Читать книгу La Bugia Perfetta - Блейк Пирс - Страница 10

CAPITOLO CINQUE

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La puzza era fortissima. La donna doveva essere morta da due o forse addirittura tre giorni. Era distesa a letto con le coperte scostate, e indossava un paio di pantaloncini da palestra e un reggiseno sportivo. Non c’erano evidenti segni di lotta nel modo in cui era posizionata o nella stanza in generale. Non sembrava che niente fosse stato buttato a terra. Non c’era nulla di rotto. Le cose che indossava erano intatte. Non c’erano evidenti lividi o tagli.

Ovviamente questo non provava niente. Se si trattava di un delitto, il colpevole aveva avuto un sacco di tempo a disposizione per risistemare la stanza e posizionare al meglio Taylor prima di andarsene. Le impronte sugli oggetti nella stanza, incluso il corpo, avrebbero potuto offrire dell’aiuto su quel fronte. Ma almeno a primo colpo d’occhio, non c’era niente fuori posto.

Jessie si avvicinò per guardare meglio la vittima. Gli assistenti del medico legale, che stavano per inserire il cadavere nel sacchetto di plastica, fecero un passo indietro lasciandole spazio.

Il volto di Taylor Jansen era blu e gonfio. Gli occhi erano chiusi. L’addome che aveva chiaramente mantenuto sodo e tonico con un sacco di esercizio era ora rilassato, risultato dei gas che si erano formati all’interno del corpo dopo la morte. Anche in quella condizione, Jessie poteva confermare che era stata una donna molto bella.

“Qualcuno l’ha toccata?” chiese Ryan.

“Solo per prendere le impronte,” gli assicurò Wayne.

“Pare che sia morta nel sonno,” notò Ryan. “Non c’è da stupirsi che la prima ipotesi sia suicidio. Magari quelle pillole in cucina non sono proprio tutte vitamine. Sono molto curioso di vedere il resoconto tossicologico.”

Jessie si chinò in avanti e notò gli ematomi ora quasi sbiaditi sui polsi e sul collo di Taylor. dato lo scolorimento e il gonfiore della pelle, era difficile dire quanto fossero vecchi. Ma se lei avesse dovuto indovinare, avrebbe detto un paio di giorni.

“La finestra vicino alla porta d’ingresso è sempre stata aperta?” chiese Jessie. “O l’ha aperta qualcuno dopo aver trovato la donna?”

“Secondo quanto dice il suo collega, era leggermente aperta quando lui è arrivato. Ha detto di aver bussato alla porta e di aver tentato di aprirla. Ma era chiusa a chiave, quindi ha usato la finestra per entrare.”

Jessie annuì, allontanandosi dal corpo di Taylor e portandosi verso l’armadio. Aprì l’anta scorrevole e lanciò un’occhiata all’interno. Sembrava che tre quarti del suo guardaroba comprendessero esclusivamente abbigliamento da palestra e indumenti intimi. Jessie si voltò verso Ryan e l’agente Wayne.

“Dobbiamo decisamente parlare con il suo collega,” disse.

*

Vin Stacey aveva un aspetto davvero misero, seduto sul sedile posteriore dell’auto di pattuglia parcheggiata fuori dal condominio.

“Lo state tenendo in custodia?” chiese Jessie all’agente dall’espressione annoiata che si trovava accanto all’auto.

“No. Gli abbiamo solo chiesto di stare qui ad aspettare che voi scendeste a parlargli.

“Sa che non è tenuto ad aspettare in auto? Perché dalla sua faccia sembra che pensi che l’abbiate arrestato.”

“Non gli abbiamo chiarito la natura della nostra richiesta,” ammise timidamente l’agente. “Gli abbiamo solo detto di aspettare nel veicolo per delle altre domande.”

“Quindi pensa di essere sotto arresto?” chiese Jessie incredula.

“Non so quale impressione abbia, signora. Noi abbiamo solo espresso la nostra richiesta.”

