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Capitolo IV.
ОглавлениеLe maraviglie della terra promessa.
In un venerdì, che fu il 3 agosto del 1492, Cristoforo Colombo era partito dall'isolotto di Saltes, sulla costa occidentale d'Europa, per muovere alla ricerca del Nuovo Mondo. In un venerdì, che fu il 12 ottobre del medesimo anno, doveva egli approdare alla prima terra scoperta di là dall'Atlantico, dal terribile mar tenebroso. Ed ora seguitate a dir male del venerdì, gabellandolo sempre per un giorno nefasto, se ne avete il coraggio.
Il disco del sole era già intieramente fuori delle acque, allorquando il signor almirante del mare Oceano diede il comando di gettare le áncore e di mettere in mare i palischermi. Il doppio lavoro fu compiuto alla svelta, da una marinaresca giubilante. Nella barca, come più capace, Cristoforo Colombo volle compagni i primari ufficiali della spedizione, Diego di Arana, grande alguazil, o capo di giustizia, Pietro Gutierrez, gentiluomo di camera, anzi cantiniere del re, diventato ragionier generale della squadra, Rodrigo Sanchez, ispettore d'armamento e revisore dei conti, Rodrigo d'Escovedo, regio notaio, Bernardino di Tapia, istoriografo, e Luigi de Torres, ebreo convertito ed interpetre per le lingue [pg!63] orientali, che si supponevano parlate laggiù. Seguivano i piloti, o luogotenenti di bordo, Pedro Alonzo Nino, Bartolomeo Roldan, Sancio Ruiz, Giovanni di Cosa. Il quinto, Perez Matteo Hernea, restava di guardia a bordo. Il ringhioso uomo non aveva creduto alla terra; lo puniva la sorte, non lasciandogli toccare fra i primi la terra.
Nel bargio, che era il palischermo minore, l'almirante fece discendere i tre scudieri, addetti alla sua persona: Diego Mendez, il fedelissimo, Francisco Ximenes Roldan, il futuro ingrato, e Diego di Salcedo. Con essi, tra i marinai, diede posto a Cosma e a Damiano; segno di particolare cortesia per i suoi due genovesi. E non vorrete mica imputarlo di parzialità, per aver egli pensato in quella occasione ai suoi concittadini. Erano stati due marinai esemplari per tutto il viaggio; l'obbedienza, la prontezza al lavoro, meritavano un premio. Egli, del resto, quantunque li sospettasse di condizione superiore a quella che dalla loro scelta appariva, non mostrava di distinguerli dagli altri marinai, poichè li chiamava appunto tra i rematori.
Ed egli, nella barca, ritto sulla poppa, dirigendo la voga, torreggiava su tutti i suoi ufficiali. Stringeva nel pugno l'asta dello stendardo; lo stendardo della capitana, quello che portava il gran crocifisso in campo bianco; mentre gli altri comandanti, Martino Alonzo Pinzon, della Pinta, e Vincenzo Yanez, della Nina, discesi anch'essi nei loro palischermi, impugnavano gli stendardi delle loro navi; di bianco, alla gran croce di verde, accostata dalle iniziali del re Ferdinando e della regina Isabella, sormontate dalla corona reale.
I sei palischermi mossero a voga arrancata verso la riva, andando primo fra tutti quello che portava l'almirante. Questi e i compagni suoi erano presi [pg!64] d'ammirazione alla vista delle ampie foreste che vestivano le basse colline dell'isola, e dei frutti di specie sconosciute, che pendevano dagli alberi, fin sopra alle sponde. Il cielo era puro, le acque trasparenti come cristallo, l'aria tiepida e fragrante di profumi silvestri; tutto ciò che vedevano, tutto ciò che sentivano, era un incantesimo lieto.
