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DISCORSO III

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Della scienza della guerra nel medio evo e delle sue relazioni con le altre scienze e con lo stato sociale.

Il medio evo, considerato come un'èra di distruzione e di rinnovazione, è una delle epoche piú importanti dell'istoria dell'umanitá.

In effetto quale spettacolo piú atto a risvegliar la meditazione che la distruzione successiva dell'antico mondo? La quale vedesi compiere per lo spazio di piú secoli nelle leggi del pari che nei costumi, sí nelle istituzioni come nelle credenze, tanto nelle idee quanto nelle passioni; e scorgiamo poi questi elementi scomposti dell'antico ordine fondersi coi nuovi e preparare un sistema di progressiva civiltá che fa l'orgoglio della presente Europa e ch'è la piú bella pagina degli annali della specie umana.

Un punto di veduta sí elevato sfuggí alla sagacitá dei filosofi del secolo scorso, i quali non considerarono questo istorico periodo se non come quello nel quale il mondo classico antico era scomparso, dando luogo ad una vasta colonizzazione di barbari, che avevano col loro dominio fatto retrocedere lo scibile umano in tutte le sue diramazioni. Nel nostro secolo al contrario i sapienti deplorando tutto ciò che si distruggeva dal quinto all'undecimo, hanno veduto da questo al decimoquinto una serie di progressi importanti, che menavano ad un sistema di civiltá superiore a quello degli antichi, piú in armonia con le leggi di un vasto perfezionamento sociale comune a tutti gli uomini ed in conseguenza piú compiuto e piú solido.

Stabilita una volta questa partizione del medio evo in due periodi, uno che tendeva a scomporre l'antico ordine che reggeva l'Europa sotto la dominazione romana, l'altro che intendeva a creare il nuovo sotto il quale l'Europa è ordinata oggidí, crediamo importante esaminare qual sia stata la sorte dell'arte militare in questi due periodi; ricerca che può servire a verificare lo stato delle scienze e della societá in quella epoca, per le relazioni costanti e moltiplici tra l'una e le altre.

Le tre quistioni nella soluzione delle quali crediamo poter trovare di che raggiugner l'oggetto che ci proponemmo, sono:

Determinare qual fu lo stato dell'arte militare dal quinto all'undecimo secolo, considerandolo negli uomini, nelle armi e negli ordini.

Determinare quale fu il suo stato sotto lo stesso aspetto dall'undecimo secolo fino alla scoperta della polvere da sparo.

Determinare i legami dello stato delle scienze e della societá con lo stato dell'arte militare in questi due periodi.

Nel primo periodo indicato noi esporremo succintamente lo stato dell'arte militare presso le nazioni piú nominate a quel tempo, che si riducono ai greci, ai saraceni ed ai barbari, e particolarmente ai franchi, per la parte che hanno avuto sotto la seconda razza negli affari principali di Europa.

L'impero greco che conservava le forme e le tradizioni della civiltá greca e romana, non ne perfezionava i metodi, perché gliene mancava lo spirito in letteratura, in legislazione ed in filosofia, e però se ne rimaneva alle nude forme. Cosí fu nell'arte militare, languida imitazione dell'infanteria delle legioni; la greca non aveva che un ordine misto, preso dalla falange e dalla legione, che non produceva nessuno dei grandi effetti delle due ordinanze, l'una fondata sul suo peso e l'altra sulla sua flessibilitá. Il decadimento degli uomini scorgesi dalla difficoltá di conservare le armi difensive, e dallo stato in cui era la cavalleria che non poteva uguagliar quella dei persiani e dei barbari, e dal numero delle macchine che dovevano supplire al vigore delle truppe. I fuochi greci furono il solo spediente contro il valore dei saraceni e dei franchi.

Dalla natura degli uomini, degli ordini e delle armi dei greci può dedursi lo stato di una societá della quale un illustre storico ha detto che «i greci, contenti al minuto commercio ed alle manifatture le quali non dimandano l'uso di alcuna facultá, si abbandonavano fuori di queste due professioni ad una infingarda mollezza»; per cui — soggiunge l'autore — quantunque conservassero tutte le cognizioni pratiche della civiltá, nondimeno perché privi della vita la quale solo le anima, non potevano resistere a popoli ad essi inferiori in ricchezza, in potenza, in scienza ed in arte militare. Possiamo quindi conchiudere che quanto abbiam detto nel precedente discorso sull'impero romano nel suo periodo di decadimento è applicabile al basso impero nella sua lunga epoca d'ingloriosa carriera.