Jessie guardò Ryan, che non sembrava essere irritato quanto lei.

“Non dici niente?” gli chiese.

“No,” disse lui. “Ma non posso negare di aver usato la stessa tattica in passato. È un modo per tenere una persona ferma dove si vuole senza doverla arrestare formalmente.”

“Ma pensavo che non fosse più un sospettato,” ribatté Jessie.

“Tutti sono sospettati. Lo sai.”

“Okay,” gli concesse Jessie. “Ma nel frattempo lui se ne sta seduto lì con l’intero mondo che gli passa accanto pensando che lo abbiano arrestato per qualcosa.”

“Immagino che allora dovremmo chiarire la cosa,” disse Ryan con tono piatto.

Jessie lo guardò accigliata prima di aprire la portiera posteriore.

“Signor Stacey?” chiese, lasciando andare la nota di nervosismo nella voce, che ora risuonò dolce e zuccherosa.

“Sì,” rispose lui tremante.

“Perché non viene fuori dall’auto? Mi spiace che lei abbia dovuto aspettare così tanto. Io e il mio collega eravamo sopra a svolgere le indagini. Speravamo di poterle fare qualche domanda, se non le spiace.”

“Ho risposto alle domande di tutti,” disse lui con tono implorante. “Non riesco a capire perché mi trovo nei guai.”

“Non si trova nei guai, signor Stacey,” gli assicurò lei. “Venga fuori. Mi chiamo Jessie Hunt. Sono una profiler criminale del Dipartimento di Polizia di Los Angeles. Questo è il detective Ryan Hernandez. Vedo una caffetteria nell’angolo laggiù. Prendiamo una tazza di qualcosa e facciamo due chiacchiere. Cosa ne pensa?”

L'uomo annuì e uscì dal veicolo. Fu solo allora che Jessie si rese conto di quale fosse la sua stazza. Completamente dritto in piedi, doveva arrivare facilmente a un metro e novanta. Jessie ipotizzò che il peso dovesse essere di un centinaio di chili. Indossava una maglietta da palestra a manica lunga che metteva in evidenza i suoi addominali. Sembrava che i bicipiti potessero strappare la stoffa delle maniche da un momento all’altro.

Nonostante la sua imponenza, l’atteggiamento trasmetteva delicatezza e gentilezza. Guardandolo più attentamente, Jessie notò che portava una collanina con il ciondolo di un arcobaleno e che aveva le unghie dipinte di viola.

“Immagino che anche lei sia un trainer nella palestra dove lavorava Taylor, giusto?” gli chiese, cercando di alleggerire l’atmosfera mentre si dirigevano verso la caffetteria.

L’uomo annuì ma non rispose. Ryan li seguiva a poca distanza, chiaramente consapevole che la sua presenza avrebbe potuto intralciare i tentativi di Jessie di creare un collegamento con l’uomo. Mentre camminavano, Jessie notò che l’uomo di strofinava energicamente i polsi.

“Va tutto bene?” gli chiese.

“Ancora non ci credo. È come se mi avessero rivoltato lo stomaco. Aspettare lì e sapere che una persona con una personalità così solare ora è un essere freddo e privo di vita. Mi fa male solo a pensarci. E i vostri colleghi hanno solo peggiorato le cose.”

“È stata una vera sfortuna,” disse Jessie.

“Sapete che gli agenti mi hanno ammanettato quando sono arrivati all’appartamento di Taylor?” insistette lui. “Io me ne stavo seduto là fuori ad aspettarli. E uno di loro mi ha messo le manette mentre l’altro ha tenuto la mano pronta sulla pistola per tutto il tempo. Io sono quello che ha chiamato il 911!”

“Mi spiace davvero, signor Stacey,” cercò di calmarlo Jessie. “Purtroppo, quando gli agenti arrivano su una scena del crimine, devono prendere delle precauzioni che possono sembrare eccessive.”

