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CAPITOLO SEI

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Quando Riley uscì dalla toilette, non vide Jilly da nessuna parte.

La prima cosa che provò fu un lampo di rabbia.

Ricordò di averle chiaramente detto …

“Aspetta fuori dalla porta. Non ti allontanare.”

E adesso sembrava sparita.

Quella ragazza, la donna pensò.

Non temeva che perdessero il volo. Avevano molto tempo a disposizione prima di imbarcarsi. Ma aveva sperato di prendere le cose con calma e tranquillità, dopo una giornata così faticosa. Aveva programmato che facessero i controlli di sicurezza, trovassero il loro gate e poi, trovassero un buon posto in cui mangiare.

Riley sospirò scoraggiata.

Persino dopo le coraggiose azioni di Jilly nell’aula, Riley non poté fare a meno di sentirsi delusa da questa nuova dimostrazione d’immaturità.

Sapeva che se si fosse messa a cercare Jilly nel grande terminal, probabilmente avrebbero continuato a mancarsi di continuo. Cercò allora un posto dove sedersi, e attese che la figlia tornasse, il che sarebbe certamente accaduto da un momento all’altro.

Ma, mentre Riley si guardava intorno nel grande edificio aperto del terminal, intravide Jilly attraversare una delle porte di vetro che conducevano all’esterno.

O almeno pensava che fosse lei, era difficile stabilirlo da dove Riley si trovava.

E chi era quella donna con cui la ragazza sembrava essere?

Assomigliava a Barbara Long, la fidanzata di Albert Scarlatti.

Ma le due persone sparirono rapidamente tra i viaggiatori che si radunavano fuori dall’edificio.

Riley si sentì un po’ in apprensione. I suoi occhi le stavano giocando dei brutti scherzi?

No, ora era piuttosto sicura di quello che aveva visto.

Ma che cosa stava succedendo? Perché Jilly sarebbe dovuta andare con quella donna?

Riley entrò in azione. Sapeva che non c’era il tempo per trovare un senso a tutto ciò. Iniziando a correre, mise istintivamente una mano sotto la giacca leggera, e spostò la pistola che indossava all’interno della fondina sulla spalla.

Fu bloccata da una guardia di sicurezza in uniforme, che si fermò dinnanzi a lei.

L’uomo parlò con una voce calma e professionale.

“Ha un’arma, signora?”

Riley emise un gemito di frustrazione.

Disse: “Signore, non ho tempo per questo.”

Intuì dall’espressione della guardia, che aveva soltanto confermato il proprio sospetto.

L’uomo impugnò la sua arma e si spostò verso di lei. Con la coda dell’occhio, Riley vide che un’altra guardia aveva scorto l’attività, e si stava avvicinando.

“Mi lasci andare” Riley scattò, mostrando entrambe le mani. “Sono un’agente dell’FBI.”

La guardia con la pistola non rispose. Riley immaginava che non le credesse. E sapeva che era stato addestrato a non crederle. Stava soltanto facendo il suo lavoro.

Ora sembrava proprio che la seconda guardia fosse intenzionata a perquisirla.

Riley stava perdendo del tempo prezioso. Dato il suo addestramento superiore, calcolò che avrebbe potuto probabilmente disarmare la guardia armata, prima che potesse sparare. Ma l’ultima cosa di cui aveva bisogno al momento era ritrovarsi in una situazione seccante con un paio di guardie di sicurezza.

Imponendosi di restare immobile, disse: “Ascoltate, lasciate che vi mostri la mia identità.”

Le due guardie si guardarono cautamente.

“OK” la guardia armata disse. “Ma lentamente.”

Riley estrasse attentamente il distintivo e lo mostrò loro.

Le loro bocche si spalancarono.

“Ho fretta” Riley disse.

La guardia che stava di fronte a lei annuì e rinfoderò la pistola.

Con riconoscenza, iniziò a correre per il terminal, e passò oltre le porte di vetro, per ritrovarsi all’esterno.

Riley si guardò intorno. Non riusciva a vedere Jilly e neanche la donna.

Ma poi, scorse il viso della figlia nel finestrino posteriore di un SUV. La ragazza sembrava spaventata, e stava premendo le mani contro il vetro.

C’era di peggio: il veicolo stava cominciando ad allontanarsi.

