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CAPITOLO SETTE
ОглавлениеDopo che Riley e Johnson entrarono nel veicolo in attesa dello Sceriffo Dawes, ancora una volta lei dovette soffocare l’impulso di lamentarsi. Trovava alquanto sgradevole restarsene seduta sul retro ad ascoltare i due uomini parlare, come se lei non fosse nemmeno presente, o peggio, come se fosse una bambina esclusa da una conversazione tra adulti. Sebbene si stesse ancora sforzando di adeguarsi al nuovo partner, si obbligò a restare in silenzio ad ascoltare.
Con voce bassa e ringhiante, Dawes commentò: “Pensavo di aver visto gli ultimi casi del genere prima di venire qui nello Utah. Sono qui da cinque anni, e le cose sono rimaste piuttosto ordinarie finora. Mi piacevano così.”
“Dov’era stato prima?” Johnson chiese.
“Los Angeles” Dawes rispose. “Ero un detective della omicidi. Ho visto la mia bella dose di omicidi laggiù, mi creda. Ad ogni modo, la verità è che l’omicidio per folgorazione è una cosa nuova persino per me. Dica che sono all’antica, ma sono abituato a killer che uccidono con coltellate o a colpi di pistola. Immagino che le cose si faranno brutte in questi giorni.”
Riley poteva bene immaginare perché un detective della omicidi volesse allontanarsi da Los Angeles. Dawes si era sicuramente aspettato che lo Utah fosse più tranquillo. Si rese anche conto del fatto che le maniere dure di Dawes non erano un’ostentazione. L’uomo aveva assistito a molti brutti episodi e il suo aspetto lo dimostrava.
Dawes disse a Johnson: “Sembra che lei venga dall’est.”
“Boston” Johnson chiarì.
Dawes lo guardò con sorpresa.
“Boston? E il suo cognome è Johnson? Ehi, penso di aver sentito parlare di lei. Non ha risolto il caso di quel killer stupratore di bambini circa un anno fa?”
“Così pare” Johnson rispose, con un largo sorriso che non appariva esattamente modesto.
“Vorrei sapere come ci è riuscito” Dawes domandò.
Non appena l’agente iniziò a rispondergli, Riley sospettò che probabilmente lo sceriffo si sarebbe pentito di tale richiesta. Sulla base del suo stesso racconto, Johnson sembrava aver messo la sua preda all’angolo sulla base di statistiche, dividendo la città in zone e analizzandole a seconda della presenza di casi ufficiali di molestatori sessuali, fino a quando non aveva astutamente scoperto il vero colpevole.
Lei dovette ammettere che l’utilizzo della matematica per trovare un assassino era una notevole impresa. Ma Riley non poteva fare a meno di chiedersi se Johnson avesse mai dovuto lasciare la propria scrivania per elaborare quell’enorme numero di dati, almeno finché non avesse guidato una squadra di poliziotti a quello che sembrava come un comune arresto di routine.
Non poté fare a meno di paragonare quello che lui aveva fatto con quello che aveva ottenuto lei sul campo. Al confronto, la sua stessa carriera sembrava una sorta di ininterrotti caos, pericolo e profonda confusione. Non riusciva ad immaginare di ottenere ciò che avevano fatto lei e Jake senza andare sul campo, a dare la caccia a quei killer.
Questo tizio sa che cosa significhi sporcarsi le mani? lei si chiese.
Come avrebbe fatto lui se il caso si fosse dimostrato brutto quanto la maggior parte di quelli a cui lei aveva lavorato? Questo nuovo caso sembrava già orrendo quanto il resto.
E, si chiese, come sarebbe riuscita a prendere ordini da un uomo che le sembrava al tempo stesso un sapientone e una recluta inesperta?
Nonostante gli sforzi per prestare attenzione, Riley si ritrovò a deconcentrarsi per il racconto incredibilmente tedioso, dettagliato di Johnson, in merito al suo maggior caso. Si chiese se lo Sceriffo Dawes avrebbe voluto avere questa scelta.
Restare bloccata nel sedile posteriore in realtà ha i suoi vantaggi, pensò sarcasticamente.
Passò il resto del breve viaggio a sud dall’Aeroporto di Provo, fino alla scena del secondo crimine, guardando fuori dal finestrino. L’ampia vallata che oltrepassarono era fiancheggiata da due vaste catene montuose, le cui cime erano innevate. Lei trovò ancora il paesaggio desolato e modesto, rispetto a quello della Virginia, ma non era così cupo quanto era apparso quando era stata lì a dicembre. Non c’era la neve a quell’altitudine, e la temperatura era fresca e piacevole. I boccioli di fiori apparivano ovunque.
