Читать книгу Gelatina Al Lime E Altri Mostri - Angel Martinez, Ángel Martínez, Angel Martinez - Страница 9

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Capitolo Uno

Strano come metà delle sedie della sala briefing fossero vuote e comunque non ci fosse posto dove sedersi. Kyle esaminò le sue opzioni, cercando di scegliere il minore di tanti mali, conscio di essere in anticipo di dieci minuti con mali ancora peggiori a venire.

Decise per una sedia all’estrema sinistra, nella fila dietro Loveless e davanti a Zacchini. In quel modo avrebbe potuto avere strane voglie e flash improvvisi di immagini scollegate per le due ore successive, ma poteva sopportarlo. Nessuna delle due cose avrebbe fatto del male a chicchessia attorno a lui. La centrale non aveva abbastanza agenti per riempire la stanza, perciò nessuno avrebbe dovuto sedersi accanto a lui.

Qualcuno sembrava dimenticarselo sempre.

Krisk entrò a passo strascicato, guardò Kyle battendo lentamente le palpebre e vagò fino al lato opposto della stanza. Nessuno era in grado di spiegargli come Krisk avesse superato l’accademia di polizia, o perché avesse voluto farlo. L’uomo lucertola sembrava capire il linguaggio umano, anche se non parlava mai, e la legalità dei suoi arresti doveva essere opinabile.

Gatling, Lourdes e Wolf entrarono tutti con gli occhi stanchi del primo mattino, ma erano abbastanza coscienti da evitare il suo lato della stanza. Solo Lourdes avrebbe dovuto preoccuparsene, ma stava diventando un’abitudine per i suoi colleghi del dipartimento girare ben alla larga da lui. Il regolare tic-tic-tic militare dei tacchi della tenente Dunfee li raggiunse dal corridoio e tutti si affrettarono a sistemarsi, gli occhi puntati in avanti e almeno una finta attenzione. Lei diede distrattamente una pacca sulla spalla di Kyle mentre avanzava a passo di marcia, forse per ricordargli che almeno lei non aveva bisogno di temere le sue abilità.

Il tenente batté il dito sulle sue carte sul leggio in fondo alla stanza, lo sguardo duro che trafiggeva i suoi agenti uno per uno. «Buongiorno, signore e sign…»

Dei passi a ritmo di corsa la interruppero quando l’agente Virago si fermò in scivolata nel corridoio e poi cambiò marcia per entrare in fretta nella sala briefing.

«Maledizione, Vance, se non riesci ad arrivare in tempo, non fare un tale spettacolo del graziarci con la tua presenza», scattò il tenente Dunfee.

Virago le rivolse un ghigno impenitente e si lasciò cadere su una sedia a due posti di distanza da Kyle. Di norma, Kyle si sarebbe spostato o lo avrebbe avvertito, ma il tenente aveva ripreso a parlare. Interromperla una seconda volta ora che aveva iniziato l’appello non sembrava la migliore delle idee. Posso trattenerlo. Solo qualche minuto. Non deve per forza succedere qualcosa.

«Loveless?»

Davanti a Kyle, Carrington Loveless III alzò languidamente la mano bianca come un marshmallow. «Presente».

Visto? Non sta succedendo niente. Va tutto bene.

«Monroe?»

Kyle alzò la mano in risposta e un getto di fiamme schizzò dalle sue dita andando a schiantarsi contro il soffitto. Lui tirò indietro la mano, se le infilò entrambe sotto le cosce e si fece piccolo sotto una pioggia di frammenti bruciati di piastrelle del soffitto e mortificazione.

«Presente», disse strozzato.

«Vance! Spostati!» urlò il tenente. «Maledizione, dovresti saperlo!»

Virago si alzò subito dalla sua sedia e andò a prendere posto in piedi contro la parete opposta. «Sta piovendo, signora! Come dovrei sapere che Kirby può risucchiare la mia merda quando non riesco neanche a ottenere una scintilla?»

«Bada a come parli, e che ti ho detto di quel soprannome?»

Virago abbassò la testa mormorando delle scuse, ma più di una persona a portata d’udito di Kyle borbottò che il soprannome era fin troppo adatto.

«Mi dispiace, signora».