In prossimità del lido i vogatori presero a sciare coi remi, facendo girar destramente sul proprio asse la barca, affinchè presentasse la poppa alla spiaggia. Cristoforo Colombo fu il primo a balzar sulla rena, e i suoi ufficiali lo seguirono, ma a rispettosa distanza, reverenti e commossi, vedendo com'egli, toccato a mala pena il lido, cadesse ginocchioni, baciando tre volte la terra. In questo atto di omaggio a Dio lo imitarono tutti; ma forse nessuno versò le calde lagrime che un vivo sentimento di profonda gratitudine gli strappava dagli occhi.
Alzatosi poscia da quella adorazione, Cristoforo Colombo sguainò la spada, dispiegò lo stendardo reale, e chiamati al suo fianco i comandanti della Pinta e della Nina, mentre facevano ala tutti gli altri ufficiali, recitò la preghiera latina che egli stesso aveva composta in viaggio, per quella circostanza:
—Signore Iddio eterno ed onnipotente, che col sacro tuo verbo creasti il cielo, la terra ed il mare; sia benedetto e glorificato il tuo nome, sia lodata la tua maestà, che si è degnata di fare, per opera di questo umile servo, che il tuo sacro nome sia conosciuto e predicato in quest'altra parte del mondo1.
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—Amen!—risposero divotamente gli astanti.
Finita la preghiera, l'almirante piantò lo stendardo, levò la spada, e battendone la punta sul terreno, prese solenne possesso dell'isola in nome del re e della regina di Castiglia, imponendole il nome di San Salvatore.
Rodrigo di Escovedo, regio notaio, mise mano alla carta e stese l'atto, che Cristoforo Colombo firmò, e dopo di lui gli altri ufficiali. In quella occasione egli assumeva, firmando, i titoli di almirante, vicerè e governatore. E gli ufficiali, innanzi di firmare a lor volta, gli giurarono tutti obbedienza.
Le cerimonie erano finalmente adempiute. Ufficiali e marinai potevano abbandonarsi alla gioia di quelle ore stupende, indimenticabili, che seguivano a tanti giorni, a tante settimane di stenti e di terrori. A tutti gli equipaggi fu data licenza di scendere a terra; armati, per altro, e con ordine di non allontanarsi dalla spiaggia, dove potevano preparare il loro pasto quotidiano.
L'arrivo di quei marinai a terra fu la scena più graziosa, nel suo gaio disordine, che si potesse immaginare. Barcollavano tutti, come ubbriachi, un po' perchè disusati da tanto tempo al saldo terreno, un po' perchè la commozione era forte, e si reggevano male. Nell'eccesso della loro allegrezza, preferivano saltare. Giunti alla presenza dell'almirante, che ritto a' piè di un albero li stava contemplando, gli si strinsero attorno, quale baciandogli le mani, quale abbracciandogli le ginocchia, e tutti gridando [pg!66] i più sperticati evviva al grand'uomo, al protettore, al dio della gente di mare. Ed erano gli uomini che una settimana prima volevano disfarsi di lui, buttandolo a mare!
E frattanto, le creature umane poco vestite, anzi punto vestite, a cui aveva accennato Cosma, dov'erano? Sulla riva, affollate, al primo apparir delle navi, di quei mostri ignoti, che fendevano coi negri corpi le onde marine, spiegando in aria lunghissime ali di cigno. Ma ben presto avevano veduto ripiegarsi quelle ali, i mostri fermarsi a mezzo il loro cammino, cavandosi dal seno due mostricini per ciascheduno, e quei mostricini affrettarsi alla spiaggia. Tanto era bastato perchè quelle povere creature umane si allontanassero in fretta dalla spiaggia, andando a nascondersi nelle vicine boscaglie. Da principio non avevano ardito neanche di ricogliere il fiato, tanta era la furia del correre in salvo; poi, dalla vetta di un palmizio su cui qualcheduno dei più audaci si era arrampicato, giungeva l'annunzio che i piccoli mostri toccavano terra, balzandone fuori uomini stranamente fatti, coperti di vivi colori, e taluni di essi con la persona vestita di squamma lucente alla guisa dei pesci. Quegli uomini strani si erano fermati, non mostravano intenzione d'inseguire i poveri abitanti dell'isola. I piccoli mostri si erano allontanati dalla riva, per ritornarsene là, d'onde erano venuti, presso i mostri maggiori; e ai più savi uomini della tribù non era stato troppo difficile argomentare che si trattasse di piroghe, ma più grandi e più capaci delle loro, tanto sottili e così poco sicure, scavate com'erano grossamente nei tronchi degli alberi.
