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PREFAZIONE

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A QUESTA SECONDA EDIZIONE

Se a questa seconda edizione aggiungiamo una prefazione invece di un avvertimento, come facemmo prima, crediamo necessario dar conto ai nostri lettori delle ragioni che ci hanno ciò consigliato, e dire che cosa in essa ci siamo proposti. La ragione principale che ci ha determinato a mettere una prefazione innanzi al nostro lavoro, deriva particolarmente dai giudizi dei giornali militari stranieri, da alcune opere e da alcune opinioni di celebri personaggi e competenti giudici, i quali ci hanno spinto a modificare, per effettuarlo quando che fosse, il disegno che indicammo nell'avvertimento pubblicato in testa della prima edizione, e che è di dare un piú largo sviluppo al nostro lavoro, trasformandolo in una storia della bellica scienza considerata sotto l'aspetto da noi prescelto. Ancora indicammo quali subbietti meritavano di essere piú svolti e piú completamente posti in luce di quello che erano nei Discorsi. Dicemmo infine che per imprendere questo nuovo lavoro avremmo aspettato la critica per trarne profitto, ed alcun incoraggiamento per istabilire fermamente il nostro proposito. L'indulgenza benevolente con che hanno trattato il nostro lavoro i vari giornali italiani, lo Spettatore francese, il Giornale militare di Prussia, i generali Jomini e Oudinot, lo Zambelli ed altri autori e giornali di cui abbiamo mediate e non dirette notizie, fa che profittando anche delle critiche urbanissime e limitate che ci si sono fatte, ci siamo determinati a continuare il lavoro intrapreso. Ma due metodi ci si offrivano; e in prima quello enunciato nell'avvertimento, cioè di servirci del lavoro fatto per prima bozza e dargli un tale sviluppo che ogni discorso divenisse un libro, e l'opera tutta non un saggio sulla storia della scienza ma la storia della scienza nel suo senso compiuto. Questo modo però di trattare il subbietto ci parve che avesse un difetto essenziale, che sorgeva dall'aspetto sotto cui consideravamo la storia militare. Infatti noi la consideriamo come espressione della societá, e perciò credemmo dover in essa e per essa scovrire le condizioni della societá e lo stato del suo scibile, cioè tutto ciò che il grado di civiltá di un popolo costituisce. Ora niun dubbio vi è che per tesserla come storia sotto questo aspetto, bisognava far conoscere lo stato delle scienze esatte e naturali. Era anche piú necessario di dare alle scienze morali, come la legislazione, l'economia pubblica, la filosofia e la letteratura, uno sviluppo corrispondente alla loro importanza, per la tesi che sosteniamo e per il nesso e le moltiplici relazioni che sono tra esse e la scienza della guerra; perché un esercito è una societá compiuta, meno la famiglia, ond'è piú artificiale e piú difficile ad esser diretta nelle sue operazioni. Per tutto ciò trovammo che non si poteva che indicar solo e non mostrare come queste scienze tutte avevano seguíto quasiché parallelamente le stesse fasi che le militari, e che avevano tutte conferito di spontaneo concerto ad operare tutte quelle successive modificazioni che hanno finito per trasformare la societá antica in quella del medio evo e questa nella moderna. Fatto che per i suoi caratteri, per la costanza del risultamento finale, malgrado le lagune e le apparenti contraddizioni, si mostra come un avvenimento determinato in una piú alta regione, per modo che l'umanitá vi ha operato come istrumento senza aver avuto coscienza del suo fine. Penetrati da questa veritá, che senza sviluppo per le scienze morali poteva essere contraddetto il principio che imprendemmo a svolgere, sentimmo la necessitá di far precedere la composizione della storia, aggiornandola indefinitamente, da una serie di lavori parziali, ma rannodati dal loro scopo finale e dal nesso che in esso vi era, giacché questi offrivano sui vari rami dello scibile e sulle scienze belliche una larga ripruova di quanto nei Discorsi avevamo esposto; e cosí allora, se avevamo tempo, forza e vita, potevamo tesser detta storia condensando tutti questi lavori, oppure lasciarli come materiali a chi con maggior senno e sapere volesse questa impresa condurre a fine. Perciò nel 1836 pubblicammo una Miscellanea, ove riunimmo con una prefazione alcuni nostri discorsi pubblicati nel Progresso sull'economia pubblica e uno sulla filosofia, ch'erano o memorie originali o analisi di opere sorte alla luce, e sette discorsi sulla legislazione considerata sotto lo stesso aspetto che le scienze belliche. Successivamente abbiamo in una serie d'articoli riguardato dallo stesso lato la filosofia e la letteratura, e abbiamo cosí fatto aumento a quelli giá pubblicati sull'economia e sulla legislazione. Indipendentemente da questi lavori nel Progresso, abbiamo dall'anno primo dell'Antologia militare collaborato, e vi abbiamo scritto parecchi articoli che sono stati trattati con eguale indulgenza dai giornali di Francia, di Germania e d'Italia e ch'egualmente avevano per fine principale di servire di sviluppo e dimostrazione alla tesi primitiva e di dare una idea piú compiuta di alcune parti della scienza bellica che prevenimmo dover essere piú estesamente trattate. Esposta la ragione per la quale questa prefazione in testa alla nuova edizione mettiamo, prenderemo ora, per darle tutta l'importanza che si lega al suo titolo, a trattare qualche quistione che mette in luce il nostro lavoro e fa piú che mai conoscere perché questo secondo metodo al primo indicato preferiamo. Ecco appunto ciò che tratteremo prima di far termine e conchiusione a questo discorso preliminare.