«Non è niente che tu possa controllare, Monroe. Ma queste altre teste vuote possono essere un po’ più consapevoli di dove si trovano in rapporto a te»

«Sì, signora».

Scuotendo la testa con aria esasperata, lei finì l’appello, confermò gli incarichi, poi fece cenno di avanzare dalla prima fila a qualcuno non familiare. «Ragazzi e ragazze, lui è il nostro nuovo agente, Vikash Soren».

Kyle si drizzò a sedere, spostandosi per vedere tra le teste delle persone davanti a lui. Soren sembrava il ragazzo copertina dell’agente di polizia modello: alto e dritto, l’uniforme stirata e inamidata. Stava sul riposo accanto al tenente, a esaminare impassibile i suoi nuovi colleghi. Un piccolo nodo di risentimento si incastrò nello stomaco di Kyle. Durante la sua presentazione al 77°, lui era stato nervoso e agitato, spaventato da quella quantità di… fenomeni. Come fa a stare tanto calmo?

«L’agente Soren si è trasferito dal dipartimento di polizia di Harrisburg…»

«Non hanno già abbastanza merda per conto loro lassù?» gridò Wolf nel suo ringhio graffiante.

«Dato che Harrisburg è nella nostra giurisdizione», proseguì il tenente, mettendolo a tacere con uno sguardo, «inizierà in coppia con Monroe».

«Che cosa fa, signora? Perché sia sicuro metterlo con Kirby, ehm, Kyle?» chiese Shira Lourdes mentre gettava occhiate nervose a Kyle attraverso la stanza. Una sedia vuota scivolò via da lei e si ribaltò. Il suo partner, Greg Santos, scosse la testa e raddrizzò lo sfortunato complemento d’arredo.

«Le abilità dell’agente Soren sono un suo problema, che potrebbe o meno scegliere di condividere se glielo chiedete. E non cercate di costringerlo, nessuno di voi». Il tenente Dunfee spazzò la stanza con il suo sguardo laser, trafiggendo ogni agente come una farfalla con uno spillo.

«Monroe, nel mio ufficio dopo il briefing. Info sul tuo attuale caso».

Li congedò, marciando fuori dalla stanza con nubi di tempesta nello sguardo. Kyle si ritrovò ad avvicinarsi al ragazzo nuovo e cercare di fare del suo meglio per non essere imbranato. Doveva offrirsi di stringergli la mano? Era sicuro? Il ragazzo si sarebbe fatto indietro come molti facevano alla vista delle sue mani sfregiate? Soren era perfino più alto così da vicino, centonovantadue centimetri di asciutta imperscrutabilità, gli occhi blu che brillavano in modo impressionante sullo sfondo della pelle bronzo affumicato.

«Uh, ciao, sono Kyle Monroe». Kyle tentennò quando neppure Soren gli tese la mano. «Sei con me, credo. Ti farò vedere il nostro posto nella stanza degli agenti».

Soren lo seguì in silenzio, e Kyle stava iniziando a chiedersi se fosse come Krisk per il fatto di non parlare fino a quando non lo fece in un basso e dolce baritono, facendolo sobbalzare e mancare un passo. «Perché ti chiamano Kirby?»

«Lo sentirai dire prima o poi, immagino». Kyle si strinse nelle spalle. «È questa cosa che faccio, assorbire temporaneamente i talenti di altre persone. Se mi stanno vicine. O mi toccano. Come Kirby, il piccoletto rosa del videogioco».

«Ah».

Solo questo? Soren non prese le distanze, né cambiò minimamente espressione. Era fatto di pietra? «È una cosa. Tutti qui hanno una cosa».

Dopo qualche altro passo, Soren chiese: «Sempre?»

«Cosa…? Oh, sono sempre stato così? Chi lo sa. Insomma, magari ricevevo pensieri vaganti o qualcosa del genere, ma no. È piuttosto recente. Sapere che faccio questo».

Kyle fece un lungo giro attorno a Vance entrando nella stanza degli agenti e indicò una doppia scrivania nell’angolo più lontano, ben distante da tutti gli altri. «Quella è nostra. Il caffè è laggiù, ma potresti non volerne. Lascia che prenda il mio fascicolo e andiamo a vedere il tenente».

