Читать книгу Una Ragione per Correre - Блейк Пирс - Страница 15
CAPITOLO NOVE
Оглавление“Cazzo, sì!” ruggì Finley ubriaco. “Hai appena battuto sei membri della Chelsea Death Squad, incluso Juan Desoto? Non ci credo. Non ci credo, cazzo. Dicono che Desoto sia un mostro. Certi non credono neppure che esista.”
“L’ha fatto,” giurò Ramirez. “Ero proprio lì, amico. Ti dico la verità, l’ha fatto. La ragazza è una maestra di kung fu o una cosa così. Avesti dovuto vederla. Veloce come una saetta. Non ho mai visto niente del genere. Dove hai imparato a combattere così?”
“Molto ore in palestra,” spiegò Avery. “Nessuna vita. Niente amici. Solo io, un sacco da boxe, e lacrime e sudore a litri.”
“Mi devi insegnare qualcuna di quelle mosse,” la supplicò lui.
“Anche tu te la sei cavata bene,” disse Avery. “Mi hai salvata due volte, se non ricordo male.”
“È vero, l’ho fatto,” confermò lui facendosi sentire da tutti.
Erano al Joe’s Pub su Canal Street, un bar per poliziotti a pochi isolati di distanza dalla stazione di polizia dell’A1. Al grande tavolo di legno c’erano tutti gli uomini che erano stati nella squadra Omicidi insieme ad Avery: Finley, Ramirez, Thompson e Jones, insieme ad altri due poliziotti di quartiere che erano amici di Finley. Il supervisore della Omicidi, Dylan Connelly, era a un altro tavolo non lontano, a bere insieme ad alcuni uomini che lavoravano nella sua unità. Di tanto in tanto, alzava lo sguardo come per attirare l’attenzione di Avery, ma lei non se ne era accorta.
Thompson era l’uomo più grosso di tutto il bar. Praticamente albino, aveva la pelle estremamente pallida, sottili capelli biondi, labbra carnose e occhi chiari. Il suo sguardo ubriaco si incupì guardando Avery.
“Io potrei batterti,” dichiarò.
“Io potrei batterla,” esclamò Finley. “È una ragazza. Le ragazze non sanno combattere, lo sanno tutti. È stato un caso. Desoto era ammalato e i suoi uomini sono rimasti improvvisamente accecati dalle sue grazie femminili. Non è possibile che li abbia battuti ad armi pari. Impossibile.”
Jones, un giamaicano snello e con qualche anno in più degli altri, si chinò in avanti molto interessato.
“Come hai battuto Desoto?” domandò. “Sul serio. Niente cazzate sulla palestra. Anche io vado in palestra e guardami. Non metto su neanche un etto.”
“Sono stata fortunata,” disse Avery.
“Sì, ma come?” voleva davvero sapere.
“Jujitsu,” spiegò lei. “Un tempo correvo, quando facevo l’avvocato, ma dopo tutto lo scandalo, fare jogging per la città non è stata più una buona idea. Mi sono iscritta a un corso di jujitsu e ci ho passato ore e ore. Credo che stessi cercando di purificare la mia anima o qualcosa del genere. Mi piaceva. Molto. Così tanto che l’istruttore mi ha dato le chiavi della palestra e mi ha detto che potevo andarci quando volevo.”
“Jujitsu del cazzo,” disse Finley come se fosse stata una parolaccia. “Non mi serve il karate. Mi basta chiamare i miei ragazzi e loro fanno pop-pop-pop!” gridò, fingendo di sparare con una mitragliatrice. “Fanno saltare tutti per aria!”
Per commemorare l’evento venne ordinato un giro di bevute.
Avery giocò a biliardo, tirò le freccette e alle dieci di sera era completamente sbronza. Era la prima volta che passava veramente del tempo insieme alla sua squadra, e provava un autentico senso di comunità. In un raro momento di vulnerabilità, gettò le braccia attorno al ben più basso Finley, vicino al tavolo da biliardo. “Tu per me sei uno a posto,” dichiarò.
Finley, apparentemente incantato dal suo tocco e dalla presenza vicina a sé di quella dea alta e bionda, rimase senza parole per un momento.
Ramirez era curvo al bar, seduto da solo, dove era stato tutta la serata. Il tragitto fino a lui quasi spedì Avery a faccia in giù sul pavimento. Gli mise le braccia attorno al collo e lo baciò sulla guancia.
“Va meglio così?” chiese.
“Fa male.”