“Mi hanno tenuto ammanettato per mezz’ora, e nel frattempo mi hanno preso le generalità e hanno controllato se avessi la fedina penale sporca, cosa che non ho, e hanno controllato che lavorassi con Taylor. E tutto mentre lei stava sdraiata su quel letto, morta. Penso che sappiamo entrambi benissimo che se fosse stata lei a chiamare il 911 e li avesse aspettati lì, l’avrebbero trattata un modo diverso.”

“Giusto,” rispose Jessie annuendo comprensiva mentre entravano nella caffetteria. Si voltò a guardare l’agente che li aveva seguiti fino a lì e gli fece cenno di aspettare fuori.

“Quindi ha detto che lavorava con lei. Eravate entrambi insegnanti?” continuò Jessie, cercando di smorzare l’indignazione di Stacey e andare oltre.

“Sì… al Solstice.”

“La palestra proprio davanti al condominio?” chiese Jessie, ricordando il fitness club che aveva visto quando erano arrivati.

“Comodo, no?” commentò lui.

Ordinarono i loro caffè e si sedettero a un tavolino. Ryan li raggiunse ma non disse nulla.

“Quindi, prima di arrivare a come le l’abbia trovata, signor Stacey…”

“Chiamami Vin,” le disse lui.

“Ok, Vin,” acconsentì lei. “Prima di questo, voglio che ci racconti di Taylor. Com’era? Amichevole? Tranquilla? Alla buona? Intensa?”

“La definirei una tipa alla buona. Era educata ma professionale con gli altri allenatori e con il resto dello staff. Era più amichevole con i suoi clienti, ma aveva sempre un certo atteggiamento professionale. Era fatta così. Alcuni clienti vorrebbero che il loro trainer fosse una specie di migliore amico. E io sono più o meno così. Altri preferiscono qualcuno che non dica scemenze e che li aiuti a raggiungere i loro obiettivi. Lei era la persona per questo secondo genere di clientela.”

“Che genere di clienti aveva per lo più?” chiese Ryan, parlando per la prima volta.

Vin guardò Jessie esitando, come se avesse bisogno della sua approvazione per rispondere. Lei annuì in modo rassicurante e lui proseguì.

“Di ogni genere. Ma direi che più della metà erano donne sposate tra i trenta e i quarant’anni. Un sacco di mogli benestanti e casalinghe che cercavano di perdere il peso accumulato con una gravidanza o di mantenere la linea evitando che i loro mariti le lasciassero per le segretarie.”

“Era questo il suo pane quotidiano?” chiese Ryan.

“Già. Era davvero bravissima a motivare donne del genere e a farle sentire come se avessero il pieno controllo dei loro destini. Io sono un uomo di colore single, gay, e a volte mi faceva venire voglia di sposare un tipo bianco di mezza età solo perché potessi assumere la piena responsabilità della mia vita.”

“Quindi eravate buoni amici?” chiese Jessie.

“Non così intimi,” disse lui. “Prendevamo un caffè insieme – a dire il vero molto spesso qui – o uscivamo a bere qualcosa. L’ho accompagnata a casa un paio di volte la sera tardi, a piedi. Ma non direi che eravamo amici. Ci definirei piuttosto colleghi amichevoli. Penso che le piacessi perché ero uno dei pochi uomini alla palestra che non le faceva la corte tutto il tempo.”

“Alcuni dei suoi corteggiatori erano particolarmente aggressivi?” chiese Ryan.

“Non sono sicuro di essere il migliore a giudicare ciò che una donna consideri aggressivo al giorno d’oggi,” ammise. “Posso dire però che non mi è mai sembrata intimidita da nessuno. Non aveva problemi a mettere a tacere uno in malo modo se andava troppo oltre.”

“Sai niente di quale fosse la sua situazione sentimentale?” chiese Jessie. “Hai detto agli agenti di sopra che non frequentava nessuno.”

“Ho detto che non pensavo che fosse attualmente impegnata in una relazione. So che stava uscendo con un tizio un paio di mesi fa. Ma dopo che la storia è finita, è diventata molto riservata riguardo alla sua vita amorosa. E non stava a me insistere per saperne di più, dato che non posso reputarmi un esperto.”