Si udì un frullio di ali sopra di loro… un lampo brillante di piume che schizzò davanti a Kyle per atterrare sulla scrivania di Carrington in fondo alla stanza. Con un verso rauco, il corvo rosa e blu fluorescente ripiegò le ali e avanzò per beccare la penna di Carrington.

«Piantala, Edgar».

«Non riusciresti a far sesso a un’orgia!» gracchiò Edgar, facendo un altro tentativo per prendere la penna.

Carrington sospirò e gliela porse. «Ecco. Vai a giocare. Cerca di non sporcarti tutte le zampe d’inchiostro stavolta».

Edgar afferrò la penna nel becco color Pepto-Bismol e volò fino al suo trespolo dall’altra parte della stanza, da dove gridò «Grazie e vaffanculo!», per poi procedere a disegnare linee casuali sui fogli attaccati dietro di lui con delle puntine per i suoi lavori artistici.

«Allora, qual è la tua storia, Soren?» gridò Vance attraverso la stanza. «Cosa fa sventolare la tua bandiera di freak?»

«Già, cos’è che fai?» Jeff Gatling smise di teletrasportare la sua banana da un angolo all’altro della scrivania.

«In effetti non faccio niente», rispose Soren mentre sollevava la caraffa vuota del caffè. «Immagino ne farò dell’altro, visto che sono l’ultimo arrivato».

Aprì il coperchio per togliere il filtro e ogni voce umana nella stanza urlò «No!»

La maggioranza delle persone sarebbero sobbalzate, magari avrebbero anche lasciato cadere la caraffa. Soren si limitò a guardare la stanza piena di gente che gesticolava agitata. Tolse il filtro e lo svuotò nel cestino. «Perché no?»

«Meglio non farlo». Kyle rimase accanto alla sua scrivania, a una bella distanza di sicurezza dall’area del caffè. «È compito di Larry».

«Allora Larry non sta al passo». Il contenitore delle bustine di dolcificante iniziò a tremare. Vibrò attraverso il bancone e saltò verso una sgraziata fine, spargendo schegge di ceramica a scivolare lungo tutto il pavimento. La scrivania condivisa da Krisk e Wolf si sollevò da terra di parecchi centimetri e poi vi piombò di nuovo. Wolf fuggì con un latrato squittente appena prima che si ribaltasse su un lato. Soren rivolse uno sguardo a Kyle.

«Larry non è un poliziotto, vero?»

«Lo è… lo era! Un poliziotto morto. Larry è un fantasma. Si innervosisce se chiunque altro fa il caffè. Rimetti quella roba a posto, per favore!»

«Larry?» Soren alzò la voce, ma sotto ogni aspetto rimase del tutto inalterato. «Sono nuovo qui. Mi dispiace davvero di aver invaso la tua giurisdizione. Vedi? Sto rimettendo a posto la caraffa. Chiudo il coperchio. Siamo a posto, Larry?»

Una brezza fece frusciare una pila di fogli, ma non seguì altro caos. La caraffa scivolò dal suo supporto sulla macchinetta del caffè e fluttuò fino al boccione dell’acqua dove Larry, che non si manifestava mai in forma visibile, fischiettò senza una precisa melodia mentre la riempiva.

Dal suo angolo in penombra della stanza, Carrington disse nel suo tono secco e raffinato: «Benvenuto all’Isola dei Freak Disadattati».

* * * *

Mezz’ora dopo, con Soren ragguagliato sul caso e istruzioni di incontrare Chris Hardin della omicidi all’ufficio del medico legale, Kyle condusse il suo nuovo partner all’auto di pattuglia a loro assegnata. Vikash Soren restava un enigma, cosa che non aiutava i suoi nervi già tesi.

«Guido io».

Soren sorseggiò il caffè che aveva preso a un ambulante lì vicino, apparentemente giunto alla stessa conclusione che tutti gli altri raggiungevano con un sorso del caffè di Larry: era alla pari di vernice per il legno. «Sicuro di arrivare ai pedali?»

Kyle lo fissò. Se non avesse visto la sua bocca muoversi, avrebbe giurato di essersi immaginato quelle parole. «Non sono basso».

