Читать книгу Falco della rupe; O, La guerra di Musso - Bazzoni Giambattista - Страница 8

CAPITOLO SECONDO.

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Son della bara funerale ai lati

Con torchi in man pel nuovo di languenti

Due lunghi ordin d'uomini incappati

Che han nei cappucci le fronti dolenti,

I cappucci in due parti traforati

Apron le viste ai loro occhi piangenti.

LA PIA, Leggenda di B. Sestini.

Albeggiava appena in cielo il giorno ed ancor tutti nell'abituro di Falco dormivano profondamente allorchè ne venne bussata con forza la porta.

"Chi batte?" gridò Falco risvegliandosi istantaneamente, e sorgendo d'un salto dal giaciglio su cui erasi coricato cogli abiti indosso:

"Son io; son Trincone (rispose quello che stava al di fuori); apri tosto che t'ho a parlare".

Disserrò Falco all'istante l'uscio di sua casa, ansioso d'intendere che fosse avvenuto di Grampo; imperocchè Trincone, ch'era l'uno de' compagni che l'avevano trasportato ferito al suo tetto, doveva di certo recar di lui fresche novelle. Narrò infatti Trincone che giunti che si furono la sera a Palanzo, Grampo non dava più segni di vita, ma depostolo in sua casa, mercè le cure e gli unguenti di sua madre Imazza aveva riaperti gli occhi e fatti tali contorcimenti delle membra da mostrare che il sangue perduto non l'aveva esausto in tutto di forze, per cui egli recavasi di fretta a Nesso alla Casa dei Malati a ricercare Frate Andrea Cerusico, affinchè venisse a soccorrerlo dell'arte sua; e nel passare per di là aveva voluto discendere ad avvertirne lui Falco, pel desiderio che sapeva dover esso provare d'averne pronte notizie.

"Ben hai fatto, disse questi reso pago da quell'annunzio; corri a Frate Andrea, e quando seco lui passerai qui su dalla via, mi darai voce, ed io verrò seco voi a Palanzo".

Trincone partì, e Falco, rientrato nell'abituro, ripetè le parole di lui ad Orsola ed agli ospiti suoi, che in que' pochi momenti eransi alzati ed allestiti. A causa dell'ora tanto inoltrata della notte in cui si trassero a riposo, e fors'anco per scrupoloso riguardo che i due forestieri s'imposero verso le donne, quantunque si fossero coricati nella più interna stanza, eransi posti a giacere colle vestimenta d'attorno. Avevano dessi pensiero di dovere immediatamente partire, ma Falco il tolse loro dicendo che non avrebbero fatto viaggio che sull'imbrunir del giorno, avendo egli in animo di condursi a visitare il ferito compagno. Il giovine Medici e Maestro Lucio si dichiararono disposti a fare quanto meglio a lui fosse piacciuto, ed a seguirlo per tutto ove venisse loro indicato, persuasi ch'egli avrebbeli ricondotti in sicurezza nei dominii del Castellano.

Gabriele però di quella inaspettata dilazione annunziata al loro partire s'ebbe la più viva compiacenza, poichè sentiva di già che a malincuore abbandonava quell'ospitale abituro. La prima immagine a lui affacciatasi appena tolto al sonno era stata quella che ultima l'aveva abbandonato la notte, l'immagine cioè di Rina. Erano cessate la foga e l'agitazione destate nel suo spirito dagli avvenimenti del giorno antecedente, e su tutte quelle tumultuanti e spaventose impressioni una n'era surta dominatrice che gli diffondea nel cuore una dolcezza nuova, lusinghiera, che lo affezionava agli accidenti, sebbene disastrosi, dai quali era stato colà condotto.

Non era una determinazione decisa, un'idea chiara, sviluppata che Gabriele avesse concepito, e di cui rendesse a se stesso ragione; erano immagini presentite, velate ancora e confuse, che lasciavano trapelare una luce attraente e soave, qual egli non aveva mai traveduta da pria; era una fibra del suo cuore non tocca mai per l'addietro, che appena sfiorata rilevossi con un'armonia sì deliziosa, che nessuno de' suoi consueti sentimenti sapeva raggiungere: erano quelli in somma i primi battiti d'amore.

