Читать книгу Falco della rupe; O, La guerra di Musso - Bazzoni Giambattista - Страница 4
FALCO DELLA RUPE
O
LA GUERRA DI MUSSO
CAPITOLO TERZO
ОглавлениеForastier, che fermo il passo
Guardi in su l'alta fortezza,
Sappi ch'era alpestre sasso,
Squallor tutto ed orridezza;
Ma poi vinse la natura
Dell'artefice la cura.
Vedi là quei che costrutti
Son lavor sull'aspra schiena
A intervallo in su condutti?
È di forti una catena
Che la ripida montagna
Fino al termine accompagna.
IL FORTE DI FENESTRELLE, di G. Tagliazucchi.
Allorquando tra i popoli arde accanita la guerra, nulla v'ha che intentato si lasci che recar possa a vicenda distruzione e ruina. Ciò che natura creava a pro' dei viventi, ciò che le arti e le scienze rinvenivano a beneficio degli uomini, vien rivolto con assidua cura a loro danno e sterminio. Avvenne per tal modo che le meccaniche e la chimica affinando i metalli, perfezionarono e moltiplicarono colle armi gli stromenti di morte, e gli astrusi studii degli astri, dei venti, e la nautica ingegnosa servirono a guidare lontane nazioni a ricercarsi sulla profondità dei mari, e scontratesi commettere battaglie più tremende di quelle che mai si vedessero sovra solidi piani, quindi i laghi e persino il placido corso de' fiumi divennero sanguinoso teatro di guerre e di stragi.
Nè la ridente Italia, perpetuo campo di bellicose imprese, offrendo numerosi arringhi ad ogni sorta di lotte armigere, poteva andar esente dal contemplare nel proprio seno anche pugne navali. Più e più volte il Leon di San Marco inalberato sulle sue repubblicane navi risalì il Po ad azzuffarsi colla vipera de' Visconti o sola, od innestata negli stemmi Sforzeschi: l'Adige, l'Adda portarono barche guerriere, e sull'onde di Garda e del Verbano galleggiarono intere flotte. Ma fra l'acque che si stendono a specchio degli Insubri monti, quelle su cui il furore belligero si dispiegò più fiero ed ostinato si furono pur sempre le Lariane. Oltre gli indigeni abitatori, tra cui durarono continue discordie, i Romani, i Longobardi, gli Elvezii e le genti Ispane, Galliche ed Alemanne pugnarono navalmente sul lago Comasco: qui si sfidarono da inveterato odio sospinte le fazioni Guelfe e Ghibelline: e come i mari di Panama e del Messico ebbe pure questo lago i suoi filibustieri, e furono i Cavargnoni, che sbucciati dai dirupi delle loro montagne lo occuparono per alcun tempo mettendo ogni luogo che assalivano a ferro ed a fuoco.
Ma dopo secoli di guerre colà combattute era serbata la gloria ad un privato cittadino dell'allora dominante Milano, di creare su quel lago forze navali sì numerose e imponenti, che tali per l'addietro non s'erano vedute giammai, e costringere i suoi nemici a disporne altrettante onde combatterlo e frenarlo. Fu questi, come ben si comprende, Gian Giacomo Medici, la cui flotta composta di moltissimi legni avrebbe potuto in que' tempi veleggiare temuta anche sul mare. Nulla aveva egli posto in trascuranza onde le sue navi riuscissero di grossa portata e fossero con solidità ad un tempo e prestezza costruite ed armate: e potè per l'impegno e i mezzi da lui adoperati al perfezionamento di quelle fabbricazioni avere dai proprii cantieri il celebre Brigantino di cui ci accadrà sovente far parola.