Un perfetto sopracciglio nero si alzò appena

«Sono nella media. Tu sei sicuro di entrarci, nell’auto?» ribatté Kyle, sapendo che era infantile.

Soren si limitò a sorridere senza mostrare i denti. Non era neppure un sorriso infastidito e teso… più simile alla serena espressione di una statua di qualche antica, soddisfatta divinità. Ripiegò il lungo fisico sul sedile del passeggero senza un’altra parola.

Credo di odiarlo. Meglio che abbia qualche difetto grave, o lo odierò davvero.

Perfino la sua postura da seduto nell’auto di pattuglia era perfetta. Kyle tenne l’attenzione sul traffico di Market Street, cercando di allentare la mascella.

Avevano quasi raggiungo il fiume Schuylkill quando Soren, in un tono a stento alto abbastanza per fare conversazione, chiese: «Isola dei Freak Disadattati?»

«È a questo che hai pensato per tutto questo tempo?»

«Sì». Soren sorseggiò il caffè mentre una piccola V gli si formava tra le perfette sopracciglia nere. «Credo che mi stessi aspettando qualcosa… di diverso».

Kyle fece un’espirazione esplosiva. Già, l’aveva capito. «Anche io, quando mi trasferirono. Insomma, senti parlare delle altre città, ed è più come X-Files, giusto? E se c’è qualche poliziotto paranormale di Philly con talenti utili, probabilmente viene spedito da qualche altra parte. Ma qui, mi dispiace, no. Sei bloccato coi reietti».

«Capisco perché tu saresti un problema». Soren alzò una mano quando Kyle sputacchiò. «Fai cose pericolose, che non puoi controllare, sembra. Ma gli altri?»

«Già. Tutti loro. Noi». Kyle fece una smorfia per il lapsus. Quattro mesi in quel dipartimento e si sentiva ancora un emarginato. «Virago? Quello che è stato rimproverato stamattina? È un incendiario».

«Va bene. Ma non sembra tanto strano».

Kyle ridacchiò. «Riesce a farlo solo quando è asciutto. Pioggia, neve, troppa umidità, e puff! Niente. Shira Lourdes è una telecinetica da stress. Volano cose quando è nervosa o incazzata».

«Uhmm. Edgar?»

«Non siamo sicuri di cosa faccia. È arrivato col tenente. La mia teoria è che si sia ritrovato in mezzo a uno scontro magico e ne abbia ricavato le penne in Technicolor. Da dove la boccaccia, ehm, il beccaccio gli sia arrivato è un mistero per tutti. E Jeff Gatling? Il tizio con la banana?»

«Fa apporti. L’ho visto».

«Già, ma può teletrasportare solo frutta».

«Oh».

La ruga a forma di V si era fatta più profonda. Il Signor Perfettino poteva essere preso di sorpresa, a quanto pareva.

«Ecco perché volevano sapere cosa fai. Perché sul serio, tutti facciamo qualcosa e facciamo schifo a farlo».

Lo Schuylkill, luccicante nel sole di ottobre, era dietro di loro prima che Soren rispondesse

«Non faccio davvero nulla».

«Allora perché diavolo ti hanno mandato da noi?» La voce di Kyle si ruppe mentre il suo volume si alzava. Non aveva avuto intenzione di essere seccato, ma maledizione, era come estrarre denti a un mastodonte usando due cucchiai.

Un altro sorso di caffè, un altro lungo silenzio. «Attorno a me accadono brutte cose».

«Oh, grandioso. Davvero grandioso».

«Non sempre». Soren continuava ad avere quel tono basso e regolare, nessuna traccia di alterazione, nessun atteggiamento difensivo. «Solo… quando sono arrabbiato».

Al semaforo successivo, Kyle si girò a guardarlo. «Soren, tu ti arrabbi mai?»

«Oh, certo». Quel sorrisino condiscendente era tornato. «Non ti piacerei quando sono arrabbiato».

Beh, che schifo. Avengers. Senso dell’umorismo. E io che stavo davvero iniziando a odiarlo. «Ah. Posso chiamarti Bruce?»

«Solo se io posso chiamarti Tony. Anche se preferirei Vikash».