I saraceni offrono uno spettacolo opposto a quello de' greci, mentre la loro maggior possa stava nel vigor fisico, nell'entusiasmo degli uomini, nella loro individuale destrezza a maneggiare le armi da getto e da ferir dappresso e nella facilitá con la quale guidavano i loro cavalli. La parte piú debole erano gli ordini che, secondo gl'istorici contemporanei, possono ridursi per le battaglie ad un parallelogrammo di due linee profonde e solide, l'una d'arcieri e l'altra di cavalieri, che dovevano dar preludio e fine al combattimento, adoperando successivamente la prima e poi la seconda linea. Inferiori ai greci rispetto agli ordini ed al meccanismo, superiori come individui, erano vani i loro assalti, non avendo di che riordinarsi e ritornare alla mischia. In tutto ciò che riguardava la guerra di assedio e le macchine corrispondenti erano inferiori ai greci pel loro stato di civiltá: avevano però il merito d'imitare con sagacitá ciò che non potevano creare per princípi.

I franchi come rappresentanti principali dei popoli barbari formavano una societá tutta guerriera, il cui viver civile era subordinato allo scopo militare: da ciò risultava che gli uomini erano di una rara intrepidezza ed erano spinti alla guerra dalla inclinazione e dall'abitudine. Le loro armi essendo ridotte alla «francisca», ad una lunga spada e ad un pesante scudo, e non venendo perciò conceduto loro l'uso delle picche e delle armi da getto, non potevano combattere né alla spicciolata né in massa, e però lor mancavano tutti i vantaggi di un ordine tattico; difetto che bilanciava il poter superiore delle individuali qualitá. Forniti appena di cavalleria, era questa un'altra inferioritá per le battaglie e pei loro risultamenti. La mancanza di macchine d'assedio si rileva da questo stato imperfetto dell'arte militare come sua natural conseguenza. Tra i barbari i goti erano i piú avanzati in ordinamento militare. Le loro armi erano piú compiute, i loro ordini piú regolari e la parte che riguardava le macchine piú fornita; e ciò provava il loro stato di civiltá inoltrata. I vandali, i borgognoni ed i longobardi occupavano un posto intermedio nella scala dell'incivilimento relativo. Tra i franchi ed i goti, gli uni i piú rozzi e gli altri i piú inciviliti tra i barbari, si osserva la stessa proporzione nell'arte militare. Gli unni che non ebbero certa sede nel mezzo dell'Europa ma vi fecero soltanto incursioni, differivano nel combattere a cavallo dagli altri barbari, come facemmo osservare.

Da questo breve cenno sullo stato della scienza bellica nel periodo che abbiamo additato si deduce facilmente che l'arte militare seguiva la decadenza rapida ed universale di tutte le scienze e di tutte le istituzioni che costituivano la civiltá dell'antico mondo, e che in conseguenza né le grandi combinazioni della guerra né i gran capitani potevano sorgere per mancanza di tutt'i mezzi ausiliari, che abbiamo mostrati nei nostri precedenti discorsi essere indispensabili condizioni. La societá romana, dominata da' suoi invasori, era da essi per l'interesse della loro conservazione allontanata dall'uso delle armi, le quali non poteva impugnare per difendere un ordine di cose tutto a suo svantaggio: circostanza che concentrando in una sola classe l'esercizio delle armi, faceva presagire che ogni rilassatezza nell'ordinamento di questo dovea produrre necessariamente la debolezza. Questi effetti furono prodotti presso i barbari piú segnatamente dopo la rovina dell'impero goto in Italia e piú compiutamente dopo la morte di Carlo Magno, il quale fece sostituire il principio feudale alla unitá amministrativa che quel grand'uomo si era sforzato di stabilire nel suo governo. I greci dopo le vittorie di Belisario e di Narsete, che chiusero la gloria delle legioni romane non ostante i vizi che vi si erano introdotti, perdettero per la loro decadenza morale ed intellettuale tutti i vantaggi che dovevano al meccanismo, alle pratiche ed alle tradizioni ereditate dalla potenza da cui traevano l'origine. È un curioso fenomeno il vedere coincidere cronologicamente l'ultime vittorie di Giustiniano con l'abolizione da questo principe decretata delle scuole d'Atene. Gli arabi trovarono nei loro prosperi successi, nell'estensione smisurata delle loro conquiste e nella loro imperfetta civiltá che non si prestava al progresso costante, quella decadenza militare che abbiamo segnalata nelle barbare nazioni e nel basso impero, ma che procedette fra loro con piú lentezza. Per la quale conservarono prima superioritá, poi eguaglianza con gli europei, finché la civiltá progressiva di questi ultimi non decise la loro superioritá.