Riley scattò in una corsa disperata.

Fortunatamente, il SUV si fermò. Un veicolo dinnanzi ad esso si era fermato, per consentire il transito ad alcuni pedoni, e il SUV era bloccato dietro.

Riley raggiunse il lato guidatore prima che il SUV proseguisse il suo percorso.

E, alla guida, c’era Albert Scarlatti.

Estrasse la sua pistola e la puntò attraverso il finestrino, direttamente alla testa dell’uomo.

“E’ finita, Scarlatti” gridò con tutte le sue forze.

Ma prima che se ne accorgesse, Scarlatti aprì lo sportello, sbattendoglielo contro. La pistola le cadde dalla mano, e colpì il suolo.

Riley ora era furiosa, non solo con Scarlatti, ma anche con se stessa per aver sottovalutato la distanza tra di lei e lo sportello. Per una volta, lasciò che il panico avesse la meglio su di lei.

Ma si riprese nella frazione di un secondo.

Quest’uomo non se ne sarebbe andato via con Jilly.

Prima che Scarlatti richiudesse di nuovo lo sportello, Riley ci mise dentro il braccio per bloccarlo. Lo sportello la colpì dolorosamente ma non si chiuse.

Riley mantenne lo sportello spalancato e vide che Scarlatti non si era neanche preoccupato d’indossare la cintura di sicurezza.

Lei lo afferrò per il braccio e lo trascinò, imprecando e lottando, fuori dall’auto.

Era un uomo grosso, e più forte di quanto lei si aspettasse. Lui si liberò da lei, e sollevò il pugno per colpirla al viso. Ma Riley fu più veloce. Lo colpì forte al plesso solare, e lo sentì perdere fiato, mentre cadeva in avanti. Poi, lo colpì alla nuca.

L’uomo cadde sul volto a terra.

Riley recuperò la pistola dove le era caduta, e la rimise nella fondina.

In quel momento, diverse guardie di sicurezza la circondarono. Per fortuna, una di loro era l’uomo che aveva affrontato all’interno del terminal.

“Tutto OK” l’uomo gridò alle altre guardie. “E’ dell’FBI.”

Le guardie preoccupate mantennero obbedientemente la distanza.

Ora Riley sentì Jilly gridare dall’interno dell'auto …

“Mamma! Apri il portellone”

Quando Riley si avvicinò al veicolo, vide che la donna, Barbara Long, era seduta davanti, al lato passeggero, con uno sguardo terrorizzato.

Senza dire una parola, Riley toccò il pulsante di chiusura che controllava tutti gli sportelli.

Jilly aprì il portello e uscì fuori dall’auto.

Barbara Long aprì lo sportello al suo fianco; sembrava che sperasse di scappare via. Ma una delle guardie la fermò prima che facesse due passi.

Ormai sconfitto, Scarlatti stava provando a rimettersi in piedi.

Riley si chiese …

Che cosa dovrei farne di quest’uomo? Arrestarlo? E lei?

Sembrava una perdita di tempo ed energia. Inoltre, lei e Jilly avrebbero potuto restare bloccate lì a Phoenix per giorni, insistendo con le accuse contro di lui.

Mentre provava a rimettere insieme le idee, sentì la voce di Jilly dietro di sé …

“Mamma, guarda!”

Riley si voltò e vide Jilly stringere un grosso cane dalle grandi orecchie tra le braccia.

“Avresti potuto semplicemente lasciare andare il mio ex-padre” Jilly disse con un sorriso malizioso. “Dopotutto, mi ha riportato il cane. Non è stato gentile da parte sua?”

“E’ …” Riley balbettò con stupore, provando a ricordare il nome della cucciola di cui Jilly aveva parlato.

“Questa è Darby” Jilly replicò con orgoglio. “Adesso può venire a casa con noi.”

Riley esitò per un lungo istante, poi sentì disegnarsi un sorriso sul suo viso.

Si guardò intorno, in direzione delle guardie e disse: “Fate di quest’uomo quello che volete. E anche della sua donna. Io e mia figlia abbiamo un aereo da prendere.”

Riley si allontanò dalle guardie perplesse insieme a Jilly e alla cagnolina.

“Forza” disse alla figlia. “Dobbiamo trovare un trasportino. E spiegare tutto alla compagnia.”

Mariti Nel Mirino

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