colonna d'Alessandro, e di tutt'altro oggetto di forme e proporzioni inusitate. Aveva meco un telescopio acromatico, ed il canocchiale militare di Dollond. A forza di confronti, di avvicinamenti e di raziocinj, io mi lusingo d'aver potuto formarmi un'idea se non del tutto esatta, lo che è impossibile quando non si consulta che un solo senso, almeno assai prossima alla verità.
Io non parlerò delle loro dimensioni, perchè la commissione d'Egitto ha completamente esaurito l'argomento: basta sapere che sono le più grandi moli che esistano.
Tre sono le piramidi di Djizè; una delle quali minore assai delle altre due: ma tra le due maggiori io credo non esservi la differenza indicata da' viaggiatori.
Il profondo storico de' traviamenti dello spirito umano, il sig. Dupuis, ha detto che la grande piramide è fatta in modo, che l'osservatore posto al piede il giorno dell'equinozio vedrebbe il sole a mezzogiorno come seduto o appoggiato sulla sua cima. Ciò vuol dire che il piano inclinato o la faccia della piramide forma col piano dell'orizzonte un angolo eguale all'altezza meridiana del sole a tale epoca, ossia eguale all'altezza dell'equatore. Le piramidi essendo esattamente poste nella latitudine di 30 gradi N., ne viene che quest'angolo dev'essere di 60 gradi. Ora siccome tutte le faccie pajono essere egualmente inclinate, il profilo della piramide tagliato perpendicolarmente dalla sommità alla base per il mezzo delle due opposte faccie, deve esattamente rappresentare un triangolo equilatero. Questo felice azardo, prodotto dalla più semplice figura rettilinea, adoperata nella costruzione di un edificio, produsse questo bel fenomeno, e diventò per me uno sprone che mi spinse a verificarlo.
Quando osservansi le piramidi a qualche distanza ci sembra che abbiano la base alquanto più lunga che i lati, ossia l'angolo della sommità più aperto, e più ottuso che gli angoli della base; ma questa illusione deriva dal vedersi quasi sempre due lati della piramide, ed allora vedesi la diagonale del quadrato della base, che di sua natura è più lungo che un lato; lo che rappresenta all'occhio le piramidi schiacciate quantunque la loro altezza sia eguale alla lunghezza d'uno dei lati della loro base.
Fu pure sciolto il problema rispetto alla loro destinazione, sapendosi destinate per ultimo soggiorno de' sovrani che le inalzarono. Gli Arabi le chiamano El Haràm Firàoun, e raccontano mille scioccherie delle loro strade sotterranee, che stendonsi sotto tutto il basso Egitto.
È noto che su questi antichi monumenti non vedonsi nè iscrizioni, nè geroglifici che possano condurci alla cognizione de' tempi in cui furono fatte. La più grande viene attribuita a Cheops che viveva circa ottocento cinquant'anni avanti l'era cristiana; ma io inclino a crederla anteriore ai tempi storici, perciocchè se fosse opera di quel principe avremmo altre testimonianze oltre quelle di Erodoto sopra un monumento che a' suoi tempi doveva eccitare l'universale ammirazione.
A' piedi della maggior piramide vedesi un dovar arabo, che serve di scala per formarsi una più esatta idea delle sue vaste dimensioni.
Presso alle piramidi vidi la Sfinge busto o testa formata d'una rupe di enorme grandezza, che gli Arabi chiamano Aboullahoul. Io ne rimarcai perfettamente l'acconciatura di capo, gli occhi e la bocca; ma perchè mi trovava quasi in faccia non potei vederla di profilo come lo desideravo.
Il piano e le colline del Sahhara affatto coperti di sabbia bianca mobile chiudono la vista all'occidente.
Djizè è posto sulla sponda sinistra del Nilo. Altra volta, secondo che mi fu detto, questo borgo era un luogo di delizie circondato di belle case di campagna e di giardini; al presente è un tristo villaggio popolato soltanto di soldati Arnauti, che non possono meglio rassomigliarsi che a banditi.
Ritornando da Djizè visitai l'isola di Roudi o Rouda sul Nilo presso la riva destra. Questa isola oggi abbandonata fu anticamente un piccolo paradiso coperto di deliziosi giardini. All'estremità meridionale entro una specie di profondo cortile che comunica colle acque del fiume trovasi il celebre mikkia, colonna innalzata per misurare giornalmente l'altezza delle acque del Nilo in tempo della escrescenza. A quest'effetto è diviso in cubiti disuguali, o a dir meglio inesatti, ed in dita, di modo che chiunque può calcolare l'abbondanza del successivo raccolto. Ma oggi questo monumento di tanta importanza è abbandonato ad un corpo di soldati, o a dir meglio di barbari, che sembrano cospirare alla sua distruzione. Allorchè sbarcai fui condotto sopra un ammasso di ruine abbandonate, di dove vidi con estremo dolore e sorpresa, che in breve preparavasi la stessa sorte al mikkia. Di già una moschea ed altri edificj vicini al mikkia sono stati atterrati; di otto colonne che ne formavano la galleria, quattro giacciono nella polvere, i tetti cadono a pezzi, e per affrettare il troppo lento lavoro del tempo, i soldati levano il piombo che unisce le pietre ed i legni del coperto: per cotal modo si accelera la ruina di un edificio così utile, e che da tanti secoli contribuisce alla gloria dell'Egitto.