Ci resta ora ad esaminare nel secondo periodo l'istesso andamento, additarne i princípi e le conseguenze, segnalandone le cause, gli effetti e la loro correlazione.

Il secondo periodo che ci facciamo ad esaminare offre due epoche diverse che debbono essere segnalate pe' tratti caratteristici che presentano. La prima si rannoda al periodo antecedente e corrisponde alla formazione del governo feudale; la seconda al suo insensibile decadimento e alla lenta formazione dell'unitá nazionale e di un governo centrale. Che cosa poteva essere l'esercito ove non vi era Stato? Che cosa erano gli uomini, le armi e gli ordini in una federazione imperfetta di dominatori che vivevano ed esercitavano tutti i dritti dell'individuale sovranitá sulle loro possessioni? Tali sono le prime e piú naturali quistioni che si presentano in questa epoca, in cui la societá pare disciogliersi nei suoi ultimi elementi per ricomporsi indi con essi sotto altra forma. È ben semplice rispondere che in questa epoca tutta d'individualitá l'arte doveva finire, perché essa suppone una aggregazione d'individui ordinata ad uno scopo, ed il ben indirizzarvela è il suo fine. Non vi resta dunque altro che gli uomini. Or la societá allora si componeva dei dominatori e de' loro vassalli. Fra le armi sceglievansi quelle che si confacevano col comodo e con la sicurezza; per cui cavalli ed armi difensive. Ordini non ci potevano essere e si trasformavano nell'individuale destrezza, come si vede dagli esercizi militari, immagine della guerra. Essi erano ridotti alle giostre, e ciò dimostra che gli scontri altro non potevano essere che una serie di singolari combattimenti, il cui risultamento era il frutto del valore, della destrezza, della bontá delle armi e dei cavalli e non degli ordini. Quindi la distruzione di ogni scienza bellica. Ciò si desume chiaramente in primo luogo dalla composizione dei drappelli che non erano il frutto di un calcolo militare ma bensí delle possessioni territoriali de' baroni, secondariamente dall'assenza di ogni fanteria che costituisce il nerbo degli eserciti, e finalmente dall'inespugnabilitá delle castella, perché mancava ciò che forma il materiale di guerra per gli assedi, il che ne rendeva facile la difesa. È inutile il far osservare che non vi era alcun segno che facesse presumere nulla di trascendente nell'arte della guerra, e che dopo Carlo Magno che teneva e doveva muovere masse riunite, queste dileguaronsi in Europa all'elevazione della terza razza in Francia.

In Ispagna si lottava tra gl'indigeni ed i saraceni, e tale stato di guerra permanente manteneva la necessitá di riunire masse numerose per aggredire o difendere. Perciò non dovea mancare alcuna pratica d'ordini militari; ma la poca conoscenza che abbiamo degli scrittori arabi e la poetica esagerazione degli autori spagnuoli ne' loro racconti non ci ha lasciato di che formarci un'idea del metodo di guerra allora usato. Vi si osserva però che le qualitá individuali costituivano l'eroe, il quale dovea la vittoria non alle sue disposizioni, ma al proprio valore, alle proprie armi, al terrore che metteva il solo suo nome ne' nemici ed alla fiducia che ispirava ne' suoi. Il gran Cid del pari che gli altri eroi contemporanei appalesano questo carattere, e i loro piú caldi panegiristi non notano mai tratto alcuno della loro intelligenza, ma sí bene della loro ferrea volontá.

