Читать книгу Morte Sui Binari - Блейк Пирс - Страница 12

CAPITOLO SEI

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Jenn Roston era furiosa, mentre seguiva i colleghi, allontanandosi dalla scena del crimine. Arrancava tra gli alberi dietro a Riley e all’Agente Jeffreys, mentre il Vice Capo Cullen faceva strada, diretto verso i veicoli parcheggiati.

“Toro” Cullen, si fa chiamare, ricordò con disprezzo.

Era felice di avere due persone tra lei e l’uomo.

Continuò a pensare …

Ha provato a fare una dimostrazione di soffocamento di sangue a me!

La donna dubitava che lui avesse cercato una scusa per molestarla, non esattamente, comunque. Ma, di certo, stava cercando una possibilità per imporre il controllo fisico su di lei. Era piuttosto negativo il fatto che si sentisse di mostrare la presa del soffocamento di sangue e i suoi effetti su di lei, come se la donna non fosse già a conoscenza della tecnica.

Pensò che fossero stati fortunati, per il fatto che Cullen non avesse davvero messo il braccio intorno al braccio di Riley. Quest’ultima, infatti, avrebbe rischiato di non riuscire a controllarsi. Sebbene l’uomo fosse assurdamente muscoloso, lei avrebbe quasi sicuramente avuto la meglio su di lui. Naturalmente, sarebbe stato piuttosto sconveniente sulla scena di un crimine, e non avrebbe affatto contribuito a promuovere i buoni rapporti tra investigatori. Perciò, Jenn sapeva che era meglio che le cose non fossero sfuggite di mano.

Come se non bastasse, ora Cullen sembrava essere infastidito dal fatto che Jenn e i suoi colleghi non se sarebbero andati via; certo temeva di perdere la gloria per aver risolto il caso.

Che sfortuna, stronzo, Jenn pensò.

Il gruppo emerse dagli alberi ed entrò nel furgone della polizia con Cullen. L’uomo non disse nulla, mentre guidava fino alla stazione di polizia, e anche i suoi compagni dell’FBI erano silenziosi. Lei immaginava che loro, come lei, stavano pensando all’orrenda scena del crimine e al commento di Cullen, in merito ad avere “qualcosa di particolarmente sgradevole di cui occuparsi” alla stazione.

Jenn odiava gli enigmi, forse perché zia Cora si dimostrava spesso così criptica e minacciosa nei suoi tentativi di manipolazione. E odiava anche vivere con la sensazione che qualcosa nel suo passato potesse distruggere la realizzazione del suo sogno presente di diventare agente FBI.

Quando Cullen parcheggiò il furgone di fronte alla stazione di polizia, Jenn e i colleghi uscirono e lo seguirono all’interno. Lì, Cullen li presentò al Capo della Polizia di Barnwell, Lucas Powell, un uomo di mezz’età con un mento pronunciato.

“Venite con me” Powell disse. “Ci sono degli uomini qui. I miei uomini e io non sappiamo come gestire questo genere di situazione.”

Uomini? Jenn si chiese.

E che tipo di “situazione” intendeva?

Il Capo Lucas Powell guidò Jenn, i colleghi e Cullen verso la sala degli interrogatori. All’interno, trovarono due uomini seduti al tavolo, entrambi indossavano dei gilè giallo fosforescente. Uno era alto e snello, più anziano ma di aspetto vigoroso. L’altro invece era quasi della stessa altezza di Jenn, quindi più basso, e probabilmente non molto più grande di lei.

Stavano bevendo delle tazze di caffè e stavano semplicemente guardando il tavolo.

Powell presentò prima l’uomo più anziano, e quello più giovane per secondo.

“Questo è Arlo Stine, il capotreno del treno merci. E questo invece è Everett Boynton, il suo assistente. Quando il treno si è fermato, sono stati loro a tornare indietro e a trovare il corpo.”

I due uomini guardarono a malapena il gruppo.

Jenn deglutì. Senz’altro, dovevano essere terribilmente traumatizzati.

C’era decisamente “qualcosa di piuttosto sgradevole” di cui occuparsi qui.

Interrogare questi uomini non sarebbe stato facile. A peggiorare le cose, era improbabile che sapessero qualcosa che avrebbe potuto guidarli fino al killer.

Jenn restò dietro, mentre Riley si sedette al tavolo con gli uomini, e parlò quasi sottovoce.

“Sono terribilmente dispiaciuta per il fatto che abbiate dovuto assistere a una cosa simile. Come state?”

L’uomo più anziano, il macchinista, alzò leggermente le spalle.

“Starò benissimo” disse. “Che lei ci creda o no, ho già visto una cosa simile prima d’ora. Persone uccise sui binari, voglio dire. Ho visto corpi straziati, in maniera di gran lunga peggiore. Non che chiunque ci si abitui, ma …”

Stine fece un cenno con il capo verso l’assistente e disse: “Ma Everett non l’ha mai vissuta prima.”

L’uomo più giovane sollevò lo sguardo dal tavolo, e guardò i presenti nella stanza.

“Starò BENE” disse, con voce tremante, ovviamente provando a sembrare sincero.

Riley disse: “Mi spiace di chiedervi questo, ma avete visto la vittima proprio prima …?”

Boynton sussultò bruscamente e non disse nulla.

