Читать книгу Un racconto della serie Agente Zero - Джек Марс - Страница 5
ОглавлениеUN RACCONTO DELLA SERIE AGENTE ZERO
ROMA, ITALIA
Zero percepì la sua presenza ancor prima di vederla.
All'inizio della sua carriera aveva imparato, provando e sbagliando e procurandosi molte ferite e cicatrici, a fidarsi del suo istinto e intuizione tanto quanto del suo allenamento. Quindi, quando sentì quella sensazione familiare pungergli la nuca e fargli venire la pelle d'oca, capì di essere osservato.
Si avvicinò alla finestra e con due dita spinse delicatamente indietro la tenda, lentamente e non più di qualche millimetro, mantenendo tutte le parti vitali del suo corpo relativamente nascoste dal telaio della finestra. L'appartamento si trovava nel quartiere di Sant'Angelo, con vista su Piazza Mattei, che era per lo più vuota. Sebbene tecnicamente estate, il mese di settembre aveva portato con sé un fronte freddo che aveva spinto la maggior parte dei turisti ad affrettarsi a passo svelto verso la loro destinazione piuttosto che trattenersi in piazza a scattare qualche foto alla Fontana delle Tartarughe, caratterizzata dalle numerose tartarughe perfettamente scolpite attorno al bordo del bacino di marmo.
Lei era lì. Si trovava in piedi a pochi metri dal bordo della fontana, entrambe le mani infilate nelle tasche di una giacca scamosciata scura. I suoi capelli biondi avevano delle sfumature che sembravano essere opera di un abilissimo parrucchiere, sebbene Zero sapesse che erano naturali. I suoi occhi grigio ardesia, pur sembrando disinteressati, scrutavano proprio la finestra del secondo piano con le tende bianche.
La sua finestra.
"Dannazione", sospirò Zero. Se lei sapeva dove si trovava, era probabile che lo sapessero anche loro. Era pronto a scommettere che non era venuta da sola. E sebbene non fosse sicuro delle sue motivazioni, sapeva che non sarebbe andata da lui.
"Al diavolo". Andrà come deve andare. Sollevò la Glock dal piccolo tavolo da pranzo alle sue spalle, inserì una nuova cartuccia e si diresse in camera prima di infilarla nella parte posteriore dei pantaloni. Infilò un paio di mocassini e lasciò l'appartamento, scendendo lentamente le scale di pietra. Mentre passava sotto l'arco che conduceva alla piazza, Zero si aspettò che una dozzina di agenti uscissero sciamando da luoghi nascosti per arrestarlo. O forse non si sarebbero nemmeno preoccupati di arrestarlo. Forse lo avrebbero semplicemente ucciso con una pallottola nel cranio.
Ma non accadde nulla. Lei rimase immobile mentre lui uscì nel pomeriggio grigio e si fermò a una decina di metri da lei. I suoi capelli le cadevano morbidi e perfetti sulle spalle, come se fosse appena uscita dalla pubblicità di uno shampoo. La brezza gelida gli portò il suo profumo alle narici, e con esso venne il ricordo di loro in un bar di Düsseldorf, in cui avevano riso insieme fino a tarda notte...
Smettila, si disse.
È troppo tardi per tornare indietro ora.
Per un momento, ci fu solo silenzio. Da qualche parte un uccello cinguettò come per lamentarsi per il rapido mutamento del tempo.
"Ho pensato che avrei potuto trovarti qui".
Zero non rispose. Ma il suo sguardo scrutava i tetti adiacenti senza muovere la testa.
Maria accennò un sorriso. "Sono sola", gli disse. “Morris e Reidigger mi hanno detto che stavo perdendo tempo. Che era troppo ovvio. Ma poi mi sono ricordata di quello che mi hai detto una volta, che a volte il modo migliore per essere imprevedibile è fare quello che presumono che non avresti mai...”
"Togli le mani dalle tasche", le ordinò.
Il sorriso svanì. Estrasse lentamente le mani e mostrò i palmi delle mani vuoti. "Non sono qui per ucciderti, Kent".
