Читать книгу Osservazioni sullo stato attuale dell'Italia e sul suo avvenire - Belgioioso Cristina - Страница 3
CAPITOLO SECONDO
INFLUENZA DEL PASSATO
ОглавлениеPressochè tutti gli Stati, e tutte le nazioni europee camminarono sopra linee parallele, e durante un numero quasi identico di secoli, dalla barbarie cioè dei bassi tempi alla odierna civiltà. – Alcune camminarono con più celere passo di altre, aiutate o dalla propria loro indole, o da circostanze favorevoli, alcune rimasero e tuttora rimangono qualche poco addietro: ma tutte hanno la faccia volta verso la stessa meta; tutte incontrarono ostacoli pressochè identici e della medesima natura, li combatterono con armi simili, e ne trionfarono in modo più o meno completo, a prezzo di maggiori o minori sacrifizi. Quelle nazioni o quelli Stati, che ancora non raggiunsero il punto in cui trovasi il più gran numero delle nazioni e degli stati di Europa, sono però assicurate di raggiungerlo esse pure in breve, seguendo i passi delle prime, cioè delle più celeri. Le tappe sono per così dire segnate dalla storia, che ne addita come i popoli si aggrupparono componendo gli Stati, e tendendo per prima cosa ad ingrandirsi a dispendio dei vicini; i piccoli gruppi, essendo come stati assorbiti e trangugiati dai maggiori, scomparvero dalla scena, e come i capi delle nazioni deposero di quando in quando la spada per assestare i loro possessi ed afforzare la loro autorità. Tutti ebbero a combattere il medesimo avversario, il feudalismo. – Quei potenti baroni dell'età media, che avevano aiutato uno dei loro ad accumulare armati e ricchezze sufficienti per mantenersi al di sopra delle altre picciole nazioni, o per incorporarsele, diventarono ben presto rivali del capo da essi scelto e creato. – Allora cominciò la interna lotta delle monarchie contro i feudatarii, lotta lunghissima e tremenda, nella quale le monarchie trionfarono mediante l'abuso della forza unita alla perfidia e alla crudeltà, e di cui, se non tutte, buon numero almeno delle Case regnanti di Europa, porta la pena, nella diffidenza e nella secreta avversione che la loro autorità, e qualche volta il solo nome di Re desta nei popoli che loro obbediscono.
L'Italia sola ha tenuto altre vie; l'Italia sola ha una storia tutta propria. – Mentre le altre nazioni europee, formate di elementi barbarici e di pochi avanzi degli antichi popoli soggetti dell'Impero Romano, muovevano i primi passi verso la civiltà, l'Italia, già signora del mondo allora conosciuto, decadeva e deperiva. – Culla di quel popolo straordinario, che si era fatto una civiltà anzi tempo e prematura, ma grande e bella, l'Italia fu sempre una eccezione nella storia. – Essa non ha mai nè dimenticata nè intieramente abbandonata la romana civiltà; anzi ne serba tuttora quei brani che non contrastano al cristianesimo e alle moderne nozioni del diritto e della morale.
Le arti e le scienze, che le nazioni barbare versate dal Nord e dall'Oriente sulla intera Europa ignoravano assolutamente, furono sempre onorate e coltivate dagli Italiani. – I popoli della nostra penisola non caddero mai in quel profondo abisso d'ignoranza e di servitù necessario alla formazione di un potere assoluto ed iniquo nell'esercizio suo, ma che solo poteva farsi rispettare ed obbedire dalle orde germaniche, elemento predominante delle moderne nazioni. – Agli Italiani mancò la barbarie e le sue sfrenatezze, ma loro fecero difetto altresì la cieca obbedienza a capi avveduti ed ambiziosi, la brutale energia degli odi e della rapacità, la ignoranza dei propri diritti, tutte quelle passioni e quei vizi insomma che la Provvidenza volgeva ad uno scopo benefico, e di cui oggi vediamo e conosciamo i definitivi risultati.
Mentre le nazioni europee si sdegnavano e spogliavano di tutto ciò che non era virtù guerriera, e guerriere come erano divenute, tremavano sotto il giogo dei loro capi, più esperti, più accorti, più crudeli e snaturati delle nazioni stesse; gli Italiani, superbi della loro civiltà e della loro supremazia intellettuale e civile, guardavano ai barbari con disprezzo, e credevano annichilarli con beffe e motteggi.
Più tardi, quando impararono a temerli, impararono altresì a volgerli ai loro fini; e il sentimento nazionale, ai nostri dì sì possente, non essendo ancora svegliato, accadde che gli abitanti di una città italiana invocarono le armi dei nuovi popoli europei, per castigare un'altra delle città italiane, o per trarne vendetta, o per ridurla a non potersi sostenere da sè. – Quella civiltà così generalmente sparsa ed egualmente ripartita in tutta la nostra penisola, e in tutte le classi de' suoi abitanti, si oppose sino da quei primi tempi all'ingrandimento di una parte di esse a prezzo della indipendenza delle altre parti; ed appena un cittadino predominava nella città sua e minacciava le città rivali, queste si riunivano per debellare l'ambizioso; e se a ciò non bastavano da sole, chiamavano le nazioni guerriere dal di là delle Alpi, adescandole con promesse di ricca paga o speranze di bottino e di accresciuto potere. – Il feudalismo stesso, che ebbe sulle prime una così gran parte nella formazione della nuova società politica dell'Europa, non potè svilupparsi in Italia fra quelle numerosissime città, che assorbivano ogni prosperità ed ogni operosità popolare, e riducevano ad inferiori condizioni i comuni rurali, vera e natural sede del potere feudale.