Stine rispose: “Solo uno scorcio, tutto qui. Eravamo entrambi sul treno. Ma ero alla radio, a fare una telefonata di routine alla prossima stazione, ed Everett stava facendo i calcoli per la curva che avremmo dovuto passare. Quando il macchinista ha cominciato a frenare e ha azionato il fischio, abbiamo controllato e abbiamo visto … qualcosa, ma non eravamo certi di che cosa fosse in realtà.”

Stine fece una pausa e poi aggiunse: “Ma, di certo, ci siamo accorti di che cos’era accaduto, quando siamo scesi dal treno per andare a dare un’occhiata.”

Jenn stava mentalmente ripercorrendo parte della ricerca che aveva fatto durante il volo. Sapeva che il personale sui treni merci era limitato. Nonostante ciò, sembrava che mancasse una persona.

“Dov’è il macchinista?” lei chiese.

“La balena?” Toro Cullen disse. “E’ in custodia.”

La bocca di Jenn si spalancò leggermente.

Sapeva che “balena” nello slang del personale ferroviario, indicava un macchinista.

Ma che cosa diavolo stava succedendo qui?

“L’avete messo in prigione?” lei chiese.

Powell disse: “Non abbiamo avuto molta scelta.”

Il capotreno più anziano aggiunse: “Quel pover’uomo, lui non parlerà con nessuno. Le sole parole che ha detto da quando è successo sono: “Rinchiudetemi.” Ha continuato a ripeterlo e ripeterlo.”

Il capo della polizia locale si giustificò: “Ed è per questo che l’abbiamo rinchiuso. Sembrava la scelta migliore al momento.”

Jenn era sul punto di esplodere per la rabbia.

Chiese: “Avete richiesto la presenza di uno psicologo per farlo parlare con lui?”

Il vice capo della ferrovia disse: “Abbiamo chiesto l’intervento di uno psicologo dell’azienda da Chicago. Sono le regole dell’azienda. Non sappiamo quando arriverà.”

Riley sembrava davvero stupita ora.

“Senza dubbio, il macchinista non dovrebbe sentirsi in colpa per l’accaduto” osservò.

L’assistente sembrò sorpreso.

“Certo” disse. “Non è stata colpa sua, ma non riesce a farne a meno. Era il responsabile ai comandi. E’ quello che si è sentito più inutile. Lo sta logorando. Odio che sia rinchiuso in quel modo. Ho provato davvero a parlargli, ma non mi guarda nemmeno negli occhi. Regole o meno, qualcuno dovrebbe fare qualcosa al riguardo. Non dovremmo aspettare immobili che un dannato strizzacervelli della ferrovia arrivi. Regole o meno, qualcuno dovrebbe fare subito qualcosa. Una buona balena come lui merita di meglio.”

La rabbia di Jenn si acuì.

Si rivolse a Cullen: “Beh, non potete lasciarlo in quella cella da solo. Non m’importa se insiste a restare da solo. Non può fargli bene. Qualcuno deve andare da lui.”

Tutti i presenti la guardarono.

Jenn esitò, poi aggiunse: “Portatemi alla cella. Voglio vederlo.”

Riley la guardò e disse: “Jenn, non credo che sia una buona idea.”

Ma Jenn la ignorò.

“Come si chiama?” chiese ai due ferrovieri.

Boynton disse: “Brock Putnam.”

“Portatemi da lui” ripetè. “Subito.”

Il Capo Powell guidò Jenn fuori dalla sala degli interrogatori e proseguì lungo il corridoio. Mentre proseguivano, Jenn si chiese se Riley potesse avere ragione.

Forse questa non è una buona idea.

Dopotutto, sapeva che l’empatia non era tra le sue migliori qualità di agente. Tendeva ad essere ottusa e schietta, anche quando era necessario un tocco più morbido. Di certo, non era dotata della capacità di Riley di dimostrarsi compassionevole nei momenti appropriati. E, se la stessa Riley non si sentiva all’altezza di quel compito, perché Jenn credeva di doversi assumere tale responsabilità?

Ma non riusciva a fare a meno di pensare …

Qualcuno deve parlare con lui.

Powell la guidò attraverso le file di celle, tutte con porte solide e minuscole finestre.

Infine le chiese: “Vuole che venga dentro con lei?”

“No” Jenn rispose. “Preferisco farlo da sola.”

Powell aprì la porta di una delle celle, e Jenn entrò.

L’uomo lasciò la porta aperta ma si allontanò.

Un individuo di poco più di trent’anni era seduto ad un’estremità della branda, lo sguardo fisso il muro. Indossava una t-shirt e un cappellino da baseball, con la visiera sulla nuca.

Restando sulla porta, Jenn esordì dolcemente …

“Signor Putnam? Brock? Mi chiamo Jenn Roston, e sono dell’FBI. Sono terribilmente dispiaciuta per quanto è successo. Mi chiedevo soltanto se volesse … parlare.”

Putnam non mostrò alcun segno di averla ascoltata.

Sembrava particolarmente determinato a non entrare in contatto visivo con lei, o con chiunque altro, Jenn ne era sicura.

E, dalla ricerca che lei aveva condotto, sapeva esattamente il motivo per cui l’uomo si sentiva in quel modo.

Lei deglutì, mentre un nodo d’ansia le colmava la gola.

Sarebbe stato molto più difficile di quanto aveva immaginato.

Morte Sui Binari

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