Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I
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Botta Carlo. Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I
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LIBRO SESTO
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Le mutazioni fatte in Italia da principi eccellenti non partorirono che bene; quelle fatte da un principe giusto e buono in Francia non solo non fruttificarono quel giovamento ch'ei s'era proposto, ma originarono ancora orribili disgrazie. Della qual differenza chi volesse investigar le cagioni, avrà a considerar in primo luogo le opinioni ed i costumi, che prevalevano a quei tempi in quel regno, poi le leggi che il governavano, e finalmente lo stato dell'erario.
Quello spirito di benevolenza verso l'umana generazione, il quale era prevalso in Europa a questi tempi, aveva messo più profonde, e più larghe radici in Francia, che in qualsivoglia altra provincia, sì perchè dalla Francia medesima quasi da fonte principale derivava, sì perchè la civiltà degli uomini in questo paese era molt'oltre proceduta, e sì finalmente perchè, essendo essi d'indole volubile, fan nascere spesso le mode ed i tempi, ed i tempi poscia gli governano. Così era allora tempo d'umanità; e siccome questa è una nazione, che per la prontezza della mente, e per la grandezza dei concetti, dà facilmente negli estremi così nel bene, come nel male, e sempre si governa coi superlativi, così questa universale benevolenza era diventata eccessiva, estendendosi anche a certi fini, che toccano la radice del governo, e ciò non senza pericolo dello stato; poichè se è necessario allettar gli uomini con l'amore, è anche necessario frenargli col timore, più potendo in loro l'ambizione e l'altre male pesti, che la gratitudine.
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Queste, ed altre simili cose diceva continuamente Caterina, ed insinuava destramente nell'animo dei principi, massimamente di Francesco e di Federigo Guglielmo. Nè mancarono a se medesimi in tale auguroso frangente i fuorusciti francesi, e più i più famosi ed i più eloquenti, i quali erano indefessi nell'andar di corte in corte, di ministro in ministro per raccomandar la causa del re, la causa stessa, come affermavano, dell'umanità e della religione. A queste instigazioni l'imperatore Francesco, che giovane d'età aveva già assaggiato la guerra all'assedio di Belgrado, deposti del tutto i pensieri pacifici di Leopoldo, e non dando ascolto ai ministri, nei quali suo padre aveva avuto più fede, accostossi ai consigli di coloro, che dipendendo dalla Russia, lo esortavano ad assumere l'impresa, ed a cominciar la guerra. Dal canto suo Federigo Guglielmo, principe di poca mente, ma d'indole generosa, impietositosi alle disgrazie della casa reale di Francia, e ricordandosi della gloria acquistata da Federigo secondo, si lasciò svolgere, e postosi in arbitrio della fortuna corse anch'egli all'armi contro la Francia.
Noi non descriveremo nè la lega, che seguì tra la Russia, l'Austria, e la Prussia, nè il congresso di Magonza, nè la guerra felicemente cominciata, e più felicemente terminata nelle pianure della Sciampagna. Quest'incidenza troppo ci allontanerebbe dalle cose d'Italia. Incredibile era l'aspettazione degli uomini in questa provincia, e ciascuno formava in se varj pensieri secondo la varietà dei desiderj e delle opinioni. Il re di Sardegna, spinto sempre dalla brama di far chiaro il suo nome per le imprese d'armi, stimolato continuamente dai fuorusciti francesi, che in grandissimo numero s'erano ricoverati ne' suoi stati, e lasciandosi tirare alle loro speranze, certo molto più che a uomo prudente si appartenesse, aveva meglio bisogno di freno che di sprone. Intanto non cessava di avviar soldati, armi e munizioni verso la Savoja, e nella contea di Nizza, parti del suo reame solite a sentir le prime percosse dell'armi francesi, e donde, se la guerra dal canto suo fosse amministrata con prospero successo, poteva penetrar facilmente nelle viscere delle province più popolose, e più opime della Francia. Nè contento alle dimostrazioni, ardeva di desiderio di venirne prestamente alle mani, persuadendosi che le soldatesche francesi, come nuove ed indisciplinate, non avrebbero osato, non che altro, mostrar il viso a' suoi prediletti soldati. Ma o che l'Austria e la Prussia abbiano creduto di terminar da se la bisogna, marciando sollecitamente contro Parigi, o che credessero pericoloso pel re di Sardegna lo scoprirsi troppo presto, lo avevano persuaso a temporeggiare fino a tanto che si fosse veduto a che termine inclinasse la guerra sulle sponde della Matrona, e della Senna. Così mutate le cose per la morte di Leopoldo, e pei nuovi consigli di Francesco, il re di Sardegna, prima talmente rispettivo, che altro non pretendeva che una lega fra i principi Italici a difesa comune, ora datosi in preda allo spirito guerriero, gli pareva mill'anni, che non cominciasse a mescolar le mani con la Francia.
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