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La grande occasione di Jack Rubino di Andrea Raguzzino

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“Mi sono fatto fregare un’altra volta, dannazione” pensò Jack, mentre si lavava le mani dopo aver pisciato. Alzò gli occhi e quel che vide nello specchio non gli piacque per niente: i capelli, precocemente brizzolati, erano unti e spettinati, le rughe intorno agli occhi troppo profonde e la barba, ispida ed incolta, era sciatta e non emanava nessun fascino. L'istinto gli suggeriva, come sempre, di lasciar perdere, ma una specie di orgoglio canagliesco finì per prendere il sopravvento. Mentre il volto riflesso si apriva in un sorriso stentato che non toccò gli occhi, mormorò “o forse, questa volta no”.

Quattro giorni prima.

Jack Rubino non era un idiota, ma nemmeno incredibilmente scaltro, e senza dubbio era straordinariamente pigro; tanto pigro dal finire per sprecare immancabilmente ogni occasione che gli si fosse presentata. Troppo poco motivato per finire il college, non era entrato all’Accademia di Polizia solo perché la mattina del colloquio di ammissione aveva dimenticato di fissare la sveglia e si era quindi alzato dal letto irrimediabilmente in ritardo.

Jack, però, desiderava davvero fare lo sbirro; per questo, in attesa di un'altra occasione e per sbarcare il lunario, alla soglia dei trentacinque era finito a lavorare come assistente di Pietro “Peter” Camaleone, un investigatore privato italoamericano di mezza età abbastanza noto in certi ambienti. Camaleone, il cui padre era compaesano della nonna di Jack, lo impiegava per seguire e fotografare i mariti fedifraghi e, in mancanza di mogli cornute, per rispondere al telefono mentre lui era impegnato in indagini ben più significative.

In quell'ufficio di Hell's Kitchen Jack era occupato a non far nulla, se non piangersi addosso, pensando a quanto fosse triste la sua vita da annusapatte, quando la sua autocommiserazione venne interrotta dallo stramaledetto campanello.

Andò ad aprire la porta, sperando di trovarsi davanti un bel tocco di figliola, come apparentemente succedeva sempre al buon vecchio Sam Spade.

In effetti, fuori dalla porta dell'ufficio stazionava un donnone da far girare la testa, dall’altra parte però. Anche questa volta gli era andata male. Guardò meglio colei che aspirava ad essere la nuova cliente di Camaleone: era alta poco più di un metro e mezzo, ma in compenso pesava, valutata ad occhio, poco più di un quintale. Capelli: colore indefinibile. Abito: circense.

La invitò ad entrare nel bilocale male arredato e peggio arieggiato che Camaleone definiva pomposamente “il mio ufficio”. La donna irruppe con la forza di un ciclone, abbattendo una sedia ed abbattendosi su un’altra. Jack fu praticamente costretto a sedersi sulla vecchia poltrona dall’altra parte della scrivania, e ad ascoltare la storia che quella signora aveva tanta premura di raccontare.

«Ho una figlia» esordì tra le lacrime, «si chiama Terry».

Interrompere maleducatamente le signore in lacrime era una delle attività preferite di Jack; un’attitudine che certo non gli faceva gioco nella vita.

«Si calmi, signora» disse quindi «e mi dica per prima cosa il suo nome.»

Si pentì immediatamente della sua ostentata maleducazione. La donna lo guardò per un attimo stupita, come se non le succedesse di essere interrotta da almeno trent’anni, e poi assunse un’espressione che fu capace di spaventarlo quasi più della sua faccia.

«Signorina, se non le dispiace» disse con una voce che avrebbe fatto bagnare i calzoni all’orco delle favole, «signorina Krista Ramone. Ed ora, veda di lasciarmi continuare» – e non azzardarti mai più ad interrompermi, o te ne pentirai – dicevano i suoi occhi, da cui non uscivano più lacrime.

Raccontò che la figlia, la sua unica figlia, nata dal peccato e da un mascalzone che aveva lasciato la Ramone gravida e ancora signorina, adesso lavorava in una discoteca sette metri sotto terra ed era caduta nella stessa trappola della madre. Cioè, si era fatta infinocchiare da un tale che, promettendole il mondo e mirando al portafogli della vecchia, l’aveva convinta a fuggire con lui in Italia.