La genesi di questo lavoro venne dalla sua utilitá; il subbietto che contiene si riduce a determinare l'origine della guerra come fatto sociale, i suoi effetti nell'ordine generale e le sue relazioni con esso: come si manifestò presso i popoli colti dell'antichitá e nel medio evo, come contribuí a trasformar questo stato nella moderna societá, quale fu l'azione ch'esercitò sullo scibile e sullo stato sociale e quale influenza ebbero questi su di essa, tanto come scienza che come fatto sociale, e come da ciò derivi che può esserne il simbolo e l'espressione.

Cominciato avendo la carriera delle armi nel primo anno del presente secolo, ci sforzammo di comprendere la scienza che al mestiero nostro corrispondeva, e tosto vedemmo che tante piú difficoltá incontravamo quanto piú alto ci innalzavamo nel suo studio, e scorgemmo che non poteva essere ben compresa una scienza nel suo piú ampio significato se non si acquistavano nozioni positive sulle scienze che con essa avevano molteplici relazioni. E poiché la base della guerra è nel suo principale agente ch'è l'uomo, e il suo teatro è il mondo, ne deducemmo che le scienze morali, che riguardano l'uomo nella sua natura e nelle sue manifestazioni e che fornivano le regole per facilitargli il cammino nel mondo, erano quelle che solo potevano dare spiegazione del grande fenomeno che le storiche composizioni e la piú alta parte delle poetiche narravano e rappresentavano. Considerammo egualmente che oltre a questi studi che l'agente riguardano, bisognava conoscere ove operava, cioè il mondo, per potersi calcolare il valore dello spazio, del tempo e dei locali accidenti, ed in ultimo tutte quelle sostanze che contengono gli attributi necessari per divenire propri istrumenti, cioè le armi di cui gli uomini dovevano far uso e tutto ciò che per materiale di guerra è necessario. Da ciò conchiudemmo che le scienze morali, le esatte e le naturali corrispondevano ai principali elementi della guerra, cioè agli uomini, alle armi e agli ordini, con la cognizione degli spazi ove quelli e questi operavano. Ciò fissato, ci sembrò che una scienza la quale aveva sí estese relazioni e che aveva servito di mezzo alle piú grandi trasformazioni sociali ed altre ne aveva impedite, doveva rannodarsi alla destinazione di tutta quanta la umanitá, e che doveva potentemente influire sulla fisionomia che riveste ogni periodo importante della storia delle nazioni. La quantitá degli avvenimenti che si passavano nel tempo, la loro potente azione sulle sorti dei popoli, la rapiditá delle trasformazioni sociali, tutto questo grandioso spettacolo richiamava la nostra attenzione e ci confermava nelle nostre prime idee, le quali per lo spazio di trentacinque anni acquistarono maggior valore cosí per i fatti come per le scientifiche produzioni. Per cui, osservando che l'organizzazione della forza pubblica, le somme che assorbiva, che piú o meno equivalgono ad un terzo della pubblica rendita degli Stati; dippiú che tutte le determinazioni di politica esterna, come trattati di pace, di alleanza e anche di commercio dai quali le guerre potevano derivare, erano tutti fondati sulla forza delle diverse potenze, e che questa si misurava sul suo sistema militare strettamente rannodato al finanziario che lo alimenta; e finalmente che siffatte quistioni erano quelle che naturalmente preoccupavano tutt'i corpi consultivi o deliberanti dei diversi Stati di Europa; ci persuademmo che era anormale che i membri che componevano queste congreghe fossero nel maggior numero estranei alle nozioni delle scienze belliche, e che i militari che vi si trovavano non avessero nozioni in generale dei rapporti della guerra con lo stato sociale. Da ciò deducemmo che le decisioni dovevano sovente risentirsi di questa mancanza di cognizioni e i loro effetti aver grandi e larghe conseguenze sulle sorti delle nazioni. Cosí immaginammo in una serie di brevi discorsi di svelare queste relazioni e metterle a portata di tutti gli uomini che di pubblici affari si occupano, non certo per completare la loro istruzione su questo punto, ma per eccitarli e facilitar loro il mezzo di acquistarla. Lo Spettatore militare di giugno 1835 nell'analizzare il nostro lavoro ha fatto osservare questo aspetto della quistione.

