Читать книгу Oscurita’ Perversa - Блейк Пирс - Страница 11
Capitolo Cinque
ОглавлениеRiley guardava attraverso il vetro, aperto sulla stanza in cui Derrick Caldwell presto sarebbe morto. Era seduta accanto a Gail Bassett, la madre di Kelly Sue Bassett, l’ultima vittima del serial killer. L’uomo aveva ucciso ben cinque donne, prima che Riley riuscisse a fermarlo.
Aveva esitato ad accettare l’invito di Gail ad assistere all’esecuzione. Si erano incontrate solamente una volta, prima di allora, quando aveva fatto la testimone volontaria seduta tra reporter, avvocati, forze dell’ordine, consiglieri spirituali ed il primo giurato. Ora lei e Gail sedevano tra nove parenti delle donne che Caldwell aveva ucciso, tutti riuniti in uno spazio ristretto, seduti su sedie di plastica.
Gail, una minuta sessantenne con un delicato viso dalle fattezze di uccello, aveva mantenuto i contatti con Riley negli anni. Suo marito era morto, prima che si arrivasse all’esecuzione, e aveva scritto a Riley, dicendo di non avere un’altra persona con cui condividere l’evento importantissimo. Perciò, Riley aveva accettato l’invito.
La camera della morte era proprio lì, dall’altra parte del vetro. L’unico mobile presente nella stanza era la lettiga dell’esecuzione, un tavolo a forma di croce. Una tendina blu di plastica era appesa sopra alla lettiga. Riley sapeva che la flebo e le sostanze chimiche letali erano proprio dietro quella tendina.
Un telefono rosso alla parete era collegato con l’ufficio del direttore. Avrebbe suonato soltanto in caso di una decisione di clemenza dell’ultimo minuto. Stavolta, nessuno si aspettava che questo accadesse. Un orologio sopra la porta della stanza era l’unica altra decorazione visibile.
In Virginia, i detenuti nel braccio della morte potevano scegliere tra la sedia elettrica e l’iniezione letale, ma di solito era quest’ultima soluzione quella prescelta. Se un prigioniero non faceva alcuna scelta, veniva assegnata l’iniezione.
Riley era stata quasi sorpresa dal fatto che Caldwell non avesse optato per la sedia elettrica. Era un mostro impenitente, che sembrava accogliere di buon grado la sua stessa morte.
L’orologio segnava le 8:55, quando la porta si aprì. Riley sentì un mormorio nella stanza, mentre diversi membri della squadra addetta all’esecuzione portavano Caldwell nella stanza. Due guardie lo affiancavano, tenendolo ognuna per un braccio, e un’altra seguiva proprio dietro di lui. Un uomo ben vestito entrò dopo tutti gli altri, il direttore del penitenziario.
Caldwell indossava dei pantaloni blu, una camicia da lavoro dello stesso colore, e sandali senza calzini. Era ammanettato ed incatenato. Riley non lo vedeva da anni. Durante il suo breve periodo da serial killer, l’uomo aveva sfoggiato capelli lunghi e ribelli, una barba disordinata, un look da bohémien che si addiceva ad un artista da marciapiede. Ora, invece, era ben rasato e aveva un aspetto ordinario.
Sebbene non si fosse ribellato, appariva spaventato.
Bene, pensò Riley.
L’uomo osservò la lettiga per un attimo, poi distolse gli occhi. Sembrava che stesse cercando di non guardare la tenda di plastica blu, posta sopra alla lettiga. Per un momento, rimase a fissare il vetro, dietro cui si trovava il pubblico che assisteva. Improvvisamente, apparve più calmo e più controllato.
“Vorrei che potesse vederci” mormorò Gail.
Non era possibile che l’uomo li vedesse, dietro a quel particolare vetro che consentiva di guardare solo in una direzione, e Riley non condivise il desiderio di Gail. Caldwell l’aveva già guardata fin troppo da vicino per i suoi gusti. Per catturarlo, era andata sotto copertura. Si era finta una turista sulla Dunes Beach Boardwalk, e gli aveva chiesto di farle un ritratto. Mentre lavorava, l’aveva riempita di complimenti fioriti, dicendole che era la donna più bella che avesse mai disegnato dopo tanto tempo.
Allora, aveva compreso subito che sarebbe stata la sua prossima vittima. Quella sera, gli aveva fatto da esca, per farlo uscire allo scoperto, facendosi seguire fino alla spiaggia. Quando aveva provato ad attaccarla, gli agenti di scorta non avevano avuto difficoltà a catturarlo.
