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CAPITOLO SETTE

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11 giugno

2:15

Ybor City, Tampa, Florida

Era un lavoro pericoloso.

Così pericoloso che andare al piano del laboratorio non gli piaceva proprio.

“Sì, sì,” disse al telefono. “Abbiamo quattro persone, al momento. Ne avremo sei finito il turno. Entro stanotte? È possibile. Non voglio promettere troppo. Chiamami verso le dieci, e avrò un’idea migliore.”

Rimase un attimo in ascolto. “Be’, direi che un furgone è abbastanza grande. Con quelle dimensioni può arrivare tranquillamente alla zona di carico. Questi cosi sono così piccoli che non si vedono a occhio nudo. Nemmeno un bilione di quei cosi prenderebbe troppo spazio. Se proprio dobbiamo, potremmo metterli tutti nel bagagliaio di una macchina. Ma in caso suggerirei due macchine. Una per andare in strada, e una per andare all’aeroporto.”

Riappese. Il nome in codice dell’uomo era Adam. Il primo uomo, perché era il primo uomo assunto per quel lavoro. Ne comprendeva appieno i rischi, anche se gli altri no. Lui solo conosceva l’intero scopo del progetto.

Osservò il pavimento del piccolo magazzino attraverso la grande finestra dell’ufficio. Lavoravano ventiquattr’ore su ventiquattro, su tre turni. Le persone che adesso erano lì, tre uomini e una donna, indossavano camici bianchi da laboratorio, occhialini, mascherine per l’aria, guanti di gomma e stivali ai piedi.

Gli operai erano stati selezionati per la loro abilità di fare semplice microbiologia. Il loro lavoro consisteva nel far crescere e moltiplicare un virus usando il campione fornito da Adam, per poi liofilizzare i campioni per il trasporto e la trasmissione via aerosol successivi. Era un lavoro noioso, ma non difficile. Qualsiasi assistente di laboratorio o studente di biochimica al secondo anno avrebbe potuto farlo.

Il programma di ventiquattr’ore faceva sì che le scorte dei virus liofilizzati crescessero molto velocemente. Adam faceva rapporto ai suoi datori di lavoro ogni sei o otto ore, e loro esprimevano sempre il loro piacere per il ritmo che tenevano. Nell’ultimo giorno il piacere aveva ceduto il posto alla gioia. Il lavoro sarebbe stato completato presto, forse addirittura oggi.

Adam sorrise al pensiero. I suoi datori di lavoro erano contenti, e lo ripagavano molto, molto bene.

Sorseggiò il caffè da una tazza termica e continuò a osservare i dipendenti. Aveva perso il conto della quantità di caffè che aveva consumato negli ultimi giorni. Tanto. I giorni stavano cominciando a mescolarsi. Quando era esausto si stendeva sulla branda dell’ufficio per dormire un pochino. Indossava la stessa tenuta protettiva degli operai nel laboratorio. Ormai non se la toglieva da due giorni e mezzo.

Adam aveva fatto del suo meglio per costruire un laboratorio di fortuna nel magazzino in affitto. Aveva fatto del suo meglio per proteggere gli operai e se stesso. Avevano degli indumenti protettivi da indossare. C’era una stanza in cui buttare via gli abiti dopo ogni turno, e c’erano delle docce perché dopo gli operai si lavassero via ogni residuo.

Ma c’erano anche i limiti temporali e dei fondi da prendere in considerazione. Il programma aveva tempi stretti, e ovviamente c’era la questione della segretezza. Sapeva che le protezioni non rispettavano gli standard dei centri americani per il controllo delle malattie – se avesse avuto un milione di dollari e sei mesi per costruire quel posto, ancora non sarebbe bastato.

Alla fine aveva costruito il laboratorio in meno di due settimane. Si trovava in una zona accidentata di vecchi e bassi magazzini, nei recessi di un quartiere che per molto tempo era stato un centro di immigrazione cubana e di altro genere negli Stati Uniti.

Nessuno gli avrebbe dato una seconda occhiata. Non c’era insegna sull’edificio, ed era fianco a fianco con un’altra dozzina di costruzioni simili. L’affitto era stato pagato per i sei mesi successivi, anche se ne avevano bisogno solo per un periodo di tempo brevissimo. Aveva il suo piccolo parcheggio, e gli operai andavano e venivano come fanno gli operai di ogni magazzino e fabbrica di ogni luogo – a intervalli di otto ore.

Venivano pagati bene e in contanti, e alcuni non parlavano inglese. Gli operai sapevano cosa fare con il virus, ma non sapevano esattamente di che virus si trattasse né perché. Un’incursione della polizia era improbabile.

Comunque lo rendeva nervoso trovarsi così vicino al virus. Sarebbe stato sollevato di terminare quella parte del lavoro, ricevere il pagamento finale e poi evacuare il posto come se mai fosse stato lì. Dopo, avrebbe preso un volo per la costa occidentale. Per Adam, in questo lavoro c’erano due parti. Una qui e una… da qualche altra parte.

E la prima parte presto sarebbe terminata.

Oggi? Sì, forse addirittura oggi.

Avrebbe lasciato il Paese per un po’, così aveva deciso. Una volta finito tutto avrebbe fatto una lunga e bella vacanza. La costa meridionale della Francia in quel momento gli sembrava invitante. Con i soldi che stava facendo sarebbe potuto andare ovunque avesse voluto.

Era facile. Un furgone, o una macchina, o forse due macchine sarebbero arrivate nel cortile. Adam avrebbe chiuso i cancelli in modo che dalla strada nessuno potesse vedere quel che stava accadendo. I suoi operai si sarebbero presi qualche momento per caricare il materiale sui veicoli. Lui si sarebbe assicurato che stessero attenti, così forse per tutto quanto ci sarebbero voluti venti minuti.

Adam sorrise tra sé e sé. Poco dopo che il materiale fosse stato caricato, lui si sarebbe trovato su un aereo per la costa occidentale. Poco dopo, l’incubo sarebbe cominciato. E non c’era nulla che qualcuno avrebbe potuto fare per fermarlo.

Il Giuramento

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