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A Edoardo Sonzogno.

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A te, zio mio, per l'affetto padre, offro riconoscente questa modesta prova di lavoro; e – certo che nell'intelligente bontà dell'animo tuo saprai perdonare la povertà del tentativo – dirò a te le poche parole che avrei voluto rivolgere al lettore.

Delle opere e della vita di C. Baudelaire parlano diffusamente: Teofilo Gautier nella Prefazione ai Fiori del male, ricordando in quello studio critico l'originalità della concezione e l'inestimabile pregio – per lungo tempo disconosciuto – di quel capolavoro; Sainte-Beuve, di Custine, Deschamps, in lettere inviate a Baudelaire; Barbey d'Aurevilly, ed Asselineau in altri studi critici, che – seguendo l'esempio dell'autore – raccolsi in appendice.

Il mio compito si limita a quello modesto del traduttore in prosa. Non pensai neppure ad una traduzione ritmica che oggi ancora – a lavoro compiuto – ritengo impossibile. Certo si potrebbe recare in versi qualcuna delle composizioni meno caratteristiche, ma – pur disperando di raggiungere la perfezione dell'originale – il numero ne sarebbe troppo esiguo. Nessuno potrà nè dovrà – a mio avviso – tentare la traduzione in poesia dell'opera completa.

Chi mai saprebbe rendere la fluidità e la sonorità del verso, la realtà selvaggia e la ferocia magistrale delle espressioni, l'intensità, l'originalità e la freschezza delle concezioni, costringendo le imagini e le parole nel verso? Se un ingegno superiore vi si attentasse – pur riuscendo a darci una buona traduzione – forse verrebbe di molto scemata la personalità squisita di quel temperamento d'artista originale ed esuberante; certo non potrebbe conservare quella sapiente struttura architettonica – che ricorda Dante e il divino poema – per la quale tutte le poesie, singolarmente perfette, concorrono alla perfezione ultima, con una mirabile unità di concetto e di forma. Una sola lieve dissonanza diventerebbe un'atroce stonatura, guastandone la complessa armonia; e l'opera d'arte – incantevole arco di meraviglie – cadrebbe in rovina.

Ecco perchè la mia traduzione è in prosa. E neppur questa mi salvò dall'incontrare grandi difficoltà. Ho conservato l'asprezza e la crudezza della frase, nulla aggiungendo e nulla togliendo, attenendomi coscienziosamente all'originale, e presento alla critica un lavoro scrupolosamente accurato, senza la pretesa della perfezione.

E la soddisfazione dell'opera mia sarebbe completa, se potessi, nell'Italia nostra, contribuire col povero ingegno mio al movimento di riparazione – già iniziato in Francia da qualche anno ed ora quasi compiuto – verso la pallida ombra del poeta che ebbe una vita tanto agitata, per avere fedelmente seguito quello che egli – con la triste rassegnazione degli esseri d'intelletto, delle anime malate d'infinito e assetate d'ideale – chiamava il suo doloroso programma.

Milano, settembre 1893.

Riccardo.

Baudelaire - I fiori del male

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