Che cosa facevano quegli esseri maravigliosi, rimasti soli sul lido? che riti compievano, agitando quelle aste, da cui pendevano quei pezzi di tela? [pg!67] Perchè si buttavano alle ginocchia di uno tra loro, notevole per la statura elevata e per quello splendore di rosso scarlatto? Perchè alzavano le mani al cielo? Invocavano in quella maniera i loro spiriti tutelari? Ma quell'uomo alto, dai lunghi capelli d'oro, non era egli stesso uno spirito buono, disceso per essi, o con essi, dal cielo?
La curiosità aveva vinto il timore. I più giovani ed animosi incominciarono a farsi avanti tra gli alberi, venendo fino al limite estremo del bosco. Gli esseri strani avevano l'aria di non avvedersi neanche della loro presenza; se pure accadeva che volgessero gli occhi da quella parte, non si trattenevano mai a guardare, e tranquilli attendevano ai loro discorsi. Taluni, anzi, andando attorno per la spiaggia, raccoglievano stipa e rami secchi, che portavano a certi focolari improvvisati, per accendervi il fuoco e preparare il pasto all'aperto. Non avevano dunque cattive intenzioni; erano esseri buoni, discesi a quella spiaggia per riposarsi, non per nuocere ai tranquilli abitanti dell'isola. E allora i selvaggi osservatori prendevano animo, si facevano sempre più avanti; qualcuno di essi era già uscito dalla macchia, e, mettendo piccole grida, cercava di destar l'attenzione dei nuovi venuti. I quali, finalmente, incominciavano a voltarsi, a guardare, e, senza muoversi dal posto che s'erano scelto sulla riva, invitavano coi gesti la timida gente ad accostarsi. Ma ancora non si fidavano, i naturali del luogo; stavano là sospesi, continuando a mettere le loro piccole grida, quasi volessero invitare quegli esseri strani a far sentire anch'essi il suono della lor voce, che ancora non avevano udita.
Cristoforo Colombo si era avanzato lentamente di pochi passi verso la macchia. Col gesto cortese, e col tono di voce più soave che seppe, chiamò quella [pg!68] gente a sè, esortandola a non aver paura degli stranieri. Egli bene intendeva che le sue parole non sarebbero state capite; ma parlava ad ogni modo, perchè le frasi giustificassero il gesto.
Una donna era in quella piccola schiera di selvaggi. Fu essa la prima a farsi più avanti, rassicurata dagli atti amorevoli, e dal nobile aspetto dell'uomo dai capelli d'oro. Poveri capelli d'oro, in mezzo a cui erano già tanti i fili d'argento! La donna, a mala pena coperta d'una fascia di stoia raccomandata sul fianco, aveva due bambini con sè, due putti a cui non toglieva grazia il color di rame della carnagione. E parlava loro, incitandoli con gli atti; e uno di loro finalmente si mosse, facendo alcuni passi verso l'almirante, che ne aveva fatti altrettanti verso di lui, mandandogli un sorriso e un gesto di carezza. Così, a poco a poco, vinto il sospetto e la ritrosia dei bambini, l'almirante si ritrovò tanto vicino ad essi, da poter porre la mano sulle lor brune testine; poi, tratti fuori due sonagliuzzi di metallo, li fece tintinnare al loro orecchio, destando in essi un senso di curiosità e di grata maraviglia.
—Prendete,—diss'egli allora,—son vostri.—
E col gesto dichiarando le parole, diede i due sonagliuzzi ai bambini.
