Читать книгу Prima Che Invidi - Блейк Пирс - Страница 7
CAPITOLO DUE
ОглавлениеMackenzie aveva trascorso gli ultimi tre mesi della gravidanza leggendo qualsiasi libro sui bambini che era riuscita a trovare. Non sembrava esserci una risposta univoca su cosa aspettarsi nelle prime settimane a casa con un neonato. Alcuni dicevano che l’ideale fosse dormire quando il bambino dormiva. Altri suggerivano di dormire appena ce n’era l’occasione, con l'aiuto del coniuge o di altri membri della famiglia che erano disponibili. Tutto ciò aveva fatto capire a Mackenzie che il sonno sarebbe stato solo un prezioso ricordo del passato, una volta portato a casa Kevin.
Questo si rivelò esatto per le prime due settimane circa. Alla prima visita di Kevin si era scoperto che soffriva di un grave reflusso gastrico. Ciò significava che, ogni volta che mangiava, doveva essere tenuto in posizione verticale per quindici-trenta minuti. Era piuttosto semplice, ma diventava impegnativo durante le poppate notturne.
Fu proprio in quei momenti che Mackenzie iniziò a pensare a sua madre. La seconda notte che aveva dovuto tenere dritto Kevin dopo averlo allattato, Mackenzie si chiese se sua madre avesse affrontato qualcosa del genere. Si domandò che tipo di bambina fosse stata.
Probabilmente avrebbe piacere di vedere suo nipote, pensò Mackenzie.
Ma era un concetto terrificante. Già trovava difficile chiamare sua madre anche solo per salutarla, se poi doveva dirle dal nulla che era diventata nonna...
Sentì Kevin che si agitava contro di lei, cercando di mettersi più comodo. Mackenzie controllò l'orologio sul comodino e vide che lo aveva tenuto dritto per poco più di venti minuti. Sembrava essersi appisolato sulla sua spalla, così si avvicinò alla culla e ve lo adagiò. Era ben avvolto dalle coperte e sembrava a suo agio, così lo guardò un’ultima volta per poi tornare a letto.
“Grazie” disse Ellington di fianco a lei, mezzo addormentato. “Sei fantastica.”
“Non mi sento fantastica, ma grazie.”
Si sistemò, posando la testa sul cuscino. Aveva chiuso gli occhi da appena cinque secondi che Kevin ricominciò a piangere. Si drizzò a sedere nel letto e gemette piano. Poi però cercò di controllarsi, temendo di scoppiare a piangere. Era stanca e la cosa peggiore era che stava iniziando ad avere i primi pensieri negativi su suo figlio.
“Ancora?” esclamò Ellington, quasi imprecando. Si alzò e, quasi inciampando nello scendere dal letto, si avvicinò alla culla.
“Ci penso io” disse Mackenzie.
“No... sei stata con lui già quattro volte. E guarda che lo so... mi sono svegliato ogni volta.”
Non sapeva perché (probabilmente la mancanza di sonno, pensò pigramente), ma quel commento la fece incazzare. Praticamente si fiondò fuori dal letto per arrivare al bambino che piangeva prima di lui. Passando, gli diede una spallata che era troppo forte per essere considerata giocosa. Prendendo Kevin, disse: “Oh, mi dispiace. Ti ha svegliato?”
“Mac, sai cosa intendo.”
“Sì, lo so. Ma Gesù, potresti aiutarmi di più.”
“Devo alzarmi presto domani”, disse. “Non posso semplicemente starmene seduto a...”
“Oddio, ti prego, finisci quella frase.”
“No. Mi dispiace. È solo che...”
“Torna a letto” sbottò Mackenzie. “Kevin e io ce la caveremo.”
“Mac…”
“Sta' zitto. Torna a letto e dormi.”
“Non posso.”
“Il bambino è troppo rumoroso? Vai sul divano, allora!”
“Mac, tu...”
“Vai!”
Adesso piangeva, stringendo Kevin a sé mentre si rimetteva a letto. Il piccolo si lamentava ancora, probabilmente per il reflusso. Sapeva che avrebbe dovuto tenerlo di nuovo in piedi e questo le fece venir voglia di piangere ancora più forte. Ma fece del suo meglio per trattenersi mentre Ellington usciva dalla stanza come una furia. Stava borbottando qualcosa sottovoce e Mackenzie fu felice di non capire cosa dicesse. Stava cercando una scusa per esplodere contro di lui, per rimproverarlo e, ad essere sinceri, solo per sfogare un po’ della sua frustrazione.
Si appoggiò contro la testata del letto tenendo il piccolo Kevin il più fermo e dritto possibile, chiedendosi se la sua vita sarebbe stata più la stessa.