Avendo trascorsi i suoi verdi anni nei castelli, nelle rocche, o sul campo tra uomini rudi e severi, che d'altro non s'avevano pensiero che di ciò ch'era conforme a' loro guerreschi interessi, mai una parola affettuosa era giunta al suo orecchio, nè mai gli si era offerto alcuno di que' tratti che recano all'anima la soavità della simpatia, e lo aprono all'effusione d'un gentile e delicato sentire. Con persone d'altro sesso egli non avea mai avuto famigliare consorzio, e le sole giovani donne con cui alcuna volta soleva conversare, erano le proprie sorelle, che stavano in una casa foggiata a monastero in Musso, e queste, d'età alla sua superiore, non davansi altra cura che d'intrattenerlo di cristiani ufficii e di pratiche religiose, temendo che le sue armigere occupazioni gli facessero porre in dimenticanza od in dissuetudine i sacri doveri. Per il che eran sempre rimasti a lui assolutamente sconosciuti i moti d'amorosa tendenza, o di tenera affezione. Le forme e gli sguardi di Rina, ch'egli aveva colà pressochè ad insaputa contemplati, avevano cagionato il suo primo palpito d'amore, che in un intatto e puro cuor giovanile con tanto vigore s'addentra possedendolo con intiero ed assoluto dominio.

Poco tempo dopo che Falco fu rientrato nell'abituro, Trincone ritornò menando Frate Andrea, ch'era l'uno de' monaci che s'avevano in cura un ospitaletto elevato da pia e facoltosa persona un secolo addietro nella terra di Nesso per ricettare gl'infermi del contado, e veniva chiamato la Casa dei Malati di santa Maria: diede quegli dalla strada un grido chiamando Falco, e questi, postosi a spalle il suo moschetto, che non abbandonava giammai, si fece a seguirlo.

Annuvolato tristamente era il cielo, e fosco appariva il mattino: larghe zone di nebbia rigavano i dossi delle montagne, e riflettevano nelle immobili acque del lago il loro cinericcio colore; le piante e gli arbusti che fiancheggiavano il sentiero del monte vedeansi sfrondati ed abbattuti dalla furiosa grandine della notte, ed in più luoghi frantumi di macigni e sassi trascinati dalla correntia della pioggia lo avevano ingombro.

"Foste chiamato per tempo a disastroso cammino (disse Falco a Frate Andrea, che giva preceduto da Trincone) e n'avete a far buon tratto per giungere al letto dell'infermo".

"Non è mai disastrosa, rispose il Frate, quella strada che dobbiamo percorrere per recare la salute del corpo o dell'anima ad un nostro fratello".

"Così avvenisse che poteste rendergli la prima, soggiunse Falco; ma temo che nè le bende nè l'acqua del chiodo che portate abbiano a valere a rimarginare la ferita che aprì a Grampo le canne della gola". "Sia pur vero per volontà di Dio che l'opera delle mie mani non abbia ad avere alcuna efficacia, rispose il Frate; ma voi mostrate poca fede dubitando dell'effetto di quest'acqua miracolosa: non sapete quanti portenti ho veduti co' miei proprii occhi operarsi per essa? quanti storpii raddrizzati, quanti ciechi illuminati, persone giacenti da più anni rinvigorite in poche ore? Ma fa d'uopo trovarsi mondi da gravi peccati, ed avervi avuta sempre particolare divozione".

"Ohimè! il povero Grampo non deve dunque aspettarsene alcuna grazia, disse Trincone crollando il capo: ci parlava sovente di gozzoviglie e di vino, e l'ho veduto vuotarne delle tazze in gran numero; ma non mi so che si risovvenisse pure una volta del viaggio che dobbiamo far tutti per l'altro mondo".

"Sarà di lui ciò che ha disposto Quegli che sta là su, disse il Frate alzando gli occhi al cielo: la sua misericordia è infinita, ed Egli può attribuire qualunque mirabile potere a quest'acqua che fu benedetta col chiodo miracoloso venuto da Terra Santa".