“Vin,” chiese Jessie, decidendo di lanciare la domanda che sapeva avrebbe impegnato tutti per il resto della giornata, “pensi che Taylor possa essersi uccisa?”

Lui rispose immediatamente e con un’intensità che ancora non gli avevano visto esprimere.

“Impossibile. Taylor non era quel genere di persona. Era una precisa, concentrata. Era una di quelle persone che hanno degli obiettivi concreti. Voleva aprire una sua palestra. Non si sarebbe mai fatta una cosa del genere. Era una succhia midollo.”

“In che senso?” chiese Jessie.

“Nel senso che succhiava il midollo della vita. Non avrebbe mai messo fine alla propria.”

Rimasero tutti seduti in silenzio per un momento, poi Ryan tornò a un argomento meno filosofico.

“Conosci il nome del suo ex?” gli chiese.

“No. Ma penso che una delle trainer donne alla palestra potrebbe saperlo. Ricordo che aveva raccontato di averlo visto portare lì Taylor una volta e di averlo riconosciuto.”

Mentre Vin rispondeva, Jessie spostò l’attenzione sull’ingresso della caffetteria, da dove stava entrando un uomo che era chiaramente un barbone. Aveva la barba lunga e le scarpe con le suole staccate che sventolavano ogni volta che sollevava un piede.

Ma non fu quello ad attirare la sua attenzione. C’era qualcosa di rosso che gocciolava dalla mano sinistra dell’uomo, che lui teneva nascosta sotto alla giacca. L’uomo stava borbottando tra sé e sé mentre si muoveva in mezzo agli altri clienti, andando a sbattere contro di loro in modo apparentemente intenzionale.

“Come si chiama la trainer?” chiese Ryan. Aveva la schiena rivolta all’ingresso, quindi non aveva potuto notare l’uomo.

“Chianti.”

“Dici sul serio?” chiese Ryan, ridendo involontariamente e sputacchiando un po’ del suo caffè.

“Non so se sia il suo nome di battesimo,” disse Vin, sorridendo per la prima volta. “Ma alla palestra la conosciamo come Chianti Rossellini. Non sta a me giudicare.”

“Perché pensi che non sia effettivamente la tua filosofia, Vin?” chiese Jessie maliziosamente, mentre continuava a tenere d’occhio il barbone.

Vin alzò le sopracciglia in modo provocatorio.

“Scusate se interrompo questo scambio di gossip…” iniziò a dire Ryan.

“Puoi fare tutto quello che vuoi, occhi belli,” lo interruppe Vin, sbattendo le palpebre.

Ryan non rispose alla sua allusione, ma andò avanti.

“Ma dobbiamo chiederti di quando hai trovato Taylor. Hai detto agli agenti che la finestra era aperta?”

Il volto di Vin tornò immediatamente serio.

“Di poco, sì. Prima ho bussato e ho controllato la porta, che era chiusa. Ma quando non ha risposto, ho aperto di più la finestra e sono entrato da lì. Immagino che avrei dovuto chiamare prima il 911. Ma ho pensato che se era ferita e aveva bisogno di aiuto, non era il caso che me ne stessi fermo lì con le mani in mano.”

“Non ti devi giustificare, Vin,” disse Jessie. “Eri preoccupato per la tua amica. Sono sicura che le prove sosterranno questo aspetto.”

“Grazie,” disse Vin, la voce leggermente rotta.

Jessie avrebbe avuto una reazione più marcata nei suoi confronti, se non fosse stata così distratta dal barbone con la piccola scia di sangue che gli cadeva dal braccio. Ora stava dondolando sui piedi mentre muoveva la mano sotto alla giacca, che sembrava essere zuppa di un liquido denso. Era come se si stesse dando dei colpi al fianco. Le sue labbra si stavano ancora muovendo, ma qualsiasi cosa stesse mormorando era inudibile, anche se la donna di mezza età che stava in fila davanti a lui continuava a guardarsi nervosamente alle spalle.