Presto, entrarono a Beardsley, una cittadina di grandezza modesta ma elegante, che era posizionata in maniera pittoresca tra i monti e situata vicino ad un lago. Infine, lo sceriffo parcheggiò in un ampio vialetto di fronte ad una casa, grande e di aspetto piuttosto nuovo in stile spagnolo, sul cui lato anteriore c’era un garage per tre auto.
Quando entrarono all’interno, Riley notò un paio di valige sulla porta. Si chiese che cosa ci facessero lì.
Indicando il sistema d’allarme, Johnson chiese: “Come ha fatto l’intruso a superare l’allarme elettronico?”
“Non abbiamo avuto il tempo di verificarlo.”
Johnson osservò attentamente lo strumento.
“Conosco questo sistema” disse. “È piuttosto all’avanguardia. Se qualcuno l’ha hackerato, deve aver avuto una buona conoscenza tecnologica. Non deve essere stato facile. Per quanto riguarda l’altra casa in cui è stata uccisa l’altra vittima?”
“Non aveva un allarme” Dawes rispose. “E nemmeno alcun segno di intrusione. È possibile che entrambe le vittime abbiamo semplicemente fatto entrare il killer.”
Johnson guardò Riley e disse: “Questo suggerisce due possibilità. Il killer è dotato di eccellenti capacità di intrusione, oppure le vittime lo conoscevano e si fidavano di lui.”
Riley trasalì di fronte al tono convinto della sua affermazione, come se fosse giunto ad una conclusione davvero astuta. In quello stadio iniziale di un caso, lei immaginava che ogni cosa avesse numerose spiegazioni possibili, che richiedevano di essere analizzate.
Seguirono Dawes in un corridoio aperto con un alto soffitto. C’era una scala che conduceva di sopra, e una porta sembrava essere un armadio. Da un lato del corridoio, una porta aperta rivelava uno studio. C’era del nastro giallo sulla porta, e una squadra della scientifica era all’interno, intenta a raccogliere le prove.
“L’ufficio della vittima?” Johnson chiese.
“No, quello di sua moglie” lo Sceriffo Dawes rispose. “Ma ci sono segni che sia avvenuta una colluttazione qui dentro, inclusa una lampada da scrivania rotta.”
Indicando dall’ufficio al pavimento, Dawes aggiunse: “Vedete, ci sono dei graffi sul pavimento. Sembra che la vittima sia stata aggredita qui e trascinata fino al seminterrato. Se leggete nel rapporto, la prima vittima è stata apparentemente soggiogata con il cloroformio.”
Johnson annuì e disse: “Esiste una buona possibilità che anche questo sia avvenuto qui.”
Riley non poteva discordare, ma il suo tono continuava ad infastidirla. Avrebbe voluto poter oltrepassare il nastro giallo e provare a percepire cos’avesse provato il killer durante l’aggressione. Ma dubitava che Dawes o Johnson avrebbero apprezzato, e forse per un buon motivo. Interrompere il delicato lavoro della scientifica non era probabilmente una buona idea.
Mentre procedevano all’interno della casa, Riley la trovò molto più raffinata della maggior parte delle case eleganti in cui si era trovata, ma la sembrò anche spaventosamente e scomodamente grande. Dal breve rapporto sul caso che lei e Johnson avevano letto, Riley aveva l’impressione che i Banfield fossero stati una coppia senza figli. Si chiese come mai i due vivessero in tanto spazio.
Dawes li accompagnò in una grande zona aperta, con un soggiorno alla loro destra e una grande stanza da pranzo alla loro sinistra. La brillante luce del sole filtrava dalle grandi finestre.
Non c’era alcun disordine. Ogni cosa sembrava essere al proprio posto. Riley poté dire che le persone che vivevano lì conducessero una vita ordinaria e ben ordinata.
Nel soggiorno, due donne erano sedute su uno dei due divani di pelle color marrone cioccolato. Una delle due si alzò per accoglierli.
Lei disse: “Sono Elaine Bonet, e vivo alla porta accanto. Sono qui per occuparmi un po’ di Sheila. I suoi vicini intendono occuparsi di lei a turno. Non vogliamo che resti da sola.”
Elaine Bonet indossava un completo da jogging, come se avesse appena corso o fatto esercizio fisico. La moglie della vittima era ben vestita al confronto, come se fosse andata o fosse tornata da un evento formale.