Fece desso erigere arsenali in varii siti, e chiamativi uomini periti nelle arti marinaresche per dirigerne le opere. Il più vasto però e il più d'artefici ed attrezzi provveduto era quello di Musso, siccome prossimo al Castello, e perciò con maggior facilità difeso e sorvegliato. Maestro Onallo il Genovese, che, come vedemmo, n'era capitano, lo aveva conformato a perfetta simiglianza degli arsenali di mare. Era quello un edifizio di non molta larghezza, alquanto lungo, e in varii scompartimenti diviso, ciascun de' quali conteneva un'officina d'arte diversa, spettante all'armeria od alla nautica. Quivi erano macchine a sega per le travi, telai per le vele, attorcigliatoi per le gomene e il cordame minore, fucine pei fabbri: quivi scortecciavansi gli olmi ed i pini per alberatura, e bollivasi la pece e il catrame per calafatare i navilii. Trovavasi in quell'arsenale il quartiere degli spadai, de' fabbricatori delle alabarde, degli archibugi e d'altre simili armi da braccio, non però di quelli delle grosse artiglierie, alla costruzione delle quali richiedevasi tanto dispendio e sì gran numero d'operatori, che appena i più gran re e le possenti repubbliche ne possedevano le fonderie: e infatti il Medici aveva le sue artiglierie comperate in parte dai Veneziani, e in parte conquistate ai Francesi. Dal lato del lago dove il lido scendeva con insensibile pendío nelle acque eranvi molti casotti schiusi di fronte, in cui stavano appuntellate sovra congegni di travicelli le barche in costruzione, le quali condotte che erano a compimento, venivano lanciate nel lago, lasciandole scivolare sovra un piano di curli all'uopo apprestati.
Il dar de' martelli, il rintronar delle incudini e de' percossi fianchi delle navi, lo stridere delle seghe e delle lime, il gridare de' lavoratori, il rumoreggiare universale annunziarono di buon mattino l'operosità che per tutto regnava in quell'Arsenale. Maestro Onallo, disceso dalle sue camere, accompagnando Gabriele e Messer Tanaglia, mentre attraversava con loro le officine, veniva incessantemente circondato dai capi delle arti, dai sovrastanti, dai custodi de' magazzini che avevano a richiederlo intorno alle opere fatte, o addomandavano istruzioni per quelle da intraprendersi: ma egli ne li faceva scostare non porgendo orecchio ad alcuno, intentissimo a prestare ogni ufficio di cortesia a que' due che disponevansi a partire di là. Gabriele aveva già fatto ricercare di Falco, dicendo che non sarebbesi di quivi allontanato senza di lui, onde questi dopo aver avuto una mattutina conferenza con Trincone e Guazzo, se ne stava attendendolo alla porta dell'arsenale, appoggiato a suo moschetto. Quivi venuti presero commiato dal Mastro Genovese, che sino alla soglia li volle seguire, e si misero di compagnia sulla strada del Castello.
Il vento del lago che suol spirare da tramontana dal far del giorno sin presso a mezzodì, e chiamasi Tivano (forse dal corrotto accozzamento delle due francesi parole petit vent perchè non soffia mai nè furioso nè gagliardo), aveva quel mattino scacciate le nuvole e i nebbioni di che era stata tutta ingombra l'atmosfera il dì antecedente. Splendeva quindi limpido il giorno, e le montagne spazzate e nette innalzavano le loro acute sommità dorate dai raggi nascenti del sole, disegnandole sovra l'azzurra vôlta del cielo, le acque del lago leggermente increspate dalla brezza mattinale, riflettendo il sereno dell'aria, mostravansi cilestrine, qua e là più vivacemente screziate da alcun raggio solare che trapassando pel vano delle valli veniva a dardeggiar su di loro.