«Ora, io sono disposta ad accettare qualunque decisione mia figlia prenda per quel che riguarda la sua vita; d’altronde, ormai ha quasi venticinque anni. Ma non potrei mai e poi mai sopportare che le succedesse la stessa cosa che è successa a me. Terry, la mia bambina, è ancora fragile, ingenua... non voglio che soffra. E non voglio che resti sola per tutta la vita.» Si interruppe.

Jack questa volta attese qualche secondo, per essere sicuro che avesse finito. Poi disse «Capisco perfettamente la situazione, signora…» fu raggiunto da un’occhiata assassina e si corresse subito «pardon, signorina Ramone, e comprendo la sua preoccupazione, ma perché viene a raccontare queste cose a me? Cosa crede che io possa fare per aiutarla?»

«In giro si dice che lei sia il migliore» rispose con tono quasi meravigliato. «Me la ritrovi, me la riporti. Poi mi occuperò io di far cambiare idea a mia figlia.»

Su questo non ho alcun dubbio fu sul punto di dire Jack, ma di nuovo decise saggiamente di riflettere prima di parlare. Era evidente che la Ramone l'avesse preso per Camaleone; ed era altrettanto evidente che, se avesse accettato l'incarico, il suo capo avrebbe affidato a lui il compito di trovare la ragazzina. Jack aspirava a ben altre indagini, non aveva nessuna intenzione di passare i giorni seguenti a caccia di fanciulle smarrite; decise quindi di non chiarire l'equivoco e di fare un favore a sé stesso ed al suo capo rigettando la richiesta della Ramone.

«Per questo, signorina» le disse con sussiego, «deve rivolgersi all’ufficio persone scomparse. Io mi occupo di questioni un poco più serie». Tentò di apparire sicuro di sé, ma il tono non era quello giusto. Lei lo guardò storto.

«Sa cosa?» gli disse scettica. «Pensavo fosse più anziano. E più saggio. La invito a pensarci bene, prima di rifiutare la mia offerta.»

Ma insomma, che vuole questa? rimuginò Jack. Era così che si rivolgeva al grande Peter Camaleone, nel suo ufficio per giunta? A parte che nessuno aveva il diritto di dirgli cosa dovesse o non dovesse fare; nessuno tranne il vero Camaleone, ovviamente. Eppure, per quanto terribile, il suo capo non gli faceva paura quanto la Ramone. Per quanto fosse dura da ammettere, Jack era per qualche motivo terrorizzato da quella donna, e lei sembrava saperlo benissimo. Sicuramente non era il primo ad essere terrorizzato da lei.

«Lei farà questo lavoro per me. Lo farà perché non è uno stupido ed avrà capito bene che sono intenzionata a pagare qualunque cifra.» Infilò la mano nella borsa di Gucci e ne estrasse una busta di carta giallognola. «Questo è un piccolo anticipo sulle spese. L’aereo per Milano parte domani alle dieci del mattino, questo è il suo biglietto; il ritorno è aperto.» Poggiò la busta su un tavolino con tutto il peso del braccio, producendo un tonfo sordo che fece saltare Jack. Oltre al biglietto aereo, c’erano ventimila dollari in contanti.

«So che Terry è a Venezia. A quanto pare l'idiota cui si accompagna è un appassionato di motoscafi e casinò. A Venezia alloggerà in una suite che le ho prenotato al Gritti Palace. Quando avrà trovato mia figlia, mi dovrà chiamare immediatamente. Quando mi avrà riportato Terry riceverà centomila dollari come compenso per il lavoro. Dopodiché, ci saluteremo e fingeremo di non esserci mai visti. Domande?”

Jack non riusciva neanche a pensare, figuriamoci a parlare. «Bene, allora siamo d’accordo» sentenziò la Ramone. Senza aggiungere altro, si alzò ed uscì dall’ufficio, non prima di aver abbattuto la sedia su cui era seduta e l’appendiabiti all’entrata.

Pur se in uno stato di remissione totale, Jack cercò di valutare la situazione. Si trattava di un lavoro semplice, ben pagato e che gli avrebbe consentito di spassarsela a Venezia con i soldi della grassona. Oltre a questo, una foto di Terry, la ragazza in fuga, gli tolse ogni residuo dubbio. Non riusciva ad immaginare come fosse la Ramone da giovane, ma la figlia era davvero una gnocca senza mezzi termini: bionda, procace, sfacciata. Sarebbe stato un vero piacere cercarla e passare qualche giorno con lei nel Bel Paese. Si compiacque pensando a quanto Camaleone sarebbe stato fiero di lui per aver assunto questo ottimo incarico. L'entusiasmo però gli calò rapidamente quando si rese conto che non era affatto sicuro che il capo avrebbe mandato lui a cercare la ragazza; in fondo, una vacanza pagata in Europa avrebbe fatto gola anche allo stesso Camaleone, il quale avrebbe potuto essere irresistibilmente attratto dal richiamo delle sue radici mediterranee. Senza contare che il vecchio si sarebbe tenuto per sé il ricco compenso, lasciando Jack a marcire a New York per quei due spiccioli che gli dava ogni settimana.

