Читать книгу Operazione Presidente - Джек Марс - Страница 18

CAPITOLO UNDICI

Оглавление

9:21 ora della costa orientale

Lafayette Park, Washington DC


Era una cosa bellissima di cui essere testimoni.

Lo chiamavano il Parco del Popolo, e oggi il popolo era tutto lì.

Non i soliti abitanti del parco, dove generazioni su generazioni di marmaglie, agitatori e radicali – il volgo, i perdenti della vita – si erano accampate per protestare contro le politiche di un presidente dietro l’altro.

No. Non quelli.

Questo era il suo popolo. Un mare di gente – migliaia, decine di migliaia – che ieri notte si era passata parola tramite social per dirsi che il loro uomo oggi avrebbe parlato qui. Era una mossa furtiva, un’accoltellata alla schiena, il tipo di mossa in cui eccelleva Gerry O’Brien. Aveva ottenuto dalla città il permesso per quell’assemblamento appena prima della chiusura delle attività del venerdì sera, e la notizia si era diffusa come un incendio nel corso della notte, le fiamme fomentate da venti di uragano.

Adesso il popolo era tutto lì, con addosso i giganteschi cappelli di Abramo Lincoln e in mano i cartelli – cartelli fatti a mano, cartelli ufficiali della campagna, cartelli creati professionalmente dalle dozzine di organizzazioni che avevano sostenuto la campagna. La maggior parte della gente indossava pesanti e caldi cappotti e cappelli per ripararsi dal freddo assurdo.

Jefferson Monroe guardò dal palco improvvisato la brulicante massa umana – era come un festival rock and roll là fuori – e seppe di essere nato proprio per quel momento. Settantaquattro anni e molte, molte vittorie: dai primi giorni come teenager contrabbandiere d’alcolici nei recessi dell’Appalachia, passando per il periodo di giovane e arrabbiato crumiro, ambizioso dirigente d'azienda e alla fine maggior azionista e leader dell’industria del carbone.

Dopo era diventato senatore per la Virginia Occidentale e politico conservatore influente pesantemente finanziato dalle stesse aziende di carbone per cui un tempo aveva lavorato. E adesso… presidente eletto degli Stati Uniti. Una vita di lotte, lunghi decenni di salita a partire dal fondo, a farsi strada con le unghie, e improvvisamente, quasi per sorpresa (una risoluzione che non si aspettava nessuno, nemmeno lui), era l’uomo più potente della Terra.

Era lì per costringere la presidente in carica a lasciare la Casa Bianca in anticipo, e permettere a lui di entrarvi. Era la cosa più audace che avesse mai tentato. Oltre le folle e dall’altra parte della strada principale riusciva a vedere la Casa Bianca in lontananza, a sorgere su un verde poggio. Lo vedeva lei da lì? Stava guardando?

Dio, sperava di sì.

Distolse lo sguardo dalla folla, solo per un attimo. Dietro di lui, sul palco, c’era un gruppo di gente. C’era O’Brien, la mente della sua campagna, il signore oscuro dei suprematisti bianchi, un uomo motivato come minimo quanto Monroe stesso. Persino ora stava abbaiando qualcosa in un cellulare.

“Voglio quell’uccello,” sembrava dire Gerry lo Squalo. Ma come poteva essere giusto? Voglio quell’uccello? Che cosa strana da dire! In un momento del genere?

“Lo voglio, ok? Voglio che scenda dove abbiamo detto. Dimmi che ci riesci. Ok? Bene. Quando?”

Monroe si scrollò di dosso quella roba. Avere a che fare con Gerry era più che una corsa selvaggia – era una lezione di surrealismo. Il presidente eletto decise di ignorare il suo consigliere più vicino, per il momento. Parlò invece con le altre persone sul palco.

“La vedete?” disse coprendo il microfono con la mano e indicando la massiccia folla. “La vedete?”

“È la cosa più bella che abbia mai visto,” disse un giovane assistente.