La sua cattura era stata semplice. La scoperta di come aveva sezionato le sue vittime, per poi tenerle nel suo congelatore, era stata un’altra questione. Assistere all’apertura del freezer era stato uno dei momenti più strazianti della carriera di Riley. Lei provava ancora compassione per le famiglie delle vittime — e per Gail tra loro — che avevano dovuto identificare mogli, figlie, sorelle smembrate.
“Troppo bella per vivere” quel mostro aveva detto di ognuna di loro.
Riley era rimasta scioccata dal fatto di essere stata una delle donne che lui aveva visto in quel modo. Non si era mai giudicata bella, e gli uomini, compreso il suo ex marito Ryan, raramente le avevano detto che lo era. Caldwell era una cruda ed orribile eccezione.
Che cosa significava, si chiese lei, che un mostro psicopatico l’avesse trovata così bella? Aveva riconosciuto qualcosa, dentro di lei, mostruosa quanto lui? Per un paio d’anni dopo il processo e la condanna dell’uomo, Riley aveva avuto incubi sui suoi occhi pieni di ammirazione, sulle sue parole smielate e sul suo congelatore, pieno di parti di corpi.
La squadra addetta all’esecuzione fece stendere Caldwell sulla lettiga, gli tolse le manette, le catene, i sandali e lo legò con delle cinghie di pelle: due intorno al petto, due alle gambe, altrettante alle caviglie e ai polsi. I piedi nudi furono rivolti verso il vetro. Era difficile vedergli il viso.
Di colpo le tende si chiusero, oscurando il vetro che dava sulla sala dell’esecuzione.
Riley immaginò che servisse a mantenere riservata la fase dell’esecuzione vera e propria, durante la quale qualcosa poteva (con una certa probabilità) andare storto: ad esempio, poteva essere difficile trovare una vena adatta. Ma, a parte tutto, le parve strano. Alle persone presenti nelle due apposite stanze era consentito di assistere all’esecuzione di Caldwell, ma non era loro permesso di vedere il banale inserimento degli aghi. Le tende oscillarono leggermente, forse mosse da uno degli addetti, mentre si spostava dall’altra parte della stanza.
Quando le tende si riaprirono, le quattro flebo erano al suo posto, collegate alle braccia del prigioniero attraverso i buchi nelle tende di plastica blu. Alcuni degli addetti all’esecuzione si erano ritirati dietro quelle tende, dove avrebbero somministrato la dose letale.
Un uomo tenne il ricevitore del telefono rosso, pronto a ricevere una telefonata che, senza dubbio, non sarebbe mai arrivata. Un altro parlava con Caldwell e le sue parole erano a malapena udibili, attraverso l’inefficiente sistema sonoro: stava chiedendo al condannato se intendeva dire qualcosa per l’ultima volta.
La risposta di Caldwell giunse con una sorprendente chiarezza.
“L’Agente Paige è qui?” chiese.
Quelle parole fecero trasalire Riley.
Non vi fu alcuna risposta. Caldwell aveva alcun diritto a ricevere una risposta.
Dopo un teso silenzio, Caldwell riprese a parlare.
“Dica all’Agente Paige che vorrei che la mia arte avesse potuto renderle giustizia.”
Sebbene Riley non riuscisse a vedere chiaramente il suo viso, le sembrò di sentirlo ridere sommessamente.
“E’ tutto” l’uomo aggiunse. “Sono pronto.”
Riley fu inondata da rabbia, orrore e confusione. Questa era l’ultima cosa che si sarebbe aspettata. Derrick Caldwell aveva scelto di dedicare solo a lei gli ultimi momenti di vita. E seduta lì, dietro a quel vetro indistruttibile, lei non poteva farci assolutamente niente.
Lo aveva consegnato alla giustizia, ma, alla fine, quel mostro si era preso uno strano, malato tipo di vendetta.
Sentì la piccola mano di Gail stringere la sua.
Buon Dio, Riley pensò. Mi sta confortando.
Riley fu colta da nausea.
Caldwell aggiunse un’altra cosa.
“Sentirò quando comincia?”
Ancora una volta, non ricevette alcuna risposta. Riley poté vedere il fluido spostarsi attraverso i tubi trasparenti delle flebo. Caldwell fece diversi altri respiri e parve addormentarsi. Il suo piede sinistro si contorse un paio di volte, poi si fermò.
Dopo un istante, una delle guardie pizzicò entrambi i piedi, e non ottenne alcuna reazione. Sembrò uno strano gesto. Ma Riley si rese conto che la guardia si stava assicurando che il sedativo stesse facendo effetto, e che Caldwell fosse totalmente privo di sensi.
La guardia si rivolse alle persone dietro alla tenda, senza che potesse sentirsi la sua voce. Riley vide un nuovo flusso di liquido passare attraverso i tubi della flebo. Sapeva che quella seconda sostanza gli avrebbe fermato i polmoni. Nell’arco di pochi minuti, una terza sostanza gli avrebbe fermato il cuore.