Ora che abbiamo esposto la genesi e il fine del nostro lavoro, ci resta a svolgere gli oggetti che ivi si sono trattati con un po' piú di estensione, come enunciammo. Il primo che ci si fa innanzi tanto nell'ordine de' tempi che in quello delle idee è l'origine della guerra, giacché sembra un atto sí demente quello di accrescere i mezzi di distruzione quando l'umanitá lotta invano contro quelli che sono nella natura, che tale fenomeno non si è potuto che attribuire alla depravazione ed al capriccio dell'umanitá, vale a dire ad una origine derivante da un principio anormale. Perciò noi cercammo dargli una base piú razionale, piú in armonia e in proporzione con i suoi effetti e la sua durata; e trovammo che se era qualche volta istrumento del male, non era l'origine di questo, ma serviva a reprimerlo, come le leggi fanno per ogni societá, e che invece di essere un'anomalia, era un fatto naturale delle condizioni dell'umanitá, e perciò non incompatibile con esse, che anzi dava impulso a certe virtú che l'umana natura rilevavano; che stabilita questa origine, era divenuta scienza ed arte, e perciò era stato mezzo conservatore da render atto a difendersi, ed anche da far soggiogare dalle piccole nazioni incivilite le orde piú numerose de' barbari, e cosí aver conservato ed esteso la civiltá e dimostrato la superioritá della intelligenza che dirige la forza minima sulla massima priva d'intelligenza; che ciò fissato, lo stato sociale e lo scientifico in ogni popolo doveva essere in relazione con la militare organizzazione e risentir dei cangiamenti e modificazioni che essa subiva, e in essa far penetrare quelle modificazioni che accadevano nell'insieme della societá in tutto ciò che la sua civiltá costituiva. Per dar di ciò pruova dovemmo esporre il movimento parallelo della guerra e della societá presso i popoli dell'antichitá, indicare le cagioni della loro decadenza, se era, come si asseriva dai piú, perché erano giunti all'apice della civiltá o se perché erano molto da essa lontani. Dovemmo anche dire come lo scioglimento dell'antica societá nel medio evo e l'oscuritá de' secoli sotto l'aspetto dell'intellettuale coltura fecero sparire la guerra come fatto collettivo regolarmente operato e la sua scienza, ma senza che l'umanitá fosse meno manomessa: pruova positiva che non sono i metodi che producono i mali della guerra, che anzi li raddolciscono regolarizzandoli, ma che i suoi tristi effetti stanno sulla terra e nascono da un piú alto principio, che l'umana volontá può aggravare o scemare ma non distruggere intieramente. Egualmente ci sforzammo di dimostrare per la societá moderna come all'epoca del risorgimento scientifico e letterario e della regolaritá de' governi la guerra riprese forme scientifiche e metodi razionali, come si serví de' progressi dello scibile e gli accelerò con la sua vigorosa azione, come segnò l'èra di tutte le modificazioni che l'ordine politico, il sociale e l'intellettuale subirono, come i primi inciviliti dominarono quelli che ancora non erano, e come in ragione che alla civiltá s'iniziarono, i loro sforzi materiali dall'intelligenza diretti ebbero nella bilancia politica quel peso che prima non avevano.