Dietro di lui nella folla si cominciò ad applaudire – non a caso, ma con ritmo, migliaia di mani che applaudivano in una volta – CLAP, CLAP, CLAP, CLAP…

Stava per salire uno slogan. Era così che cominciava, con l’applauso, e in alcuni casi battendo i piedi. Ed ecco che arrivava, le voci che si sollevavano.

“U-S-A! U-S-A! U-S-A!”

Era uno slogan buono, buono per cominciare.

Monroe levò la mano dal microfono e afferrò invece l’asta. Sollevò una mano, calmando lo slogan in qualche secondo. Era come se avesse semplicemente abbassato il sonoro di un macchinario – una tv, o una radio. Ma quella non era una macchina, erano migliaia e migliaia di persone, e lui le controllava, senza fatica, con un gesto. Non per la prima volta, si meravigliò di quel potere, un potere che lui aveva. Come un supereroe.

O un dio.

“Come vi sta trattando il riscaldamento globale?” disse, la voce che echeggiava sulle moltitudini. Risate ed esultazioni si sparsero nella folla. Personalmente, Monroe aveva saputo dai climatologi delle sue aziende che il riscaldamento globale era un fatto reale, e che sarebbe stato un problema serio tra un secolo, o prima, forse persino una minaccia per la civiltà stessa. Come presidente, poteva tranquillamente cercare delle vie per implementare politiche che diminuissero in qualche modo la minaccia senza danneggiare i profitti industriali. Nel frattempo le sue aziende stavano gradualmente aumentando gli investimenti nei campi dell’energia rinnovabile – tecnologie solari, eoliche e geotermiche, che erano il futuro.

Ma il suo popolo queste cose non voleva sentirle. Voleva sentire che il surriscaldamento globale era una bufala, perpetrata in larga parte dai cinesi. Quindi era questo che Monroe avrebbe detto. Dava alla gente quello che voleva lei. E comunque oggi faceva freddo, assurdamente freddo per i primi di novembre, e quella era una prova sufficiente – non poteva esistere il surriscaldamento globale.

“Oggi è il nostro giorno, lo sapevate?”

La folla all’idea esultò con un ruggito di approvazione.

“Siamo arrivati dal niente, io e voi. Ok? E siamo arrivati da nessun posto. Non siamo cresciuti in eleganti ed esclusivi attici di Manhattan o San Francisco o Boston. Non abbiamo studiato in scuole private speciali per persone speciali. Non abbiamo bevuto latte macchiato leggendo il New York Times. Noi quel mondo non lo conosciamo. Noi quel mondo non vogliamo conoscerlo. Io e voi abbiamo lavorato duramente per tutta la vita, e ci siamo guadagnati tutto ciò che abbiamo, e tutto ciò che mai avremo. E oggi è il nostro giorno.”

L’esultanza fu un’eruzione – un terremoto – di rumore. Sembrava una grossa bestia al di sotto della superficie della Terra, per secoli dormiente, che adesso lacerava la terra per uscirne in un’esplosione di violenza.

“Oggi è il giorno in cui rimuoveremo una delle amministrazioni più corrotte della storia americana. Sì, lo so, lo so. Ha detto che non se ne va, ma vi dico una cosa. Questa faccenda non durerà. Se ne andrà, proprio così, e molto prima di quanto creda chiunque. Accadrà molto prima di quanto lei creda, questo è sicuro.”

L’esultanza proseguì. Aspettò che la folla si chetasse. Il popolo di Monroe odiava Susan Hopkins. Odiavano lei e tutto ciò per cui lei combatteva. Lei era ricca, era bellissima, era viziata – non le era mai mancato nulla in vita sua. Era una donna con un lavoro sempre svolto da uomini.

Era amica degli immigrati, e dei cinesi, le cui pratiche di lavoro a basso costo avevano distrutto lo stile di vita americano. Era un’edonista, un ex personaggio del jet set, e sembrava confermare tutto ciò che la gente degli stati centrali sospettava sulle celebrità. Suo marito era gay, per amor di Dio! Era nato in Francia. Poteva esserci qualcosa di meno americano di un francese gay?

Susan Hopkins per questa gente era un mostro. Nei recessi più remoti dei siti di cospirazioni di internet, c’era persino chi dichiarava che lei e il marito erano assassini, e peggio che assassini. Erano adoratori del diavolo. Facevano parte di un culto satanico di ricchissimi che rapivano e sacrificavano bambini.