Fu un attimo e Jack decise: non avrebbe detto niente a Camaleone, avrebbe cambiato il biglietto aereo e avrebbe portato a termine lui l'incarico, alla faccia del capo; la grassona non avrebbe avuto nulla da ridire, una volta riavuta la figlia. Sarebbe stato licenziato, e allora? Con i soldi della ricompensa, avrebbe potuto finalmente mettersi in proprio.

Come previsto, Jack partì il giorno successivo, dopo essersi rifatto il guardaroba con parte dell'anticipo ricevuto dalla grassona. Per gli spostamenti Jack aveva deciso di ispirarsi allo stile del suo capo: volo in classe Vip (passato in gran parte in dormiveglia per gli effetti del Lexotan, suo vecchio amico) da New York a Milano. Lussuosa limousine con tanto di autista che lo portò a Venezia a Piazzale Roma. Per arrivare al Gritti Palace, ovviamente, una lancia open deck il cui pilota aveva un abito dal taglio elegante che doveva costare una cifra. Prese possesso della suite riservata a nome “Pietro Camaelone”: oltre 80 metri quadrati con servizi extralusso ed un bel terrazzo con vista sul Canal Grande. Si rinfrescò la gola a base di champagne, indossò il suo nuovissimo tuxedo e si fece portare al casinò, onorando una sua vecchia convinzione: prima il piacere e dopo il dovere.

La sede storica del Casinò di Venezia, la più antica casa da gioco del mondo, si trovava in Ca' Vendramin Calergi, uno splendido edificio rinascimentale affacciato sul Canal Grande, residenza dei dogi e ultima dimora di Richard Wagner. Jack non sapeva nulla di tutto ciò, ma arrivando alla casa da gioco a bordo del motoscafo dell'albergo, si rese conto di trovarsi al cospetto di qualcosa di diverso rispetto ai pacchiani casinò di Atlantic City che gli era capitato di frequentare; la cosa non lo impressionò per nulla. Entrando, si vide riflesso in uno dei grandi specchi all'ingresso del casinò: per una volta gli sembrò di essere perfetto, un po’ Bogart ed un po’ James Bond. Si sedette al tavolo del chemin de fer, e vinse rapidamente quasi dieci milioni di lire, che poi andò a sperperare al tavolo della roulette. Perdendo perdendo, attaccò bottone con un italiano che, a quanto diceva, aveva passato seduto a quel tavolo ben più della metà della sua vita da adulto.

«Lei è americano, di New York, vero?» chiese il tipo ad un certo punto.

«Io sono un figlio di ogni luogo, caro mio. Non ho una vera patria» rispose Jack tronfio, sentendosi un vero uomo di mondo.

A quel punto, fu colto da una specie di epifania: si rese conto di trovarsi di fronte ad un momento che attendeva da tutta la vita. Porse la mano all'italiano, lo guardò negli occhi con sguardo da duro e disse: «Mi chiamo Rubino. Jack Rubino.»

L’italiano non rimase affatto impressionato da quella pessima imitazione, gli prese la mano con grande cordialità e, con l'aria di non aver colto la citazione, si presentò: «che piacere, carissimo! Io mi chiamo Emidio Speranza, e sono un giornalista. Lei di cosa si occupa di bello?»

Jack, un po' deluso per la cattiva riuscita del suo momento di gloria, rispose con sufficienza: «un po' di questo, un po' di quello. Piuttosto mi dica: perché pensa che sia di New York?»

«È per il suo accento», rispose. «Io ho un certo orecchio per gli accenti stranieri. Oltretutto, un paio di sere fa ho conosciuto un tipo che perdeva forte quanto lei, e, curiosamente, sembrava tranquillo, come se i soldi non fossero i suoi. Aveva lo stesso accento che ha lei e mi ha detto di essere di New York.»

A quel punto, quel che Jack spacciava per il suo “istinto da segugio” si attivò: doveva trattarsi del tizio che stava fregando Terry.

