Читать книгу La favorita del Mahdi - Эмилио Сальгари - Страница 9

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Quando Abd-el-Kerim giunse agli avamposti il sole cominciava a far capolino fra le gigantesche foreste del Nilo e il campo a svegliarsi. Qua e là, dalle tende, uscivano soldati sbadigliando e stiracchiandosi le membra intorpidite; alcuni si affacendavano a pulire o a insellare i loro briosi cavalli che caracollavano nitrendo; altri alzavano i mahari o i cammelli conducendoli ai pozzi per abbeverarli, e altri ancora accendevano i fuochi pel rancio del mattino, o portavano legne, o portavano paglia, o facevano un po' di pulizia, o lucidavano i fucili, gli jatagan o le daghe, o i cannoni. Dappertutto vedevansi ufficiali andare e venire, scintillanti per gli ori, affannarsi a portare o a dare ordini, a cambiare le sentinelle, a radunare le compagnie per farle manovrare; dappertutto udivasi un cicaleggio allegro, canzoni monotone e cadenzate, voci che salmodiavano i versetti del Corano accompagnate dalla voce nasale dei muezzin d'Hossanieh che percorrevano il campo, e ragli d'asini, e nitriti di cavalli e muggiti di buoi.

Abd-el-Kerim, colla faccia aggrondata, pensieroso, taciturno, attraversò la triplice fila di tende e andò a sedersi vicino alla sua, su di un tronco di palmizio atterrato, prendendosi la testa fra le mani.

Il povero arabo sentivasi tutto scombussolato dagli avvenimenti della notte e come ammalato. Una terribile lotta fervevagli nel cuore, lotta gigantesca nella quale si cozzavano furiosamente due passioni egualmente grandi: l'amore per la bella Elenka alla quale gli aveva giurato fedeltà e l'amore per Fathma, l'incomparabile creatura dagli occhi di fuoco che l'aveva suo malgrado affascinato.

Egli trovavasi per così dire equilibrato fra due abissi in uno dei quali tendeva le braccia la greca e nell'altro l'araba, due abissi che sì l'uno che l'altro l'attiravano, due abissi che gli mettevano le vertigini entrambi.

Aveva un bel dire che a Elenka aveva promesso la sua mano, aveva un bel dire che Elenka aveva gli occhi neri e pieni di fuoco, che Elenka era bella, che Elenka era incomparabile, divina, ma non riusciva a scacciare nè a eclissare dalla sua mente le fiera figura dell'almea, nè sapeva cancellare, nè estirpare quegli occhi che in certo qual modo erano impressi vivamente nel suo cuore o che lo tormentavano come fossero due carboni accesi collocati sulle sue carni.

Invano cercava di frapporre fra sè e l'almea delle tenebre, invano ritorceva i suoi sguardi portandoli su Elenka, invano mormorava il caro nome della greca, invano sforzavasi di frenare i tumultuosi battiti del suo cuore, invano richiamava alla mente le sinistre e minacciose parole di Notis. Egli vedevasi sempre dinanzi la superba immagine dell'almea col fucile in mano, come l'aveva veduta in mezzo alla pianura puntare calma e terribile il leone che volteggiavale d'intorno; parevagli di sentirsela ancora fra le braccia col capo appoggiato dolcemente al suo petto, trasportato sul dorso del veloce mahari coi capelli neri e profumati attorcigliati al collo; parevagli di ascoltare il debole suo respiro, il battere del suo cuoricino, il fremito delle sue membra, e provava emozioni violente, sconosciute, ignote, voluttuose, e sentivasi il sangue turbinare più rapido nelle vene, un fuoco strano accendersegli nel petto, fuoco che mettevagli la febbre indosso, fuoco che prendeva proporzioni gigantesche, che divorava e la memoria di Elenka e quella di Notis.

—Fathma! Fathma! mormorò egli sospirando. Tu hai fatto nascere nel mio cuore una passione che cancellerà quella della povera Elenka! Una passione che mi mette paura, una passione che mi fa tremare!…

Si levò dal tronco d'albero girando uno sguardo indagatore sul campo come se cercasse di scoprire colei che avevagli acceso in petto una scintilla d'un amore sconfinato. I suoi occhi si fissarono su d'un uomo, un capitano dei basci-bozuk, che lo guardava sorridendo quasi beffardamente.

—Olà, che diamine te fai qui, solo soletto e pensieroso, gli chiese il capitano, incrociando le braccia sul petto con aria comica. È un bel pezzo che sono qui a guardarti, curioso di sapere come l'avresti finita.

—Ah! Sei tu, Hassarn? disse Abd-el-Kerim, ricomponendo la faccia tetra.

—In carne e in ossa, amico mio, rispose il capitano.

—Che vuoi da me?

—Che m'accompagni alle foreste del Bahr-el-Abiad per far ritornare quella compagnia di basci-bozuk, che abbiamo lasciato in un zeribak. Sono stati segnalati dei ribelli, e non vorrei che quei poveri diavoli venissero qualche notte massacrati.