L'acqua di cui essi ragionavano veniva recata dal Frate in un secchiello di rame argentato che aveva la forma d'un lungo bicchiere allargato alla sommità, nel cui manico erasi passata una cordicella. Quest'acqua, che veniva considerata qual santa reliquia di portentosa virtù, attingevasi nel lago il giorno di San Giovanni Battista, e portavasi al Borgo di Torno, dove nella Chiesa dedicata a tal Santo celebravasi una solenne e sontuosa festa, e quivi vi veniva immerso per qualche istante un chiodo che una pia credenza indicava per l'uno di quelli che avevano servito alla crocifissione del Redentore, recato dalla Palestina da un Arcivescovo Alemanno condottiero di Crociati, il quale, giunto a Torno, non potè per furore di procella allontanarsene finchè non ebbe deposto nella Chiesa quel prezioso ferro trasportato con tanta cura dalle sacre contrade di Gerusalemme 3.

Nota 3: (ritorno) Tatti, Stor.

Seguendo quei tre il sentiero più breve pe' boschi, lasciando Careno ed altre Terre alla destra, pervennero in brev'ora a Palanzo: internatisi per una stradicciuola in quel paesetto formato d'ammassati montaneschi abituri, giunsero alla porta della rustica casupola di Grampo. Presso a quella stava Guazzo in mesto atteggiamento confabulando con due confratelli Della-Morte, che così appellavansi i membri d'una religiosa compagnia di cui era incarico il recare i trapassati a sepoltura.

Quando Guazzo ebbe veduti que' tre sorvegnenti, "È tardi, esclamò con malinconica voce: altro non rimane a fare per lui che porlo sotto terra".

Trincone, maravigliato, fece un atto di dispetto vedendo così delusa la sua aspettativa, e accorgendosi d'aver gettati vanamente i passi; il Frate abbassò lo sguardo al suolo chinando il capo, e incrocicchiando le braccia sul petto recitò una preghiera; Falco, compreso da dolore, "Lasciatemi entrare, gridò in tuono che palesava insieme l'ira e la pietà: voglio almen vederlo un'ultima volta; voglio promettere sul suo corpo di mandare più d'uno di quelli che lo hanno ucciso a dormire un sonno eterno come il suo".

In una stanza di ruvide pareti, sotto una volta annerita dal fumo, e che prendeva scarso lume da un elevato finestrello, giaceva sovra un letto di tavole il cadavere di Grampo ricoperto per metà da un lenzuolo: la sua gola era fasciata da bende tutte intrise del suo sangue, che trascorsogli sul nudo petto in più striscie vi si vedeva nero e raggrumato. Di fianco al letto stava assisa una vecchia donna, tenendosi a due mani appoggiata ad un bastone, cogli occhi fissi immobilmente su quel sangue: i denti di lei battevano di tratto in tratto tra loro, e le membra tremavano per convulsivo movimento: era Imazza sua madre.

Entrato Falco là dentro seguito da Frate Andrea e da Trincone, accostatosi lentamente al letto, vi si rattenne; posò a terra il moschetto, e sovrapponendo all'estremità della canna ambedue le mani, su quelle appoggiando il mento, rimase taciturno a contemplare d'uno sguardo, fatto per tristezza fosco e socchiuso, la salma d'un compagno d'armi, poche ore dianzi sì vigoroso per gioventù e salute, già fatto immoto insensibile.