Gabriele con Falco e Messer Tanaglia andavano di buon passo sulla strada che costeggiando il lago correva dritta verso il Porto del Castello, presso il quale era l'entrata comune alla fortezza. S'incontravano per quella via gran numero di persone, ed erano soldati, barcaiuoli, contadini e contadine con canestri e provvigioni di pollami, di granaglie, di frutti che recavansi al Castello, o da questo ne venivano per varie bisogna al borgo di Musso. Vedevansi pure gli abitanti d'altri paesi guidando bestie con alte some venire a mercanteggiare in quella Terra, ch'era allora la Capitale della costiera; miravansi altresì ricchi signori che vi si conducevano a diporto montati sovra cavalli doviziosamente bardati, su varii de' quali sedevano in groppa donne o fanciulle strette in abiti eleganti alla foggia dei tempi: fra mezzo a questi camminava alcun viandante e pellegrino costretto a battere quella strada onde evitare le vessazioni del viaggio per barca: e siccome l'opposta sponda e tutte le alture dei monti erano occupate da vedette e da guardie, e difese dalle artiglierie, non rimaneva alcun libero passaggio per chiunque avesse d'uopo oltrepassar Musso, sì movendo verso l'Alpi che procedendo alla volta di Como, fuorchè quella strada medesima praticata sulla riva. Passava questa a piedi del Castello sotto un lungo arco di massicce mura che formava una gran porta detta la Porta di Musso, la quale appoggiava il suo fianco sinistro (guardandola dalla banda di Musso) all'ultimo baluardo del Castello, ed il destro alla muraglia del porto, per cui la strada correva per lungo spazio tanto al di qua che al di là di quell'arco fra ruvide e grosse muraglie ristretta. Presso la Porta di Musso, che era munita da ambi i lati da battenti coperti di lamina di ferro, e rafforzati interiormente da travi stavano sempre gabellieri e uomini d'armi, gli uni destinati a riscuotere le tasse delle mercanzie che di là transitavano a norma delle gride bandite dal Medici, gli altri per esaminare i salva-condotti de' passeggieri più ragguardevoli e notare chi si fossero ed a che venissero.
La vista di quella moltitudine di persone che percorrevano quella via, produsse la più piacevole impressione a Maestro Tanaglia. Le strette di cuore da lui provate nella burrascosa vicenda recentemente trascorsa facevangli trovar gradito il vedersi ritornato ad un luogo il cui soggiorno gli era sembrato da prima pesante e noioso. L'imponenza del Castello dentro cui stava per riprendere le sue cancelleresche faccende, la sicurezza che inspiravano quelle mura, i belligeri apparati, i molti uomini pronti e interessati a difenderlo, fornivano al suo spirito un più che evidente e vantaggioso raffronto coi gravi perigli ch'ei per esperienza sapeva che s'incontravano in ogni altra dimora. Felicitavasi quindi in cuor suo, ed era forse la prima volta che sinceramente il facesse, di godere la protezione del Castellano, aver la confidenza di lui, tener parte attiva nel regime del suo dominio. Così pensando, camminava con più lentezza e gravità, volgendo con importanza il capo a dritta e mancina a quelli che gli passavano d'appresso: ricomponendosi l'abito alla persona, e col palmo della mano lisciando i capelli che da tre dì non aveva potuti assettare.
"A ben riflettere, diceva tra se, dovrei pur chiamarmi fortunato, solo che potessi evitare di seguire quello spensierato di Gabriele, che nelle sue spedizioni incappa sempre in qualche malanno. Nel Castello, dopo Gian-Giacomo, non son io forse il primo personaggio? tutta questa canagliaccia non deve dessa star sottoposta agli ordini e alle gride che vengono scritte da me? Il Mandello, il Borserio, e quel manigoldo del Pellicione mostrano di tenermi in poco conto perchè io non aguzzo la stambuchina al par di loro a danno del mio prossimo; ma quello che dà i saggi pareri a Gian Giacomo sono io, e senza di me nulla si fa d'importante. Anche il Cancelliere Morone non sapeva menar che di penna, eppure il Duca se lo aveva più caro che venti comandanti di squadre, e Carlo l'Imperatore darebbe mezze le gemme della sua corona per averne un paio degli uomini di quella fatta. È vero ch'io non conosco le teorie della Ragion di Stato al pari di lui, ma egli non possedeva al pari di me l'alta Scienza Blasonica, proclamata da tutti non meno di quella utile e gloriosa. Oh! se si trattasse una volta la pace, e che questi soldati cessassero dall'assordar tutto il mondo non parlando che d'ammazzamenti e di guerra, comincierei ben io ad alzar la voce e darmi a divedere per quell'uomo che sono".