Be’, oggi Monroe avrebbe dato a questa gente la parte omicida. Avrebbe voluto essere dentro allo Studio Ovale per vedere la sua faccia quando sarebbe uscita la notizia.

La folla si era chetata di nuovo. Adesso aspettavano lui.

“Voglio che mi ascoltiate per un minuto,” disse. “Perché quello che sto per dirvi è un po’ complicato, e non è facile da stare a sentire. Però lo dirò, perché dovete saperlo. Voi, il popolo americano, i veri patrioti, meritate di sapere. È molto importante. Il nostro futuro è in pericolo.”

Li aveva catturati. Adesso erano pronti. Eccolo che arrivava. Il passaggio dell’Ave Maria. La bomba. Jefferson Monroe si preparò e la lanciò.

“Cinque giorni prima delle elezioni, un uomo è stato trovato morto vicino a Tidal Basin, proprio qua a Washington DC.”

Il suo popolo era ammutolito. Un uomo morto? Questa era una novità. Non era il tipico discorso da raduno di Jefferson Monroe. Sembrava che migliaia di paia d’occhi fossero inchiodati su di lui. Anzi, era proprio così. Dacci qualcosa, sembravano dire quegli occhioni vuoti. Dacci carne fresca.

“A una prima impressione, è parso che l’uomo si fosse suicidato. Aveva un colpo di pistola alla testa, l’arma è stata trovata vicino al corpo, e su di essa c’erano le sue impronte. Non ha avuto un grosso impatto sui notiziari al momento – la gente muore ogni giorno, e abbastanza spesso si toglie la vita. Però io lo sapevo, ok, gente? Lo sapevo che quell’uomo non si era ucciso.”

Gli occhi lo osservavano. Migliaia e migliaia di occhi.

“Come facevo a saperlo?”

Nessuno disse una parola. Jefferson Monroe non aveva mai visto un gruppo così ampio di persone tanto silenzioso in tutta la sua vita. Percepivano che stava arrivando qualcosa di grosso, e che sarebbe stato lui a portare questo qualcosa.

“Sapevo che non si era suicidato perché conoscevo quell’uomo personalmente. Direi quasi che era mio amico. Si chiamava Patrick Norman.”

Jefferson non era estraneo alle bugie grosse. Ma comunque, a differenza di molti politici, provava una fitta quando mentiva. Non era senso di colpa. Era la sensazione che là fuori, da qualche parte, qualcuno conoscesse la verità, e che quella persona avrebbe lavorato instancabilmente per portarla alla luce. Anzi, non era nemmeno là fuori da qualche parte – almeno tre persone alle sue spalle sul palco conoscevano i fatti. Probabilmente ce n’era un’altra dozzina nell’organizzazione. Sapevano che Jeff Monroe non aveva mai parlato neanche una volta con Patrick Norman.

Insistette.

“Patrick Norman non aveva tendenze suicide – assolutamente. Al contrario, era uno degli investigatori privati migliori e più di successo degli Stati Uniti, e faceva un sacco di soldi. So quanto faceva perché lo pagavo io. Stava lavorando per la mia campagna al momento della morte.

“Fare campagna elettorale è un lavoro sporco, gente. Sarò il primo a dirvelo. A volte si fanno cose di cui non si è orgogliosi per guadagnare un vantaggio sull’avversario. E io ho assunto Patrick perché indagasse sulla corruzione nell’amministrazione Hopkins e nelle attività di compravendita del marito della futura ex presidente, Pierre Michaud. Ok? Vedete dove voglio arrivare?”

Un borbottio di approvazione, un forte mormorio, passò nella folla come un’onda.

“Patrick mi ha chiamato al telefono un paio di giorni prima di morire, e ha detto, ‘Jeff, ho trovato il fango che stai cercando. Devo solo seguire un altro paio di piste. Ma questa roba che ho – le cose brutte che ha fatto lei – farà saltare per aria le elezioni.’”

