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CAPITOLO IV

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Nel quale si veda messer Pietro perdere la pazienza, il Sangonetto la ciarla, il Picchiasodo l'occasione, Giacomo Pico il tempo e mastro Bernardo la scrima.

All'atto insolito e inaspettato, il primo pensiero di messer Pietro fu di metter mano alla spada e di castigar l'arrogante che ardiva afferrare le redini del suo palafreno.

Senonchè, a lui, come un giorno ad Achille, la sapiente Minerva dovette susurrar qualche cosa nell'orecchio. O piuttosto, senza andare a scomodare gli Dei dell'Olimpo, che dormono da mille cinquecent'anni il gran sonno, è da credere che messer Pietro fosse di animo pronto a vedere per ogni lato le cose, come audace di mano ad operarle. E in quel punto egli certamente pensò che quei due sopraggiunti non erano assassini di strada, che alla più trista si era a numero pari, e che, finalmente, in paese nuovo e nemico, la prudenza non era mai troppa, nè mai gli avrebbe nociuto un pochino di calma. Dopo tutto, che ne sapeva egli? Poteva anch'essere usanza patriarcale di quei popoli, di trattare con tanta dimestichezza la gente.

E messer Pietro ristette, spianò le sopracciglia, che s'erano a tutta prima aggrondate; fe' un gesto da fianco per chetare il Picchiasodo, che egli colla coda dell'occhio avea visto dare un sobbalzo in arcione e spronare avanti il cavallo; quindi componendo le labbra ad un risolino tra cortese ed ironico, disse a Giacomo Pico:

–Parlate, messere, quantunque non sia luogo nè momento da ciò; son tutto orecchi ad udirvi.—

Parlare! era presto detto; ma il farlo non era la più agevole impresa. Il Bardineto ci aveva bensì avuto la forza del primo impeto; ma lì sui due piedi, senza aver meditata la possibilità d'una conversazione tranquilla, tirato in sul falso da quella urbana risposta, non trovò più il filo. E balbettando un poco, e stizzito con sè medesimo di non averci pensato prima, uscì in questa dimanda:

–Come va che tornate via così presto? Il castello non ha avuto potere di trattenervi?—

Messer Pietro lo guardò stupefatto; ma non uscì di misura.

–Che dite mai?—ripigliò, col medesimo accento di prima.—È luogo stupendo, il castello, e fo conto di tornarci prestissimo.

–Ah!—sclamò il Bardineto, fremendo di rabbia,—E quando si faranno le nozze?—

Messer Pietro fu ad un pelo di uscire dai gangheri. Per altro, gli venne il sospetto di aver da fare con un pazzo, e si volse, con aria trasognata, al Picchiasodo. Il suo vecchio compagno rideva.

–Messere,—disse il Picchiasodo, affrettandosi a commentare il suo riso,—la notizia si è sparsa, non c'è più verso di tenerla celata. L'oste dell'Altino ha cantato.—

L'altro ricordò allora le supposizioni di mastro Bernardo, e un sorriso venne a sfiorargli le labbra; ma fu pronto a reprimerlo. Non era più un pazzo, bensì un insolente, colui che lo aveva fermato per via e lo interrogava in tal guisa.

–Via, per l'andata, poteva correre; pel ritorno, non già!—rispose egli, facendosi grave.

Indi, rivolto a Giacomo Pico, gli parlò asciuttamente così:

–Messere, io fo nozze quando mi torna, e non dò ragguagli per via al primo che capita.

–Avete fatto il conto senza di me!—soggiunse Giacomo Pico, digrignando i denti, e facendo l'atto di afferrare da capo le redini.

–Giù quelle mani!—tuonò messer Pietro, in quella che facea dare indietro due passi al suo palafreno.—E spulezzami tosto, o ch'io lascio al mio cavallo di tritarti come paglia, villano!—

Giacomo Pico, che il pronto inalberarsi del cavallo avea fatto desistere dal suo tentativo, si morse le labbra all'udire quelle superbe parole, ma non diede già indietro d'un passo. Incrociò in quella vece le braccia sul petto; rispose con una crollata di spalle al Sangonetto che gli raccomandava di non far ragazzate e di pigliare dal consiglio d'un nemico quel che c'era di buono; indi, misurando ad una ad una le frasi, che gli uscivan sibilando dalle labbra contratte, così rimbeccò il suo avversario:

–Non son villano, e le opere mie, in attesa di altre prove, potranno chiarircene largamente. Voi, a cavallo, messere, potete sbarattarci d'un salto e darvi alla fuga; lo vedo, e lo temo. Ma dove sarebbe allora la differenza tra voi, conte di Osasco, e il più vile de' vostri vassalli? e quale rimarrebbe la vostra fama agli occhi dalla donna che amate?