“Aw,” cinguettò lei. “Andiamocene da qui. Ti farò stare meglio.”
“Nah,” borbottò Ramirez.
“Che c’è che non va?”
Ramirez era affranto quando si girò.
“Tu,” rispose. “Sei incredibile in tutto quello che fai. E io cosa sono? A volte mi sembra di essere solo la tua spalla. Lo sai, fino a quando non sei arrivata tu, ero convinto di essere un ottimo poliziotto, ma ogni volta che siamo insieme vedo i miei difetti. Questa mattina… chi altro avrebbe potuto impedire a quel tizio di sparare all’agente? Al molo, chi altro avrebbe potuto vedere quello che hai notato tu? Chi altro avrebbe potuto convincere Desoto a farti entrare nel suo covo per poi batterlo? Sei tanto in gamba, Avery, che mi fai mettere in dubbio il mio valore.”
“Andiamo,” disse Avery e appoggiò la fronte alla sua. “Sei un ottimo poliziotto. Mi hai salvato la vita. Di nuovo. Desoto mi avrebbe spezzato il collo a metà.”
“Lo avrebbe fatto chiunque,” disse lui allontanandosi.
“Sei il poliziotto meglio vestito che conosca,” affermò lei, “e quello più entusiasta, senza contare che mi fai sempre sorridere con il tuo atteggiamento positivo.”
“Davvero?”
“Sì,” insistette lei. “Io mi perdo troppo nei miei pensieri. Rischio di stare a rimuginare per settimane. Tu mi costringi a uscire dal guscio e mi fai sentire una donna.”
Lo baciò sulle labbra.
Ramirez abbassò il capo.
“Grazie,” disse. “Sul serio. Grazie. Significa molto per me. Sto bene. Solo, dammi un minuto, va bene? Lasciami finire il mio drink e riflettere su un paio di cose.”
“Certo,” rispose lei.
Il bar era persino più affollato di quando erano arrivati. Avery scrutò la folla. Thompson e Jones se ne erano andati. Finley stava giocando a biliardo. C’era qualche altro agente che lei riconobbe dall’ufficio, ma nessuno che tenesse particolarmente a incontrare. Due uomini ben vestiti le fecero un cenno e indicarono i drink. Lei scosse la testa.
Le ritornarono alla mente delle immagini: le mani di Desoto attorno al suo collo, e la donna sulla barca con l’ombra inquietante e la stella.
Avery ordinò un altro bicchiere e trovò un tavolo tranquillo in un angolo vicino al fondo. Doveva sembrare pazza agli altri avventori: una donna sola con il volto pesto, le mani sul tavolo attorno a un bicchiere e lo sguardo concentrato sul nulla, mentre dentro di sé passava al setaccio gli eventi del giorno per trovare un collegamento.
Desoto, un vicolo cieco.
I genitori, un vicolo cieco.
Le amiche? Avery si rese conto che a un certo punto avrebbe dovuto contattarle, meglio prima che dopo.
Perché l’assassino ha disegnato una stella?
Pensò all’appartamento dove era avvenuto l’omicidio, ai libri, ai vestiti nel cesto e al tappeto mancante. È grosso, pensò, e forte, ed è sicuramente arrabbiato. Le telecamere sono state rese inutilizzabili, che significa che è cauto. Un addestramento militare? Forse.
Spuntò un’altra casella.
Decisamente un gesto personale, rifletté. Torna indietro nel passato della Venemeer. Scopri chi altro ha lavorato nel negozio, o è uscito con lei a scuola. Compila una lista. Dopo aver fatto la lista, parla di nuovo con i genitori perché possano confermarla.
I pezzi iniziarono a prendere forma, pezzi di un puzzle che doveva ancora completare.
Ramirez era proprio davanti a lei, intento a osservarla.
“Ehi,” disse Avery, coprendosi il volto per l’imbarazzo.
“Guardati un po’.” Lui sorrise a sua volta. “Che cosa stai facendo?”
Le sue guance si tinsero di rosso.
“È così che lavoro,” spiegò lei.
Ramirez le si accomodò di fianco.
“Come?” chiese. “Spiegami.”
“Io… analizzo tutto con la mente,” disse lei. “Tutti i fatti. Tutti i pezzi. Provo a cercare mentalmente i collegamenti. Mi creo un elenco di piste da seguire così da non tralasciare niente. Devo essere meticolosa.”
“Perché?” chiese lui. “Perché sei così brava con queste cose?”