Kent. Era l'unica a chiamarlo ancora in quel modo. Agente Kent Steele della divisione Attività Speciali, gruppo Operazioni speciali della CIA. Nome in codice: Agente Zero. Ma non era un agente, non più. Era stato ripudiato. Non era neanche Kent. Era solo... Zero.
Un nessuno.
E lei era Maria Johansson, alias Agent Marigold. Avevano lavorato insieme per anni nel Gruppo Operazioni Speciali, insieme al suo migliore amico Alan Reidigger e, più recentemente, insieme al giovane Clint Morris. Loro quattro erano stati una squadra. Un'ottima squadra.
Fino a…
"Allora perché sei venuta?"
"Per parlare", gli disse Maria. "Tutto qui. Te lo giuro". I suoi occhi grigi guardarono nuovamente la finestra sopra la sua testa. "Posso salire...?"
Se stava dicendo la verità, e Maria non gli aveva mai mentito prima, allora sapeva di cosa volesse parlare e lui non voleva parlarne. Tuttavia, non se ne sarebbe semplicemente andata e Zero non si sentiva al sicuro in mezzo a quella piazza.
Le fece un cenno di assenso e lei lo seguì sotto l'arco, su per le scale di pietra, fino alla seconda porta a sinistra. L'appartamento era una casa sicura, istituita segretamente da lui e dal suo team nel caso in cui qualcuno di loro fosse stato costretto a nascondersi. Nemmeno l'agenzia ne era a conoscenza. Il nome sul contratto di affitto era falso e il proprietario dell'edificio credeva che fosse affittato da una ricca famiglia americana che lo offriva ai suoi amici e colleghi di lavoro per le loro vacanze a Roma. Aveva dovuto riposarsi per un paio di giorni per consentire alle sue costole ammaccate di riprendersi da un recente scontro con un trio di contrabbandieri sloveni, e aveva scelto di proposito un posto ovvio, forse troppo ovvio, come aveva sottolineato Maria.
Non poteva sopportare che avesse usato contro di lui qualcosa che lui stesso le aveva insegnato.
Entrò nell'appartamento e poi si girò, mentre lei era ancora sulla porta. "Sei armata?"
"Certo che sì". Poi aggiunse: "Una Ruger. Nel mio cappotto".
"Toglilo".
Maria scrollò le spalle dalla giacca e Zero la appoggiò sullo schienale di una sedia. La scrutò con attenzione; non riusciva a scorgere alcun posto in cui avrebbe potuto nascondere una pistola. Ma avrebbe potuto avere un coltello negli stivali neri...
"Mi vuoi perquisire?" chiese ironicamente.
Lui scosse la testa. "Vado a fare il caffè. Tu lo prendi?"
"No. Grazie". Chiuse la porta dell'appartamento dietro sé. "Da quanto tempo sei qui?"
Entrò nella cucina adiacente, a malapena più di un angolo, e raccolse una lattina da terra. "Un giorno e mezzo. Volevo andarmene domani mattina. Ma ora..." Ora sarebbe dovuto partire entro la notte. O nel pomeriggio. Il prima possibile, nel caso Maria decidesse di riferire dove si trovasse all'agenzia.
"Kent". Disse con voce dolce; quando si voltò, lei era proprio dietro di lui. Il suo profumo...
Smettila. Non si torna indietro.
"Vieni, Kent. Vieni con me".
Lui scosse la testa. "Non posso. Non ho finito". Lui tolse il coperchio dalla lattina.
Lei sospirò e gli toccò il braccio. "Senti, io... Non ho mai avuto l'occasione di dirti che mi dispiace. Per quello che è successo. A Kate—"
"Non farlo". Le parole gli uscirono dalla bocca con la forza di una palla di cannone, e come se non bastasse furono accompagnate da un potente pugno sul tavolo della cucina. La tazzina si rovesciò e il caffè cadde sul pavimento. Maria fece un mezzo passo indietro, la sua mano raggiunse immediatamente la sua schiena.