Così fantasticando ei proseguiva il cammino, e nello stesso mentre Falco teneva con Gabriele ragionamenti ch'erano per questi del massimo interesse, sebbene l'armigero montanaro punto non ne dubitasse. La triste disposizione di spirito destata in Falco la sera antecedente, s'era in lui protratta la notte, e gli aveva l'animo ingombro di mille dubbiosi pensieri, e come suol avvenire che i sentimenti profondi e angosciosi ci risvegliano in cuore più vivo l'affetto per le persone lontane cui andiamo congiunti con nodi di sangue o d'amore, così accadde che quasi tutt'i pensieri di lui furono rivolti alla sua rupe, poichè mai tanta pena aveva altravolta provata nell'essere discosto da sua moglie e dalla figlia. Sapeva per fatto fin dove era capace di spingersi l'accanimento de' nemici, e ben immaginava di quanto doveva aver avvelenito ed acceso il loro desiderio di vendetta l'ultima intrapresa da lui contro di essi condotta: però sembravagli che gravissimo periglio sovrastasse a quelle donne se sole e indifese rimanevano più oltre nel loro isolato abituro, considerando che la naturale difficoltà del luogo era troppo lieve riparo a proteggerle contro la rabbia d'uomini feroci che si fossero dati a rintracciarle. Restarsi sempre seco loro onde difenderle, era per lui impossibile, poichè la sua vita dipendeva interamente dall'esercizio delle proprie forze nel modo che le aveva sino allora esercitate: unico rimedio alla sicurezza loro gli si appresentava adunque il trovare ad esse un asilo, in luogo dalle ostili incursioni più validamente guardato. Tal progetto d'abbandonare il soggiorno della terra nativa, che Falco era venuto raffigurando la notte come una dolorosa e necessaria risoluzione, gli si riofferse il mattino sotto più evidente e meno spiacevole aspetto, alloraquando trovossi sulla via del Castello con Gabriele. Mirava egli i molti edificii di Musso, i tanti altri casamenti contadineschi, e i palazzotti sparsi in que' dintorni, in cui gli abitatori menavano vita sicura sotto l'immediata protezione del Medici che ne era il Signore, e in alcuna di quelle case, andava pensando, poteva rinvenirsi un albergo convenevole a sè, ad Orsola ed a Rina, ove lasciandole, per recarsi ad affrontare rischii e combattimenti, avrebbe conservato l'animo tranquillo sul loro destino, qualunque si fosse stata la sorte che lo attendesse. Dell'esecuzione di tal divisamento, ch'egli fermò tosto in pensiero, ben comprendeva doverne dare contezza al signor Gian Giacomo, senza la cui concessione, un uomo qual egli si era, non avrebbe potuto trovar mai chi quivi l'accogliesse; si fece quindi a tenerne parola a Gabriele, sulla cui cooperazione faceva fondamento, appoggiato a quanto aveva in suo favore operato.
"Si vede, signor Gabriele, gli disse, che questo è il paese dove si battono gli scudi e i cavallotti4, e che qui tutti ne hanno a ribocco: ogni giorno par dì di fiera, tanta è la gente che vi viene a trafficare: i ricchi signori lasciano le altre terre per starsi in questa, sì che a guardarsi dintorno sembra un bosco di case; se Musso va aggrandendosi di tal passo, diventerà tra poco qualche gran città da farne invidia a Como. Qual differenza tra questi bei fabbricati e il mio povero casolare che sta solitario sulla montagna come il nido di un uccello selvatico. Voi il vedeste, e lo potete dire. Ma pure sappiate ch'io non avrei mai avuto desiderio di cangiare quel mio coviglio con alcune di queste abitazioni, e nemmeno col castello d'un re, se non fosse un sospetto che m'è entrato in cuore, che un giorno o l'altro i camicioni rossi5 abbiano a montare la sù, e cogliendovi le mie donne alla sprovvista, trattarle col vitupero con cui adoperano que' cani scellerati contro chiunque dà loro nelle mani. Oh! se s'attentassero salire la montagna quand'io mi stessi sotto il mio tetto! Ne li sentirei venire se avessero il piede di volpe, e appostandoli col mio moschetto, ne manderei più d'uno a rotoloni giù per gli scogli come tronchi di quercie spaccate. Darei poscia io stesso il fuoco al mio casolare, e mi condurrei Orsola e Rina sulle alture dei monti, dove essi cercherebbero indarno d'innoltrarsi d'un passo. Ma temo che abbiasi a battere la selva mentr'io mi son lontano, ed ho per ciò determinato di farle snidare di là per condurle in sicuro".