Nel basso impero si osserva l'istesso sistema che nel periodo antecedente, ma sempre in decadenza, secondo che piú si discostava dalla sua origine e che le forze dell'impero diminuivano con essere ristrette nei loro limiti materiali.

Negli arabi alcun cambiamento positivo non vi era e conservavano tuttavia sui greci i vantaggi che enunciammo.

Le imprese dei normanni eran dovute piú particolarmente alla loro abilitá per mare, tutta di abitudine, di coraggio e di pratica, e per terra a quella superioritá che dovevano avere siccome barbari non ammolliti né sformati dalla conquista e combattenti con nemici sparsi, in vaste terre che occupavano fra popolazioni avverse sí, ma avvilite, le quali non potevano resistere ai nuovi invasori perché non avevan resistito ai primi. E ciò spiega gli straordinari successi dei normanni, che non possono essere attribuiti a nessuna superioritá militare scientificamente considerata.

Resta ad osservare che cosa fosse lo stato dell'arte militare nelle repubbliche italiane, le quali ordinate sotto altra forma avevano resistito a Federico Barbarossa, avevano difeso Milano e Crema con ostinazione e trionfato a Legnano in aperta campagna.

La lega lombarda fu la prima che in quell'epoca presentasse lo spettacolo di una milizia comunale ragunata dal popolo senza distinzione di classi: metodo ch'era il risultamento del suo stato sociale e politico e degl'interessi delle comunitá estese con la lega, la quale offre il simbolo dell'unitá federale e la sua pratica applicazione nell'esercito collegato che pugnò a Legnano. Questa prima riunione di italiani dopo l'invasione de' barbari ci fa ricercare con ansietá che cosa fossero le loro armi e i loro ordini, giacché abbiamo veduto come gli uomini si scegliessero. Gli storici contemporanei dicono che un elmo, uno scudo, con braccialetti e cosciali, erano le armi difensive delle milizie delle cittá lombarde, e le armi offensive una spada larga e tagliente. Solo qualche corpo di alabardieri e di arcieri erano eccezioni e non regola. Quest'armamento non comportava nessun ordine tattico da piegarsi ad ogni variazione della guerra, ma tutta affidava la riuscita al valore individuale, il quale aveva una direzione nel dover difendere il carroccio, che era il mistico e sacro simbolo della vittoria e della patria. Gli eserciti di Federico, al dire degli storici, non differivano dagli eserciti italiani, tanto piú che si osserva che le genti d'arme tedesche non erano né numerose né perfezionate ne' loro metodi come lo furono dipoi. Ed infatti da un illustre storico di quel tempo è attribuito a questo perfezionamento delle genti di arme alemanne la superioritá ch'ebbero sugli abitanti delle cittá italiane; il che con altre cagioni produsse la successiva conquista degli italiani o per gli stranieri o pei condottieri, e divennero perciò alcuni di essi signori del luogo, come lo Sforza di Milano.

Le crociate considerate come imprese comuni dell'Europa, mosse da un principio e tendenti ad uno scopo comune, fanno presentire al tempo stesso che il potere sociale si concentrava nelle nazioni, che delle relazioni si stabilivano tra esse e che in conseguenza masse numerose dovevano essere guidate in lontane regioni per compiere l'oggetto che avevasi in mira. Una volta ciò fermato, è importante ricercare se i metodi di guerra si elevarono all'altezza del loro fine, cosí diverso da quello delle piccole guerre locali. Pur nondimeno non vediamo dagli storici contemporanei nessun perfezionamento positivo negli uomini, negli ordini e nelle armi di quegli eserciti. I primi furono scelti non dall'interesse solo dei dominatori feudali, ma dalle pie disposizioni delle classi tutte della societá, in quel tempo comuni a tutti. Ma ciò non impedí che la forza non restasse nella cavalleria, composta dai potenti e dai loro vassalli, la quale conservò le sue armi, e che i drappelli non fossero formati in una scala piú vasta, non secondo un principio razionale, ma della importanza de' capi e delle nazioni; e si vedeva sempre il federalismo feudale predominare in questi eserciti male accozzati.

