Читать книгу Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 7 - Эдвард Гиббон, Edward Gibbon - Страница 3
OSSERVAZIONI GENERALI
Sulla caduta del Romano Impero dell'Occidente
ОглавлениеI Greci, poscia che il loro paese fu ridotto a Provincia, attribuivano i trionfi di Roma, non al merito, ma alla Fortuna della Repubblica. Quell'incostante Dea, che distribuisce e riprende sì ciecamente i suoi favori, aveva allora acconsentito (tal era il linguaggio dell'invidiosa adulazione) di piegar le ali, di scendere dal suo globo, e di collocare il fermo ed immutabil suo trono sulle rive del Tevere305. Un Greco più saggio, che ha composto con filosofico spirito la memorabile istoria de' suoi tempi, privò i suoi compatriotti di questo vano ed ingannevol conforto, scuoprendo a' lor'occhi gli alti fondamenti della grandezza di Roma306. La fedeltà de' cittadini l'uno verso dell'altro, e verso lo Stato, era confermata dall'abitudine dell'educazione, e da' pregiudizi della Religione. L'onore, ugualmente che la virtù, era il principio della Repubblica: gli ambiziosi cittadini cercavano di meritare la solenne gloria d'un trionfo; e l'ardore della gioventù Romana s'accendeva ad un'attiva emulazione ogni volta che vedevano le domestiche immagini de' loro maggiori307. Le contese temperate dei Patrizi e de' Plebei avevan finalmente fissato la stabile, ed ugual bilancia della costituzione, che riuniva la libertà delle assemblee popolari, coll'autorità e saviezza d'un Senato, e coll'esecutiva potenza d'un Magistrato Reale. Quando il Console spiegava la bandiera della Repubblica, ogni Cittadino si legava, mediante l'obbligazione d'un giuramento, ad impiegar la sua spada nella causa della Patria, finattantochè non avesse soddisfatto a questo sacro dovere con un servizio militare di dieci anni. Questo savio istituto continuamente versava nel campo nuove generazioni di uomini liberi e di soldati: e se ne rinforzava il numero da' guerrieri e popolati Stati d'Italia, che dopo una forte resistenza, avevan ceduto al valore, ed abbracciato l'alleanza de' Romani. Il savio Storico, che eccitò la virtù di Scipione il giovane, e vide la rovina di Cartagine308, ha descritto accuratamente il lor sistema militare, le reclute, le armi, gli esercizi, la subordinazione, le marce, gli accampamenti, e l'invincibile legione loro, superiore, nell'attività della forza, alla Falange macedonica di Filippo e d'Alessandro. Da tali istituti di pace e di guerra, Polibio ha dedotto lo spirito, ed il successo d'un Popolo, incapace di timore, ed impaziente di riposo. Fu intrapreso e condotto a termine l'ambizioso disegno di conquista, che avrebbe potuto eludersi dall'opportuna cospirazione dell'uman genere; e si mantenne la perpetua violazione della giustizia con le politiche virtù della prudenza e del coraggio. Le armi della Repubblica, talvolta vinte in battaglia, ma sempre vittoriose nella guerra, si avanzarono con rapidi passi fino all'Eufrate, al Danubio, al Reno ed all'Oceano, e le immagini d'oro, d'argento o di rame, che potrebbero servire a rappresentar le nazioni ed i loro Re, furono l'una dopo l'altra spezzate dalla ferrea
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Tali sono le figurate espressioni di Plutarco (Oper. Tom. II. p. 318 edit. Wechel) a cui, sull'autorità di Lampria suo figlio (Fabric., Biblioth Graec. Tom. III p. 341), attribuirò francamente la maliziosa declamazione περι τμς Ρωμαηον τυχης sopra la fortuna de' Romani. Era prevalsa la medesima opinione fra' Greci dugento cinquant'anni prima di Plutarco; e Polibio espressamente si propone di confutarla (Hist. L. I p. 90 Edit. Gronov. Amstel. 1670).
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Vedansi i preziosi residui del santo libro di Polibio, e molte altre parti della sua storia generale, specialmente una digressione nel libro 170, in cui paragona la falange, e la legione.
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Sallust., De Bell. Jugurtin. cap. 4. Tali erano le generose proteste di P. Scipione e di Q. Massimo. L'Istorico latino avea letto, e probabilissimamente trascrisse Polibio, loro contemporaneo ed amico.
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Mentre Cartagine si trovava in mezzo alle fiamme, Scipione ripeteva due versi dell'Iliade, ch'esprimono la distruzione di Troia, confessando a Polibio, suo amico e precettore (Polyb., in Excerpt. de virtut. et vit. T. II p. 1455, 1465), che riflettendo alle vicende delle cose umane, interamente applicavali alle future calamità di Roma (Appian., in Libycis p. 136, edit. Toll.).