Fermato il metodo seguito per esporre la nostra tesi, passeremo ad indicare brevemente i lavori sussidiari che prendemmo a svolgere per dimostrare ciò che sembrar poteva una semplice asserzione. Perciò credemmo necessario mostrare, come indicammo, che la legislazione, che dá leggi, regole e limiti alla volontá umana assegnandole un fine nella civile societá, aveva subito le stesse fasi che le scienze belliche nel loro svolgimento, perché la forza pubblica è costituita dalla legislazione ed è destinata a garentirla contro gl'interni nemici ed esterni. Egualmente mostrar volemmo come è l'economia pubblica che fissa i metodi e spiega le leggi con cui l'uomo può e deve con la sua intelligenza e la sua forza ai suoi bisogni far servire gli attributi della materia, e trasformare in mezzi quegli elementi che sono ostacoli per una barbara societá, per farla progredire nella civiltá; e con memorie originali o con analisi di opere che trattavano dell'economia pubblica, dei suoi metodi e delle sue vicende presso i popoli orientali, presso i greci e i romani, nel medio evo e nella moderna societá, cercammo dedurne le relazioni ch'erano tra la scienza che espone i metodi di produrre, consumare e distribuire le ricchezze e quella che deve garentirli contro tutte le opposizioni che può incontrare nel proprio seno o nella rivalitá delle altre nazioni. Cosí ci parvero chiaramente stabilite le relazioni tra la legislazione, l'economia pubblica e le scienze belliche. Mostrammo che tutte avevano tre periodi percorsi: uno spontaneo, uno intuitivo ed un ultimo renduto dimostrativo dalla deduzione che sorgeva dalla sintesi della scienza, quando i suoi elementi erano divenuti noti mercé l'analisi induttiva; e come per ben provar ciò bisognava cercarne la pruova nella storia nel senso piú esteso, cioè tanto in quella dei fatti che in quella delle idee che avevano influito sulle sorti dell'umanitá. Perciò consacrammo all'esame dell'opere letterarie rinomate del tempo, particolarmente nella storia sí civile che letteraria, una serie d'articoli che ci facilitavano questo fine, con far apparire dalle svariate vicende che gli storici avvenimenti offrono, certi risultati costanti, i quali dimostravano che quell'apparente disordine che offre l'urto degl'interessi, delle passioni e delle idee nella loro lotta, erano sottomessi a regole costanti nei loro ultimi risultamenti, quando s'integravano e non differenziavano solo i fatti, e cosí considerati corrispondevano a certe cause finali che presiedono al progressivo svolgimento dell'umanitá, in armonia con i destini che la provvidenza le assegnò compiere sulla terra. Per mostrare l'accordo che ci è tra l'intelletto e la volontá esaminammo qualche ramo parziale di letteratura che si svolge nella societá; e trovammo che nella drammatica letteratura ciò si rendeva piú facile, perché ivi si mostravano le umane passioni nella loro sorgente e nei mezzi che impiegavano per trionfare degli ostacoli che la natura o gli uomini ad esse opponevano, e quali caratteri doveva un uomo rivestire per ispirar la simpatia e l'ammirazione ne' suoi simili. E qui trovammo relazioni tra la lotta che l'uomo è destinato a subire sulla terra (poiché niun dubbio può sorgere che l'uomo sulla terra deve combattere le forze della natura, scovrirne i segreti, opporre ostacoli alle passioni dei suoi simili che vogliono sopraffarlo) e la lotta con le proprie passioni, che tendono sempre a far prevalere le impulsioni dei sensi o i voli dell'immaginazione sulle fredde conchiusioni della ragione, le quali impongono il costante sagrifizio di preferire i propri doveri ai propri desideri. Ebbene, questo quadro ove si mostra compiutamente? Nella guerra e in quella organizzazione preparatoria per poterla con successo fare, ove tutto è prescritto, tutto determinato, ove piú naturali desideri debbono essere repressi, ove le pene e i pericoli che piú all'uomo ripugnano debbono accettarsi ed ove il piú alto sagrifizio deve farsi, cioè l'abnegazione della volontá. Per acquistare una chiara idea di quanto dicemmo, necessario ci sembrò, profittando delle piú scelte produzioni dell'epoca, di ritrarre dal loro esame quasi la scienza prima che dá delle altre ragione e loro assegna il posto nell'ordine dello scibile umano.

La filosofia è questa scienza legislatrice suprema: in essa si condensano e cercano spiegazione tutt'i fatti che dall'intelligenza o dalla volontá sorgono. Trattando dell'uomo, del mondo e di Dio ci eleva alle piú alte questioni sui nostri destini, descrive e circoscrive le nostre forze deducendole dalle nostre facoltá, misura le relazioni della intelligenza con la volontá e della volontá con l'intelligenza, e spiega perché il detto di Bacone è una veritá primitiva «che la scienza è forza e che l'uomo tanto può per quanto sa», giacché è costante che l'uomo è debole in presenza de' fenomeni che non comprende e riprende forza quando in una legge gli ha fatti rientrare. Quali sieno le relazioni della filosofia con le scienze belliche è facile il conoscere, perché altro non sono che quei rapporti naturali che aver deve una scienza superiore con le subordinate. E come la filosofia tratta dell'uomo, del mondo e di Dio, e la guerra ha per agente principale l'uomo, per teatro il mondo ed è un istromento de' misteriosi fini di Dio, ne risulta che queste relazioni vi sono piú complete, perché in un esercito vi è una societá tutta intera con le sue condizioni ed ha un fine a raggiungere.

In fuori di una memoria originale sulla teorica, cercammo su questo ramo dello scibile come negli altri profittare delle pregevoli opere uscite alla luce per isvolgere queste idee e dedurne gli enunciati rapporti, e preferimmo, com'era naturale, quelle che trattavano della storia della scienza e la coordinavano con quella della societá nei diversi periodi, mostrando come nel movimento della intellettuale coltura era stata una determinata disposizione a rinnovare l'influenza della civiltá antica che era stata oscurata dalla dominazione dei popoli del nord nelle contrade occidentali, perché consideravamo questo fatto morale e sociale come il piú importante a notarsi nella storia moderna, che sorgeva con abbattere quella del medio evo negli elementi che dalla conquista sorgevano; e le scienze che trattammo, nelle loro relazioni tutte, a questo fine conducono nel loro svolgimento. Ciò fatto, ci era meno difficile dedurne il nesso che tutte le scienze hanno tra esse e quello che costituiva l'oggetto principale del nostro lavoro. Tutti questi lavori sussidiari sulle scienze morali formano trentanove discorsi, di cui quattordici sono di giá nella Miscellanea pubblicata al 1836 e preceduti da una prefazione per mostrarne il legame.