La donna si avanzò per abbracciare i figliuoli, fors'anche per incuorarli a dir grazie. Ed ella pure ebbe un dono dal nobile uomo dei capelli d'oro: un sottil vezzo di perline di vetro. Il gesto dell'almirante, nell'offrirle quel dono, significava, che ella poteva adornarsene, mettendolo al collo.
Donna e bambini ritornarono verso la macchia, saltellando e gridando in segno di allegrezza. E il vezzo di perline e i piccoli sonagli furono argomenti di ammirazione per tutti quei selvaggi affollati. Il [pg!69] ghiaccio era rotto. Anche gli uomini, poichè ebbero ammirati i donativi, si avanzarono verso il donatore, lo attorniarono, riguardosi da prima, quindi a mano a mano più familiari, cedendo agli impulsi della loro curiosità. Maravigliavano della sua vantaggiosa statura, fors'anche del suo nobile aspetto; contemplavano le sue mani bianche, paragonandole subito con le loro, del color di rame. Fu quello il primo gesto parlante, il primo scambio d'idee tra i naturali dell'isola e l'essere sovrumano sbarcato sulla loro spiaggia tranquilla. Il secondo gesto fu ancora il paragone. Contemplavano i fili d'oro che ornavano le guance e il mento dello straniero (immaginate, di fatti, che egli da più settimane non avesse pensato nè a radere nè a scorciare la barba) e dopo aver toccato quei fili d'oro, toccavano le loro facce che n'erano prive.
Cristoforo Colombo sostenne placidamente l'esame; sorridendo sempre, lasciò toccare la barba, i capegli, le mani, le ricche stoffe di cui era vestito, e gli elsi della spada che gli pendeva dal fianco. Cessarono finalmente di toccare, e, fatto un po' di cerchio intorno a lui, gli chiesero nella loro lingua qualche cosa, aiutandosi anch'essi col gesto. Intese che gli domandavano donde venisse. E rispose con le parole e col gesto che veniva dalla parte di levante. Ma essi non parvero aggiustargli fede; indicavano il cielo come patria di lui, e, additando le navi ancorate alla costa, imitavano con le braccia il batter delle ali, con cui egli sicuramente era calato tra loro. Sicuramente per ali avevano scambiate le vele.
Anch'essi erano molto osservati, non solo dall'almirante, ma da tutti gli uomini della spedizione, che a manipoli via via si erano avvicinati. Damiano, che era capitato dei primi, potè riconoscere che il [pg!70] suo amico e fratello Cosma non aveva traveduto. I naturali dell'isola erano poco, anzi punto vestiti; non potendo passare per abiti i segni di rosso, di nero e di giallo, onde avevano rigata e picchiettata la pelle di rame. Non tutti, per altro, erano così dipinti con l'ocra, sulle braccia e sul petto; ma tutti avevano segnata di rosso la punta del naso, e di rosso avevano cerchiate le occhiaie.
—Strano modo di farsi belli!—diceva Damiano.—E quella donna là, che mi pare abbastanza belloccia, gradirà così impiastricciato il naso del suo dolce marito? Ma già, paese che vai, usanza che trovi. E siccome egli si tingerà a quel modo per piacere a lei, è da credere che essa gliene serbi riconoscenza.—
Altra particolarità degna di nota erano i capelli di quei naturali; capelli di colore tra il fulvo e il nero, ma corti, non riccioluti, lisciati all'ingiù, fatti untuosi e lucenti con l'olio di qualche frutto del luogo. Se non fossero stati quei cerchi alle occhiaie, che in molti di loro guastavano, si sarebbe potuto dire che tutti avessero gli occhi assai belli ed espressivi. E avevano alta la fronte, regolari i lineamenti, ben proporzionate le membra, non alta la statura, ma neanche sotto il mediocre. A quella latitudine, che egli giustamente immaginava esser quella dell'Africa, e sotto il capo Bojador, Cristoforo Colombo pensava di trovare un tipo diverso, quello dei negri, per esempio; e non fu poca la sua maraviglia, vedendo una specie così nuova. Il lettore si riconduca col pensiero ai tempi del grande navigatore. Le carnagioni color di rame si vedevano allora per la primissima volta.
