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CAPITOLO DUE

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Lorna si riparò gli occhi dal sole di fine Agosto, guardando il panorama dal crinale. All’orizzonte sorgevano pale eoliche, bianche e altissime sui campi verdi, cespugli affioranti, avvallamenti e specchi d’acqua che riflettevano il cielo azzurro. Ben presto, la vegetazione avrebbe iniziato ad assumere i toni dell’arancione o del marrone, ma per il momento era ancora brillante e piena di vita. Una tavolozza di verdi e bianchi. Colori perfetti per un’escursione in giornata.

Lorna si voltò a guardare la strada dalla quale era arrivata, gli edifici della città alle sue spalle. Era ancora abbastanza vicina da poterne distinguere alcuni: una chiesa, un centro sociale, la biblioteca accanto a un lembo di terra che era uno dei parchi. La sua casa. Aveva sempre vissuto in questa cittadina del Nebraska, ma con tutte le escursioni e tutte le comodità a portata di mano, non aveva mai pensato di trasferirsi altrove.

Rivolse nuovamente lo sguardo al sentiero davanti a sé e ricominciò a camminare. Nella sua mente, stava tracciando il percorso per il resto della giornata: sarebbe scesa lungo questo crinale e avrebbe oltrepassato quello successivo, superando la base della prima pala – che per uno strano scherzo della prospettiva era sempre più imponente del previsto – per poi proseguire. Si sarebbe fermata soltanto dopo aver raggiunto uno dei suoi punti preferiti: un lago che, a guardarlo bene, aveva quasi la forma di un cuore. Avrebbe sostato lì per un po’, dopodiché avrebbe imboccato una stradina circolare che l’avrebbe ricondotta verso la città e la sua auto, prima di fare ritorno a casa, in tempo per l’ora di cena.

Stava pensando di fermarsi al negozio di alimentari lungo la strada per acquistare qualcosa di già pronto in modo da non dover cucinare. Non era una cattiva idea. Una ricompensa per la fatica della giornata.

Fece i salti di gioia mentre percorreva l’adorato percorso, seguendo i passi di molte altre persone nonché la sua stessa ombra, proiettata davanti a sé su questa stradina che aveva battuto centinaia di volte. Era fortunata a vivere nelle vicinanze di questa serie di piste, che offrivano così tanta bellezza e varietà. Non doveva guidare per dirigersi nel mezzo del nulla come erano costrette a fare altre persone. La sicurezza di casa era sempre alle sue spalle.

Lorna respirò profondamente quell’aria fresca mentre saliva su un altro crinale, flettendo le spalle e sentendole invase dal calore del sole. Con il suo cappellino a proteggerle la testa e il viso, si stava godendo il caldo. Le sue braccia scoperte, sulle quali aveva spalmato un bel po’ di crema solare prima di partire, erano libere di essere sfiorate dalla brezza, cosa che manteneva confortevole la sua temperatura corporea. Era quasi la giornata perfetta. Nella sua mente abbozzò quel panorama, una vista del tutto familiare che avrebbe potuto ritrarre a memoria.

Abbassò lo sguardo e quasi inciampò, fermandosi poco prima di andare a sbattere contro un altro escursionista seduto sul percorso roccioso, appena al di sotto della cima della collinetta. Era un uomo, che aveva in mano uno scarpone da trekking e stava prestando assistenza alla propria caviglia.

“Oh!” esclamò, riacquistando l’equilibrio. “Dio, non l’avevo vista. Mi scusi, stavo quasi per caderle addosso!”

Lui le rivolse un accenno di risata, inclinando la testa all’indietro per guardarla da sotto il proprio cappellino. “Oh, wow, no, dispiace a me, è colpa mia. Non avrei dovuto sedermi nel bel mezzo di un punto cieco.”

“Va tutto bene?” domandò Lorna. Ora che lui aveva la testa all’indietro, riusciva a vedere quanto fosse attraente. Un aspetto classico: un naso importante, zigomi pronunciati, una mascella virile, simile a tre linee rette su una pagina. Era anche giovane, probabilmente sulla trentina. Il suo cuore accelerò. Quasi senza rendersene conto, raddrizzò la schiena, spingendo in fuori il petto e rammaricandosi di non essere un po’ più truccata.

“Oh, sì,” disse lui con disinvoltura, facendole un cenno con una mano mentre rivolgeva nuovamente l’attenzione alla propria caviglia. “Una sciocchezza, in realtà. Credo sia solo una leggera distorsione.”

“Cos’è successo?” domandò Lorna. Le sue mani si piegarono sulle cinghie dello zaino, e le lasciò scivolare sui fianchi.