«Davvero?» chiese, facendo trasparire un moderato interesse. «Mi piacerebbe incontrarlo. Deve essere una persona simpatica, magari qualcuno con cui si può organizzare un poker serio, tra amici. Crede sia ancora a Venezia?»

«Oggi sicuramente no» rispose Speranza, curiosamente felice di rendersi utile. «Mi ha detto che sarebbe stato via qualche giorno, perché doveva raggiungere la sua fidanzata che era a Parigi a fare shopping. Ma mi ha assicurato che, prima di tornare in America, sarebbe ripassato da qui per fare un altro paio di puntate. Credo che tra un paio di giorni lo rivedremo ai tavoli. Lei si tratterrà ancora a lungo in laguna?»

«Non so se potrò» rispose Jack ostentando indifferenza «ma mi piacerebbe restare almeno fino alla fine della settimana.»

La conversazione si spostò su argomenti di amena quotidianità finché, verso le tre, finiti i soldi l'investigatore tornò in albergo. La Ramone aveva già chiamato nove volte, dalle sette di sera in poi, cercando di parlargli. Jack le inviò subito un fax, scusandosi per non averla chiamata per il primo rapporto giornaliero e pregandola di inviare subito altri diecimila dollari. Ventimila, anche. L’indagine sarebbe durata più a lungo del previsto, si giustificò.

Il mattino dopo, uscendo dall’albergo, Jack fu fermato dal concierge, che gli consegnò un messaggio. La Ramone aveva aperto un conto a suo nome in una agenzia veneziana del Monte dei Paschi di Siena; il concierge gli consegnò la relativa carta di credito.

I due giorni che seguirono furono uno spasso assoluto; li trascorse sentendosi un gran signore, spendendo cifre eccessive alla faccia della grassona, di quella serpe di Peter Camaleone nonché di una certa biondastra che, chissà perché, tanto lo faceva penare a casa.

Ma, come purtroppo si sa bene, le cose belle finiscono sempre troppo presto. La quarta notte di permanenza a Venezia, mentre perdeva a tutto spiano al tavolo della roulette, Jack fu avvicinato dal suo amico Speranza il quale, dopo avergli scartavetrato i cosiddetti per una buona mezz’ora parlandogli di alcuni scandali avvenuti nel suo Paese, gli indicò un tipo, dicendo «guardi, è tornato da Parigi il suo concittadino.»

Jack dissimulò il suo interesse dicendo che per quella sera non aveva nessuna voglia di incontrarlo e, per essere più credibile, pregò l'italiano di parlargli un altro po’ di come fossero cattivi i magistrati italiani. Da bravo investigatore, però, non perse mai di vista il suo obiettivo: notò subito una moretta procace che si avvicinava al ragazzo con passo deciso; la moretta non perse tempo a parlare: mollò due sganassoni all'americano, gli versò in testa mezza bottiglia di champagne e se ne uscì dal casinò, rischiando di rovesciare almeno un paio di tavoli. Jack riconobbe subito lo stile della donna; pur non avendola vista bene in volto, da come si era comportata, e soprattutto dal fatto che il tipo non avesse accennato neanche un minimo di reazione, dedusse che con ogni probabilità quella era Terry. Salutò quindi prontamente il suo amico e si mise alle calcagna della sua preda che, per ironia della sorte, o forse perché era una capace di spendere bene i suoi soldi, alloggiava nel suo stesso albergo, in una suite a poche porte dalla sua. Jack decise che l’approccio migliore sarebbe stato quello diretto e quindi andò diritto alla sua porta.

Bussò, ed una voce vellutata rispose chiedendo chi fosse.

«La direzione dell’albergo le offre una bottiglia di champagne, madame»

«Non voglio niente, se ne vada» disse lei.

Jack finse di allontanarsi, ed aprì la porta con un passe-partout che aveva sottratto ad un cameriere donandogli in cambio un bel sonnellino nel ripostiglio delle scope. Entrò nella suite e si diresse verso la camera da letto, quando fu improvvisamente aggredito alle spalle. Per sua fortuna, Jack era abituato a ben altri avversari e gli fu quindi facile mettere fuori combattimento quella ragazzina; dal canto suo, lei riuscì a stupirlo ancora una volta quando, invece di urlare, gli disse «certo che sei proprio scemo. In Italia nessuno ti regala una bottiglia di champagne senza motivo.»

Era proprio Terry. Aveva tinto i capelli di nero, ma era lei. Il carattere lo aveva certamente preso dalla madre, ma da chi avesse preso il corpo, Jack non avrebbe saputo dire.