"Saggiamente tu pensi (rispose Gabriele fatto attentissimo a quel parlare, ed a cui il suono del nome di Rina fe' salire un lampo di rossore sul volto): è dover tuo di provvedere alla loro salvezza, chè nel luogo ove ora si trovano può essere ad ogni istante minacciata: le intraprese e le azioni tue ti fecero sì noto, che è gran meraviglia che i nostri nemici non abbiano per anco fatto prova d'assalirti sulla tua rupe: e certo se accingendovisi prendessero tua moglie o tua figlia, che la Vergine le protegga! sfogherebbero su di esse lo sdegno che nutrono da tanto tempo contro di te. E chi potrebbe colà difenderle? chi accorrere in loro soccorso, per strapparle a quegli inferociti che ne farebbero strazio per farti sentire più crudele e tremenda la loro vendetta? In quella isolata dimora da cui sta con te assente ogni amico tuo, invano spererebbero nella foga del periglio, che da Nesso giungessero armi e braccia in aita? Bene pensasti adunque di mutare soggiorno, ed agevole riuscir ti deve di trovarti un asilo più tranquillo e difeso".
A queste parole, che il giovinetto pronunciò caldamente, Falco, dopo breve silenzio, in cui mostrava star maturando una decisiva risoluzione: "Ho stabilito, replicò, di venirmi a collocare sotto le guardie d'un castello del signor Gian Giacomo, scegliendo stanza con suo acconsentimento o qui a Musso, o là vicino alla rocca di Corenno" e ne additò della mano la torre al di là del lago.
"Non dubitare, o Falco, ripetè Gabriele animato da visibile contento; mio fratello ti accorderà non solo d'abitare in questa sua terra, od ove più t'aggrada, ma ti terrà, se lo vuoi, in una delle sue case, e sarà sempre proteggitore di tua famiglia: potrebbe egli pagarti con minor ricompensa l'avermi salva la vita?"
Così parlando erano pervenuti là dove la strada s'internava come dicemmo fra la muraglia meno alta del Porto, da cui vedevansi sopravanzare le sommità di gran numero d'alberi di nave, dai quali pendevano corde, puleggie e vele attortigliate, e quella dell'ultimo bastione che massiccia e inclinata formava scarpa al Castello, Maestro Tanaglia progredendo verso l'arco detto la Porta di Musso, sotto cui era l'ingresso alla fortezza, si pose alla destra di Gabriele che, come n'era partito, voleva colà rientrare al suo fianco.
Ma noi, pria di procedere accompagnandoli più oltre, crediamo indispensabile il dare ai nostri lettori un'idea, quanto più potremo precisa, di quel Castello che occupa sì luminoso posto nella storia del Lago, desumendola dalle vestigia che tuttora ne rimangono e dalle descrizioni di antichi scrittori che ne poterono raccogliere veritiere notizie.