Cosí credemmo che quanto asserimmo nei nostri Discorsi veniva appoggiato dai nostri lavori sussidiari; e che se in essi si trovava che da qualunque punto si prendeva ad osservare il movimento della societá e dello scibile, questo svelava la loro unitá, ben dicevamo in conseguenza quando stabilimmo che lo stato della scienza militare presso un popolo doveva iniziare all'insieme del suo stato sociale. Il che dir voleva il chiaro signor Cousin quando nella sua lezione nona del Corso del 1828 queste eloquenti parole pronunziava: – «Datemi – egli diceva – lo stato militare di un popolo e il suo modo di far la guerra, ed io m'incarico di rintracciare tutti gli altri elementi della sua storia, poiché tutto a tutto si lega e si risolve nel pensiero come principio e nell'azione come effetto, nella metafisica e nella guerra. Perciò l'organizzazione degli eserciti, la strategia stessa importa alla storia. Voi tutti avete letto Tucidide. Vedete il modo di combattere degli ateniesi e de' lacedemoni. Atene e Sparta vi son tutte intiere».

Questo luogo riportato, che basta al nostro fine e che dá un appoggio autorevole alla nostra tesi, vien confermato da quanto un uomo illustre nella guerra, nella pace e nelle lettere diceva sullo stesso subbietto. Ecco come il generale Foy si esprime nella Guerra della penisola da esso dettata (pagina 259, libro quinto): – «Il genio della distruzione ha le sue sublimi rivelazioni, le quali risvegliano una potenza di pensiero superiore a quella che presiede alla creazione della poesia e della filosofia, e la piú alta parte dell'arte, la strategia, è filantropica nei suoi svolgimenti».

Chiara è la concordanza de' due autori i quali partendo l'uno dalla filosofia e l'altro dalla guerra, giungono ad esporre la stessa veritá, base del nostro lavoro.

Avendo cosí dimostrato il nesso della guerra con le scienze fisiche e morali, dovemmo per il metodo adottato trattare piú particolarmente le quistioni secondarie della guerra e farne apparire le relazioni ed il nesso con le principali; per cui profittammo della militare Antologia, di cui il benemerito redattore fu compiacente a permetterci d'inserire una serie d'articoli che avevano per fine di risolvere alcune quistioni della scienza che importanti ci sembrano e che sono le seguenti:

1. La guerra è una scienza?

2. Si può col solo entusiasmo popolare combattere con successo eserciti regolari?

3. Vi sono dei limiti nella scienza della guerra, nella sua applicazione, che derivano dallo spazio, dal tempo e dagli accidenti locali? questi ostacoli possono dal genio essere sormontati? i metodi possono contribuirvi? i grandi capitani fanno scuola? fino a che punto la loro azione è circoscritta? le guerre fatte ad un popolo barbaro sono sufficienti a stabilir la riputazione di un gran capitano?

4. Che azione esercita la militare amministrazione sulle operazioni belliche? il comando ed il governo di un esercito richieggono identiche o diverse qualitá? dallo stato dell'amministrazione di un esercito può dedursi lo stato di civiltá di un popolo e fino a che punto?

Gli articoli sulle Lezioni di strategia del capitano Sponsilli sí giustamente apprezzate dai conoscitori, e l'analisi del Saggio di fortificazioni del tenente colonnello Uberto, opera pregevole, ci posero al caso di determinare che la guerra era una scienza non esatta ma approssimativa, che rivestiva piú il carattere delle scienze morali che dell'esatte e naturali, perché né la geometria né le sostanze erano esseri liberi ed atti ad operare d'appresso la loro istantanea determinazione, e che facendosi la guerra con gli uomini e per gli uomini, per quanto artificialmente si circoscrivesse la volontá de' piú, questa sovente si mostrava, e sempre nell'alta gerarchia era piena ed intera, e che in conseguenza era speranza vana sottometterla alle regole delle scienze esatte; che se ciò si era potuto fare non completamente ma in un modo piú largo per la guerra d'assedio, era giusto, perché ivi gli elementi materiali accennati avevano una maggiore importanza, e se le previsioni scientifiche di quelle operazioni non si realizzavano pienamente, era sempre l'effetto della influenza delle milizie, cioè degli uomini, che impedivano l'esito calcolato; e questo esempio dimostrava l'impossibilitá di sottomettere la guerra di campagna a risultamenti esatti e preveduti, e che vera restava la massima del grandissimo in guerra, che in essa la parte morale determinava i risultamenti per tre quarte parti.