Ma come si permetteva questa ragazzina, per quanto bella e ricca, di dargli impunemente dello scemo? Non sapeva con chi aveva a che fare? Jack certamente non lo sapeva.

«Sei qui per violentarmi? O sei un segugio al soldo della mia mammina?» Non era affatto stupida, la puledra.

«Sono un occhio privato, ed ora chiamerò tua madre per dirle di venirti a prendere. Certo, mentre arriva, potrei accettare la tua gentile offerta carnale.» Jack cercò rozzamente di farle un po’ di paura, ma si rivelò un’impresa vana. Pensò alle parole della Ramone: «Mia figlia è fragile». Nah.

«Che bello» disse lei con un sorriso malizioso «cominciamo subito?»

«Ed ingenua, anche...» pensò Jack, ma non aprì bocca. Ormai era entrato nella parte del grande investigatore, un duro di quelli veri. Se non altro pensava di avere una forte consapevolezza di cosa fosse “bene” e cosa fosse “male”, capace di distinguere cosa fosse il piacere dal dovere e di tenere ben separate le due cose. Era inoltre perfettamente consapevole del fatto che portarsi a letto Terry avrebbe terribilmente contrariato la signorina Ramone. Gli apparve il suo angioletto custode: «non vorrai mica far arrabbiare la grassona, vero?» gli sussurrò all'orecchio, «sai che poi te ne pentirai», ma la consapevolezza di fare qualcosa di cui si sarebbe pentito non aveva mai fermato Jack, e non lo fermò neanche quella volta.

Ne valse la pena: quella sì che fu una notte da ricordare. Si vedeva che la ragazzina aveva sfruttato in modo molto proficuo i suoi quasi venticinque anni. Jack si divertì alla grande, come non gli capitava da anni. Ma come sempre gli succedeva con le ragazze troppo esperte, soprattutto se troppo facili, si stancò presto. Fu quindi contento quando, svegliandosi in piena notte, si ritrovò solo nel letto; si alzò per svuotare la vescica ma, entrando in bagno, sentì arrivare un sussurro irritato dal salotto. Si avvicinò cautamente alla porta socchiusa che divideva le due stanze della suite ed si mise ad origliare mentre Terry parlava al telefono con voce bassa e tesa.

«Ti ho detto che è tutto sotto controllo» sibilò la ragazza al telefono. «La mia vecchia ha mandato un idiota a cercarmi, uno così imbecille da credere che mammina voglia ritrovarmi per proteggermi da te! Non sa nulla della collana!» «Collana?» pensò Jack perplesso.

Terry riprese a parlare, questa volta con tono canzonatorio. «Certo che ci sono stata a letto, e allora? Che sei geloso? Beh, non hai nessun diritto di esserlo. E comunque, l'ho fatto per liberarmi della vecchia. Questo idiota è praticamente già innamorato, mi è bastato scoparlo una volta e già farebbe qualsiasi cosa per compiacermi. So già cosa fare, non temere; lo incastrerò, ed in un paio di giorni saremo liberi e ricchi. Ci vediamo dopodomani a Milano, vendiamo la collana, prendiamo i tre milioni e ce la filiamo. Sì, l'indirizzo è nella scatola, non posso sbagliare. Ora fammi andare, prima che l’idiota si svegli e mi trovi fuori dal letto. A dopodomani.»

Jack si affrettò ad infilarsi nel bagno prima che Terry potesse vederlo. Sconfortato, fece quel che doveva fare; lavandosi le mani, ebbe un'idea, e lo sconforto si trasformò in una strana determinazione, cui non era abituato; questa volta non si sarebbe fatto fregare.

Tornato a letto, fu contento di constatare che Terry dormiva, evidentemente fingendo. Jack fece lo stesso, lasciandosi così il tempo di elaborare un piano che, gli sembrava, avrebbe funzionato.

Prima dell'alba, chiamò la Ramone, annunciandole il successo dell’indagine, e pregandola di andarsi a prendere subito la figlia. Lei era raggiante. «Dio, quanto non la conosci» pensò Jack. La Ramone gli disse di affittare una macchina e di andarla a prendere in un piccolo aeroporto privato alle nove di sera di quello stesso giorno. Mentre posava il ricevitore, Terry si svegliò.

