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CAPITOLO UNO

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Chloe si concentrò, focalizzando lo sguardo sulla canna della pistola, quindi sparò.

Il rinculo fu delicato, lo scoppio leggero e quasi pacifico per lei. Inspirò profondamente e sparò di nuovo. Era facile; adesso le veniva naturale.

Non riusciva a vedere l’obiettivo dall’altra parte del poligono, ma sapeva di aver fatto due buoni tiri. Ormai era in grado di farsi un’idea di cose del genere, e sapeva che era un segnale che stava diventando un vero e proprio agente. Era più a suo agio con la pistola, e il calcio e il grilletto le erano familiari quanto le sue stesse mani, quando riusciva a raggiungere la massima concentrazione. In passato andava al poligono quasi per dovere, per tentare di migliorare. Adesso, invece, le piaceva. Le procurava un senso di libertà e una strana liberazione, pur trattandosi soltanto di sparare ad un bersaglio di carta.

Dio solo sapeva quanto avesse bisogno di sentirsi così, ultimamente.

Le ultime due settimane al lavoro erano state fiacche, e Chloe non aveva avuto molto da fare, a parte aiutare i colleghi a raccogliere informazioni e fare ricerche. Era quasi stata coinvolta per aiutare una squadra in un’operazione anti-hacker e la cosa l’aveva eccitata fin troppo, facendole capire quanto le cose andassero a rilento ultimamente.

Ecco perché era finita al poligono. Non era necessariamente il suo modo ideale di passare il tempo, ma sapeva di aver bisogno di pratica. Nonostante durante gli studi all’accademia fosse stata tra i migliori della sua classe, essere trasferita dalla Squadra Ricerca Prove al Programma Criminali Violenti le aveva fatto capire che doveva sempre essere al meglio di sé.

Mentre sparava un’altra raffica di colpi contro il bersaglio a una cinquantina di metri di distanza, capì come mai le persone potessero essere attratte da quell’attività. Eri completamente solo: tu, la tua arma e il bersaglio nel mirino. C’era qualcosa di molto zen in tutto ciò, con tutta la concentrazione richiesta. E poi c’era il suono dello sparo che riecheggiava. Una cosa che Chloe aveva imparato passando il suo tempo al poligono era quanto potesse essere fluida la relazione tra il corpo umano e una pistola. Quando era concentrata, la Glock le sembrava un prolungamento del braccio, qualcosa che poteva controllare con la mente, proprio come controllava i movimenti delle dita e delle braccia. Era un allarmante esempio del perché dovesse impugnare la sua arma solo se assolutamente necessario: quando sei addestrato a usare una pistola, può diventare fin troppo naturale premere il grilletto.

Al termine della sessione, raccolse i bersagli e fece il punto. Aveva un numero sorprendente di colpi finiti al centro del bersaglio, ma alcuni erano più esterni, quasi al margine della sagoma.

Scattò alcune foto ai bersagli con il cellulare e prese degli appunti, per poter migliorare la volta successiva, quindi gettò le sagome di carta e si avviò verso l’uscita. Mentre camminava, scoprì un’altra sensazione che immaginava fosse allettante per quelli che passavano un sacco di tempo al poligono di tiro: le mani e i polsi le vibravano per il rinculo dei colpi sparati. La sensazione era strana ma al tempo stesso piacevole, in un modo che non avrebbe saputo descrivere.

Stava uscendo dall’edificio quando vide un volto familiare entrare dalla porta. Era Kyle Moulton, l’uomo che le era stato assegnato come partner e che non aveva visto granché nelle ultime settimane, a causa della mancanza di casi su cui lavorare. Quando le rivolse un sorriso smagliante, Chloe provò un istante di panico da ragazzina.

“Agente Fine” disse lui in tono quasi sarcastico. Ormai si conoscevano abbastanza da lasciar perdere l’appellativo agente e chiamarsi per nome. Non solo, Chloe era sicura che tra loro ci fosse anche una certa tensione romantica. Lei l’aveva percepita da subito, dall’istante in cui l’aveva visto per la prima volta fino a quando avevano chiuso il loro primo caso tre mesi prima.

“Agente Moulton” gli rispose a tono.

“Scarichi un po’ di tensione o ti passi il tempo?” domandò.

“Un po’ tutte e due” rispose Chloe. “È solo che ultimamente mi sento irrequieta.”

“Ti capisco. Stare dietro una scrivania non fa neanche per me. Però... ecco, non sapevo che venissi al poligono di tiro.”

“Cerco solo di restare allenata.”

“Lo vedo” replicò lui con un sorriso.