Quella era una bugia sopra a una bugia. Norman non lo aveva mai chiamato. Non lo aveva mai chiamato Jeff – non lo aveva mai chiamato proprio. Non aveva fango su Susan Hopkins, nemmeno dopo quasi un anno di ricerche. Aveva determinato che probabilmente era immacolata, oppure, se così non era, il fango era seppellito così in profondità che nessuno l’avrebbe mai scoperto.

“Quello che Patrick mi suggerì fu che la Hopkins e suo marito avevano accettato tangenti da leader stranieri, inclusi dittatori del terzo mondo, in cambio di un trattamento di favore da parte del governo statunitense. Suggerì che c’era anche un quid pro quo in corso nella beneficienza fasulla di Pierre Michaud. Se i dittatori avessero fatto apparire buono Michaud permettendogli di costruire i suoi sistemi idrici falsi – sistemi idrici che non aiutano nessuno, gente! – gli Stati Uniti avrebbero venduto loro armamenti. Roba scioccante. E gente, quella è stata l’ultima volta che ho sentito Patrick Norman. Aveva del fango su Susan Hopkins. Poi è morto, apparentemente per mano sua.”

Ora per la folla passò un brontolio di buu.

“Ma non è stato per mano sua, giusto? Ieri pomeriggio l’ufficio del medico legale di Washington DC ha comunicato quello che ha scoperto. Patrick Norman non ha fatto fuoco con l’arma che lo ha ucciso. E sul corpo aveva dei segni coerenti con una lotta. Tutti gli indizi dicono che qualcuno lo ha ucciso e lo ha fatto sembrare un suicidio.”

Fece una pausa e lasciò che il momento prendesse fiato. Quelle erano le parti vere, nonché le parti particolarmente incriminanti.

“Cinque giorni prima delle elezioni Patrick Norman, l’uomo con il fango su Susan Hopkins è stato assassinato.”

La folla esplose fino a un accesso di estasi. Questo era quello che volevano, tutto ciò che avevano sempre voluto – qualcosa che sembrasse confermare tutto quello che già sapevano su Susan Hopkins. Era corrotta fino all’osso, e aveva fatto uccidere qualcuno per coprire le tracce del suo inganno.

Mentre la folla esultava, l’esultanza cominciò a trasformarsi in qualcosa, nello slogan che era emerso verso la fine della campagna. Era lo slogan più pericoloso di tutti, uno slogan che Gerry lo Squalo aveva gettato nella sfera pubblica attraverso la sua squadra di scagnozzi della Tempesta Imminente.

“CACCIATELA! CACCIATELA!”

Poi accadde una cosa strana e meravigliosa.

Proprio mentre il suo popolo intonava slogan di violenza, una colomba bianca volò giù dal cielo, indugiò sopra a Jefferson Monroe per un attimo e poi si posò sulla spalla destra del suo cappotto di lana. Sbatté le ali un paio di volte, poi si accomodò e si rilassò. Adesso aveva una colomba sulla spalla. La folla eruttò.

Era magico. Di più, era un segno. Un segno di Dio.

Si mosse con cautela, cercando di non spaventare l’uccello.

Voglio quell’uccello, aveva urlato Gerry lo Squalo al telefono.

Monroe sollevò il braccio sinistro per cercare di calmare la folla. Funzionò, più o meno.

“Questa è una colomba di pace,” disse. “Ed è così che agiremo, gente. Pacificamente, per mezzo della legge. Per mezzo delle forze dell’ordine degli Stati Uniti. Per mezzo del pacifico trasferimento dei poteri che è stato una delle nostre grandi tradizioni fin dagli albori della Repubblica.

“Dato che siamo una nazione fondata sulla legge, Susan Hopkins deve sgomberare l’ufficio della presidenza oggi stesso, e lasciare la Casa Bianca. La polizia metropolitana e l’ufficio del medico legale di Washington DC hanno fatto il loro lavoro – hanno determinato che Patrick Norman non si è ucciso. E adesso io chiedo al dipartimento di Giustizia e all’FBI di fare il loro lavoro – e indagare la presidente Hopkins per omicidio.”

Operazione Presidente

Подняться наверх