“Ehi, Ryan,” disse Jessie con noncuranza. “Dai un’occhiata alle spalle, senza farti notare. L’uomo con la barba, in fila.”

Ryan si voltò e così fece anche Vin.

“Quello che non riesce a tenere fermo il corpo e la bocca?” chiese Ryan.

“Già,” confermò Jessie. “Sta sanguinando dal braccio sinistro e penso che stia tenendo qualcosa con la mano destra sotto alla giacca.”

“Cosa pensi che sia?”

“Non ne sono sicura. Ma ho notato una macchia umida e scura sulla giacca all’altezza del fianco. Quindi immagino che sia la stessa cosa che gli ha fatto sanguinare l’altro braccio. E poi sembra piuttosto agitato. Prima stava andando addosso ad altri clienti, e non per sbaglio.”

“Potrebbe essere qualcosa,” disse Ryan sottovoce. “O potrebbe essere come la metà della gente a cui siamo passati accanto mentre venivamo qui.”

“Giusto,” disse Jessie, “anche se questa cosa del sangue aggiunge un po’ di pepe alla faccenda. E poi tutte le bariste sembrano terrorizzate, e immagino che abbiano barboni che entrano qua dentro tutto il giorno.”

“Giusto,” disse Ryan, sussultando leggermente mentre si alzava in piedi. “Direi che posso mettermi in fila per un altro caffè. Jessie, tu magari potresti andare a chiamare l’agente che è rimasto fuori e chiedergli di venire dentro come precauzione.”

Jessie annuì e si alzò in piedi a sua volta, cercando di nascondere il dolore che provava sia alla schiena che alla gamba dopo essere rimasta ferma per un po’. Mentre andava verso l’ingresso della caffetteria si voltò e vide che Ryan aveva preso posizione subito dietro all’uomo, che ancora brontolava. Jessie spinse la porta e fece cenno all’agente di entrare.

“Penso che ci sia possibile bisogno di aiuto qui,” disse. “L’uomo con la barba che sta davanti al detective Hernandez potrebbe avere un’arma sotto alla giacca. Non ne siamo certi, ma potrebbe esserci bisogno di rinforzi.”

Aveva appena finito la sua frase, quando un forte grido arrivò dall’interno. Jessie si girò e vide la donna di mezza età che si teneva stretta la spalla destra con la mano sinistra. Dietro di lei Ryan stava lottando con il barbone per strappargli di mano un coltello da caccia. Ma nonostante il vantaggio dato dalla sua prestanza fisica, sembrava comunque una battaglia persa.

L’uomo era come posseduto da una rabbia frenetica e Ryan evidentemente non era al massimo delle sue forze. Nel giro di pochi istanti il barbone si era liberato. Ryan perse l’equilibrio e cadde sul pavimento, mentre l’uomo si riorganizzava subito e gli si lanciava addosso.

Jessie corse dentro, aprì la fondina della pistola e avanzò verso di loro. Stava per tirare fuori l’arma quando vide un lampo di movimento davanti ai suoi occhi. Era Vin Stacey che balzava addosso al barbone, dandogli un colpo alla mandibola con l’avambraccio e facendolo andare a sbattere contro il bancone.

Il coltello volò via dalla mano dell’uomo ora frastornato e scivolò sul pavimento. Vin si fermò su di lui, pronto a procedere se necessario. Non servì. Un attimo dopo l’agente era addosso al barbone, lo faceva girare prono e lo ammanettava. Jessie rimise nella fondina la sua pistola e si inginocchiò accanto a Ryan.

“Stai bene?” gli chiese preoccupata.

“Sì. Mi riprenderò, anche se non sono sicuro che possa dirsi lo stesso per il mio orgoglio.”

Vin gli si avvicinò e gli tese la mano.

“Vuoi una mano, occhi belli?” gli chiese, sbattendo le palpebre con fare ammiccante.

La Bugia Perfetta

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