L'almirante aveva osservate le persone; osservò anche le armi di quel popolo nuovo. E potè farlo, perchè qualcheduno dei naturali era venuto armato [pg!71] alla spiaggia. Povere armi, in verità! archi con le corde di liana, e frecce di canna, con la punta di osso di pesce; lance, o, a dir più veramente, lunghi e sottili bastoni di legno, la cui punta era indurita al fuoco, oppure formata di una cuspide di selce, o d'un dente, o di un osso acuminato di squalo. Quella povertà d'armi offensive, il difetto di armi difensive, dicevano chiaramente la semplicità dei costumi e la mitezza d'indole dei pacifici abitanti dell'isola. Che vivessero allegri lo diceva abbastanza l'umor gaio di cui avevano fatto prova recente: che non avessero da stentare la vita, era dimostrato dalla ricchezza vegetale del terreno e dalla varietà, dalla abbondanza dei frutti: che godessero anche di un certo ozio quotidiano, si poteva riconoscere dal fatto che molti di essi erano venuti alla spiaggia tenendo sul pugno pappagalli addomesticati, brave bestie chiacchierine, le quali andavano ripetendo a perdifiato intiere frasi della lingua dei loro padroni; una lingua per cui messer Luigi De Torres, interpetre della spedizione, era venuto invano; così poco ella somigliava a quelle del ceppo Arameo, che dovevano essere il suo forte!
Il pasto era imbandito, e l'almirante ne offerse ai naturali, specie ai vecchi e ai bambini. Non si è detto ancora, ma facilmente s'indovina che tutti gli abitanti del villaggio stessero a godersi la novità della scena, seduti sulle calcagna, secondo il costume di tutti i selvaggi. Qualcheduno dei vecchi accettò, per atto evidentissimo di cortesia; qualcun altro per curiosità, non riuscendo per altro a maneggiare convenientemente cucchiai e forchette; ma subito smessero, o fosse perchè non volevano mostrarsi ghiottoni, o perchè non gradivano la cucina dei figli del cielo.
Ma quando, per una delle solite disgrazie di tavola, [pg!72] che addolorano profondamente ogni buona massaia, cadde ad un cuoco e si ruppe in molti pezzi un gran piatto di maiolica, tutti quegli spettatori del primo ordine, giovani e vecchi, si buttarono avanti, per dividersi la preda. Era lucente la vernice di quei cocci, e chi poteva abbrancarne uno si stimava felice.
La giornata passò in quel dolce riposo. I naturali volevano condurre i figli del cielo a visitare i loro modesti tugurî; e qualche visita, alle capanne più vicine, fu consentita dall'almirante, a cui premeva di conoscere come vivessero, quali fossero i loro utensili domestici, e sopra tutto a che grado fosse giunta la loro agricoltura. Del resto, egli aveva già capito che non c'era da aspettare grandi cose. I regni di Cipango, del Cattaio, del prete Janni, erano ancora molto distanti; quell'isola non era forse che il più lontano avamposto delle Indie sospirate e sognate.
Sull'ora del tramonto, fu risoluto il ritorno alle navi. I naturali stettero estatici sulla rena a vedere i loro ospiti che montavano nei palischermi; ed anche aiutarono con le loro braccia a spingere in mare quelle massiccie piroghe. Ma quando videro allontanarsi l'uomo dai capelli d'oro, il padre, il dio di tutti quegli esseri sovrumani che erano scesi a visitarli, gettarono altissime strida, si sciolsero in pianti e lamentazioni senza fine.
—Ritorneremo, buona gente, non piangete, ritorneremo domattina;—andava gridando Damiano.