***
In qualche modo, nonostante i litigi a tarda notte e la mancanza di sonno, ci volle meno di una settimana perché la neo-famiglia si abituasse ai nuovi ritmi. C’erano voluti diversi tentativi da parte di Mackenzie ed Ellington per capire come far funzionare le cose, ma dopo quella prima settimana di problemi di reflusso, tutto sembrò andare liscio. Una volta che le medicine ebbero eliminato i sintomi peggiori, fu più facile gestirlo. Quando Kevin piangeva, Ellington lo tirava fuori dalla culla e gli cambiava il pannolino, poi Mackenzie lo allattava. Dormiva abbastanza per un neonato, circa tre o quattro ore di fila per le prime settimane dopo il reflusso, e non era affatto capriccioso.
Fu Kevin, però, che iniziò ad aprire loro gli occhi su quanto fossero terribili le loro famiglie d’origine. La madre di Ellington arrivò due giorni dopo che Mackenzie era tornata a casa, rimanendo per circa due ore. Mackenzie era stata piuttosto educata, restando lì con loro fino al primo momento opportuno per una pausa. Allora era andata in camera da letto per fare un sonnellino mentre Kevin era impegnato con il padre e la nonna, tuttavia non era riuscita a dormire. Aveva ascoltato la conversazione tra Ellington e sua madre, sorpresa dal fatto che sembrava esserci un tentativo di riconciliazione. La signora Nancy Ellington era uscita dall'appartamento circa due ore dopo, e persino attraverso la porta della camera da letto, Mackenzie era in grado di percepire parte della tensione residua tra loro.
Tuttavia, aveva lasciato un regalo per Kevin e aveva persino chiesto del padre di Ellington, un argomento che quasi sempre cercava di evitare.
Il padre di Ellington non si era nemmeno preso la briga di venire. Ellington gli aveva fatto una videochiamata tramite FaceTime e, nonostante fossero rimasti a chiacchierare per quasi un'ora e il padre avesse persino le lacrime agli occhi, non aveva in programma di venire a trovare il nipotino nell’immediato futuro. Aveva iniziato la sua nuova vita molto tempo prima, e quella vita non comprendeva nessuno della sua famiglia originale. A quanto pareva, voleva lasciare le cose così. Certo, l'anno prima aveva tentato di compiere un gesto eclatante pagando il loro matrimonio (regalo che alla fine avevano rifiutato), ma quello era stato solo un aiuto a distanza. Al momento viveva a Londra con la moglie numero tre ed era apparentemente oberato di lavoro.
Quanto a Mackenzie, anche se pensava spesso alla madre e alla sorella – gli unici membri ancora in vita della sua famiglia – l’idea di mettersi in contatto con loro era terrificante. Sapeva dove viveva sua madre e, con un piccolo aiuto da parte del Bureau, pensava di poter ottenere il suo numero. Stephanie, sua sorella minore, probabilmente sarebbe stata un po’ più difficile da rintracciare. Dal momento che Stephanie non era mai stata in grado di rimanere a lungo nello stesso posto, Mackenzie non aveva idea di dove potesse trovarsi al momento.
Purtroppo, aveva scoperto che le andava bene così. Certo, pensava che sua madre meritasse di vedere il suo primo nipotino, ma ciò significava riaprire le cicatrici che aveva chiuso poco più di un anno prima, quando aveva finalmente chiuso il caso dell'omicidio di suo padre. Chiudendo il caso, aveva anche chiuso la porta su quella parte del suo passato, incluso il terribile rapporto che aveva sempre avuto con sua madre.
Era strano quanto spesso pensasse a sua madre ora che aveva un figlio suo. Ogni volta che teneva in braccio Kevin, si ricordava di quanto fosse stata distante sua madre anche prima dell'omicidio del padre. Giurò a se stessa che Kevin avrebbe sempre saputo che sua madre lo amava, che non avrebbe mai lasciato che qualcos’altro – né Ellington, né il lavoro, né i suoi problemi personali – venisse prima di lui.
Era proprio questo ciò che aveva in mente la dodicesima notte dopo che avevano portato a casa Kevin. Aveva appena finito di dare a Kevin la poppata notturna, che ormai era sempre tra l'una e le due. Ellington stava rientrando nella stanza dopo aver sistemato Kevin nella sua culla nella stanza accanto. Un tempo era stato uno studio in cui conservavano tutte le loro pratiche burocratiche e oggetti personali, poi lo avevano trasformato in una cameretta.
“Perché sei ancora sveglia?” chiese rimettendosi a letto e affondando il viso nel cuscino.
“Credi che saremo dei buoni genitori?”