A piè del capezzale inginocchiossi Frate Andrea, il quale, alzata colla destra la croce che andava unita al rosario che gli pendeva dalla cintura, intuonò le litanie ed altre preci pei defunti, cui rispondeva Trincone, postosi parimenti co' ginocchii a terra: rilevatosi il Frate, appressossi ad Imazza, che non aveva mai tolti gli occhi dal volto del proprio figlio, nè sembrava per anco essersi accorta della presenza di quegli estrani, e come era suo ufficio e costume in simiglianti circostanze per alleviarne il dolore, e distorla da quell'intenso pensiero, cominciò con voce lenta e pietosa a così dirle: "Il Signore non volle concedere che io giungessi a tempo di confortarlo colle sante parole della Chiesa, o di lavargli la ferita coll'acqua mirabile che recai meco a quest'uopo; ma non paventate per questo, o madre, anzi abbiate viva speranza che egli sarà stato accolto nella schiera degli eletti, e l'interno pentimento delle proprie colpe gli avrà fatta vincere la guerra col nemico infernale che sta preparato a tutti assalirci negli estremi momenti: fors'egli a quest'ora prega per voi e per noi tutti; ed attende tra l'anime purganti che colle nostre orazioni lo liberiamo dalle fiamme..."

La vecchia Imazza, volgendo la testa, diede uno sguardo sì torvo al Frate, che gli troncò sulle labbra la parola, e con un raggrinzamento di mascelle che aveva sembianza di un truce ghigno: "Liberarlo dalle fiamme! disse: Qui è gelo: toglietelo dal freddo che lo agghiaccia, fate che si levi da sè, e che questo non sia come piombo freddo e greve". Così pronunciando alzò un braccio del morto, e lo lasciò cadere rimettendosi a guardarlo fisamente.

"Sento" disse Falco, abbandonando d'un subito la sua posizione, e prendendo la mano di Grampo ricaduta sul letto, "sento che è fredda e rigida come se fosse rivestita d'un guanto di ferro; ma chi di noi avria potere di riscaldarla? Se valesse immergerla nel sangue, ciò non sarebbe un disperato rimedio; ed io giurerei su questa mano istessa di versarne più di quanto ne facesse bisogno a tal uso. Ma tutto pur troppo è vano quando la terra deve stendersi su di noi come un pesante mantello. Per ciò compiango, o Imazza, il vostro dolore, poichè avete col figlio perduto tutto ciò ch'era a voi caro al mondo: egli solo consolava i vostri vecchi anni, e ne alleggeriva la gravezza: ora che farete voi della vita? gli occhi vostri non sapranno su chi posarsi, nè la vostra lingua a chi parlare. Ascoltate la voce di Frate Andrea: questi uomini del Signore cercano di gettarci una corda di soccorso quando più non abbiamo nè vele nè remi per accostarci alla sponda".

Imazza a tai detti dimenava il capo con ira, e: "Che parli tu? rispose, a che venisti? Perchè tocchi quella mano? Non fu per esser teco, che Grampo venne colto da un colpo ch'era a te destinato? Non fosti tu che il conducesti alla morte? Attendi, attendi a consigliare le tue donne, che forse non andrà a lungo che un cadavere più sformato di questo starà nel loro casolare, se pure non avverrà che in vece delle donne ci saranno dintorno i lupi ed i corvi".

"Taci, maledetta strega!" gridò Falco torbido e minaccioso in volto, stringendo a pugno la destra, ed alzandola verso di lei; e ben avveniva che l'avrebbe malamente percossa, tant'era l'ira che l'assalse e l'acciecò a quel malaugurato presagio, se frate Andrea, messosi tra loro, adoperando pacifiche ed autorevoli parole, non avesse sedato quel bollore di rabbia, sì inopportuno e sconvenevole in tal luogo e in tal momento in cui tutti i pensieri da null'altro essere dovevano compresi che da tristezza e pietà. La vecchia donna chinò il capo sul petto, più non pronunciando alcun accento, e Falco rimase parimenti muto, volgendo nell'anima le più tetre e desolanti idee. Quella predizione fattagli alla presenza d'un morto da una femmina che dicevasi aver conoscenza dell'avvenire per mezzo di sortilegii ed altre diaboliche arti, lo aveva colpito sì fattamente, che un gelo gli corse per l'ossa, e risentì uno straordinario sentimento di terrore. Nelle battaglie, negli assalti, nel calor delle mischie la morte aveva sempre avuto per lui un aspetto, direm quasi, eroico e glorioso, nè altra cosa eragli rassembrata che un rapido compimento della vita: là dentro la ristrettezza dello spazio, la scarsezza del lume, la vista d'un cadavere insanguinato, il viso e la voce sinistra con cui Imazza aveva pronunciate quelle parole, tolsero al suo spirito ogni vivace ed energico slancio, e v'infusero nere tremende idee come se gli fosse stato svelato uno spaventoso secreto.