Kyle ci rimuginò sopra mentre svoltava sulla 34sima dirigendosi nel territorio dell’università. Difficile avere delle sensazioni su qualcuno tanto riservato, ma alla fine decise che Soren, Vikash, stava facendo del suo meglio per essere amichevole. Magari era timido, o magari era davvero strano. Comunque fosse, Kyle era stato messo in coppia con dei veri bastardi nel corso degli anni. Con uno strano poteva cavarsela.

Per quando ebbe parcheggiato l’autopattuglia bianca, Vikash aveva finito il caffè e, da bravo Signor Perfettino, portò il bicchiere vuoto e il tovagliolino con sé e li gettò negli appositi contenitori.

«Hai mai preso almeno una multa per divieto di sosta?»

Vikash gli rivolse una strana occhiata. «No. Perché?»

«Non importa». Kyle fece strada verso l’interno, dove il Detective Hardin li stava aspettando. Fece un cenno del capo all’uomo, con cui aveva lavorato all’omicidio precedente. «Sembra uguale?»

«Temo di sì. Volevo che dessi un’occhiata, però, visto che eri sulla scena dell’altro».

«Questa dov’era?»

«Appena dopo l’impianto idrico. L’hanno trovata alcuni dei ragazzini che si allenavano per il canottaggio».

Kyle aveva sempre quel momento di oh, merda, non posso farcela quando entrava in un obitorio con un corpo sul tavolo. Aveva visto parecchi cadaveri da poliziotto, ma non riusciva mai a distaccarsi davvero come facevano alcuni agenti. Era una persona quella sul tavolo, la madre o sorella di qualcuno, qualcuno che aveva avuto dei sogni, che poteva aver odiato il gelato al pistacchio ed essere stato accanto a lui a guardare i fuochi artificiali… e lui doveva calpestare con forza quei pensieri.

Con la maschera professionale ben salda al suo posto, si sforzò di non sobbalzare quando il tecnico di laboratorio tirò giù il lenzuolo. Quella giovane donna, come la precedente, aveva profondi squarci a forma di V sul corpo; era molto probabile fosse stato quello sulla gola a ucciderla.

«Doc colloca l’ora della morte tra mezzanotte e le due». La voce roca e rovinata dal fumo di Hardin lacerò la tremenda immobilità. «Perdita di sangue dalla ferita al collo elencata come la causa di morte, ma ci sono anche traumi da corpo contundente alla testa».

«Abbiamo già i documenti?»

«Niente. L’assassino potrebbe aver preso la borsa, se ce n’era una».

«Qualche ipotesi sull’arma?» chiese Kyle mentre si chinava a osservare i tagli dalla strana forma.

«Sembra quasi la forma di una paletta per piantare i bulbi», mormorò Vikash. Aveva estratto un piccolo blocco note e una penna, e stava prendendo appunti con tratti rapidi e precisi.

Kyle lo fissò. «Perché sai una cosa del genere?»

Vikash borbottò qualcosa su sua nonna prima di aggiungere: «Però non dovrebbero essere abbastanza affilate per questo».

«Il medico legale non ha idee sull’arma». Hardin osservò il nuovo partner di Kyle con un’occhiata in tralice. «Attrezzo da giardinaggio o meno che sia. Hai dubbi sul fatto che sia collegato al precedente, Monroe?»

Kyle scosse la testa. «No. Stesse ferite. Ora della morte. Non la stessa area, ma comunque lungo il fiume. Va bene se andiamo a dare un’occhiata alla scena?»

«Questa è un’investigazione congiunta, quindi vai laggiù. E non tenerlo per te se scopri qualcosa. Non mi interessa se è una qualche strana cosa psichica che voialtri pensate che la gente normale non capirebbe».

Quella frecciatina sul voialtri. Kyle strinse la mascella mentre il suo stomaco si rigirava lentamente. Quattro mesi prima, lui non era stato niente di speciale. Solo uno dei tanti poliziotti che facevano il loro lavoro. Adesso era uno di loro, uno dei freak che il dipartimento utilizzava per gestire i crimini bizzarri e inspiegabili; un male sgradevole ma necessario per molti poliziotti normali. Vikash alzò lo sguardo dal suo blocchetto, la penna ancora posizionata sulla pagina. «Quello era un commento razzista, detective?»