La fanteria, se tale può chiamarsi una riunione di uomini privi di fortuna e di sostegno, era una massa informe senza regolaritá nelle sue armi né nei suoi ordini, che poca parte aveva nella guerra di campagna e negli assedi e che serviva piú alle fatiche che agli scontri.

La curiositá di sapere il modo come si movevano e sopratutto come vivevano le schiere persiane nella guerra dei medi si rinnova a questo periodo, ma s'ignora egualmente per quali metodi vi si giugnesse. Del resto può concludersi dalle perdite immense che soffrirono i crociati e dall'esame delle loro vittorie e delle loro sconfitte che quelle prime erano dovute all'individuale valore, alla destrezza personale ed all'entusiasmo, e le altre all'ignoranza dei princípi della guerra, alla mancanza di metodo e di disciplina. In effetto tutti gli eroi delle crociate sono celebri per il loro valore, per la loro pietá, e non per la loro intelligenza militare. Goffredo, Riccardo e san Luigi ci mostrano un carattere diverso, ma non sono mai considerati come capitani esperimentati; e ciò ch'è piú da riflettersi si è che all'ultime crociate, cioè quelle di san Luigi, gli errori sono gli stessi che per lo innanzi, e nessun progresso si ottiene per due secoli di guerra e di esperienza, e l'istessa ignoranza di geografia, di topografia e di tattica si scorge nella quinta del pari che nella prima crociata[2]. La guerra di assedio si faceva con le macchine antiche e vi si aggiungeva il sacrifizio della fanteria che poco si stimava. I loro avversari parevano piú nell'arte istruiti, ma può dirsi che non mai lotta piú lunga abbia meno perfezionato direttamente la scienza e la ragione, e che il poter che le crociate ebbero sulla civiltá europea fosse quasi in germe e non operasse che lentamente, ond'è che la guerra andò del pari col resto dello scibile umano. Volendo ricercare l'effetto piú reale che produssero le spedizioni dell'Oriente, pare che sia quello di aver abituata l'Europa alle riunioni di grandi masse, come si vede a Bovines, battaglia dalla quale si scorge che le comuni giá avevano un essere, giacché fornivano un contingente; ma l'uso di esso era di formarsi in ordine circolare e servir di baluardo alle nobili genti d'arme, che ne uscivano per combattere e vi si rifuggivano per riposarsi ed essere in sicuro. Quest'uso di una soldatesca prova secondo noi lo stato della societá, le relazioni tra le classi diverse e la stima in che queste eran tenute, meglio che nol facciano molte dissertazioni. Le guerre degl'inglesi in Francia, le battaglie famose di Creci ed Azincourt dimostrano e l'indisciplinatezza e l'ignoranza dei nobili uomini d'arme, come l'avvilimento e la nullitá della fanteria dei comuni e l'ignoranza dell'arte. Negl'inglesi al contrario i loro arcieri formavano un corpo assai ben composto, perché fornito dai comuni i quali avevano acquistato una grande importanza in quello Stato, e secondo i piú accurati istorici, le vittorie furono dovute a questa superioritá delle milizie comunali inglesi sulle francesi. Gli arcieri genovesi che si vedono essere la miglior fanteria dei francesi dimostrano che il sistema di soldar genti straniere per supplire a quelle qualitá che mancavano alle proprie, era l'effetto della persuasione in cui erasi che le qualitá militari fossero naturali e non acquistate per mezzo d'istituzioni e di metodi, il quale principio esclude quello di un'arte a tutti comune.