—Ah!… Sono con te, Hassarn.

—Prendi la tua carabina e affrettiamoci a metterci in cammino.

Viaggiare di notte in simili tempi non è prudente.

Abd-el-Kerim esitò, poi raccolse la carabina che aveva posata sulla palma e seguì senza dir sillaba Hassarn, che si era già messo in cammino. Si fermò venti volte prima di uscire dal campo, ora guardando il villaggio d'Hossanieh e precisamente la casupola di Fathma e ora la tenda del greco ermeticamente chiusa.

Il capitano dei basci-bozuk prese un sentiero aperto in mezzo a un campo di dùrah che conduceva alle grandi foreste del Bahr-el Abiad; Abd-el-Kerim gli si mise dietro, ma senza quasi sapere ove andasse e col pensiero fisso a tutt'altra cosa che alla compagnia dei basci-bozuk.

—Ehi! Abd-el-Kerim, gli chiese Hassarn, dopo qualche tratto di cammino. Che diavolo hai che sei muto più d'un pesce?

—Nulla, rispose l'interpellato seccamente.

—Penseresti per caso, a quella bella ragazza che hai condotta questa notte nel campo?

Abd-el-Kerim trasalì e lo guardò sorpreso.

—Come sai tu questo?

—Bah! fe' Hassarn, alzando un braccio come uomo che la sa lunga. Credi tu che escano ed entrino nel campo persone senza che io lo sappia? Ti dirò che tu sei arrivato in compagnia di Notis e che la bella almea riposava fra le tue braccia. Dove sei andato a pescare quella urì?

—La trovai venendo da Machmudiech, nel momento che un leone stava per assalirla. Perdette lo schiavo e il cammello, perciò la feci salire sul mio.

—Sulle tue braccia, corresse maliziosamente Hassarn.

—Come vuoi.

—E tu uccidesti il leone?

—Puoi immaginartelo.

—Sfido io! Si trattava di far vedere la propria valentìa dinanzi a

Fathma.

—Fathma? La conosci forse tu?

—E da molto tempo, Abd-el-Kerim.

—Chi è? da dove viene? Dove va?

—Corri come i miracoli di Mohammed. Ti dirò innanzi a tutto che è un'almea dagli occhi che paiono diamanti neri, dai piedi lunghi come un petalo di rosa e che ha le mani più piccole di una urì del Profeta.

—Lo so, e poi?

—E poi non ne so di più. Ti interessa molto quell'adorabile creatura?

—Molto, rispose Abd-el-Kerim con slancio appassionato.

—Oh! esclamò Hassarn. Avresti per caso dimenticata la bella Elenka?

—Non parlarmi di lei, Hassarn.

—Bada, che Elenka è una iena.

—Ed io un leone! rispose fieramente l'arabo.

Il capitano gli si avvicinò e ponendogli amichevolmente una mano su di una spalla:

—Abd-el-Kerim, disse. Tu questa notte hai avuto di che dire con

Notis.

—Mi spiasti, Hassarn?

—Il campo ha orecchi e occhi. Se non vuoi dirmelo tu, ti dirò che ronzavate tutti e due attorno a una casupola e che questa casupola era l'abitazione di Fathma, poichè fu vista entrare. Sareste rivali?

Abd-el-Kerim non rispose. Egli era diventato improvvisamente cupo.

—Non rispondi, ma leggo nel tuo cuore come legge il Profeta e forse più, Abd-el-Kerim.

—E che leggi?

—Amore, amore e amore per…

—Per chi?

—Per Allah! Amore per Fathma!

—Zitto imprudente, mormorò l'arabo guardandosi sospettosamente attorno.

—Confessi adunque che io lessi giusto.

—Non posso negarlo. Amo Fathma.

—Ed Elenka? E Notis?…

—Cancello l'una e aborro il secondo che minaccia diventare mio rivale!

L'arabo fece un gesto di spavento. Avrebbe voluto riafferrare e ricacciare in gola quelle parole uscitegli imprudentemente dalle labbra. Sentì una fitta al cuore; chinò il capo sul petto e sospirò.

—Povero Abd-el-Kerim! esclamò Hassarn.

—Non compiangermi!… Ah!…. Se tu sapessi qual lotta ferve nel mio cuore! disse ferocemente l'arabo. Quale mai delle due?

—Tu pensi ancora ad Elenka, adunque?

—Forse. Non so, per quanto mi sforzi, non riesco a cancellarla totalmente. L'ho sempre dinanzi agli occhi, bella, divina…. Eppur non l'amo!

D'un tratto si arrestò, afferrando bruscamente la carabina. Erano allora arrivati sul limitare della grande foresta che si estendeva a perdita d'occhio dal sud al nord, seguendo il tortuoso corso del Bahr-el-Abiad.

—Che hai? gli chiese Hassarn, armando per ogni precauzione una pistola.

—Abd-el-Kerim si guardò d'attorno con circospezione, figgendo l'acuto suo sguardo sotto gli alberi che strettamente uniti toglievano quasi la vista.