Hardin sputacchiò. «Cosa? Cazzo, no. Ma la vostra centrale è piena di tipi strani. Lo sai questo, vero?»

«Non ho idea di cosa intenda». L’espressione neutra di Vikash non diede a Hardin nulla su cui lavorare, e Kyle lottò per reprimere una risata, quasi asfissiandosi nel farlo.

«Va bene, penso che abbiamo tutto quello che ci serve qui. Ti aggiornerò via email», riuscì a dire quando riscoprì come respirare.

Lasciarono Hardin a borbottare e Vikash rimase quasi stoico quando tornarono nell’auto. L’unico cambiamento? Quel maledetto sorriso era tornato.

«Ti piace giocare con le persone, vero?»

«Sì». Vikash mise via il blocchetto. Neanche una risatina. «Alla scena del crimine?»

«Beh, di sicuro non stiamo andando alla Batcaverna».

Quello gli fece ottenere in cambio un suono strozzato. Forse quella era una risata, o Vikash stava reprimendo un colpo di tosse. «Chiamerò per vedere se Loveless e Zacchini possono raggiungerci lì».

«Talenti utili?»

«A volte».

Di nuovo oltre il fiume, di nuovo nello strano silenzio che Kyle stava ancora cercando di rompere. Avrebbe voluto che Vikash facesse un piccolo sforzo. Il silenzio andava bene, ma non quel silenzio strano e spinoso.

«Allora i tuoi genitori venivano dall’India?»

«No. Perché?»

Kyle dovette letteralmente stringere la presa sul volante per impedirsi di colpire il suo partner. «Uh… per il tuo nome?» I tuoi splendidi, fitti capelli neri. La tua pelle ridicolmente bella. Il tuo lungo naso nobiliare da sopra cui guardare le persone dall’alto in basso.

«Mamma pensava fosse forte».

«Ah-ah». Kyle non se la beveva, ma Vikash tornò in modalità statua e lui aveva bisogno di ricaricare la sue energie di socializzazione prima di tentare di farvelo uscire di nuovo.

C’erano tecnici della scientifica ancora sulla scena, ma Kyle ebbe il loro permesso di ficcanasare intorno ai confini. Il corpo era stato trovato all’estremità del fiume, ancora in acqua per metà. Le foto del momento del ritrovamento mostravano che la giovane donna era morta in un attimo di abietto terrore, la sua espressione paralizzata in un urlo di morte.

Procedettero in modo cauto, a tratti scivolando, giù lungo la riva, con gli occhi a terra in cerca di qualunque cosa fosse insolita e per rispetto al terreno sdrucciolevole.

Kyle slittò nel fango, allargando le braccia anche se non c’era alcun ramo a cui aggrapparsi. Una mano forte gli afferrò un gomito, rimettendolo in equilibrio. Per un singolo istante, l’espressione di Vikash mostrò della preoccupazione ansiosa, prima che la sua condiscendente serenità tornasse.

«Magari tu e le tue gambette tozze dovreste restare su in cima».

«Chiudi il becco». Bella risposta, Kyle. Davvero sarcastica e pungente.

Ogni ulteriore battuta fu affossata dall’arrivo di Loveless e Zacchini. In un cappello a tesa larga e con i guanti nonostante l’inverno mite, Loveless era in alto sull’argine con la bocca in una linea seccata.

«Amanda, cara, dovrai aiutarmi se ti aspetti che io riesca a scendere lì da Kyle».

L’agente Zacchini alzò gli occhi al cielo, ma prese il suo partner dalla vita, una mano serrata sotto il gomito, per sostenere i suoi passi incerti giù per l’argine. Vikash fece quella cosa con un sopracciglio verso Kyle.

«Vampiro», sussurrò lui. «La luce del giorno è davvero un problema per lui. Ma penso gli piaccia l’attenzione».

«Sai che ti sento», disse piccato Loveless. «Vuoi dirmi cosa sto cercando?»

«Non ne sono sicuro. Ti colpisce qualcosa che non dovrebbe esserci? Qualcosa che non odora di umano?»

«Sulla riva di un fiume. Stai scherzando».

«Vorrei poter essere più specifico. Non ho un granché ancora».