Lui indicò una roccia, non lontana dalla cima del crinale. “Mi sono slogato la caviglia su quella roccia mentre scendevo dal crinale. Stavo guardando il panorama invece di fare attenzione a dove mettessi i piedi. Un errore da novellino, no?”

Lorna sorrise. “Proprio così. La regola è: fermati e ammira il panorama, poi torna a guardare il terreno su cui cammini.”

“Lo so, lo so,” disse lui, scrollando le spalle con aria impotente. “Immagino che questo mi insegni a fare attenzione quando esco in posti che non conosco.”

“Vuoi che chiami qualcuno?” domandò Lorna. Le sue mani si mossero verso le tasche, dove il suo cellulare era in attesa in caso di emergenza. “O magari che ti aiuti ad alzarti?”

“Me la caverò,” disse lui, iniziando a infilare nuovamente lo scarpone. “Devo rimettermi in cammino. Mi basterà fare due passi per stare meglio, credo.”

“Sicuro?” Lorna esitò, guardandolo con aria preoccupata. Secondo i suoi amici, aveva la tendenza a essere iperprotettiva. Non poteva farne a meno. Vedere qualcuno in difficoltà e non cercare di essere d’aiuto le metteva ansia.

“Sì, sì,” disse lui, allacciandosi la scarpa. “Sinceramente, mi sento davvero un idiota. Ma quantomeno sono stato fortunato che a trovarmi intento a pentirmi di uno stupido errore sia stata una bella donna!”

Le guance di Lorna arrossirono lievemente. L’aveva chiamata “bella donna”, ma l’avevo detto come se nulla fosse, senza neanche guardarla, mentre usava quel suo stesso sfogo per rimettersi faticosamente in piedi. Come se fosse un fatto evidente, qualcosa che non avesse bisogno di ulteriori discussioni né di scambi di sguardi, perché era scontato per entrambi.

Lorna si fece un po’ da parte per fargli spazio, allungando inconsapevolmente una mano verso di lui nel caso avesse avuto bisogno d’aiuto. L’uomo saltellò e si mosse un po’ a fatica, testando il peso sulla caviglia prima di uniformarlo su entrambi i piedi. Una postura semplice, comoda ed esperta, nonostante il dolore.

“Sicuro di stare bene?” domandò Lorna. Lo guardò con aria dubbiosa, quasi aspettandosi che lui inciampasse e cadesse nuovamente a terra.

L’uomo testò il piede ancora un po’, muovendosi gradualmente fino ad appoggiarvi la maggior parte del peso. “A quanto pare,” rispose lui, mostrandole un sorriso. “Ma non ho nessuna intenzione di rischiare. Andrò verso l’auto e tornerò a casa.”

“Lascia che ti accompagni,” si offrì immediatamente Lorna, sia perché era la cosa giusta da fare, sia perché, in segreto, desiderava trascorrere ancora un po’ di tempo con questo bellissimo sconosciuto. Forse, se fosse stato uno del posto, avrebbero potuto scambiarsi i numeri e concordare un’escursione da fare insieme, uno di questi giorni.

“Non voglio disturbarti,” disse lui, altrettanto rapidamente. “Avrai sicuramente i tuoi programmi e io mi sto mettendo in mezzo. La tua camminata è appena iniziata, no?”

Il respiro le si fermò per un istante. “Come fai a saperlo?”

Lui indicò la strada da cui era venuta. “Sei arrivata dal parcheggio alla base del sentiero. Proprio come me.”

Lei annuì, sorridendo per la sua paranoia. “Certo,” disse. “Beh, non c’è problema, figurati. Non mi sentirei a mio agio al pensiero di lasciarti tornare a piedi da solo. Mi dispiacerebbe molto se, al mio ritorno, ti vedessi seduto a terra perché non ce l’hai fatta a tornare giù.”

Le sue labbra, che avevano una perfetta forma ad arco ed erano così carnose da far venire voglia di baciarle, si incurvarono in un sorriso. “Va bene,” disse. “Non ho nessuna intenzione di farti dispiacere. Forza, andiamo.”

Si voltarono insieme e iniziarono a camminare in direzione del parcheggio. Al di sopra delle loro teste, una solitaria nuvola bianca attraversava il cielo azzurro, spinta dalla leggera brezza. “È una gran bella giornata per un’escursione,” disse Lorna.

“Certo che sì,” rise lui. “Ecco perché ho pensato che sarebbe stata un’ottima idea venire qui. Non capita spesso che il tempo sia bello durante una giornata di ferie.”

“Sono piuttosto stupita,” disse Lorna, camminando a lato della pista in modo che lui potesse occupare la parte più uniforme del terreno. “Avrei scommesso ci fossero un sacco di persone oggi. Invece è tranquillo.”