Quando Riley ed i colleghi iniziarono a sedersi, qualcosa sul volto della moglie della vittima sembrò a Riley misteriosamente familiare. Era possibile che l’avesse incontrata quando lei e Crivaro erano stati lì a dicembre?
No, non può essere.
Guardandosi intorno, alla ricerca di qualche indizio che confermasse tale familiarità, Riley notò un libro poggiato sul tavolino da caffè con il volto della donna sulla copertina. Poi, comprese subito.
Ma certo! Quella Sheila Banfield!
Era una terapeuta della famiglia, autrice di quel libro, Il Tocco Analogico. Era un bestseller saggistico basato su come allevare figli nell’era digitale. Riley aveva letto alcune brillanti recensioni, ma aveva immaginato di avere molto tempo prima di doversi interessare a testi sulle figure genitoriali. Ora si sentì stranamente imbarazzata, come se dovesse ammettere alla donna che non lo aveva letto.
Realisticamente, sapeva che non c’era alcunché di cui preoccuparsi. Era altamente improbabile che sarebbe stato un argomento di conversazione in tali circostanze. Sheila Banfield aveva altre cose per la testa al momento.
Mentre il volto sulla copertina sembrava raggiante e sorridente, la stessa Sheila appariva scioccata e intorpidita. Quando Dawes portò a termine le presentazioni, la donna disse quasi in un sussurro.
“Il BAU. Bene. Grazie di essere venuti.”
Avvicinandosi, l’Agente Johnson disse: “Siamo terribilmente dispiaciuti per quello che è successo, Dottoressa Banfield. Faremo tutto il possibile per trovare il responsabile.”
Sheila Banfield annuì silenziosamente.
Riley notò che aveva gli occhi che continuavano a guizzare, come se ciò che la circondava le fosse sconosciuto e non avesse idea di come avesse fatto ad arrivare lì. Riley aveva visto questo tipo di reazione tra i familiari in lutto in altre occasioni.
Accanto a Sheila, c’era una scatola di fazzolettini, ma sembrava quasi piena. Sheila non sembrava aver ancora pianto molto, ma Riley sapeva che quella parte doveva ancora arrivare, non appena lo shock avesse iniziato a svanire. Era un bene che avesse delle amiche che l’aiutassero ad affrontare la sua situazione.
Per richiesta di Johnson, Sheila iniziò a fornire la sua versione dei fatti.
“Sono stata nel nord-ovest per alcuni giorni, in giro per autografare il mio libro” disse. Annuì verso il testo ed aggiunse curiosamente: “L’ho, ecco, l’ho scritto io. Forse ne avete sentito parlare. Ho viaggiato molto per promuoverlo. Ero andata via per diversi giorni stavolta.”
Poi, prese un respiro profondo e proseguì.
“Ieri sera, dopo aver finito il mio tour, ho preso un volo di ritorno da Seattle. La mia auto era parcheggiata per me all’aeroporto a Provo. Quando ho iniziato a viaggiare, Julian …”
Restò in silenzio alla menzione del nome del marito.
Poi, continuò: “Julian mi accompagnava e veniva a riprendermi all’aeroporto, ogni volta che viaggiavo per la promozione di un libro. Ma era diventato un gran fastidio, specialmente da quando abbiamo più di un’auto, e io … ho pensato di guidare io stessa. A lui sembrava piacere l’idea. Ad ogni modo, ieri sera …”
La voce scemò per un momento.
“Sono rincasata piuttosto tardi ieri sera, intorno alla mezza, direi. Quando sono entrata dalla porta, ho visto che il sistema d’allarme non era attivato per qualche ragione. Questo mi ha preoccupata. Non era da Julian non impostarlo alla sera. Tutte le luci di sotto erano accese, perciò ho immaginato che Julian fosse ancora sveglio, così sono entrata.”
E ha lasciato la sua valigia sulla porta, Riley pensò, raccogliendo mentalmente dati.
“Ho visto che la porta del mio studio era aperta e la luce era accesa all’interno” Sheila continuò. “Ho pensato che fosse strano, perché raramente lui ci entrava. Ho guardato all’interno, e mi sono accorta che la lampada era rotta, e sembrava che qualcosa … di brutto fosse accaduto, e così ho iniziato a spaventarmi.”