L'articolo che dettammo sulla Filosofia della guerra dello Chambray e quello sulla Biblioteca storica militare pubblicata dal Souvant e dal Leskine ci servirono a fermare lo stesso enunciato principio, cioè che stabilendo che la guerra come le scienze tutte aveva la sua parte filosofica, bisognava da un tal lato considerarla per iscovrire le sue intime relazioni con le scienze morali, e che perciò rivestiva lo stesso carattere di esse, cioè di essere per loro natura non esatte ma approssimative. E al proposito della scelta collezione storica indicata, cercammo dimostrare che la cognizione delle storie era necessaria agli uffiziali, perché in esse si osserva l'influenza della libera volontá dell'uomo sugli avvenimenti, e che quella dell'antichitá metteva in luce che nelle belliche scienze vi era una parte fissa indipendente dai tempi e dai luoghi.

Risoluta cosí la prima quistione con corrispondente sviluppo, consacrammo diversi articoli a mettere in luce la seconda.

Gli articoli sulla guerra di Spagna dal 1808 al 1814, sulle Memorie del maresciallo Saint-Cyr che trattavano delle campagne del Reno fino al trattato di Campoformio, e sulla corrispondenza del general Washington ci hanno offerti tre teatri diversi e tre guerre celebri, il cui risultamento è stato egualmente favorevole al popolo che si difendeva; perciò bisognava, per cosí dire, decomporre tutti gli elementi di difesa, calcolarne il valore, metterli in equazione con gli estranei ad essi, che erano antico retaggio o accidenti fortuiti i quali hanno facilitato il risultamento, e avendoli cosí ridotti, esaminare qual era stata la parte reale e positiva del successo, e se separato da elementi ad esso estranei e di altra natura, avrebbe l'istesso felice successo avuto la gente che si difendeva.

Per la Spagna trovammo che senza le condizioni di spazio, di suolo, degli antecedenti storici e del carattere nazionale e peculiare, l'alleanza e i soccorsi degl'inglesi, e le guerre che dal nord richiamavano tutta l'attenzione della Francia, e senza che la reazione generale della coalizione non solo di diverse nazioni, ma anche di princípi che affini non erano tra essi, avesse rovesciato l'impero, la nobile perseveranza degli spagnuoli non gli avrebbe preservati dalla sommissione che potevano senza disonore accettare dopo tanti sforzi fatti. Per la Francia mostrammo che le tradizioni militari, lo spirito bellicoso del popolo, la fortificata frontiera, la civiltá sparsa nelle classi che rendeva un uffiziale atto a rimpiazzare anche nei gradi piú elevati, la forte e solida istruzione dei corpi scientifici hanno potuto dar vita e direzione all'entusiasmo da cui le masse erano animate, le quali soccombevano e di panico terrore erano prese quando queste condizioni mancavano; e in ultimo che senza gli errori dei coalizzati politici e militari, sembrava ai piú caldi amatori della patria molto incerta anzi funesta la lotta. Per gli americani considerammo tutt'i vantaggi che ha un paese sí vasto, dove gli accidenti naturali del terreno, come fiumi e monti, sono di una dimensione superiore alle proporzioni degli stessi accidenti in Europa, ove l'esercito nemico doveva essere trasportato e alimentato per mezzo del mare; ciò che circoscrive il numero e rende incerte le operazioni che su di un elemento al calcolo ribelle debbono combinarsi senza poterlo evitare, anche aggiungendo a ciò le difficoltá locali e gli aiuti della Francia e della Spagna e il merito relativo ma incontestato del duce americano. Posti questi elementi a calcolo, ridotto al suo vero valore l'entusiasmo popolare dalla corrispondenza confidenziale ed uffiziale di Washington, dá per le sorti dell'America lo stesso risultamento che per la guerra della Spagna e della Francia, sostenuta contro eserciti potenti ed agguerriti. E non senza ragione ci siamo su questo subbietto fermati, perché abbiamo veduto lagrimevoli effetti, quando si è voluto dedurre da questi tre esempi che indipendentemente da tutti gli altri elementi o di circostanze naturali o fortuite, ogni azione solo con il popolare entusiasmo poteva bilanciare con successo eserciti numerosi, agguerriti e disciplinati; per cui credemmo dovere nei limiti de' nostri mezzi combattere un errore che se aveva fatto del male nel passato, poteva farne anche nel tempo avvenire.