E col gesto li esortava ad avere un po' di pazienza. Poi, additando il sole, che tramontava da una parte, lo indicava rinascente dall'altra. Alcuni lo capirono, perchè si messero a ridere, battendo allegramente le palme.
La mattina seguente, come aveva promesso Damiano, [pg!73] i figli del cielo dovevano ridiscendere a terra. Ma assai prima che i marinai pensassero a calumarsi nei palischermi, il lido echeggiava di grida festose; molti naturali nuotavano allegramente intorno alle navi; e le lunghe piroghe, scavate nei tronchi degli alberi, guizzavano agilmente da poppa e da prora, portando fino a cinquanta selvaggi. Erano lunghe e sottili, le piroghe di quegli isolani; ma la loro snellezza era tutta a danno dell'equilibrio. Spesso accadeva che per un'ondata più forte delle altre, o per un tracollo improvviso, andasse capovolta la barca. Ma non si spaventavano per così poco, i naturali dell'isola; dato quel tuffo, erano subito a galla, e con certe zucche lunghe, tagliate di sbieco e usate a mo' di gottazze, svuotavano prontamente le loro saettìe d'un sol pezzo.
Coloro che avevano assaggiata il giorno innanzi la sbroscia dei marinai e provato il dente nel loro biscotto, portavano in iscambio le loro provvigioni di frutta e di pane. Avevano infatti una specie di pane, detto cassava, tratto dalle radici di una jucca, coltivata a bella posta nei campi, come da noi il frumento. La radice era fatta in minutissimi pezzi, tritata e ridotta in focacce, che disseccavano al sole; e poi, quando volevano mangiarne, la mettevano in molle. Quell'alimento era insipido parecchio, ma sano e nutritivo.
Non mancavano altri donativi: il cotone, ad esempio, di cui davano fino a venticinque libbre in cambio d'un pugno di perline di vetro. Alcuni, poi, avevano le nari bucate, e a quel forellino portavano appeso un pezzetto d'oro nativo. Barattavano volentieri quell'ornamento con un sonagliuzzo di bronzo. Ma di quei baratti si fece subito arbitro l'almirante, perchè l'oro doveva appartenere alla corona di Castiglia, e non dovevano farne incetta i marinai. Egli [pg!74] domandava ai naturali donde provenisse quell'oro; ed essi accennavano ad un luogo lontano sul mare, dalla parte di ponente, e frattanto rispondevano: Cibào.
Cibào! Non forse Cipango? E il pensiero di Cristoforo Colombo naturalmente correva alle ricchezze di quell'isola, che Marco Polo aveva descritta con sì vivi colori. Ed egli seguitava a segnare laggiù da ponente, dopo aver mostrato ad essi quell'oro; e proferiva il nome di Cipango; ma sempre i naturali seguitavano a rispondere Cibào. Cibào era dunque una corruzione di Cipango; facile corruzione, ad una distanza di due secoli. Cibào, dunque, laggiù. E l'isola in cui vivevano? Guanahani, rispondevano essi, Guanahani. Che cosa volesse poi dire Guanahani, era difficile sapere, essendo difficile il domandarlo. Ma questo importava assai meno. L'isola, visitata alla svelta, non aveva tracce di metalli preziosi. I suoi abitanti, poveri e semplici, vivevano di agricoltura e di pesca; poche ed infrequenti erano le loro relazioni coi naturali delle isole vicine, talune delle quali si scorgevano distintamente sull'orizzonte, a destra e a manca di Guanahani.
La giornata del 13 era trascorsa in queste visite, in questi scambi, in questi discorsi. La mattina del 14, l'almirante partì coi palischermi, per fare il giro dell'isola, tutta sparsa di lieta verzura, con qualche poco di terra coltivata, e capanne qua e là, presso le rive. La voce dell'arrivo degli ospiti celesti a Guanahani era corsa tutta intorno, anche nelle isolette vicine; e da ogni lido, al passaggio dei palischermi, erano frotte di naturali che innalzavano grida di festa e d'invito. Molti si gittavano a nuoto; erano tirati a bordo, regalati di perline di vetro, e rimandati contenti.