“La maggior parte delle persone è a casa, immagino,” disse lui, indicando la città in lontananza. Da alcuni dei punti più vicini era possibile distinguere le scie sottili di fumo nero. “A cucinare di tutto al barbecue.”

Lorna annuì, schermandosi gli occhi per guardare in direzione della città. “Hai ragione,” disse. “Non ci avevo pensato.” Non aggiunse il motivo: era single, ovviamente, e non aveva molti familiari con cui passare il tempo. L’escursionismo era tutto per lei: silenzio, solitudine, tempo per riflettere.

A pensarci bene, in fin dei conti non era così male condividerlo con qualcuno.

“Per quanto mi riguarda, preferirei mettermi in cammino ogni giorno,” disse lui. Quando lei si girò a guardarlo, l’uomo sorrise con una scintilla negli occhi. “Non ho una ragazza da cui tornare, quindi passo più tempo possibile all’aria aperta. Vivo a un paio di città di distanza da qui. È per questo che di solito non vengo da queste parti.”

“Ah sì?”domandò Lorna. La sua mente era impegnata a elaborare quelle informazioni: lui era single, viveva nei dintorni ed era innegabilmente attraente. Questo incontro stava diventando alquanto opportuno. Si stava chiedendo in che modo tirare fuori l’argomento. Forse avrebbe dovuto aspettare che fosse lui a parlarne per primo, o magari dire casualmente qualcosa a proposito di mostrargli i cammini, nel caso avesse voluto riprovarci.

“Ehi, magari qualche volta potresti mostrarmi la zona,” disse lui, facendo accelerare il battito cardiaco della ragazza. “Ti andrebbe? Insomma, quando la mia caviglia si sarà rimessa in sesto.”

“Certo,” rispose lei. Non si azzardò a guardarlo, nel caso lui si fosse accorto del rossore sulle sue guance. “Mi piacerebbe.”

“Sono davvero felice di averti incontrato, oggi, Lorna,” disse lui, e lei non poté fare a meno di condividere con tutto il cuore.

Poi si fermò, rendendosi conto che lui aveva pronunciato il suo nome.

Quando gli aveva detto il suo nome?

Aprì la bocca per chiedergli se si fossero incontrati altrove prima d’ora; in caso contrario, come avrebbe potuto sapere chi fosse? Ma in quel momento, mentre iniziava a voltarsi verso di lui, qualcosa di duro colpì la parte posteriore della sua testa, in un punto doloroso che sembrò scuoterle il cervello nel cranio.

Lorna aprì gli occhi e si accorse di essere distesa a terra, nonostante avesse soltanto sbattuto le palpebre. Sentiva un dolore acuto rimbalzare tra le pareti della sua testa, e quando allungò una mano, con aria intontita, per controllare se ci fosse del sangue, lo vide. Ora era in piedi davanti a lei, e ogni segno di problemi alla caviglia era sparito. Era eretto e alto, la sua postura decisa, inflessibile. La sua mano sinistra impugnava un manganello di cuoio, e lei si rese conto vagamente che doveva essere stata quella l’origine del dolore alla testa.

“Cos …?” cercò di domandare. Aveva sonno, nonostante il dolore, e sembrava come se tutto si stesse muovendo attraverso della melassa.

“Non ti muovere,” disse lui. La sua voce adesso era piatta e dura, come un pezzo di ardesia.

Lei non aveva alcuna intenzione di obbedire a quel comando, ma non c’era molto altro che potesse fare. Lorna smise di toccarsi la testa alla ricerca dell’origine del dolore e cercò invece di girarsi, un processo lento che la fece ansimare e fermare, mentre il suo cervello oscillava e pulsava.

Lui uscì da una macchia di cespugli bassi, ritornando nel campo visivo della ragazza. Adesso aveva qualcos’altro in mano. Qualcosa di lungo che brillava al sole, emanando riflessi argentei. Cercando di reprimere un’ondata di nausea mentre si voltava, Lorna si rese conto vagamente di cosa fosse: una sorta di spada, con una leggera curvatura verso l’estremità della lama.

“Ho detto,” ringhiò lui, avvicinandosi e fermandosi in piedi davanti a lei, schermando il sole con il proprio corpo, “non ti muovere.”

Lorna alzò lo sguardo. La testa dell’uomo era circondata da un alone creato dai raggi del sole, ma il suo viso era coperto da un’ombra nera. Lui sollevò il machete e spostò leggermente i piedi, come se stesse cercando la posizione giusta. Lorna portò in avanti un pugno ripiegato per strisciare via, cercando di muoversi, cercando di fare qualsiasi cosa per scappare.

Sentì un sibilo mentre il machete si abbatteva su di lei, e Lorna chiuse gli occhi in modo da non dover vedere.

Il Volto della Follia

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