Alla terza quistione ch'è piú comprensiva dedicammo l'articolo sulla Spedizione di Russia dello Chambray, sulle Guerre della rivoluzione dal 1792 al 1815, sulla Guerra della successione di Spagna pubblicata dal general Pelet, sui Grandi capitani, sulle Osservazioni di Napoleone sui commentari di Cesare, sulla Campagna del maresciallo Paskievicht nell'Asia minore e sulle Guerre dei russi contro i turchi del general Valentini.

Noi non esitammo ad asserire che la guerra era limitata dallo spazio, dal tempo, dai mezzi di sussistenza e dal numero delle milizie, poiché il genio stesso nelle sue piú luminose intuizioni non può interamente a suo modo regolare e spingere un grande e complicato esercito, il quale, anche con il perfezionamento de' metodi e la piú artistica classificazione degli uomini e delle cose, supera la forza e l'intelligenza umana; e che quando dei grandi spazi separavano dal campo i luogotenenti, e che non era poco il tempo per far loro pervenire e rettificare i propri ordini, questi restavano giudici supremi nei decisivi momenti, e le ispirazioni del genio dileguavansi in ragione delle distanze che separavano chi le produceva da chi doveva averne l'impulso. Ed appoggiandoci ai fatti sí ben narrati dai due indicati storici, potemmo mostrare che entrata la Francia nella carriera di rilevar sé e il mezzogiorno di Europa e ritornare al tempo anteriore al trattato di Utrecht, la spedizione di Russia era necessaria; che la riuscita era possibile ma non durevole; che cominciava piucché terminava una serie di guerre; e che la rovina era possibile e poteva e doveva divenir estrema, come il fatto ha dimostrato; e finalmente che il quadro delle guerre della rivoluzione è istruttivo oltremodo, giacché si vedono tanta gloria, tanti sagrifizi, tanti sforzi, tanti uomini superiori e il genio piú vasto che l'arte e la scienza conti nella storia far sí che la Francia, che da Filippo Augusto quasi in ogni regno aveva fatto delle riunioni, degli acquisti e conquiste, dopo ventiquattro anni di guerre sia la sola ch'è rientrata nei limiti che aveva un secolo fa, anzi un po' diminuita, al contrario dei suoi nemici che si sono di tutte le rovine da essa fatte impinguati. Eppure queste guerre han potentemente modificato il mondo sotto tutti gli aspetti civili, politici, commerciali e morali; per cui se si vuol misurare geograficamente, sono tristi i risultamenti per la Francia; considerati sotto l'aspetto del cammino della societá, offrono una vasta importanza: ma che non perciò ne soffre la grave veritá che non si può lottare alla lunga con molti, che si trae profitto da' prodigi propri come dagli errori degli avversari, ma che è piú che leggerezza il fondare un sistema su fortuiti ed incerti accidenti che possono e non possono realizzarsi, ma che compromettono la sorte de' popoli e ciò che di piú caro essi hanno. La preziosa corrispondenza della guerra della successione di Spagna pubblicata dal general Pelet e corredata da una dotta introduzione da lui dettata, ha completato questa prima parte della quistione, mostrando che in quell'epoca era fissata la guerra con i suoi elementi e i suoi metodi; che se i risultamenti non erano proporzionati, ciò si doveva alla poca mobilitá degli eserciti, e che questa, ottenuta nel nostro secolo, aveva prodotto quei grandi effetti di cui siamo stati testimoni, e come in quell'epoca la decadenza del mezzogiorno cominciò ad apparire: fatto che si è sviluppato ai dí nostri con l'elevazione progressiva delle potenze del nord, da cui derivati sono gli ultimi trattati che rincarito hanno su quello di Utrecht che questa tendenza aveva segnalato. Per esaminare se i grandi capitani facevano scuola e in che limiti ciò operavano, dettammo l'articolo sui grandi capitani, analizzando le guerre che seguirono la loro morte; e in tutte vedemmo che i metodi non erano sufficienti per menare ad effetto le grandi concezioni, ma il genio ci voleva dell'artista, perché la guerra nella sua pratica applicazione è piú arte che scienza, per cui sfugge al calcolo esatto delle scienze ed ha bisogno dell'ispirazione dell'artista per render fecondi i grandi aiuti e i metodi che la scienza le fornisce.