Sollevò la testa assonnato e scrollò le spalle. “Credo di sì. Insomma, tu di sicuro. Io invece... immagino che lo spronerò parecchio quando farà sport. È qualcosa che mio padre non ha mai fatto per me, e che mi è sempre mancato.”
“Sono seria.”
“Sì, l’avevo capito. Come mai lo chiedi?”
“Perché le nostre famiglie sono così incasinate. Come sappiamo come allevare un bambino nel modo giusto se abbiamo delle esperienze così orribili alle spalle?”
“Immagino che prenderemo nota di tutto ciò che i nostri genitori hanno sbagliato e non lo rifaremo.”
Allungò un mano nel buio e gliela posò sulla spalla con fare rassicurante. Mackenzie avrebbe voluto che la abbracciasse da dietro accoccolandosi contro di lei, ma non era ancora completamente guarita dall'intervento.
Così rimasero sdraiati l'uno accanto all'altra, esausti ed eccitati in egual misura per la loro vita che andava avanti, finché il sonno li chiamò a sé uno alla volta.
***
Mackenzie si ritrovò a camminare di nuovo tra i filari di granoturco. Gli steli erano così alti che non riusciva a vederne la cima. Le pannocchie facevano capolino nella notte come vecchi denti ingialliti che spuntavano da gengive marce. Ognuna era lunga quasi un metro; gli steli su cui crescevano erano enormi, e la facevano sentire piccola come un insetto.
In un punto più avanti, un bambino piangeva. Non un bambino qualsiasi, ma suo figlio. Già, riusciva a riconoscere le tonalità e le note dei lamenti del piccolo Kevin.
Mackenzie scattò attraverso i filari di granoturco. Gli steli la frustavano in viso e la facilità con cui la fecero sanguinare era sconcertante. Arrivata in fondo, aveva la faccia tutta ricoperta di sangue. Poteva sentirne il sapore in bocca e le gocciolava dal mento finendo dentro la camicia.
Si fermò in fondo al filare. Davanti a lei si apriva un’ampia radura, nient'altro che terra ed erba secca. Eppure, proprio nel mezzo, c’era una piccola struttura che conosceva bene.
Era la casa in cui era cresciuta. Era da lì che proveniva il pianto.
Mackenzie corse verso la casa, cercando di opporsi al grano che le era ancora attaccato e cercava di trascinarla di nuovo in mezzo al campo.
Corse più forte, accorgendosi che i punti sulla pancia si erano aperti. Quando raggiunse il portico della casa, il sangue della ferita le colava lungo le gambe, raccogliendosi sui gradini del portico.
La porta d'ingresso era chiusa, ma poteva ancora sentire il pianto. C’era il suo piccino che gridava, là dentro. La porta si aprì con facilità, senza cigolii o resistenza; evidentemente il tempo lì non contava. Prima ancora di entrare, vide Kevin.
Piazzata in mezzo al soggiorno spoglio – lo stesso soggiorno in cui aveva trascorso così tanto tempo da piccola – c’era una sedia a dondolo. La madre di Mackenzie vi era seduta con in braccio Kevin, dondolandolo dolcemente.
Sua madre, Patricia White, la guardò, con un aspetto molto più giovane dell'ultima volta che Mackenzie l'aveva vista. Sorrise a Mackenzie, gli occhi iniettati di sangue e quasi alieni.
“Sei stata brava, Mackenzie. Ma pensavi davvero di poterlo tenere lontano da me? E comunque, perché vorresti una cosa del genere? Sono stata una madre così terribile? Eh?”
Mackenzie aprì la bocca per dire qualcosa, per ordinarle di ridarle il bambino. Invece, tutto ciò che ne uscì fu terra e polvere di mais, che caddero dalla sua bocca finendo a terra.
Per tutto il tempo, sua madre sorrise e tenne Kevin stretto a sé, premendoselo contro il petto.
Mackenzie scattò a sedere nel letto, con un urlo che le premeva dietro le labbra.
“Gesù, Mac... stai bene?”
Ellington era in piedi sulla soglia della camera da letto. Indossava una maglietta e un paio di pantaloncini da jogging, il che voleva dire che aveva fatto ginnastica nel piccolo spazio che si era ritagliato nella camera degli ospiti.
“Sì” disse lei. “Era solo un brutto sogno. Un incubo.”
Poi guardò l'orologio e vide che erano quasi le otto del mattino. Ellington l’aveva lasciata riposare; Kevin si era svegliato verso le cinque o le sei per la sua prima poppata.
“Non si è ancora svegliato?” chiese Mackenzie.