Lei tremò, e per un istante, Riley si chiese se stesse per piombare in un tardivo crollo emotivo. Ma Sheila continuò a parlare in una voce misteriosamente distaccata, come se stesse raccontando un evento accaduto a qualcun altro.
Riley conosceva questo tipo di distacco emotivo, dato che l’aveva incontrato in alcuni interrogatori simili. Si chiedeva se l’Agente Johnson comprendesse che cosa provasse la donna.
Sheila riprese: “L’ho chiamato. Non mi ha risposto. Allora sono scesa di sotto a cercarlo. Non lo ho cercato sopra. Le luci erano spente lassù, ed ero certa che non fosse salito per andare a letto, lasciando le luci accese di sotto, e anche il sistema d’allarme disattivato.”
Indicando all’interno della casa, disse: “Sono andata in cucina e ho visto che si era preparato qualcosa da mangiare.” Per un momento, la bocca della donna in lutto si contorse stranamente, come se stesse ricordando qualcosa, poi proseguì: “Ho notato che la porta della cantina era aperta, e c’era la luce accesa e…”
Tremò e si bloccò.
Riley sentiva che la donna non riusciva a descrivere che cosa fosse accaduto in seguito.
È ora di cambiare argomento, comprese.
Disse: “Dottoressa Banfield, suo marito aveva dei nemici? C’era qualcuno che potrebbe aver voluto fargli del male?”
Sheila sospirò e rispose: “Sì, mi spiace dirlo, ma è possibile.”
Riley fu colta da un senso di sorpresa.
“Potrebbe dirmi chi?” disse.
Sheila alzò le spalle e rispose: “Questo è più difficile da dire. Come psichiatra, era specializzato nel lavorare con i criminali, dai giovani delinquenti agli assassini incalliti. Il suo lavoro consisteva nell’aiutarli a elaborare i traumi passati e affrontare diverse problematiche mentali. Lo trovava un lavoro gratificante, e per la maggior parte del tempo, riusciva davvero ad aiutare i suoi pazienti nella fase riabilitativa. Altre volte …”
Fece una pausa e prese un respiro lungo e profondo.
“Altre volte, non è andata troppo bene” aggiunse. “Talvolta, i suoi pazienti si abbandonavano a profonda rabbia e ostilità e, talvolta, le scagliavano contro di lui. Ma. … non credo che avesse menzionato casi del genere recentemente. E la maggioranza di quei pazienti ora si trova in prigione o, in ogni caso, rinchiuso, immagino.”
Riley chiese: “Potrebbe farci accedere ai registri medici dei suoi pazienti?”
Sheila strizzò gli occhi e rispose: “Farò tutto il possibile, legalmente intendo. Ma potrebbe essere difficile. Lui ha lavorato in numerose strutture negli anni, talvolta più di una alla volta. Quelle dovrebbero tenere dei registri.”
Riley chiese: “Potrebbe fare una lista di quei registri e spedirli via mail o via fax all’ufficio dello sceriffo?”
“Sì, potrei farlo” Sheila rispose.
Johnson disse a Riley: “Dovrebbe restare e continuare l’interrogatorio, mentre lo sceriffo mi accompagna di sotto sulla scena del crimine.”
Riley sussultò bruscamente, infastidita. Due cose la innervosivano. Una era che Johnson aveva usato le parole “scena del crimine” di fronte ad una vedova addolorata. Ma la cosa più importante era che il partner sembrava voler escludere Riley dal visitare la scena dove l’omicidio era avvenuto.
Che cosa sta pensando? pensò.
Stava provando a proteggerla, impedendole di vedere una scena così orribile?
Non aveva idea della sorta di orrori a cui lei aveva già assistito?
Naturalmente, sapeva che non era il caso di litigare lì e in quel momento …
Ma che io sia dannata se non andrò in quella cantina adesso.
Si espresse con una voce esageratamente dolce, che sperava lasciasse intendere la sua disapprovazione.
“Dovremmo lasciar fare una pausa alla Dottoressa Banfield. Vengo di sotto con voi.”
Johnson alzò leggermente le spalle, apparentemente noncurante del taciuto fastidio di Riley.
“OK, allora” disse. “Andiamo.”
Lo Sceriffo Dawes li accompagnò attraverso la cucina, dove Riley vide che una padella era ancora sul fornello. Quando giunsero alla porta della cantina, Dawes li accompagnò all’interno.
Riley sgranò gli occhi di fronte a ciò che vide.
Aveva visto numerose scene scioccanti durante la sua breve carriera, ma non aveva mai visto nulla di simile.