Naturalmente si presentava un altro lato del complesso problema che volevamo risolvere, cioè di determinare fino a che grado le guerre fatte a popoli ove s'incontrano piú ostacoli nella natura che negli uomini, e piú in questi che nell'intelligenza di chi i loro sforzi dirige, possono far rilevare in un capitano le qualitá trascendenti che lo pongono tra i grandi che la storia registra. Le osservazioni preziose di Napoleone sulle guerre di Cesare, la campagna del maresciallo Paskievicht nell'Asia minore e la relazione del general Valentini delle guerre tra i russi e i turchi in questo secolo ci sembrarono atte a facilitarci lo svolgimento di tale quistione. Le guerre di Cesare ci servirono anche a meglio svolgere e riformare il nostro secondo discorso, ove ci occupammo di esporre in che risiedevano le differenze tra la scienza e l'arte della guerra fra gli antichi e i moderni. Dalle luminose osservazioni che il piú gran capitano dei moderni tempi fa sulle geste del piú celebre dell'antichitá viene sviluppato il carattere di questa diversitá ed i suoi effetti sono determinati nelle belliche operazioni, mostrandosi come ciò che allora era possibile con quegli ordini e quelle armi non sia piú ai nostri dí con egual bravura, e si mette in luce come ciò sia avvenuto e come la perdita della parte vinta era sí disproporzionata a quella che i vincitori soffrivano. Indi passammo ad esaminare da un luogo delle osservazioni se vero era che se Cesare non avesse combattuto altri che i Galli, non si sarebbe potuto giudicare di tutto il suo merito che svolse nelle guerre civili, in cui aveva a fronte eserciti e capitani formati a una stessa scuola. Mostrammo che anche convenendo che certo la riputazione di Cesare sarebbe stata minore, pur nondimeno vi era in quella guerra nella quale ostacoli naturali, difesa ostinata di masse numerose benché mal dirette operavano, di che scorgere quelle qualitá che distinguono un gran capitano, come la forza di carattere, la pronta risoluzione, il vigore della volontá nell'operare, il conservare impero sopra milizie che sono disposte a demoralizzarsi in faccia a pene continue, pericoli oscuri e privazioni costanti; e conchiudemmo che se Napoleone non avesse fatto che la campagna di Egitto, pure poteva desumersi di che quel genio fosse capace in un altro teatro e con piú degni avversari. Questa stessa tesi sostenemmo nell'analizzare le campagne de' russi nell'Asia minore nel ventotto e ventinove del secolo nostro sotto il comando del maresciallo Paskievicht, la cui storia fu dal Fonton narrata; e facemmo a quelle campagne l'applicazione de' principi esposti, conchiudendo che il duce russo aveva dato de' lampi di genio nelle operazioni parziali, come a Milledux e Kneli, che egli non operava né poteva essere classificato con il comune de' generali che ottengono successi contro le orde orientali, nei quali si scorge sovente che essi sono alla superioritá degli ordini dovuti e non al concepimento del capitano; perché integrando quelle operazioni, vedevasi nell'insieme della condotta del duce russo quelle qualitá che avevamo detto costituire un gran capitano.

Senza le qualitá i successi sono poco ricchi di risultamenti e non si mettono pienamente a profitto tutti gli svantaggi che il nemico offre per l'inferioritá della sua organizzazione militare, che deriva dalla sua poco avanzata civiltá come popolo. La storica narrazione del general Valentini ci serví a meglio rifermare e con piú numerosi esempi l'opinione da noi emessa. Cercammo anche scrutare se poteva una nazione livellarsi militarmente a nazioni piú incivilite senza livellarsi prima ad esse nello stato sociale, e credemmo che non poteva o che sarebbe presto decaduta, perché da questo non era appoggiata.

In un particolare articolo sull'Amministrazione militare degli eserciti dell'antichitá cercammo esaminare la quarta quistione, e fissammo che il governo dell'esercito non era lo stesso che il comando, che qualitá diverse ci volevano nei due casi, che rari esempi vi erano della loro riunione in una persona, che il piú sovente le disgrazie militari sorgevano da questa disarmonia, che spesso un esercito ben governato era mal comandato e che altre volte accadeva l'inverso, e ciò nuoceva al successo, che l'amministrazione dipendeva dal governo e doveva supplirvi con i suoi metodi per rendere il capo piú libero, che in quello degli antichi non vi era traccia di ospedali militari, fatto che derivava dall'insieme delle loro sociali condizioni, subbietto che sviluppar dovevamo ancora. Tali sono gli oggetti trattati negli articoli nell'Antologia militare inseriti, come quelli che cadevano particolarmente sulla quarta quistione di cui non abbiam trattato che nel generale e sotto un punto solo esaminandola. Questi articoli formeranno un secondo volume di questa seconda edizione dei Discorsi.

Se saremo dal suffragio pubblico incoraggiati potremo poi riprodurre uniti quegli altri che le scienze morali hanno avuto per obbietto, giacché speriamo che da questa prefazione chiaro apparisca il nesso che ad essi li congiunge e che tali lavori possano condurre al fine che ci proponemmo, cioè a dimostrare l'importanza delle belliche scienze e la loro potente influenza in tutti i grandi avvenimenti che mutarono e modificarono la faccia del mondo. E se ciò è accolto, niun dubbio può sorgere che chi prende parte nei pubblici affari e coloro che si limitano a volerli comprendere non debbono essere estranei alle nozioni di quella scienza che crea e conserva gl'imperi.

Della scienza militare

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