«Sei stato fantastico, detective» miagolò, mentre si stiracchiava. «Ho chiamato tua madre» rispose Jack con freddezza. «Arriva stasera. Io devo portarti da lei.» La ragazza lo aggredì con le unghie, come se volesse cavargli gli occhi, urlando come una pazza. Jack le bloccò i polsi e, senza tante cerimonie, la spinse via un paio di volte, fino a scaraventarla sul letto e farla piangere, per poi dirle con voce dura «senti, stronzetta, stanotte mi hai fatto impazzire, ma adesso basta. Il lavoro viene prima di tutto, e non rinuncerò certo a centomila Euro per il tuo bel culo.» «Centomila Euro?», disse lei tra le lacrime «è questo che ti da mia madre?» Si asciugò il naso con il dorso della mano, poi lo trafisse con lo sguardo.

«Allora sei scemo sul serio, cocco. Pensi davvero che mia madre ti abbia mandato a cercarmi per amore? Perché vuole proteggermi da una scelta sbagliata? Sei davvero un ingenuo.»

Jack era stufo di sentirsi dare dell’imbecille da quella ragazzina viziata che stava tramando di incastrarlo, era arrivato al punto di volerle dare un paio di ceffoni ma decise di stare al gioco.

«Ah, sì? E perché mai mi avrebbe mandato a cercarti, allora?»

Terry abbassò gli occhi. Non certo per vergogna, ma perché era un’attrice determinata.

«Perché le ho preso una cosa che lei rivuole a tutti i costi. Una cosa che vale molti, moltissimi soldi, almeno cinquecentomila dollari. Ma per lei vale molto di più: è l'ultimo regalo che le ha fatto mio padre prima di morire. Farebbe qualsiasi cosa per riaverla. E una volta che l'avrà riavuta, la mia punizione per averla presa sarà tremenda.»

Jack sapeva bene che la Ramone era terrificante, ma i conti non tornavano. «Vuoi farmi credere che ti ucciderebbe per una cosa del genere? Se comunque sua figlia, o no?»

«Tu non conosci mia madre. Se mi avrà tra le sua mani, la morte non sarà una punizione, ma un sollievo» disse, scoppiando a piangere di nuovo.

Jack era impressionato dalla capacità di mentire della ragazza; doveva ammettere, anche se solo con se stesso, che se non avesse sentito con le sue orecchie la telefonata di poche ore prima, le avrebbe creduto senza esitazioni. Ma aveva sentito tutto, ed ora aveva la mano vincente, era arrivato il momento di vedere le carte dell’avversario.

«Ok.» disse «Quindi la mammina è molto, molto cattiva. Cosa dovrei farci, io?»

«Aiutami ad ucciderla» disse la ragazza, con un un lampo negli occhi «tu ti tieni la collana, io mi becco l'eredità. Poi, finché ti va, andremo a spassarcela insieme in un posto lontano, dove nessuno potrà trovarci.»

Ogni traccia di ammirazione per le doti attoriali di Terry svanì, lasciando Jack agghiacciato dalla freddezza della ragazza. Questa volta non stava recitando. Lui non brillava certamente per la sua lealtà o per il suo senso dell'onore. L'idea di tradire un cliente non gli faceva né caldo né freddo: inoltre, non solo la Ramone era una pazza potenzialmente omicida ma il solo fatto di aver cresciuto un mostro del genere la rendeva, ai suoi occhi, meritevole di essere uccisa dalla sua stessa prole.

«E come pensi di fare?» le chiese, non più per testare la ragazza ma perché a questo punto non aveva più idea di come procedere. Era un incapace, forse, ma non un assassino. E Terry, evidentemente, aveva già elaborato un piano.

«Stasera, quando incontreremo mia madre, le dirai che ti ho parlato della collana e che te l’ho data, per convincerti a lasciarmi andare. Le dirai che sei un professionista serio, che hai preferito rispettare il contratto con lei e che la collana è in cassaforte qui nella suite. Mia madre viaggia sempre in incognito, ha paura di essere seguita; vedrai che quando saremo qui a Venezia, sarà presa dalla sua solita paranoia e non vorrà farsi vedere da nessuno in albergo. Preferirà starsene in un angolo buio ad aspettare. Tu entrerai al Gritti con la scusa di andare a prendere la collana, lasciandoci sole. A farla fuori penso io.» Tanto cinismo in una che era poco più di una ragazzina lo sconvolse. Allo stesso tempo gli piacque da morire. Il contrasto di emozioni lo stava sopraffacendo. Non dovette pensarci su a lungo, non più di tre secondi, prima di dirsi d’accordo. Accordo che fu sancito con un’altra seduta di analisi sull'esempio di quella notturna appena passata. Quando ci si diverte sul serio, il tempo passa in fretta, e Jack fu costretto ad interrompere i giochi fin troppo presto. Chiamò la reception dell’albergo e fece prenotare un motoscafo per farsi portare a Piazzale Roma, e che all’arrivo ci fosse la solita limousine ad attenderlo.