I Francesi in tempo della loro spedizione in questo paese avevano ristaurato il mikkia, e ristabilito l'ordine del servizio; ma ogni cosa fu distrutta a quest'ora, e la medesima colonna del mikkia sarebbe già atterrata, se non fosse appoggiata ad una grossa spina trasversale che i Francesi posero sul capitello. Domandai se non eravi persona incaricata della custodia di un edificio di tanta importanza, e mi fu risposto: Chi pagherebbe? Perchè almeno non si provvede d'una porta che ne chiuda l'ingresso? Ciò ancora richiede denaro; altronde i soldati leverebbero la porta e la serratura… – Colle sole lagnanze si può rispondere a sì grande apatia. Sospettai che lo stesso Mehemed Alì cospirasse dal canto suo come gli altri alla distruzione del mikkia, di cui anche il Califfo Omar pare che desiderasse l'annientamento.
I muri del cortile nel di cui centro trovasi il Mikkia hanno l'esterno di pietre quarzose, e dello stesso sasso è la scala per cui si scende a basso, come pure la colonna che non potei avvicinare per essere circondata dall'acqua. Una elegante cupola di legno ond'era ricoperto il cortile e la colonna, viene ogni giorno esportata a pezzi.
Un simile monumento in tutt'altro paese in cui il raccolto discende dalle pioggie e da altre cagioni accidentali, sarebbe superfluo e fuor di luogo; ma in Egitto ove l'abbondanza o la sterilità dipendono unicamente dal grado d'elevazione periodica delle acque del Nilo, avendo l'esperienza dato un esatto risultato degli effetti d'ogni cubito sulla quantità del raccolto, della più alta importanza diventa uno stromento destinato a misurarli: ed un saggio governo deve prendersene la più attenta cura, perchè conoscendo anticipatamente la misura del raccolto, può provvedere, prima che si sentano, ai bisogni della popolazione. Per tali considerazioni i Francesi diedero a quest'oggetto la debita importanza, ed è loro dovuto il bel passeggio con doppie linee di alberi che attraversano in tutta la sua lunghezza l'isola della Rouda dal S. al N.
Di là ritornai al vecchio Cairo o Mussar-el-Atik, sobborgo posto sulla diritta del fiume in faccia all'isola di Djizè. Vuolsi che altra volta questo sobborgo fosse più dilettevole soggiorno di quello del Cairo per le moltissime case di delizia che vi avevano i grandi ed i ricchi abitanti del Cairo e che oggi abbandonate vanno cadendo in ruina. Pure la popolazione del vecchio Cairo è ancora ragguardevole, ed i pubblici mercati abbondantemente provveduti. Sonovi monasteri di varj riti Cristiani. Io visitai quello de' Greci situato in amena posizione, la di cui terrazza signoreggia la città e la campagna. Da questo punto vedonsi le piramidi di Sakkara, che sembrano rivalizzare con quella di Djizè. La cappella di questo monastero dedicata a S. Gregorio è sommamente venerata dalle persone del paese per l'immagine del Santo posta in un angolo sopra un piccolo altare, e chiusa con griglia d'acciajo. Nel centro della cappella s'innalza una colonna, dalla quale pende una catena di ferro con cui vengono legati i pazzi che vi sono condotti per ottenere il patrocinio del Santo; e que' monaci assicurano, che accadono frequenti miracolose guarigioni, qualunque siasi la religione del pazzo che vien presentato.
Visitando il convento de' Cofti fui condotto in una grotta sotto l'altar maggiore, nella quale credesi che si ricoverasse la famiglia di Gesù quando venne in Egitto, salvandosi dalle persecuzioni di Erode: ma la cosa mi parve troppo assurda per meritarsi la menoma considerazione. È non pertanto a credersi che la grotta e la cappella non siano sterili monumenti pei monaci che ne hanno cura.
Boulak posto sulla sponda del Nilo è il più considerabile sobborgo del Cairo. Sonovi molti buoni edificj, e la sua posizione lo assicura dalla distruzione, che si fa già sentire a Djizè, ed al vecchio Cairo. Il porto di Boulak è sempre coperto di bastimenti che commerciano con tutti i paesi posti lungo le rive del Nilo, e perciò vi si vede assai movimento, e le dogane danno molto profitto all'erario. La strada da Boulak al Cairo rifatta ed abbellita dai Francesi offre un dilettevole passeggio.
Rispetto al commercio di Boulak, è certo che adesso non è se non un'ombra di ciò che dovrebbe essere, perchè l'insurrezione dell'alto Egitto, ove sonosi ritirati i Mamelucchi con Ibrahim Bey ed Osman Bey Bardissi, toglie al Cairo tutto il commercio dell'interno dell'Affrica. Inoltre le rivoluzioni di Barbaria impediscono la partenza delle carovane di Marocco, d'Algeri, e di tutti i paesi occidentali; e d'altra parte gli Arabi di Ssaddor, ossia deserto dello smarrimento, si avanzano fin presso a Suez per ispogliare le carovane che portano le mercanzie dell'Arabia e dell'India, procedenti dagli scali del mar Rosso: a ciò si aggiunge per ultimo la guerra degl'Inglesi che guasta affatto il commercio del Mediterraneo: tutte cose estremamente nocive all'esterno commercio dell'Egitto.
Nè più florido è il commercio interno, perchè tutto l'alto Egitto è dominato dai Mamelucchi, la provincia di Bohira da Elfi, e gli Arabi della provincia di Scherkia sono rivoltati; parziali tumulti succedonsi senza interruzione nella Garbia o Delta, di modo che non è possibile fare un passo nell'Egitto senza esporsi a gravissimi rischi.
Se in così triste circostanze si fa tuttavia al Cairo un notabile commercio, quale sarebbe in più felici tempi e sotto un provvido governo…!