–Conte di Osasco!—ripetè messer Pietro, voltandosi al Picchiasodo.—Ah, mi ricordo;—soggiunse a bassa voce,—lo sono, a quel che pare, e non posso disdirmi.—

Indi, rivolto il discorso a Giacomo Pico, gli chiese, con quel suo piglio sarcastico:

–E chi sei tu? Forse il duca Namo di Baviera, tornato tra i vivi? O forse Guerrino il Meschino, cercator d'avventure?

–Rattenete la lingua, per utile vostro!—replicò il Bardineto, impallidendo dallo sdegno.—Son tale che ha diritto sopra un tesoro, e non consentirà che altri glielo rubi. Son tale che desidera di vedere alla prova se la vostra spada è degna della vostra arroganza.

–Per san Giorgio, gli è questo un audace linguaggio,—disse a lui di rimando quell'altro,—e per la prima volta ch'io l'odo, mi piace.

–Vi piaccia, o no, gli è il mio, e lo udrete più d'una volta al Finaro, se vi piglierà il ruzzo di tornarci.

–Per Dio, se ci tornerò! Non foss'altro, per vedere di quanti palmi t'avranno scavato profonda la fossa!

–Di ciò parleremo;—borbottò Giacomo Pico.—Vi piaccia intanto calarvi d'arcione.

–Volentieri, se m'indicherete un luogo dove possiamo sbrigare i fatti nostri meglio che sulla strada maestra.

–Qui presso, nei greti della fiumana.

–Ottimamente; insegnate la strada.—

E così dicendo, messer Pietro, sempre ilare e disposto alla celia, spronò il cavallo per tener dietro a Giacomo Pico. Ma la faccenda non garbava punto al Picchiasodo, a cui era balenato un pensiero più vasto.

–Non già!—entrò egli a dire sollecito.—Con vostra licenza, messer Pietro, padron mio colendissime, abborro l'acqua, e ricordo in buon punto che siamo lontani appena un cento di passi dall'insegna dell'Altino. Questi degni messeri lo sapranno benissimo, che sono del paese; c'è buona l'accoglienza….

–E meglio il vino!—rincalzò, chiudendo la frase, il Sangonetto.

–Ah, bravo!—ripigliò il Picchiasodo.—Veniteci in aiuto anche voi, messere dell'archibugio. Siamo dunque intesi; si va a sbrigar la faccenda all'Altino. L'aia è piana e lucente come uno specchio, e sul battuto c'è posto pel giuoco di quattro lame. Che ve ne pare? Voi certo avete pratica del luogo. Non ci si è abbastanza liberi in quattro?—

Tommaso Sangonetto lo guardò con aria melensa. La proposta di quel vecchio barbone, che ci avea un paio di spalle e un torace da fare alle forze con Ercole, non gli andava a fagiuolo. Chinò la testa in atto di chi vuol dire e non dire; ma dentro di sè fece atto di contrizione per la sua lingua, che era stata un po' troppo latina.

–Andiamo dunque laggiù!—disse il Bardineto, avviandosi primo.

I due cavalieri incontanente lo seguirono. Tommaso, quantunque di mala voglia, si messe al suo fianco.

–Ah, Giacomo! Giacomo!—gli andava intanto bisbigliando all'orecchio.—L'hai fatta grossa!

–Che!—rispose il Bardineto, crollando superbamente le spalle.—Mi sfogo, perdio!

–Ma pensa al poi, te ne prego! E che dirà il marchese, quando verrà a risaperlo?

–Dirà…. dirà quel che gli parrà meglio di dire. Già, sentimi, Tommaso; o morto io, o morto quest'altro, s'è sciolto finalmente ogni nodo.

–Uhm! Mi pare che tu ne aggiunga, di nodi; e guai se vengono al pettine.

–Vattene, allora!—ripiccò spazientito il Bardineto.

–Ma…. lasciarti così solo?… Un testimone ti sarà pur necessario!—entrò a dire accortamente Tommaso.

–Un testimone! E per che farne?

–Eh, quel che si fa d'un testimone, perdiana! Il testimone vede e può all'occorrenza far fede. Inoltre, la sua presenza può tenere in soggezione gli avversarii. Capisco che non s'ha da appiccar zuffa in quattro, essendo voi due soli alle prese, e che io, pure volendo, non lo potrei, per non tirarmi addosso lo sdegno del castello, a cui non sono in grazia, come tu sai; ma infine, un amico presente….

–Capisco anch'io; non dirmene altro!—interruppe il Bardineto, che vedeva l'amico inteso a fermar chiaramente i patti della sua accompagnatura all'Altino.—Io non ho bisogno d'aiuto; la quistione è mia, tutta mia; tu non c'entri. E adesso, se ti piace venir testimone allo scontro, fa come t'aggrada; io non ci ho nulla a vedere.—

Il Sangonetto chinò la testa, in atto di chi si rassegna, suo malgrado, ai voleri d'un amico. E col cuor più tranquillo, e per conseguenza col passo più spedito di prima, si fece innanzi alla comitiva.