Nella hall del Gritti, il concierge era intento a parlare con un gruppetto di addetti alle pulizie: si mormorava della sparizione inspiegabile di uno dei camerieri, un dipendete di assoluta fiducia.

Jack e Terry uscirono senza dare troppo nell’occhio. Raggiunsero la meta giusto in tempo per vedere la Ramone che, come un fiume in piena, scendeva dal suo jet privato. Le andarono incontro e, tra gli sguardi stupefatti e divertiti di alcuni degli addetti alla pista, avvenne l’incontro tra la grassona e la sua adorata figlia. Piangevano entrambe, tanto che persino Jack fu quasi commosso da tanta ipocrisia.

Terry si esibì in una performance da premio Oscar; tra lacrime di pentimento, chiese perdono alla madre, confessò di aver rubato la collana e si disse pentita per tutto ciò che aveva fatto. Krista, che evidentemente conosceva bene la figlia, chiese conferma a Jack, che subito le propinò la storia concordata: le spiegò che la figlia non era affatto pentita, che aveva tentato di corromperlo ma che lui, non avendo abboccato, aveva messo la collana al sicuro nella cassaforte della suite. La grassona fu presa da frenesia, e pretese di andare subito a Venezia per recuperare il suo tesoro. Senza perdere tempo partirono alla volta del Gritti Palace, dove arrivarono in città a mezzanotte; Venezia era buia, afflitta dai miasmi della laguna. Come previsto, la Ramone esitò: colta dalla paranoia, non volle neanche avvicinarsi all'albergo, ma restò nell'ombra di una calle con Terry mentre Jack entrò in albergo per prendere la collana.

Nell’entrare nella hall dell'albergo fu colto da un brivido: mentre lui se ne stava in disparte, tentando di non farsi notare, lì fuori Terry stava uccidendo sua madre. Attese qualche minuto, cercando di scrollarsi di dosso quell’orribile sensazione, poi uscì e raggiunse la calle, convinto di trovare la grassona già morta.

Il quadro che si trovò davanti era completamente diverso da come se l'aspettava: Terry puntava una pistola con il silenziatore sulla madre, ma non aveva sparato. La mano le tremava visibilmente. Krista le parlava a bassa voce, con un tono stranamente dolce; ad ogni sua parola la determinazione della figlia diminuiva visibilmente. Prima che Jack potesse impedirlo, Terry, si arrese, ed abbassò l'arma. Il piano stava andando a puttane, o quelle due stavano cercando di fregarlo?

Krista, a quel punto, commise un errore: non soddisfatta della sua vittoria, decise di voler stravincere, ed invece di levare l'arma di mano alla ragazza, si abbandonò ad una risata oscena, dicendo ad alta voce «lo sapevo, sei una puttanella senza palle, proprio come quel coglione di tuo pad…»

Non riuscì a finire: una proiettile, silenzioso in maniera stupefacente, le attraversò la testa. La grassona cadde all’indietro finendo in un canale, con un'espressione stupefatta sul volto; Jack fu certo che non avesse avuto paura neanche per un attimo. Terry, che evidentemente non era dura come voleva sembrare, guardò imbambolata la pistola fumante, e poi iniziò ad ondeggiare, come se stesse per cadere. Jack si riebbe dallo shock, e l'afferrò appena in tempo. Le tolse i guanti, li usò per prendere e metterle in tasca la pistola che era caduta a terra, e poi, aiutandola a camminare sostenendola per le spalle, la portò in albergo. Il portiere notturno, evidentemente ben addestrato, finse di non vederli passare mentre si dirigevano agli ascensori camminando come i reduci di una festa troppo alcolica.

