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MI HAI CONVINTO!

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Carissimo Alessandro. Non pensavo che alla fine ci saresti riuscito. Tu che nella tua vita hai cercato innumerevoli volte di convertirmi, di convincermi a credere. Coi tuoi ragionamenti filosofici, coi tuoi discorsi sulla fede, sulla religione, sulla natura umana. Di convincere me, che proprio di Dio non ne ho mai voluto sapere, ateo fino al midollo; direi quasi fino al profondo dell’anima, se solo all’esistenza dell’anima ci avessi mai creduto.

Ricordo con piacere interi pomeriggi trascorsi insieme a discorrere, tu ed io, su questo argomento: non so tu, ma io sempre divertendomi. Tu che portavi sempre nuove argomentazioni alle tue tesi e nuovi affondi; ed io che, padrone del gioco, immancabilmente li respingevo in maniera definitiva ed inappellabile.

Beh, questo finché tu eri qui con noi, nel mondo dei vivi. Poi ci hai lasciato nel modo improvviso ed inaspettato che purtroppo sappiamo, poverino - anzi, poverini noi. Ho pensato persino che morire fosse stato il tuo ultimo ed estremo tentativo per convincermi, per convertirmi; di salvarmi, di redimermi. E invece no, non ci sei riuscito neanche in quell’occasione. Al tuo funerale ho pianto non uno spirito che ci aveva lasciato, ma un corpo che aveva perso la sua vitalità; un ammasso di cellule in disgregazione che con la vita aveva perso anche la sua capacità di pensare, di parlare, di emozionarsi; e di emozionare anche me.

Da allora era trascorso molto tempo, ed io alle tue misere spoglie ormai in decomposizione già non ci pensavo più da un pezzo. Anche il ricordo di te si stava affievolendo nella mia mente, con la vita che giorno dopo giorno scorreva in me incessantemente, proponendomi di volta in volta situazioni sempre nuove e interessanti.

Quella notte indimenticabile ricordo che feci uno strano sogno. Sognai che mentre dormivo mi squillava il cellulare. Doveva essere di certo un sogno, perché una cosa del genere a notte fonda non mi era mai successa in tutta la mia vita. Ma era un sogno strano: uno di quelli che sembrano veri ma la cui stranezza, mentre li vivi, ti sembra la cosa più naturale del mondo.

Svegliato dalla suoneria, semplicemente mi alzo e prendo in mano il cellulare. Prima di rispondere leggo il nome del chiamante: sei tu, Alessandro. Ma anche questo non mi è parso strano.

“Ciao Ale”, ti dico.

“Ciao Pino. Senti. Ascoltami bene: devi fare molta attenzione alla tua moto. Stanno venendo per cercare di portartela via”.

“La mia moto? Portarmela via?”. Istintivamente riattacco, e facendomi luce col cellulare mi sposto in fretta nel salone - che affaccia sul cortile - e mi avvicino alla finestra. Da lì, due piani più sotto, di solito le moto di tutti noi del condominio si possono vedere distintamente.

Piove, il vento inquieto agita con forza i rami degli alberi e solo il debole chiarore di una falce di luna illumina quell’angolo del cortile. C’erano cinque o sei moto e alcune bici, ma il mio scooter rosso non c’era. La cosa mi sembra strana, anche se non mi stupisce più di tanto. Me l’hanno già portato via? Ma chi? Chissà perché proprio non mi sono ricordato che ormai da diversi anni la moto non ce l’ho più: dopo l’incidente l’ho venduta e mi è rimasta solo la bici.

Guardando il cortile provo una sensazione insolita. Mi sento come uno strano tremore dentro. Dev’essere il cellulare che vibra, forse mi sta arrivando un messaggino. Ma come vibra! Non smette di tremare. Forse mi stai richiamando, ma per qualche motivo non sento la suoneria. Ma adesso lì vibra tutto: anche le ciabatte ai miei piedi, il pavimento, le pareti.

Un albero crolla sulle moto e le butta tutte a terra, come birilli. Urla che provengono da chissà dove. Vetri che si infrangono. Poi un boato.

Sembrava un sogno ma non lo era. O forse lo era, ed io sono nottambulo. Chissà, magari lo sono sempre stato senza mai accorgermene.

Improvvisamente sono sveglio, sono tornato alla realtà. E’ un terremoto. La casa sta crollando. No: resiste, almeno la parte che affaccia sul cortile, al di qua del muro portante. Al di là, oltre la soglia del salone, si è fatto il vuoto. L’aria fredda e umida adesso entra liberamente, è come se fossi all’aperto.

D’istinto mi precipito fuori, giù per le scale. Ripensandoci, non so se ho fatto bene; ma c’erano altre persone che scendevano di corsa, alcuni urlando. Ricordo che, infreddolito, prima di uscire ho preso al volo un cappotto dall’attaccapanni nell’ingresso; ma non ricordo invece se ho chiuso la porta di casa alle mie spalle. E poi giù, tutti fuori in cortile bagnandoci sotto la pioggia, a guardare da debita distanza quanto restava delle nostre case. Tutti, o quasi, in pigiama, tutti quelli che ce l’avevamo fatta. Altri, invece, abbiamo poi saputo che sono rimasti intrappolati nei loro letti sotto le macerie, sorpresi nel sonno.

La bici, anche lei distrutta, mi è stata veramente portata via, ed anche mezza casa; ma la mia vita quella no, c’è ancora. E questo lo devo solo a te, mio caro Alessandro, che mi hai svegliato e portato fuori pericolo giusto in tempo.

E come posso spiegare adesso, da ateo e materialista, ciò che mi è successo? Che giustificazione posso trovare a quanto accaduto senza dover citare l’intervento del tuo spirito, o di un altro spirito superiore? Non posso certo darne il merito alle tue cellule ormai inerti, né al mio cellulare impazzito, o forse al tuo; e neppure potrei attribuirlo ad uno strano comportamento del mio cervello bizzarro. Nemmeno tirare in ballo la sola fortuna mi sembra una spiegazione ragionevolmente soddisfacente.

Stavolta non posso che darti ragione: mi hai davvero instillato stabilmente nella mente il ragionevole dubbio che possa esistere un essere superiore, come quello che tu chiami Dio. Peccato che tu non sia qui con me per poter godere di questa tua vittoria, per ascoltare questa mia definitiva capitolazione ai tuoi principii. Ma forse, se il tuo spirito esiste, i miei pensieri li percepisce ugualmente.

Però, nel dubbio, attivo il mio cellulare per scriverti in un messaggino che mi hai finalmente convinto, e poi te lo mando.

Autres Mondes. Histoire Du Monde De Monad

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