I condottieri e le loro bande che presero origine nel corso del decimoquarto secolo mostrano un principio della divisione della fatica applicata all'arte militare, mentre d'altra parte fan supporre un certo progresso nei metodi, incompatibile con l'indisciplinatezza dei nobili e l'avvilimento de' plebei. E però vi doveva essere una classe speciale che vi si dedicasse. Il germe degli eserciti permanenti e del progresso dell'arte sta nella istituzione di tali bande, giacché altro non bisognava che renderle nazionali perché si operasse la trasformazione. Queste compagnie erano composte di uomini che spontaneamente si dedicavano a quel mestiere per cui il gusto di esso suppone le qualitá che non ne vanno mai disgiunte. La mancanza però di amor patrio e di tutti i generosi sentimenti li cangiò in mercenari, inferiori a quelli dell'antichitá per valore e per disciplina; e se si paragonino gli antichi mercenari di Cartagine con le bande del decimoquarto secolo, si vedrá che queste non reggono al confronto. Nelle armi e negli ordini non troviamo progressi positivi, giacché sempre la cavalleria forma il nerbo degli eserciti, e questa totalmente carica di armi difensive ridusse la guerra ad una parodia che muove giustamente a sdegno gli storici. In Italia l'indole nazionale e lo stato di civiltá del paese fecer vedere che la gran guerra avrebbe fatto rapidi progressi se il poco sangue sparso e la venalitá delle bande non avessero rese le battaglie prive di gravi effetti politici; ma Aguto e la scuola italiana di Sforza, Braccio, Piccinino, Del Verme, Carmagnola, Gattamelata, i quali nei loro movimenti si mostrano strategici, riguardar ci fanno come campi d'istruzione queste guerre. Si vede che vi erano grandi capitani i quali non potevano levarsi in fama perché corrotti dal loro mestiere, dalle abitudini che ne risultavano e dalle truppe che comandavano; pur nondimeno è da notarsi la guerra di Gattamelata e Piccinino sul lago di Garda tra i Visconti e Venezia, che sarebbe stata piú celebre se fosse terminata con battaglie pari a quelle di Montechiaro e Castiglione.

In Italia tutto ciò che apparteneva all'architettura militare seguiva i suoi progressi, perché l'architettura civile e l'idraulica erano di molto progredite ed hanno piena questa contrada di monumenti di lusso e di utilitá. La torre di Pisa egualmente che gli argini del Canal bianco attestano lo stato florido di queste arti che dovevano rendere agevole quella parte di esse applicata alla pubblica difesa.

Gli svizzeri ed i boemi nella guerra degli ussiti sotto Ziscka nel decimoquarto secolo, furono i primi a preparare il risorgimento dell'arte militare con ricomporre la fanteria: essi, posti nelle stesse condizioni che i greci coi persiani, ne adottarono (e l'avrebbero inventata) la scelta degli uomini, le picche e l'ordine profondo per opporlo alla cavalleria tedesca, come quelli l'opposero alla persiana. Questo rinnovamento della falange doveva essere ricco di conseguenze militari e venir modificato dalla scoverta della polvere, come nel susseguente discorso faremo conoscere. Ma ricreata la fanteria, il gran passo era fatto, e l'arte non poteva piú retrocedere del pari che piú nol potea la civiltá.

Ci resta ora a determinare rapidamente la correlazione che hanno avuto le vicende dell'arte qui esposte con lo stato delle scienze e della societá, di cui abbiamo indicato i legami.

La societá nel primo periodo dell'epoca, dal quinto all'undecimo secolo, offriva una sterile civiltá nell'impero greco, sostenuta dal nome, dal meccanismo del potere e non dalla passiva ed avvilita indole dei suoi popoli, indifferenti alla sorte politica dello Stato.

L'Occidente era occupato militarmente dai barbari: non vi era altro che il clero il quale conservava vita, vigore ed ordini e cercava convertire i conquistatori che una societá invilita non aveva potuto respingere. L'islamismo sorgeva in questo periodo e minacciava l'Europa delle sue conquiste e delle sue dottrine. Le scienze morali in Oriente si riducevano al sincretismo della scuola di Alessandria, ed il merito di quella etá è riposto nei santi padri, i quali nella doppia lotta che il cristianesimo sosteneva col paganesimo e coll'eresia, spiegarono eloquenza, sapienza e forza d'animo; ma la tendenza all'ascetismo, che doveva nascere dallo spettacolo del mondo e delle sue vicende, dovette privare gli eserciti dei caratteri piú vigorosi, i quali cercarono ne' deserti e nei chiostri di esercitare il coraggio nel martirio. Le scienze esatte decadevano, le naturali erano soperchiate dalla magia e dalla tendenza mistica degli alessandrini a spiegare i fenomeni non con l'analisi de' fatti naturali ma con le cause occulte e fuori di essi. Le arti si risentivano dello stato delle scienze, delle quali sono sempre il lento ma costante riflesso.