Saliti nella suite, Jack fece sdraiare sul letto la ragazza che ancora non si era ripresa dallo shock; come aveva previsto, nell'armadietto del bagno trovò varie boccette di pillole di tutti i tipi: per dormire, per svegliarsi, per dimagrire e così via. Valutando che sarebbero bastate per garantire a Terry un bel sonno di almeno dodici ore, prese quattro pillole di sonnifero e gliele fece trangugiare, con l’aiuto di un bicchiere d’acqua. Appena fu sicuro che la ragazza dormiva, le mise la pistola nella mano destra, premendole bene le dita sull’arma perché vi restassero le impronte digitali. Poi lasciò cadere la pistola sul pavimento accanto al letto e si diresse alla cassaforte: si trattava di un vecchio modello degli anni '60 dotato di una semplice serratura a chiave. Tirò fuori il suo fidato set di grimaldelli e, grazie all'esperienza derivante dall'adolescenza passata a rubacchiare auto a Hell's Kitchen ed alle prove che aveva fatto il giorno prima su quella identica presente nella sua suite, la aprì in meno di cinque minuti. Come previsto, dentro c'era un astuccio dall'aria costosa con su scritto Cartier. Jack l'aprì: non che ne capisse molto di gioielli, ma la dimensione delle pietre incastonate gli fece pensare che quella collana potesse davvero valere tre milioni di dollari (altro che i cinquecentomila Euro che Terry aveva cercato di fargli credere valesse). Insieme alla collana, trovò il bigliettino da visita di un gioielliere di Milano. Dietro il bigliettino, era scritto a mano “i gatti sono distratti dalla luce negli occhi”. Jack mise il biglietto in tasca, ritornò nella sua suite, mise l'astuccio con la collana nella sua borsa e, verificato di non aver lasciato nessuna traccia, lasciò l'albergo.

Questa volta utilizzò un banale taxi d’acqua per arrivare alla stazione di Santa Lucia, da dove poi prese un treno interregionale per Milano e, per finire, un autobus che dalla stazione lo portò alla gioielleria indicata sul biglietto trovato nella cassaforte. Arrivò proprio mentre questa apriva i battenti.

Jack entrò, si avvicinò al tizio elegante dietro il bancone, e gli ripeté la frase scritta dietro il biglietto. Il gioielliere lo squadrò, sollevando un sopracciglio, e poi, senza dire una parola, gli fece cenno di seguirlo attraverso una porticina sul retro del negozio. Chiusa la porta, indossò un monocolo e disse in perfetto inglese: «bene, vediamo cosa mi porta.»

Jack tirò fuori l'astuccio dalla giacca e lo aprì sull'unico tavolo della stanzetta. Il gioielliere prese la collana, la esaminò per poco più di un minuto, e poi la ripose nell'astuccio. Poi aprì un cassetto e tirò fuori alcune mazzette di dollari americani. «Bene», disse soddisfatto «è proprio quello che aspettavo. Ecco trecentomila dollari. Grazie di tutto.»

Jack non aveva mai visto tanti soldi tutti insieme; ma non li toccò. «Amico» disse con aria arrogante «vuoi forse fregarmi? Questo coccio vale almeno tre milioni di dollari! Lo so io e lo sai tu.»

Il gioielliere sollevò di nuovo il sopracciglio. «Veramente, ne vale almeno cinque. Oggi aspettavo una persona che non è lei, e con quella persona avevo concordato il prezzo di tre milioni di dollari. Ma lei non è quella persona, ed a lei offro questi trecentomila dollari. Se non le bastano, porti pure via la collana. Ma le consiglio di stare molto attento a girare con questo ninnolo, soprattutto se deve prendere un aereo.»

Jack ci pensò su un attimo, ma questa volta fu il suo solito carattere a trionfare. «Ma che cazzo!» disse con un mezzo sorriso. «Meglio pochi, maledetti e subito, non è vero amico?»

Fregandosene dell'espressione quasi disgustata del gioielliere, prese le mazzette, le mise in tasca, e uscì dalla gioielleria con una straordinaria sensazione di libertà. Corse all'aeroporto per imbarcarsi sul primo volo disponibile per New York. Nell'attesa di imbarcarsi, diede un'occhiata alle ultime notizie che scorrevano sotto la pancia del giornalista di un canale all news in inglese trasmesso da uno dei televisori della sala d'imbarco. Lo colpì la notizia del ritrovamento del cadavere di una donna sconosciuta in un canale di Venezia; il caso pareva fosse già stato risolto con il fermo di una ragazza americana che dormiva nella suite di un noto albergo con accanto quella che sembrava l'arma del delitto.

Sprofondato nella comoda poltrona di prima classe, con un single malt invecchiato accanto a sé, Jack si addormentò pensando a come quei trecentomila gli avrebbero permesso di saldare i vecchi debiti, di portare fuori a cena la sua bionda e di avviare finalmente la sua agenzia di investigazioni; sorrise, dormendo il sonno dei giusti.

La cattiva strada

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