Frate Andrea fece nuove esortazioni e preghiere, quindi annunziando che gli era necessità ritornarsene al suo convento di Nesso, chiese commiato, ed uscì dalla casa di Grampo; Falco, gettato un ultimo sguardo sul corpo dell'amico, seguì il Frate, e ordinato a Trincone e Guazzo si trovassero sul far della sera col navicello a piedi della sua rupe, abbandonò Palanzo, riprendendo cammino verso il suo casolare.

Annuvolato era ancora il cielo, e soffio di vento non avvivava l'aria, nè increspava la faccia del lago, che da nessuna barca appariva solcata, onde melanconica se ne offriva la veduta dall'alto del sentiero tra le selve del declivio del monte, pel quale Frate Andrea e Falco retrocedevano. Camminò quest'ultimo alcun tempo meditabondo, recando sotto il braccio il suo moschetto colla bocca a terra, tenendo una mano fra i panni, e piegata al suolo la testa: a poco a poco però l'aria aperta, la vista delle montagne e delle acque, quantunque non lucenti per sole sereno, gli ritornarono i suoi abituali pensieri: sparve la tetraggine che lo aveva invaso, rimproverò a se stesso come una fanciullesca debolezza e una vigliaccheria quel momento di terrore da cui s'era lasciato sopraffare, rammemorò le tante sue passate imprese, si ricordò gli ospiti che lo attendevano, l'onore e la fama che gli sarebbero derivati riconducendoli liberi a Musso, pensò alla probabilità d'una gran battaglia che il Castellano darebbe ai Ducali, in cui sariasi diguazzato nella strage; ed a tali pensieri gli ricomparve sul volto l'usata ardimentosa espressione, gettò sull'omero il moschetto, e sentissi necessità di favellare per mantenere le sue idee in quel confacevole andamento. Si rivolse per ciò al Frate che gli veniva da lato, e dopo vario parlare intorno ai fatti di quella guerra: "Chi fu, gli disse, quegli tra voi della casa di Nesso che venne chiamato alla rôcca di Reginaldo Rusca il Ghibellino onde sanarlo quand'ebbe il braccio fracassato da una bombarda nel combattimento navale presso Como?"

"Fu Ambrogio da Milano, rispose Frate Andrea, che da poco tempo ritornò alla sua città onde prestare assistenza ai pellegrini della Commenda: egli guarendo il Rusca profittò al nostro convento di Santa-Maria duecento scudi di Musso di quei del Triulzo, chè tanto aveva fatto voto quel ferito di sborsarne risanato che fosse".

"Pagò riccamente la cura, soggiunse Falco: ma che non avrebbe egli speso per tenersi il suo braccio, e non essere chiamato Reginaldo il monco? Giurerei che s'avrebbe tolto d'andare a Gerusalemme a piedi, e avrebbe dato tutto il suo ai frati ed ai poveri. Ma in vero ei del suo brando faceva grand'uso: io il vidi quel giorno della battaglia, poco prima che venisse colpito, saltare dalla nave del Matto, che comandava i legni di Musso, entro una barca comasca, e menar colpi sì vigorosi, che in poco tempo n'ebbe spaccato l'albero, ed ammazzati non so quanti, indi balzare in una scorribiessa, e ritornarsene tra i nostri gridando d'allegria".