Nelle contrade occidentali la decadenza era piú compiuta, il clero meno istruito che nell'Oriente, e le invasioni de' barbari non lasciavano altra disposizione che il terrore o la rassegnazione; il perché l'immaginazione era sbalordita e la ragione inerte. Le scienze esatte e naturali si perdettero intieramente in queste contrade le quali sono oggidí sí colte.

Gli arabi non avevano ancora quel gusto per la coltura intellettuale il quale seguí le loro intraprese e non le precedette.

Nel secondo periodo, dall'ottavo all'undecimo secolo, l'impero greco seguiva lo stesso andamento. Nell'Occidente Carlo Magno fu una meteora improduttiva. Il regime feudale disciogliendo la societá, le tolse tutti quei mezzi d'associazione che solo possono farla progredire. Gli arabi in compenso modificarono le loro inclinazioni e divennero piú umani, piú colti e meno ardenti. Le scienze morali si sostenevano nel basso impero sotto l'aspetto delle controversie religiose, ma lo studio de' classici diveniva sempre piú raro. Nell'Occidente la scolastica prese origine; le scienze esatte e naturali non erano coltivate per le ragioni sopra esposte. In Oriente gli arabi cominciarono a divenire conservatori delle classiche cognizioni e fecero qualche tentativo d'invenzione nelle scienze mentovate.

Nel periodo dall'undecimo al decimoquarto secolo il basso impero piegava al suo fine preceduto da lunga agonia. La societá restava l'istessa. In Occidente coi comuni ed i legisti si enunciavano i nuovi elementi che dovevano cosí potentemente modificare in appresso la societá. In Oriente la razza turcomanna, introdotta tra gli arabi, li spingeva alla decadenza per mezzo dell'ignoranza.

Lo stato delle scienze sempre peggiorando tra i greci che ne conservavano per cosí dire il materiale nelle biblioteche, cominciò a rinvigorire in Occidente, ove la scolastica aguzzava gl'ingegni che i bisogni della societá facevan dirigere verso la coltura delle lettere classiche. E questo movimento dello spirito umano fece sí che le scienze esatte e naturali risorgessero a mano a mano in Italia da un lato ed in Ispagna dall'altro.

Possiamo ora riepilogare il nostro dire, credendo aver risoluto le tre quistioni che ci siamo proposti, ed indicato chiaramente come le vicende dell'arte militare nei due periodi del medio evo hanno corrisposto costantemente allo stato dello scibile e della societá, e come la decomposizione e la ricomposizione di questa sono chiaramente indicate dalla distruzione e dalla lenta ricomposizione di ogni militare ordinamento.

Qui terminiamo questo discorso che abbiamo limitato all'epoca dell'invenzione della polvere da sparo di cui nel seguente faremo parola, e sull'importanza della quale, sotto i vari aspetti in che noi consideriamo l'arte militare, ci giova di poter citare l'opinione dell'illustre sapiente di cui l'Europa deplora la recente perdita. Cosí si esprime il Cuvier nel suo discorso intorno all'influenza delle scienze sullo stato sociale: — «Allorché un buon monaco nell'oscura cella d'un chiostro d'Alemagna arse per la prima volta un misto di zolfo e di salnitro, qual uomo avrebbe potuto predire tutte le grandi cose che andavano a sorgere da quella sua esperienza? Chi gli avrebbe detto che per essa l'arte della guerra sarebbe cangiata, il coraggio sottratto alla superioritá della forza fisica, ristabilita la regia autoritá in Occidente, impedito che mai non potessero i paesi inciviliti esser di nuovo la preda di barbare nazioni e svolta una delle solenni cause della propagazione de' lumi, obbligando ad istruirsi quegli stessi popoli conquistatori che sino allora erano stati presso che da per tutto il flagello dell'istruzione? Eppure tal fu il destino d'uno de' piú semplici composti della chimica».

Della scienza militare

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