Carrington Loveless III, adorato figlio unico di una ricca famiglia di Main Line, sospirò mentre fissava le sue scarpe un tempo pulite sguazzare nel terreno paludoso. Chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro attraverso il naso, si accucciò, girando la testa, e inspirò di nuovo.

«C’è… qualcosa». Loveless tese in fuori una mano e attese fin quando Zacchini lo stava tenendo saldamente prima di alzarsi. Tirando su col naso come un cane antidroga, camminò per parecchi metri seguendo la corrente e poi si fermò. «Qualcosa di strano».

«Kyle». Vikash puntò un dito e prese l’altro braccio di Loveless per impedirgli di fare un altro passo. «Lì nel fango. Credi che potremmo far fare qualche foto a uno dei ragazzi della scientifica?»

Stringendo con una mano la schiena dell’uniforme di Vikash in modo da non cadere in acqua, Kyle si sporse per guardare cosa avesse trasformato il suo collega in una natura morta. Proprio dove l’acqua incontrava la terra, con le onde del fiume che si davano da fare per lavarla via, c’era l’impronta di… qualcosa. Forse. Quattro lunghe fessure più vicine all’acqua con un segno ovale dietro di esse. Se era l’impronta di un piede, doveva essere più grande del lavello di una cucina.

«Carrington? È un’impronta?» chiese a bassa voce, come se parlare forte potesse lavarla via.

«Sì. Oh, decisamente sì». Loveless rabbrividì.

Kyle chiamò l’unità della scientifica e ben presto qualcuno stava scattando delle foto. Non che sarebbero state di molto aiuto se non fossero riusciti a capire cos’era quella cosa, figurarsi trovarla.

«Qualche idea?» chiese Kyle al loro vampiro. «Di cosa odora?»

«Freddo. Viscido. Duro».

«Come può qualcosa odorare di duro?»

«Non lo so», mormorò irritato Loveless. «Amanda, non posso farcela. Per favore».

Kyle alzò lo sguardo su Zacchini, rendendosi conto con una certa irritazione che tutti i presenti erano più alti di lui. «Tu senti qualcosa, Amanda? E lui sta facendo il tragico?»

Zacchini fece spallucce. «Niente. Acqua che scorre. Cose che vivono nel fango. E no. Non può simulare quel colorito grigio. Meglio che lo porti in auto prima che finisca di faccia nel fango. Serve che ti porti in spalla, Carr?»

«No, no». Loveless mise la mano nella curva del braccio che gli stava offrendo. «Ce la farò, grazie».

Un rapido esame del terreno nelle vicinanze non rivelò altre di quelle strane impronte e, quando si voltò per suggerire che tornassero su, Kyle trovò Vikash a fissare Loveless e Zacchini che andavano via.

«Che c’è?»

Vikash esitò prima di chiedere: «Stanno… insieme?»

Cristo su un’ostia, il Signor Perfettino è in imbarazzo? «Perché, perché si prende tanta cura di lui?»

«Serve che se ne prenda cura?»

Kyle fece spallucce. «È un tantino delicato, il nostro vampiro. Non lo è sempre stato, ho sentito dire. Agente decorato, pugile amatoriale prima di essere trasformato. Ma no, non stanno insieme. A lui piacciono più gli atleti Neanderthaliani e a lei le donne artistiche e umorali. Entrambi si fanno spezzare il cuore».

«Ah». Vikash si avviò su per la discesa e Kyle pensò che quella fosse la fine di una lunga conversazione per loro fino a quando il suo partner parlò di nuovo, ancora in quello strano tono confuso: «Ho chiesto perché pensavo che magari lei lo nutrisse. Se se la cava così male alla luce del giorno».

«Ah. No. Ricorda, siamo tutti alquanto strani. Loveless può bere solo sangue scremato. Lo chiama così. I pacchetti che ottiene dalla banca del sangue sono etichettati globuli rossi lavati. Niente piastrine, niente plasma, basso conteggio di globuli bianchi. Sta davvero male col sangue intero».

«Credo mi serva un programma. Con delle note a piè di pagina».

«Nah. Stanza degli agenti piccola. Saprai troppo di tutti entro una settimana».

Gelatina Al Lime E Altri Mostri

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