"Fa d'uopo però dire, replicò il Frate, che perdendo un braccio fu ancora l'uno de' meno sventurati tra molti che trovaronsi a quel fatto, perchè m'ho inteso narrare che le bombarde e gli archibugi comaschi e ducali abbiano allora fatta gran strage dei soldati del Medici, e la nostra casa dei malati fu ripiena per più mesi di uomini che si colsero ferite più gravi di quella del Rusca. Abbiamo però speranza che le cose quanto prima tornino in pace, poichè un cappuccino di Domaso venuto al convento narrò che il Medici ha in animo di rendere il Castello di Musso a quei di Milano, i quali alla fin fine ne sono i veri padroni, e così finirà ogni guerra, e gli Spagnuoli se ne andranno pei fatti loro, e insieme ad essi anco gli Svizzeri, il cui soggiorno in questi paesi è pestifero, poichè discesero dall'Alemagna certi preti che si sono messi tra loro predicando false dottrine, e dicendo ogni male dei frati, delle monache e, che Dio li confonda! per sino del papa; per cui se avessero a rimanere costì più a lungo, e venisse a spargersi quella zizzania tra i nostri, e mettervi radice, chi sa qual immensa rovina potrebbe derivarne".

"Che vadino al loro malanno gli Spagnuoli e gli Svizzeri questo può facilmente avvenire, ma che il Castellano renda Musso, che lo dia ai Milanesi dopo averlo difeso per sì lungo tempo, ed esservisi fieramente nicchiato come un orso sul Legnone, è la più gran pazzia il solo immaginarlo!" Così disse Falco con un lieve risentimento di sdegno, che la placidezza e mansuetudine con cui l'udiva Frate Andrea gli fecero tosto deporre: "Non abbiate timore, proseguì quindi pacatamente, se ne andranno, sì, e non avranno campo di spargere la falsa legge, e di ripetere bestemmie in quella loro lingua del demonio: sul brigantino del signor Gian Giacomo stanno bombarde e colubrine da squarciare i fianchi a qualsiasi nave, e ben anco ad una torre, se ne verrà il caso. Una sola giornata che si possa fare, ma lunga e di buon cuore, spazzerà il lago da quei cornacchioni, come il vento ripulisce il lido dalle foglie".

Movendo tali ragionamenti, pervennero al torrente di Nesso, valicato il quale, Falco discese al proprio casolare salutando il Frate, che rispostogli: "Dio vi salvi" si mise sul sentiero alla volta del convento.

Maestro Lucio aveva nel frattempo fatto un'importante scoperta, con cui si era difeso dall'ozio e dalla noia due suoi mortali nemici. Dopo d'essersi persuaso, dando un'occhiata dalle finestre, che il terreno d'intorno non lasciava luogo ad alcuna gradevole passeggiata, frugatosi invano negli abiti per vedere se mai a caso s'avesse posto qualche opuscolo nelle tasche, nulla trovando a far di meglio si diede ad esaminare i brani d'armatura che stavano appesi per quella stanza. Guardatili pressochè tutti, e scorto, con gran sua soddisfazione, in più d'un d'essi conservata l'impronta della fabbrica degli Armorari Milanesi, venne alla fine il suo sguardo a cadere sovra una panciera di ferro da cui dependeva un lembo di sopravveste di seta ricamata: il sollevò con garbo, e qual fu il suo contento osservandovi tutto intiero effigiato uno stemma gentilizio! non ne prova forse altrettanto un navigatore d'ignoti mari alla scoperta d'un'isola vasta e feconda: staccò quel lembo con ogni precauzione, lo stese accuratamente sur una tavola, e vi si pose a meditare mettendovi tutto l'intelletto onde arguire il significato degli emblemi, e scoprire a chi appartenesse.

Gabriele, abbenchè si fosse assiso al suo fianco, poca attenzione porgeva allo sfoggio di dottrine Blasoniche che desso veniva facendo applicandole all'interpretazione di quello stemma; la sua mente era tutta occupata di Rina, verso cui li suoi occhi si volgevano incessantemente, poichè, si stesse seduta, o fosse essa in moto, dispiegava per lui sì nuove e dolci attrattive, che i passi, la voce, le attitudini tutte di lei si stampavano nel più addentro del suo cuore. Rina però ratteneva contegnosa i proprii sguardi, onde pochissime fiate venne dato al giovinetto Medici d'affisarne le nerissime pupille, e nessuna di quelle rare volte la rimirò senza vivamente arrossire, senza provarne un palpito più vibrato, e sentirsi nel tempo medesimo divampare d'ardentissima fiamma.

