Читать книгу Arturo e l’unicorno - Джованни Сальветти - Страница 5
La famiglia di Arturo
ОглавлениеAppena svegliato, Arturo si lavava la faccia con l’acqua fresca che suo papà aveva appena tirato su dal pozzo, si metteva i pantaloni e la camicia e correva nel piccolo pollaio a raccogliere le uova. “Bravo Arturo, sei proprio un bambino giudizioso e attento! Da quando raccogli tu le uova, non se ne è mai rotta una!”, gli diceva spesso la mamma. Le uova erano una parte importante della colazione della famiglia di Arturo.
Arturo era nato in una famiglia di poveri contadini, i Bontempi, che abitavano in campagna nella provincia di Bergamo, una bella città medioevale del Nord Italia tra Milano e Venezia. Era più o meno la fine del 1500, tanto tempo fa. Arturo era il quarto di sette figli, tre femmine e quattro maschi, e aveva undici anni. A quel tempo le famiglie erano molto più numerose di oggi, soprattutto quelle dei contadini. I figli erano una ricchezza perché, quando diventavano grandicelli, aiutavano i loro genitori nelle faccende della fattoria. Oltre ai sette figli, al papà e alla mamma, viveva con loro il vecchio nonno Guido. In tutto erano in dieci.
La vita era molto dura e si svolgeva seguendo le regole della natura ed i cicli delle stagioni. Ci si svegliava al sorgere del sole e si andava a dormire poco dopo il tramonto. Le notti invernali erano fredde e lunghe e la campagna riposava sotto molta neve. C’era molta più neve un tempo. Le giornate estive erano lunghe e calde e precedevano il grande momento del raccolto che si svolgeva a settembre. Il raccolto era molto importante perché la famiglia viveva principalmente di quello che aveva coltivato durante tutto l’anno e raccolto in autunno.
La terra non apparteneva alla famiglia di Arturo ma ad un ricco marchese di Bergamo, il marchese Trecolli. L’accordo, molto diffuso a quel tempo, era che il raccolto veniva diviso in due, metà andava alla famiglia di Arturo, che aveva lavorato la terra tutto l’anno, e metà al marchese, che la possedeva. Questo accordo si chiama ancora oggi, di mezzadria, perché si fa a metà, si smezza. Il marchese possedeva molta altra terra oltre a quella lavorata dal papà di Arturo, per questo era ricco. Aveva ereditato tutto da suo padre, il qualche aveva ereditato la terra da suo padre e così via.
La terra che lavorava la famiglia di Arturo non era molta, più o meno cinque ettari, vale a dire come circa 3 campi da calcio. La casa di Arturo era un vecchio casale in pietra. La casa stava proprio in mezzo ai campi del marchese.
Anche il papà di Arturo aveva ereditato la mezzadria da suo padre, il nonno Guido. A quel tempo le cose cambiavano molto lentamente. Quando nascevi sapevi più o meno quello che avresti fatto nella vita, vale a dire avresti fatto normalmente quello che aveva fatto tuo padre o tuo nonno, a meno che non diventavi soldato e partivi per le guerre. Non come adesso, dove tutto cambia velocemente. Potevano però succedere eventi magici a volte, come in questa storia.
La famiglia possedeva due maiali, un asino, cinque galline, due capre e anche un enorme cane che si chiamava Ombra. Si chiamava cosi perché aveva il pelo tutto nero e anche gli occhi erano neri. Se non lo conoscevi e lo vedevi per strada, faceva molta paura. Ed in questo senso era molto utile perché spaventava i malintenzionati che passavano vicino alla fattoria che, così, se ne stavano alla larga. In realtà Ombra era un buon cane e non aveva mai morso nessuno dei fratelli e delle sorelle di Arturo, neanche quando da piccoli gli tiravano la coda.
A quel tempo i bambini dei contadini non andavano a scuola. Solo i figli dei ricchi avevano i loro insegnanti privati che vivevano nei palazzi delle famiglie importanti ed erano pagati per educarne i figli. Tuttavia i bambini dei contadini imparavano molto sulla natura e la lavorazione dei campi. Inoltre il nonno Guido aveva un sacco di storie da raccontare. A quei tempi c’erano molto più guerre e combattimenti che oggi ed il nonno Guido, che prima di diventare contadino aveva anche combattuto, ne aveva viste e sentite di tutti i colori, perciò le sue storie erano molto avvincenti.
Allora non c’erano televisioni, computer o i tablet, come quello su cui sto scrivendo questa storia. L’unico intrattenimento erano le storie del nonno Guido, che raccontava dopo cena, nelle lunghe serate d’inverno, quando tutti i figli si sedevano intorno al fuoco per riscaldarsi e prepararsi al sonno.
La famiglia possedeva anche un libro – uno solo! – un bellissimo manoscritto sulla storia dell’arte che un lontano parente di Firenze aveva lasciato loro in eredità. Arturo, che era il più sveglio di tutti i figli, lo leggeva e rileggeva con attenzione quasi ogni giorno e ne ammirava le bellissime illustrazioni sull’arte classica. Inoltre Arturo non si staccava mai dal nonno e gli faceva sempre un sacco di domande sulle guerre, i soldati, i cavalieri ed i castelli. A parte il padre di Arturo, che doveva andare a trovare il marchese ogni tanto per aggiornarlo sulle attività della fattoria, a Bergamo ci andavano raramente, tranne una volta all’anno dopo il raccolto.
Quello in genere era un grande giorno perché il papà di Arturo vendeva la sua parte di raccolto e, per festeggiare, comprava ai figli un dolce alla castagna fatto nella pasticceria di Bergamo, un pezzo di tessuto per la mamma, che ci faceva un vestito, un po’ di vino rosso per lui e per il nonno ed anche un osso da rosicchiare per Ombra. I bambini correvano e giocavano per le vie di Bergamo insieme ai figli degli altri contadini che erano venuti in città a vedere il raccolto. Il giorno del raccolto compravano anche un maialino che avrebbero fatto ingrassare per i successivi due anni per poi ammazzarlo per farci salami e salsicce che avrebbero mangiato per tutto un anno.
La natura era la vera padrona delle loro vite, ne decideva i ritmi e le fortune. A volte la natura poteva essere benevola e regalare ricchi raccolti se il tempo era stato particolarmente buono. Altre volte il tempo poteva essere però meno buono, troppo piovoso o troppo secco, troppo caldo o troppo freddo. Allora il raccolto era scarso e bisognava tirare la cinghia perché c’era meno da mangiare e sempre dieci bocche da sfamare. Tutto sommato però vivevano felici, una vita semplice, circondati da un paesaggio di dolci colline e colori bellissimi che cambiavano con lo scorrere delle stagioni.