“In realtà sì. Ho usato uno dei sacchetti di latte congelato. So che volevi tenerli di scorta, ma ho pensato di lasciarti dormire.”
“Sei incredibile,” disse, sprofondando nel letto.
“E non dimenticarlo. Ora torna a dormire. Te lo porto quando dovrà essere cambiato di nuovo. Ti sembra un buon accordo?”
Per tutta risposta, Mackenzie emise un verso indistinto, mentre si riappisolava. Per un momento, nella sua mente si affollavano ancora i residui dell'incubo, ma lei scacciò quelle immagini, concentrando i pensieri sul suo amorevole marito e sul bimbo che sarebbe stato ben felice di vederla al proprio risveglio.
***
Dopo un mese, Ellington tornò al lavoro. Il direttore McGrath aveva promesso che non gli avrebbe assegnato casi impegnativi o pericolosi mentre aveva un neonato e una moglie in maternità che lo aspettavano a casa. Oltre a ciò, McGrath era anche abbastanza indulgente in termini di ore. C’erano giorni in cui Ellington usciva di casa alle otto del mattino per fare ritorno già alle tre del pomeriggio.
Appena Ellington ricominciò a lavorare, Mackenzie iniziò sul serio a sentirsi una madre. Le mancava molto l'aiuto di Ellington in quei primi giorni, ma c'era qualcosa di speciale nel restare da sola con Kevin. Aveva imparato i suoi ritmi e le sue peculiarità ancora meglio. E anche se la maggior parte delle sue giornate prevedeva stare seduta sul divano a riposare mentre faceva indigestione di serie su Netflix, sentiva crescere il legame tra loro.
Ma Mackenzie non era mai stata il tipo che amava starsene seduta senza far niente. Dopo appena una settimana, iniziò a sentirsi in colpa per le sue abbuffate di Netflix, così decise di sfruttare il tempo per darsi alla lettura di storie di veri crimini. Sfruttò libri online e podcast, cercando di mantenere la mente attiva, cercando di capire le risposte a quei casi di vita reale prima che la narrazione raggiungesse la conclusione.
Andò dal medico due volte in quelle prime sei settimane, per assicurarsi che la ferita del cesareo fosse guarita correttamente. Nonostante i dottori fossero entusiasti per la sua velocità di guarigione, ci tenevano a sottolineare che un ritorno alla normalità prima del previsto avrebbe potuto causare una battuta d'arresto. Si erano raccomandati addirittura di stare attenta nel fare un gesto comune come chinarsi per raccogliere qualcosa di pesante.
Era la prima volta in vita sua che Mackenzie si era mai sentita come un’invalida. L’idea non le andava a genio, ma aveva Kevin su cui concentrarsi. Doveva mantenerlo felice e in salute. Doveva fargli prendere i ritmi giusti e, come lei ed Ellington avevano programmato durante la gravidanza, doveva anche prepararsi all’idea di separarsi da lui quando fosse giunto il momento di mandarlo all'asilo nido. Avevano individuato un rinomato asilo nido a domicilio e avevano già prenotato un posto. Nonostante accettassero anche bimbi di appena due mesi, Mackenzie ed Ellington avevano deciso di non mandarcelo almeno fino ai cinque o sei mesi. Questo avrebbe dato a Mackenzie un sacco di tempo per rassicurarsi sullo sviluppo di Kevin e per prepararsi alla separazione da lui.
Quindi non aveva problemi ad aspettare di essersi completamente ristabilita, fintanto che aveva Kevin accanto. Non ce l’aveva con Ellington per il suo ritorno al lavoro, tuttavia si ritrovò a desiderare che potesse essere lì con loro durante il giorno. Si stava perdendo tutti i sorrisi di Kevin, i suoi buffi vezzi e tutti i nuovi suoni che emetteva.
Mentre Kevin raggiungeva un traguardo dopo l’altro, l'idea dell’asilo nido iniziò a incombere minacciosa nella mente di Mackenzie, e con essa, anche l'idea di tornare al lavoro. Il pensiero era esaltante, ma quando guardava negli occhi di suo figlio, non sapeva se sarebbe riuscita a condurre una vita di pericoli costanti, correndo qua e là con la pistola al fianco e l’incertezza dietro ogni angolo. Sembrava quasi da irresponsabili il fatto che sia lei che Ellington avessero un lavoro tanto pericoloso.
La prospettiva di tornare al lavoro – al Bureau e su casi anche solo lontanamente pericolosi – diventava sempre meno allettante, man mano che si affezionava a suo figlio. Addirittura, quando dopo quasi tre mesi il dottore le diede l'autorizzazione per fare una leggera attività fisica, non era affatto sicura di voler tornare all'FBI.