Le campagne italiane ebbero sempre poca parte nella vita politica, e quei signori stessi che dominarono in alcune città, e che corrispondono fra noi ai feudatari del Nord, erano cittadini, vivevano nelle città, dovevano assicurarsi il favore de' loro concittadini; e se fallivano in ciò, erano quasi sempre rovesciati e distrutti, i loro beni confiscati, e le loro famiglie e i loro aderenti mandati in esilio.
Dalla dissoluzione dell'Impero d'Occidente sino ai giorni nostri l'Italia tenne sempre le stesse vie, e non ebbe mai pace. – I suoi popoli vissero costantemente stimolati ed accecati da passioni cupide o ambiziose, rivaleggiando fra di essi, e vendendo la propria indipendenza a chi distruggeva quella dei loro vicini. – L'Italia possedeva ricchezze, energia, operosità, intelligenza, genio per le arti e le scienze, monumenti, biblioteche, cognizioni, tesori insomma, quanto e forse più che il rimanente dell'Europa presa in massa a quei tempi. – Ciò di che difettava l'Italia, non era solo l'elemento di barbara vigorìa, ma lo spazio. – Gli Stati, che in essa si formavano, non potevano svilupparsi ed estendersi a seconda dei loro bisogni; perchè a poche miglia del centro loro incontravano altri Stati, altre popolazioni egualmente ambiziose, egualmente operose ed intelligenti, spinte dalle stesse passioni e dagli stessi interessi, che disponevano dei mezzi medesimi, contro le quali si accendevano d'ira. – Tali infausti e ripetuti o, per dir meglio, perenni scontri e contatti, erano la cosa più opposta alla formazione e allo sviluppo di quel naturale istinto di nazionalità, che sì di buon'ora animò e fra di esse strinse le popolazioni provenienti da un tronco comune, ricoverate sotto il medesimo capo; e sebbene non distruggessero quell'altro sentimento ch'è l'amor di patria, e che si compone di tanti diversi elementi, lo falsavano, e lo diminuivano, riducendolo a ciò che ora chiamasi patriotismo di campanile, o municipalismo.
Queste disgraziate tendenze furono da noi seguite sino al principio del presente secolo. – Il popolo italiano, dotato d'intelligenza così pronta e così estesa, attraversò l'età di mezzo e l'êra moderna, senza comprendere ciò che accadeva in ogni dove, e senza scoprire il motivo delle proprie sventure. – Maestro della intiera Europa in tutto ciò che si riferisce alle arti ed alle scienze, esso era rimasto ingolfato nella più profonda ignoranza di tutto ciò che compone la scienza politica. – Il carattere italiano aveva subíto poche modificazioni. – In esso si ritrovava tuttora, nei primi anni del secolo decimottavo, quella pigrizia effeminata ch'è propria delle classi privilegiate, e di quelle nazioni che si sono innalzate al dominio delle altre, non colla sola violenza, ma con l'aiuto di una superiore civiltà.
I mirabili fatti dei Romani e del Romano Impero non erano da noi dimenticati, e li opponevamo con alterigia ai fatti moderni delle altre nazioni. – L'orgoglio umano è sempre destro nell'accomodarsi agli istinti ed alle circostanze di chi lo nutre e ad esso si appoggia. – Avvezzi da tanti secoli ad affidare alle altre nazioni tutta quella parte dei nostri interessi che richiedeva energia guerriera e materiale operosità, avevamo serbato il vecchio abito di considerare i fasti militari e la forza materiale come cose troppo basse e grossolane per noi, ed andavamo illudendoci col supporre che gli armati, da noi chiamati a vincere i nostri nemici, fossero tuttora le squadre mercenarie dei condottieri che ne servivano mediante rimunerazione pecuniaria, e di cui disponevamo a nostro capriccio, e secondo ne dettava la nostra avvedutezza e il nostro superiore ingegno. Gli effetti di una troppo prolungata civiltà pesavano sopra di noi. La giovine vigoría delle nazioni germaniche non ci aveva rinnovata la tempra qualche poco sdruscita. – Verso il finire dello scorso secolo, la coltura italiana abbondava nelle classi superiori della società, ma la qualità di essa non ne eguagliava la quantità. Le arti e le lettere non brillavano nè per originalità, nè per profondità o gravità. Si credeva supplire a questi esausti pregi coll'imitazione degli stranieri, e con puerilità. – La fede religiosa aveva subíto molti assalti, e non li aveva sostenuti degnamente, almeno fra la gente colta. – Ma la superstizione popolare nulla aveva deposto della sua intrinseca fierezza, nè della proverbiale sua cecità. – Insomma gli effetti di tanti secoli, vissuti senza che gli Italiani si proponessero un oggetto degno dell'operosità e dei sacrifizi di una nazione, cominciavano ad essere sentiti dagli Italiani stessi, che si erano insensibilmente ridotti ad occupare una situazione inferiore fra