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Ma niente era che trattenesse più oltre il signor almirante nelle acque di Guanahani. Gli si offrivano allo sguardo molte isole verdeggianti, che tutte parevano invitarlo. Scelse a occhio la più grande, che sembrava cinque leghe distante, e a quella drizzò il corso della sua squadra, nella mattina del 15; ma non potè, a cagione delle correnti contrarie, approdarvi che al tramonto del sole. Aveva intitolata la prima isola al Santo Salvatore; intitolò la seconda a Santa Maria della Concezione. V'ebbe, nella mattina del 16, le stesse accoglienze di Guanahani; ci ritrovò gli stessi costumi, la stessa nudità, la stessa età dell'oro in azione, ma senza alcuna abbondanza di quel prezioso metallo. A Guanahani aveva preso sette naturali, che gli erano parsi di più svegliato ingegno, e più pronti a formarsi un vocabolario spagnuolo per i primi usi della conversazione. E i sette naturali erano andati contenti fino all'isola vicina. Quando videro che l'almirante non voleva trattenercisi, ma salpava nello stesso giorno per andare più oltre, verso ponente, donde appariva un'altra isola più ragguardevole, incominciarono a dolersi, come tanti Melibei, di dover lasciare «il confin della patria e i dolci campi». Uno di essi, che era imbarcato sulla Nina, non stette lungamente a piangere; si tuffò in mare e a nuoto raggiunse una piroga di suoi connaturali, che passava da quelle parti.
Fu l'unico episodio spiacevole di quei primi giorni vissuti tra le isole. Alla terza di queste Cristoforo Colombo impose il nome di Fernandina, in onore del re di Castiglia, disegnando in cuor suo di chiamare la quarta col nome della sua regal protettrice, Isabella.
Gli abitanti dell'isola Fernandina somigliavano in tutto a quelli delle prime due isole; ma parevano [pg!76] più ingegnosi e più scaltri. Alcune tra le donne avevano dei piccoli grembiali di cotone; alcune altre giungevano al lusso d'una specie di mantello. Le abitazioni, costrutte di rami, di canne, di foglie di palmizio, avevano forma di padiglioni; grande pulizia e decenza ci regnava per entro; i letti erano stoie di cotone, sospese, chiamate dai naturali col nome di hamac. E il nome e la cosa dovevano incontrar favore in Europa.
Nella quarta isola, che fu chiamata Isabella, Cristoforo Colombo trovò bei laghi d'acqua dolce, e frutti svariatissimi, e sciami di pappagalli «che oscuravano il sole»; molte lucertole, dei cani che non abbaiavano, niente spezierie, niente oro, ma molti indizi di una grande isola verso mezzogiorno, che i naturali dicevano ricca di ogni ben di Dio. S'intende che i naturali parlavano agli interpetri, e questi riferivano, servendosi di quel numero ancora troppo ristretto di parole castigliane, delle quali avevano inteso, e fors'anche frainteso il vero significato.
Una grande isola! e ricca! Era dunque Cipango? Bisognava lasciare al più presto quell'arcipelago di isolette, così belle, ma povere, e andare alla scoperta della terra maravigliosa. Venti contrarii, bonacce, piogge frequenti, impedirono per molti giorni la partenza, o ritardarono il corso. Finalmente la squadra salpò alla mezzanotte sopra il 24 di ottobre, e costeggiate alcune isolette a cui l'almirante impose il nome di Islas de Arena, giunse la mattina del 28 all'approdo di una grande isola, le cui alte montagne gli ricordarono quelle a lui note della Sicilia. Posto piede a terra, ne prese possesso nelle forme consuete, imponendo a quell'isola il nome di Giovanna, in onore del principe Giovanni, il piccolo Infante di Castiglia.