Messer Tanaglia, dopo aver contemplati a lungo gli emblemi trapunti: "La cosa, esclamò tutto giulivo, è chiara come il sole: quegli che portava l'armatura coperta da questo stemma era un Conte: ce lo dice evidentemente la corona che sormonta lo scudo: ecco il cerchio d'oro col rialzo di sedici punte con altrettante perle sovrapposte: questa è corona Comitis, come scrissero tutti gli autori. Lo scudo ovale spaccato in due campi bianco e verde, senza quarti, indica non essere desso del genere delle armi Pure di Parentado o d'Origine, ma bensì delle Agalmoniche, ossia Parlanti, cioè allusive al cognome di famiglia; e vedete appunto che il cognome lo troviamo espresso in questo pozzo delineato sul campo bianco, colore più nobile del verde, su cui sta all'incontro dipinto un pesce, col quale ci viene indicato che la famiglia ha dominio sulle acque. Si può quindi asserire senza tema d'errare che il possessore dell'armatura e dello stemma era il Conte Pozzo o Del Pozzo signore di qualche fiume o lago. Dite, Madonna Orsola, non ho io côlto nel vero?"

"Nulla so di tutto questo, rispose Orsola con qualche sorpresa: d'altro non mi rammento se non che Falco quando la recò qua su ne portò insieme una lunga catena d'anelli d'oro, che cangiò ad Argegno con un sacco di polvere d'archibugio che gli fu data da un mercante Svizzero". "Recò pure allora, soggiunse vivacemente Rina, se ben vi ricorda, o madre, un largo nastro colore di foglia d'ulivo su cui stava un bel ricamo, che il padre disse ch'erano parole: voi non voleste mai che io me lo ponessi dintorno, e lo donaste, son pochi giorni, a quel pellegrino che passò qui sopra addomandando la carità".

"Era di certo la cintura della spada, disse Gabriele: e chi sa quanto l'avrà tenuta in pregio il cavaliere che la portava, poichè non v'ha dubbio che le parole che vi stavano marcate fossero opera d'una mano a lui cara. Ne vidi molte di tali cinture fregiate di graziosi motti sul petto de' nostri capitani d'armi, ad essi donate dalle loro donne: ma io non ne ho portate mai che non fossero d'acciaio o di cuoio, poichè non ho ancora trascelto verun colore, nè alcuna donna s'occupò sinora a trapuntarmi un nastro".

E queste parole che a lui vennero la prima volta spontaneamente alle labbra gli recarono un senso d'umiliazione che gli fece abbassare al suolo lo sguardo; ma pensandovi, sentissi tosto contento dell'averle pronunciate, e rialzollo più confidente e sicuro in volto a Rina, la quale provò un ignoto compiacimento a quelle parole sì che per lo innanzi non seppe più mai dimenticarle.

In questo punto rientrò Falco, che mestamente narrò l'occorso caso, per il che Messer Tanaglia, obbliando gli scudi e gli emblemi, mostrossi con tutti gli altri sommamente afflitto, di null'altro lungo il giorno ragionando che della morte di Grampo, che per cause diverse riusciva a ciascuno di grave cordoglio.

All'avvicinarsi della sera, essendo l'ora prefissa al partire, uscirono per discendere a piè della rupe, ove il navicello di Falco venir dovea da Palanzo. Il sole all'occidente mandava per mezzo a nebbioso velo l'ultimo suo raggio che batteva sui monti e faceva pallidamente rosseggiare le case e la bruna torre della vicina Nesso, intorno a cui mille rondini giravano a volo. Mirarono tutti attenti al lago onde vedere se la barca fosse giunta, ma non se ne scorgea alcuna che quivi stesse o che venisse costeggiando a quella volta. Costretti per tal modo ad attendere, Orsola approfittando di quel momento di dimora, condotto Falco in disparte, caldamente il pregava non si tenesse troppo a lungo assente, poichè aveva l'animo angustiato dal timore del ritorno dei Ducali: nello stesso mentre Maestro Lucio guardava il viottolo per cui doveva discendere provandosi a tentarne i primi passi.