le nazioni dell'Europa, e questa situazione andava sempre più declinando. – Il legame che stringeva assieme gli abitanti di uno Stato e li costituiva in nazioni non era mai stato stretto da noi. – I Veneziani vedevano nei Genovesi i loro più fieri nemici e i loro più intollerabili rivali. – I Lombardi temevano la rapacità dei Savoiardi e Piemontesi; ed il famoso detto dell'articiocco li spingeva a cercare ora nel Tedesco ed ora nel Francese un difensore contro il temuto conquistatore. – La piccola Toscana, lungamente spezzata in tanti Stati quante erano le sue città, non aveva cominciato a fondersi in uno Stato solo se non dopo l'installazione di un arciduca austriaco come suo sovrano. – Il papa aveva in ogni tempo dato agli Italiani il letale esempio di chiamare lo straniero a sostenere le sue pretensioni e a difenderlo dai signori romagnuoli. – Il regno di Napoli, invaso dai Normanni e dagli Angiovini, non aveva mai conosciuto indipendenze, e non sapeva ancora di far parte d'Italia. – La Sicilia, greca sulle prime poi saracena, aveva avuto una monarchia normanna separata dalla napoletana, ed adottava le memorie di quell'epoca come monumenti della propria indipendenza, ribellandosi costantemente contro la nuova Corte borbonica che imperava a Napoli. – Le abitudini e le virtù guerriere non erano mai state nè onorate nè seguite in Italia; e a poco a poco la molle influenza del nostro clima aggiungendosi alla effeminatezza che naturalmente risulta dal viver sempre negli agi, negli ozii, nel lusso, e lunge da ogni pericolo, la società italiana era diventata oggetto di sarcasmi e di motteggi per gli stranieri, e per quei pochi virili ingegni che di quando in quando sorgevano ancora fra noi. – Le gare letterarie e gli intrighi domestici, che sono i frutti della scostumatezza e della immoralità, simulavano tuttora in noi come un fantasma di energia, e davano alcune scintille di passione. Ma l'osservatore avveduto, che avesse percorso l'Italia nella seconda metà del secolo decimottavo, per conoscere il carattere de' suoi abitanti e prevederne le future sorti, ne avrebbe fatto i più sinistri pronostici. – La società italiana sembrava giunta all'ultimo stadio della decrepitezza; e si poteva crederla destinata a presto scomparire dalla scena delle moderne società, abbandonando il ferace suolo e i tesori dei monumenti e delle memorie storiche, accumulati da tanti secoli, alle nazioni conquistatrici e vigorose che la circondavano. – Il nome d'Italiano sarebbe diventato pei posteri ciò che sono per noi i nomi dei Celti, degli Etruschi, degli Armeni, e di tanti popoli un dì forti e civili, ma che non seppero rinnovarsi e rattemprarsi, accettando le nuove circostanze che richiedevano nuove doti e nuove facoltà.
A tal punto trovavasi l'Italia quando le prime idee di libertà civile e politica spuntarono in Europa. Gli abusi del potere assoluto, e gli eccessi delle aristocrazie, che persistevano a trattare i cittadini ed i villici come i feudatarii dell'età media avevano trattato i servi della gleba, vantando impudentemente gli stessi diritti e la stessa superiorità di natura, avevano, col lungo andare del tempo e il costante ripetere delle offese, acceso nel cuore delle classi oppresse un profondo ed indomabile sdegno. – I cittadini ed i popoli delle campagne non possedevano diritti confessati e riconosciuti nè dalla legge nè dall'aristocrazia. – La coltura di alcune arti ed industrie avevano sparso nei cittadini un certo grado di civiltà, che più non tollerava un trattamento adattato soltanto alle nature brutali ed incolte degli antichi servi. La riforma religiosa, già da qualche tempo vittoriosa in Germania, in Inghilterra e nella Svizzera, aveva combattuto e trionfato della ignoranza dei popolani, e sosteneva la santità dei loro diritti, promettendo ad essi una completa vittoria sui loro tiranni. – In Francia, la terra delle novità, la riforma religiosa non aveva goduto che di un momentaneo favore, e la mano pesante, spietata e mal destra di Luigi XIV aveva schiacciato i novatori, e condannate le loro dottrine. – Questo re, che fu chiamato grande perchè il suo regno durò lungamente, credeva di acquistare la divina indulgenza alla sua scostumatezza, vendicando il Signore delle pretese offese che gli facevano i riformisti, e costringendoli, coi supplizi e le torture, a fingere delle credenze che ad essi ripugnavano. – Ma quando la luce ha penetrato nelle menti umane, non v'ha nè forza nè violenza che valga a spegnerla. – La Francia sembrava tranquilla e sommessa; ma quella non fu che una breve tregua, e la resistenza, che si credeva soffocata per sempre, ricomparve a suo tempo e fu invincibile.