Era destino che tutti quei nomi dovessero perire. [pg!77] San Salvatore diventò l'isola del Gatto; Fernandina, l'Esuma; Isabella, l'Esumeta; le isole de Arena, Mucaras; Giovanna riprese il nome che aveva dai suoi naturali, il nome di Cuba.
Un fiumicello metteva pure nel golfo a cui approdava Cristoforo Colombo. Quel fiumicello prese e ritenne il nome di San Salvatore. Entrandovi col palischermo, per iscandagliarne la profondità, gli Spagnuoli posero in fuga due piroghe, le quali si erano poc'anzi staccate dalla riva. Ed anche posero in fuga gli abitanti della costa, nelle cui capanne non erano che stoie, tessute di filamenti di palma, uncini, fiocine d'osso, ed altri arnesi da pesca. Si incominciava male, per ritrovare i tesori di Cipango. Rimontato in nave, l'almirante si accinse a scorrer la costa verso ponente, e in quella esplorazione scese parecchie volte a terra, visitando villaggi, donde gli abitanti costantemente fuggivano ai boschi. Le case erano meglio fabbricate, la pulitezza notevole; non mancavano indizi d'una civiltà più inoltrata; ad esempio, certe statue d'idoli, rozzamente intagliati, ma con certa vivezza di espressione, nel legno.
Sicuramente, le maraviglie descritte da Marco Polo non avrebbero indugiato a mostrarsi. E questa non era solamente la speranza di Cristoforo Colombo, ma anche quella di Martino Alonzo Pinzon. Tre naturali di Guanahani, imbarcati sulla Pinta, dicevano che dietro ad un promontorio, poc'anzi denominato delle Palme, era un grosso fiume, rimontando il quale, si poteva andare in quattro giorni a Cubanacan!
—Cubanacan!—ripeteva Martino Alonzo.—Cubanacan! Non è corruzione, questa, del regno di Kublai-kan? Siamo sull'orma, signor almirante, siamo sull'orma.
—Vediamo di non far confusioni;—rispondeva [pg!78] l'almirante.—Se questa è l'isola di Cipango, come potrebb'essere il regno di Kublai-kan, che Marco Polo ha collocato in terraferma? Notate, Martino Alonzo, che questa è un'isola; ce l'hanno annunziata per tale gl'interpetri, indicandola a noi, verso mezzogiorno, quando eravamo all'áncora nelle acque dell'Isabella.
—Avremo capito male,—replicava Martino Alonzo Pinzon.—Per intanto, i miei tre selvaggi dicono che questa non è un'isola. E la chiamano Cuba, e dicono che Cubanacan si ritrova a quattro giornate dentro terra; soggiungono che c'è oro in abbondanza; che cosa si vuole di più?
—La scoperta del gran fiume, donde si avrebbero a prender le mosse;—rispose placidamente Cristoforo Colombo.—Cerchiamo dunque il gran fiume.—
Ma girato il capo delle Palme, non si trovò punto il gran fiume. Altri promontorii furono veduti e girati via via; ma senza ritrovare, non che il gran fiume, un sorgitore in cui gettar l'áncora. Il vento soffiava al traverso; l'infoscarsi del cielo faceva prevedere un grosso temporale. L'almirante pensò giustamente che fosse atto di prudenza ritornare indietro, per ormeggiarsi alla foce di un altro fiume, già veduto tre giorni prima; al quale, per l'ampiezza della sua foce, aveva imposto il nome di Rio de los mares.
Così erano giunti all'ultimo giorno di ottobre. La mattina seguente, al primo spuntar del sole, l'almirante mandò i palischermi alla riva, perchè un drappello dei suoi marinai visitasse un villaggio, le cui capanne si vedevano biancheggiare tra gli alberi. Andarono i marinai e scesero a terra; ma al loro apparire, gli abitanti spaventati presero la via dei boschi, nè ci fu verso, con parole o con segni, di farli ritornare alla spiaggia.
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