Mentre il respiro di Caldwell rallentava, Riley si trovò a riflettere su quello cui stava assistendo. In quale modo questa condanna era diversa dalle volte in cui aveva ucciso lei stessa? Nel compimento del suo dovere, infatti, aveva ucciso diversi assassini.
Ma questa non era affatto come le altre morti. In confronto, era controllata, pulita, distaccata, immacolata, in modo bizzarro. Sembrava inspiegabilmente sbagliata. Riley si trovò a pensare …
Non avrei dovuto permettere che questo accadesse.
Sapeva di sbagliarsi, che aveva gestito l’apprensione di Caldwell professionalmente, e come da manuale. Ma, nonostante questo, pensava …
Avrei dovuto ucciderlo io stessa.
Gail strinse forte la mano di Riley per dieci lunghi minuti. Infine, il funzionario accanto a Caldwell disse qualcosa che Riley non riuscì a sentire.
Il direttore della prigione emerse da dietro la tenda, e parlò con una voce abbastanza chiara da essere compresa da tutti i testimoni.
“La sentenza è stata portata a termine con successo alle 9:07.”
Poi, le tende si chiusero di nuovo dall’altra parte del vetro. I testimoni avevano visto tutto quello che c’era da vedere. Le guardie entrarono nella stanza, e invitarono tutti ad andarsene il più in fretta possibile.
Mentre il gruppo defluiva nel corridoio, Gail strinse di nuovo la mano di Riley.
“Mi dispiace per quello che ha detto” Gail le disse.
Riley fu colpita dal pensiero di Gail, che si preoccupava per lei in un momento del genere, quando finalmente giustizia era stata fatta nei confronti dell’assassino di sua figlia.
“Come stai, Gail?” chiese, mentre s’incamminavano rapidamente verso l’uscita.
La donna proseguì in silenzio per un momento. La sua espressione sembrava completamente vuota.
“E’ fatta” disse infine, con voce fredda e distaccata. “E’ fatta.”
In un istante, si ritrovarono fuori, alla luce del giorno. Riley notò due gruppi di persone dall’altra parte della strada, separati gli uni dagli altri e ben controllati dalla polizia. Da una parte si erano riuniti coloro che erano favorevoli all’esecuzione ed esibivano cartelloni con frasi d’odio, alcune delle quali profane ed oscene. Erano indubbiamente contenti. D’altra parte invece, c’erano le persone che protestavano contro la pena di morte, con i propri cartelloni. Erano stati lì fuori per tutta la notte, facendo una veglia con le candele. Erano molto più silenziose.
Riley si rese conto di non provare simpatia per nessuno dei due gruppi. Quelle persone erano lì per se stesse, per mostrare pubblicamente il proprio sdegno e la propria rettitudine, indugiando sul proprio ego. Per Riley era sbagliato che fossero lì, tra persone il cui dolore e la cui disperazione erano fin troppo reali.
Nello spazio tra l’ingresso della prigione e i manifestanti stazionavano gruppi di cronisti, con i rispettivi furgoni televisivi fermi nelle vicinanze. Mentre Riley si faceva largo tra di essi, una donna le si avvicinò bruscamente con un microfono e un cameraman dietro di lei.
“Agente Paige? E’ lei l’Agente Paige?” chiese.
Riley non rispose e provò ad allontanarsi dalla giornalista, che, però, si ostinò a seguirla. “Sappiamo che Caldwell l’ha menzionata nelle sue ultime parole. Potrebbe rilasciarci una dichiarazione?”
Altri giornalisti le si avvicinarono, ponendole la medesima domanda. Riley serrò i denti e si fece largo nel bel mezzo della folla, riuscendo a venirne fuori.
Mentre si affrettava verso la propria auto, si ritrovò a pensare a Meredith e Bill. Entrambi l’avevano implorata di occuparsi di un nuovo caso. E lei stava evitando di dar loro una risposta.
Perché? si chiese.
Era appena corsa via dai giornalisti. Stava scappando via anche da Bill e Meredith? Stava scappando via da chi lei era davvero? Da tutto ciò che doveva fare?
*
Non appena vide la propria abitazione, Riley si sentì felice. Lo spettacolo di morte, a cui aveva assistito quella mattina, le aveva lasciato un vuoto dentro e il viaggio di ritorno fino a Fredericksburg era stato faticoso.
Ma, nell’istante in cui apriva la porta di casa, ebbe la sensazione che qualcosa non andasse nel verso giusto.
Era insolitamente silenziosa. April avrebbe dovuto essere rincasata da scuola, ormai. E dov’era Gabriela?