L'Ericio Puteano, autore d'una Istoria Cisalpina, fece cenno di quel Castello colle seguenti parole: Era una rocca sovra una scabra ertezza posta come a vedetta di tutto il lago, di triplice lorica e di altrettanti castelli provveduta6. E veramente la falda di monte su cui si erigeva quel forte venne da lui a buon diritto chiamata una scabra ertezza a causa della natura del sasso di cui va composta, e di sua alpestre configurazione. Sulla sponda occidentale del lago, da Rezzonico a Musso, le montagne si dirompono scendendo all'acque in valloncelli e pianerotoli coperti d'erbe e di piante; ma poco a settentrione dell'ultimo Borgo si scorge il monte nudo, erto, petroso protendersi lungo il lago per un tratto considerevole. Dall'un lato si stanno con Musso altre picciole terre disseminate pel pendío, dall'altro la montagna s'interna con rapido rivolgimento quasi ad angolo retto ver ponente formando un seno o piuttosto un golfo contornato da verdeggiante pianura, che si stende da Dongo a Gravedona. Questa schiena di monte, che s'appellava ne' passati tempi la Montagna del Castello, ed ora che le mura di esso stanno diroccate al suolo, vien detto il Sasso di Musso, è formata d'una pietra bigia, ruvida, spugnosa, congiunta così come fosse un solo gran masso, su cui allignano pochi sterpi e bronchi radicati nelle screpolature, entro cui le pioggie infiltrano un minuto terriccio. Due vallette tagliano di prospetto la fronte di quel gran sasso, l'una ver Dongo, che nomasi la Val-orba, in fondo alla quale stagnano acque nereggianti; l'altra, la Val-del-merlo, più della prima angusta, ma fruttosa in suo seno d'ulivi. Vicino a quest'ultima, dalla parte di Musso, sovra alcuni rialzi che formano un profilo distinto del monte, s'erigeva il Castello, ossia i varii forti che il componevano: poichè dalla notabile altezza dove trovavasi il maggior fabbricato ch'era la vera rocca, scendevano baluardi, mura e torri non interrotte sino alla strada, chiudendo altre rocche, ed alla strada congiungevansi per mezzo dell'arco, ch'era la Porta di Musso, alle mura del Porto, che s'avanzava co' suoi moli nel lago. Siccome que' forti che formavano il Castello, erano stati in tante riprese da diversi dominatori costruiti, e in epoche disparate ampliati e precinti di bastioni e di vedette, mostravano nelle varie foggie architettoniche di loro torri e finestre, nel colore delle mura l'indole e la distanza delle età di chi gli aveva innalzati, offrendo norma specialmente a distinguere la nazione o il lignaggio de' passati signori negli stemmi e nelle imprese che vi stavano scolpiti ad ornamento.
La parte principale, ch'era la più ampia ed elevata, avevasi recente data, perchè fatta pressochè tutta erigere dall'ultimo suo possessore, il Medici. Ben quattrocento passi s'innalzava dessa dal piano del lago, e formava lo stremo superiore del castello, e tre terrapieni sostenuti da rivellini, scendenti ad uguali distanze come altrettanti scaglioni, su ognun dei quali eravi un forte con torri e bastite, dividevano il rimanente dello spazio; e questi erano le tre loriche o corazze dall'oltremontano Storico accennate. A fianco di essi scendeva un doppio ordine di mura munito di altre torri che li serrava tutti in un sol corpo, e vi si aggiungevano in più luoghi palafitte e steccati. Nella sommità l'ultimo muro della fortezza non avea già a ridosso l'erto pendío della montagna: un profondo taglio di smisurata grandezza, praticato nel vivo masso, ne ve lo disgiungeva a guisa di vasto fossato; e chi dal giogo del monte avesse avuto in animo di calare alla volta del Castello, dopo essere disceso a grave stento per la precipitosa e nuda balza, giuntovi dappresso trovava quell'insuperabile ostacolo del taglio, ove chi fosse stato sì ardito e fortunato da scendervi illeso trovava il fondo ghermito di triboli, punte e lame taglienti, e vedeasi di fronte la rupe inaccessibile, e su quella la muraglia del Castello, da cui scagliavasi per appositi pertugi una grandine di palle e di saette a recare inevitabil morte. Le torri, le mura, i baluardi andavano orlati di merli, e forati da lunghi ordini di feritoie e di balestriere: in molti siti vedevansi le muraglie guarnite di grosse pietre tagliate a tetragoni, ov'era il posto delle artiglierie, poichè fra i castelli italiani fu l'uno de' primi quel di Musso ad aversi ne' suoi valli costrutte le ballatoie per le colubrine e le bombarde. Sopra una torre d'ogni forte stava inalberata una bandiera coll'armi del Castellano, e sull'alto della torre più elevata di tutto il Castello sventolava il grande stendardo Mediceo che portava per insegna tre palle d'oro in campo rosso.
4
Così chiamavansi alcune monete di vario valore su cui era impresso un cavallo portante un guerriero, che venivano nella zecca di Musso in que' tempi coniate.
5
Venivano per ischerno disegnati in tal modo i soldati Ducali, perchè portavano sull'armatura una sopravveste di quel colore. -Misaglia.
6
Arx in verrucosa crepidine velut universi lacus specula erat… triplice lorica totidemque castellis munita.