In quelle chiacchiere, erano giunti presso all'Altino. Lo scalpitar dei cavalli avea fatto correre il ragazzo dell'osteria sull'uscio di strada.

–Padrone! ohè, padrone!—aveva egli gridato.—Presto, fatevi innanzi; son qua di ritorno i gentiluomini di questa mattina.

–Che diavol dici?—esclamò mastro Bernardo, uscendo sull'aia.—O che ci verrebbero a fare?

–Eh, che so io?—disse il Maso, impenitente nella sua celia.—Forse ad assaggiare quel vinello fiorito….

–Zitto là, mascalzone! Oh, magnifici messeri….—

Come è facile argomentare da questo trapasso dell'oste, entravano allora Giacomo Pico e Tommaso Sangonetto a piedi, lasciando scorgere dietro di loro messer Pietro e il Picchiasodo a cavallo.

Mastro Bernardo, confuso e giubilante ad un tempo di quella nuova e non più sperata ventura, corse sollecito per tenere le redini a messer Pietro, che fu pronto ugualmente a balzar giù di sella.

–Che buon vento, messeri….—andava dicendo frattanto l'ostiere;—e come va che io sono onorato….

–Mastro Bernardo,—gridò il Picchiasodo, troncandogli i suoi complimenti a mezzo,—non lo sai tu l'adagio: chi n'assaggia ci torna? A te, ragazzo; tieni i cavalli.

–Ve li metto al coperto? disse il Maso, pigliandoli per le briglie.

–No, no, tirati là in fondo, ed aspetta, Il ragazzo afferrò le briglie e, superbo di prestare i suoi servigi a così nobili bestie, menò i cavalli in fondo dell'aia.

–Che fortuna per l'osteria dell'Altino!—ripigliò mastro Bernardo, che non aveva posto mente alle ultime parole del Picchiasodo, profferite a voce più bassa.—E dite, magnifici messeri; poichè il numero è cresciuto, s'ha egli da metter due polli allo spiedo?

–Ah, ci vuol altro che spiedo! Or ora vedrai;–gridò il Picchiasodo con aria beffarda.—Per un bicchiere di vino, intanto, non si dice di no. Almeno….—soggiunse dopo essersi guardato dattorno e aver veduto le facce rannuvolate de' suoi compagni,—io lo bevo, e posso fare anche la parte degli altri.

–Vado subito;—disse l'ostiere;—e sarà di quel tale, ve lo prometto.

–Sta bene, e non mi tradire!—aggiunse burlescamente il Picchiasodo.—Porta il fiasco incignato, che già sappiamo che cos'è, e non avrà avuto tempo A pigliare lo spunto.—

Mastro Bernardo, tutto nella sua beva, entrò in casa, senza aver capito nulla di quell'improvviso ritorno, nè pigliato sospetto dalla presenta del Bardineto, che due ore innanzi era andato via così in furia.

Più accorto di lui a gran pezza, il Maso aveva odorato l'aria, e aspettandosi qualcosa di grosso, stava là rincantucciato in mezzo ai cavalli, con tanto d'occhi a guardare la scena.

–Or dunque, a noi!—sclamò messer Pietro, poichè i quattro arrivati furono soli sull'aia.

E così dicendo, si tolse di dosso la sua cappa di scarlatto verde, foderata di vaio, e la gittò sulla sella del suo palafreno.

Giacomo Pico, a sua volta, si tolse la cappa di bigello, e rimase, come il suo avversario, in farsetto.

E già erano, per tacito accordo, intesi a pigliar campo e metter mano alle spade, allorquando il Picchiasodo entrò a dire la sua.

–Un momento, messeri, di grazia!—

I due avversarii si fermarono a tempo, e stettero guardando il vecchio soldato, aspettando che volesse parlare.

Ma il Picchiasodo non aveva da fare un lungo discorso.

–Come si combatte?—dimandò egli brevemente, ma con un certo sussiego.

–O come?—ripiccò messer Pietro.—Che novità è questa tua? Si combatte con questa, e chi ne assaggia un palmo rimane sul terreno.

–Un palmo! grazie tante!—mormorò il Sangonetto tra sè.

–Certo,—proseguiva messer Pietro,—se fossimo in campo chiuso, con giudici e testimoni, il vincitore avrebbe le spoglie, e si potrebbe anco stabilire il riscatto del vinto; Ma qui non siamo nel caso; ci si ricambia quattro colpi alla svelta e chi l'ha tocche son sue.

–Così l'intendo ancor io, con vostra licenza, messer Pietro,—replicò il Picchiasodo.—Ma scusate, io volevo domandare se di questo sollazzo non ce n'ha ad esser per tutti. In quattro ci siamo incontrati; ora, dico io, in quattro si avrebbe a combattere.—

Castel Gavone: Storia del secolo XV

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