Riley andò in cucina e la trovò vuota. C’era una nota sul tavolo della cucina. Me voy a la tienda, diceva. Gabriela era andata al negozio.
Riley serrò le mani sullo schienale della sedia, colta da un’onda di panico. Tempo addietro, quando Gabriela era andata al negozio, April era stata rapita da casa di suo padre.
Buio, un barlume di una fiamma.
Riley si voltò e corse in fondo alle scale.
“April” gridò.
Non ci fu alcuna risposta.
Riley corse in cima alle scale. Entrambe le camere da letto erano vuote. Nessuno era nello studiolo.
Il cuore le batteva forte. Benché la mente le dicesse che si comportava da sciocca, il suo corpo non ascoltava la sua parte razionale.
Corse di nuovo al piano di sotto, e uscì sul retro della casa.
“April” chiamò.
Non c’era nessuno a giocare nel giardino del vicino, e non c’erano nemmeno bambini in vista.
Si fece forza per non gridare di nuovo: non voleva che quei vicini la giudicassero pazza. Non così presto.
Infilò la mano in tasca e prese il cellulare. Inviò un sms alla figlia.
Non ricevette alcuna risposta.
Tornò all’interno della casa e si sedette sul divano, stringendosi la testa tra le mani.
Era tornata nel cubicolo, sdraiata nella polvere, al buio.
Ma la piccola luce si stava spostando verso di lei. Riuscì a vedere il suo volto crudele illuminato dal bagliore delle fiamme. Ma non sapeva se l’assassino stesse arrivando per lei o per April.
Riley si sforzò di mantenere separata la visione dalla realtà dal suo presente.
Peterson è morto, ripeté a se stessa. Non torturerà mai più nessuna di noi due.
Si tirò su sul divano, e provò a concentrarsi sul presente. Era nella sua nuova casa, nella sua nuova vita. Gabriela era andata al negozio. April era sicuramente da qualche parte nelle vicinanze.
La sua respirazione rallentò, ma non riusciva ad alzarsi. Temeva che, se fosse uscita, avrebbe gridato di nuovo.
Dopo quello che sembrò un’eternità, Riley sentì aprirsi la porta d’entrata.
April entrò in casa, cantando.
Riley si alzò in piedi di scatto. “Dove diavolo sei stata?”
April sembrò scioccata.
“Che problema hai, mamma?”
“Dov’eri? Perché non hai risposto al mio sms?”
“Scusa, ho messo il cellulare in silenzioso. Mamma, ero soltanto a casa di Cece. Proprio dall’altra parte della strada. Quando siamo scese dall’autobus della scuola, sua madre ci ha offerto un gelato.”
“Come potevo sapere dove fossi?”
“Non pensavo che fossi rientrata.”
Riley si sentì urlare, ma non riusciva a smettere. “Non m’importa che cosa hai pensato. Non stavi pensando. Devi sempre informarmi …”
Le lacrime che rigarono il volto di April finalmente la interruppero.
Riley riprese fiato, corse verso la ragazza e l’abbracciò. All’inizio, il corpo di April era rigido per la rabbia, ma Riley lo sentì rilassarsi lentamente e si rese conto che ora piangevano entrambe.
“Mi dispiace” Riley disse. “Mi dispiace. E’ solo che ne abbiamo passate così tante … tante cose terribili.”
“Ma è tutto finito ora” April rispose. “Mamma, è tutto finito.”
Si sedettero entrambe sul divano. Era nuovo, acquistato quando si erano trasferite lì. Lo aveva preso per la sua nuova vita.
“So che è tutto finito” Riley disse. “So che Peterson è morto. Sto provando ad abituarmici.”
“Mamma, tutto va bene ora. Non devi preoccuparti per me, ogni minuto. E non sono una stupida ragazzina. Ho quindici anni.”
“E sei molto intelligente” Riley aggiunse. “Lo so. Devo soltanto ricordarmelo. Ti voglio bene, April” disse. “Ecco perché vado fuori di testa qualche volta.”
“Anch’io ti voglio bene, mamma” la ragazza disse. “Non dovresti preoccuparti così tanto.”
Riley fu felice di vedere sua figlia sorridere di nuovo.
April era stata rapita, tenuta prigioniera, e minacciata con quella fiamma. Ora sembrava essere tornata un’adolescente perfettamente normale, sebbene sua madre non avesse ancora riacquistato il proprio equilibrio.
Inoltre, Riley non riusciva a fare a meno di chiedersi se i ricordi oscuri ancora popolassero la mente di sua figlia, in attesa di emergere.
Per quanto riguardava se stessa, sapeva che aveva bisogno di parlare con qualcuno delle sue paure e di quegli incubi ricorrenti. E doveva farlo in fretta.