Gabriele rimaso sotto il vecchio castagno da solo con Rina ardeva di brama dirle alcune parole di saluto; ma tanta era la folla dei sentimenti che il possedevano sì veementi e inusitati, che tutto il calore del suo sangue concentratosi intorno al cuore, pareva avesse tolto il potere al suo labbro d'esprimersi, poichè invano forzavasi a pronunciar un sol motto; ma pensando che lasciare quella fanciulla senza pur dirigerle un accento poleva aver taccia di villania, il che gli sarebbe poscia riuscito dolorosissimo, riunito tutto il proprio vigore, con voce mal ferma:

"Or mi debbo partire (disse; e Rina, nel cui volto vedeasi il mirabile contrapposto dell'esitazione del pudore e della somma vivezza del sentire, al suono di quelle parole alzò lo sguardo), ma mi rammenterò pur sempre della casa di Falco e di chi mi ha tanto cortesemente accolto: qui ebbi salva la vita e qui volerà ad ogn'istante il mio pensiero".

"Voi che abitate un castello, rispose Rina dolcemente, un gran castello lontano sul lago, come mai potrete ricordarvi di questo casolare? Forse allorquando la vostra barca passerà innanzi a Nesso, guarderete a questo tetto, sotto cui riparaste una notte, come noi miriamo le capanne poste sui monti che ci difendono dalla pioggia".

"Se in quelle provaste ciò ch'io qui m'ebbi a sentire", replicò Gabriele fatto più franco e sicuro dal parlar di Rina, "non riuscirebbevi agevole lo scordarvene un istante: l'impressione delle ore qui trascorse mi sta sì fitta in petto, che non è possibile che si cancelli giammai, e mio unico desiderio non altro sarà, che di farvi almeno una volta ritorno".

Abbenchè di tali detti non fosse aperto a Rina tutto il significato, s'accorse ella però che con tenero intendimento erano stati pronunciati, poichè la fisonomia di Gabriele affettuosamente avvivata nell'esprimerli, i di lui occhi fissi su lei con tutta eloquenza le parlarono direttamente all'anima coll'evidente linguaggio dell'amore: ella nè osò nè seppe rispondergli; solo rivolse in lui sì scintillanti i proprii sguardi, che ogni argomento di parole sarebbe stato nullo al confronto.

Spuntava intanto lambendo gli scogli della sponda l'aspettato navicello che Trincone e Guazzo conducevano remigando. Quel debole raggio di sole che aveva salutato il giorno era sparito, fosca cresceva la sera, e nubi di bigio colore occupando tutto il cielo posavano sulle sommità dei monti. Veduta la barca Falco affrettò alla discesa i due ospiti, onde trarre vantaggio di quel barlume vespertino, strinse la mano alla moglie, diede un bacio alla figlia e scese pel primo il dirupato sentiero. Maestro Lucio poco frettolosamente il seguiva a causa del torrente, il cui rumoreggiare gli tonava ancora all'orecchio; e dal cader nel quale si assecurava piantando il piede con somma cautela sul sasso: tal lentezza agio porgeva a Gabriele, che gli veniva d'appresso, di soffermarsi ad ogni rivolto della strada a riguardare in su al piano dell'abituro, sull'orlo del quale stavano Orsola e Rina, di cui però discernevansi appena le forme.

Giunti in fondo alla rupe, sulle sabbie della riva, presso la quale Guazzo e Trincone aveano condotto il navicello, entrarono in esso, e dopo che Falco s'ebbe assicurato che erano stati posti gli archibugi e i coltelli nel cassone, collocato su quello il suo moschetto, ordinò si spingessero al largo. Allontanati che si furono un mezzo trar di balestra, si fece loro udir da lontano un canto misurato in coro. "Tieni qui ferma la barca, disse tosto Falco a Trincone, che parmi ascoltar voci che siano della compagnia della Morte; essa si recherà Grampo a seppellire nel prato del cimitero dentro la valle".

Falco della rupe; O, La guerra di Musso

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