Tra loro calò un silenzio a cui ormai Chloe stava facendo l’abitudine. Detestava sentirsi così presuntuosa, ma era quasi certa che lui provasse i suoi stessi sentimenti. Era evidente dalle occhiatine che si scambiavano e dal fatto che Moulton non riuscisse a sostenere il suo sguardo per più di tre secondi – proprio come in quel momento, mentre erano ancora in piedi all’ingresso del poligono.

“Ascolta” disse poi Moulton. “Potrà sembrarti stupido e forse anche un po’ avventato, ma mi chiedevo se volessi cenare insieme a me stasera. Non come colleghi, intendo.”

Chloe non riuscì a trattenere il sorriso che le balenò sulle labbra. Era tentata di rispondere in modo ironico, magari con un classico “Era ora”.

Invece optò per una risposta più semplice e sincera. “Sì, mi farebbe piacere.”

“A essere sinceri è un po’ che volevo chiedertelo, ma... il lavoro era sempre così frenetico. E le ultime settimane sono state giusto l’opposto.”

“Sono contenta che alla fine tu me l’abbia chiesto.”

Il silenzio li avvolse di nuovo, ma stavolta Moulton riuscì a guardarla negli occhi senza distogliere lo sguardo. Per un attimo, Chloe pensò che stesse per baciarla, poi però il momento passò e Moulton fece un cenno verso la porta.

“È meglio che vada. Chiamami più tardi per dirmi dove vuoi andare a mangiare.”

“Lo farò.”

Chloe rimase lì qualche secondo, guardandolo entrare nel poligono. Come inizio di una relazione era piuttosto impacciato. Si sentiva ingenua e immatura come una dodicenne nervosa ad un ballo dopo che aveva scoperto di piacere ad un ragazzo, così si allontanò il più rapidamente possibile.

Erano quasi le cinque e non aveva nient’altro in programma, così decise semplicemente di tornarsene a casa. Non aveva senso tornare al suo cubicolo solo per aspettare che passasse l’ultimo quarto d’ora. Adesso che ci pensava, non aveva molto tempo per prepararsi alla cena con Moulton. Non sapeva a che ora cenasse lui di solito, ma probabilmente sarebbero usciti per le sette, quindi le restavano poco più di due ore per decidere dove andare e cosa indossare.

Si affrettò verso il parcheggio e salì in macchina. Ancora una volta si sentì come una scolaretta innamorata. E se per qualche motivo fosse salito nella sua auto? Era piuttosto sporca, dato che non la puliva da quando lei e Steven avevano rotto. Appena pensò a Steven, capì perché si sentisse così impacciata a uscire di nuovo con un uomo. Prima di Steven aveva avuto soltanto un’altra relazione seria, poi lei e Steven erano usciti insieme per quattro anni prima di fidanzarsi. Ormai non era più abituata ad avere appuntamenti galanti, e l’idea le pareva quasi antiquata e, a dirla tutta, un po’ la spaventava.

Fece del proprio meglio per calmarsi nei quindici minuti che ci vollero per raggiungere il suo appartamento. Non aveva idea dei trascorsi amorosi di Kyle Moulton. Magari anche lui era fuori dal giro e arrugginito quanto lei. Naturalmente, a giudicare dal suo aspetto, Chloe dubitava che fosse così. Anzi, pensando proprio alla sua avvenenza, non aveva idea del perché potesse essere interessato a lei.

Forse ha un debole per le ragazze dal passato difficile e che hanno la tendenza a buttarsi anima e corpo nel lavoro, rifletté. Gli uomini di oggi lo trovano sexy, no?

Quando arrivò nella sua strada, si era calmata quasi del tutto. L’ansia si stava lentamente trasformando in eccitazione. Erano passati sette mesi da quando aveva chiuso con Steven. Sette mesi senza baciare un uomo, senza fare sesso, senza...

Non correre troppo, si ammonì mentre entrava nel parcheggio in fondo al suo isolato.

Scese dall’auto e iniziò a passare mentalmente in rassegna tutti i vestiti che aveva nell’armadio che fossero carini senza essere eccessivi. Aveva un paio di idee su cosa mettersi, e anche su dove andare a mangiare, dato che ultimamente aveva voglia di cucina giapponese. Un po’ di sushi era proprio quello che ci voleva, e...

Raggiunto l’ingresso del palazzo, vide un uomo seduto sull’ultimo gradino. Aveva l’aria annoiata, con il mento poggiato su una mano mentre con l’altra scorreva lo schermo del cellulare.

Chloe rallentò, per poi fermarsi del tutto. Conosceva quell’uomo, ma non era possibile che di trovasse lì seduto sui gradini della sua palazzina.

Non è possibile...

Fece un passo avanti. L’uomo si accorse di lei e alzò la testa. I loro sguardi si incrociarono e Chloe fu percorsa da un brivido.

L’uomo sulle scale era Aiden Fine – suo padre.

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