—Mi sembrò d'aver udito un fruscio fra i cespugli, disse poi.

—Sarà stato qualche scimiotto. Tu sai che in queste foreste abbondano.

—Che ci sia qualche spia?

—Potrebbe darsi. Il Mahdi ha della gente coraggiosa, che non ha paura di avvicinarsi agli accampamenti egiziani.

L'arabo fece cenno al capitano di tirar innanzi, continuando a guardarsi d'attorno e aprendo con precauzione i cespugli. Dopo dieci minuti essi giunsero ad una specie di zeribak, nell'interno della quale stava accampata una compagnia di basci-bozuk a piedi.

Il sergente che la comandava si fece loro incontro.

—Che nuove? chiese Hassarn.

—Nessuna, rispose il sergente. I ribelli fino ad ora non si sono spinti fin qui ma…. non avete incontrato nessuno? Ho veduto….

—Chi? domandò Abd-el-Kerim.

—Una apparizione.

—Spiegati per Allàh! esclamò Hassarn, mosso in curiosità.

—Che so io? Ho veduto passare un fantasma, vestito stranamente, e che potrebbe darsi che fosse un ribelle. È passato or ora a cento passi da qui.

—Oh! oh! fe' Hassarn. Chi può essere mai? Abd-el-Kerim, sei in vena di accompagnarmi, intanto che i basci-bozuk fanno i bagagli?

—Ho la mia carabina e ciò basta. Ti seguirò fino al deserto di

Korosko, se tu lo vuoi.

—Basta così. Tu sergente fa levare il campo e se non ci vedi tornare, incamminati per Hossanieh. Potrebbe darsi che noi tardassimo assai e che prendessimo un'altra via.

Arabo e turco volsero le spalle alla zeribak, internandosi nella foresta, seguendo un sentieruzzo appena visibile pel quale era passato il fantasma. Avevano tutte e due le ali ai piedi come se si trattasse di inseguire qualche persona più che importante.

—Chi può essere mai questo fantasma, si chiedeva Hassarn. Che sia qualche capo di ribelli?

In quell'istante Abd-el-Kerim, che camminava innanzi, tornò ad arrestarsi, urtando bruscamente il turco che gli veniva dietro.

—Fermati, per mille demoni! esclamò egli con voce alterata.

—Che hai veduto? chiese Hassarn sorpreso.

—Zitto!…

In lontananza si udiva il suono del tamburello che l'eco delle foreste ripeteva distintamente. Abd-el-Kerim impallidì come un cadavere.

—Odi Hassarn? domandò egli con un filo di voce.

—Sì, che odo. Deve essere qualche arabo che suona il tamburello.

—No, non è un arabo! esclamò vivamente Abd-el-Kerim.

—Come lo sai tu?

—È una donna, io l'ho udito ancora questo tamburello, disse l'arabo con maggior animazione.

—Per Allàh! Andiamo a vedere, Abd-el-Kerim.

L'arabo lo afferrò vigorosamente per le braccia e lo tenne fermo.

—Tu non sai di quale donna io intenda parlare, gli disse.

—Parla di quella che vuoi, io vado innanzi.

—Quella che suona è Fathma!….

Il turco lasciò sfuggire una esclamazione di sorpresa.

—Hassarn, continuò Abd-el-Kerim, lasciami solo. Tu non puoi essere testimone a quello che io dirò all'almea.

—Tu sei pazzo. Io voglio vedere Fathma.

—Hassarn, tu non lo farai, disse recisamente l'arabo.

—Ma disgraziato, e non pensi che sei promesso a Elenka.

—Io spezzo il nodo e mi getto corpo e anima fra le braccia di Fathma.

Ho il sangue che mi brucia le vene e il cuore che batte per l'almea. Lasciami solo.

Il turco lo guardò con compassione.

—Tu ti perdi, Abd-el-Kerim, gli disse con dolce rimprovero. Fa come vuoi; io ti aspetterò ai piedi delle colline sabbiose.

L'arabo chinò il capo sul petto; poi rialzandolo con gesto risoluto:

—Vo' gettar la mia vita ai piedi di Fathma, disse e si allontanò a rapidi passi, dirigendosi verso il luogo ove risuonava il tamburello.

Aveva la testa in fiamme e il cuore battevagli precipitosamente; parevagli di essere ubbriaco e camminava quasi senza volerlo, meccanicamente, attirato da quel suono come il serpente viene attirato dal flauto dell'incantatore.

In breve tempo giunse in una vasta radura contornata da maestosi tamarindi sulle cui cime strillavano numerosi scimmiotti. Egli si fermò frenando a grande stento un grido di gioia.

Là, sulle rive di un ampio stagno cosparso di grandi foglie di loto sacro, se ne stava ritta l'almea col tamburello in mano, i capelli neri sciolti sulle spalle e una bianca farda gettata pittorescamente su di un braccio. Vista così, sotto una pioggia di raggi solari che si riflettevano sui monili e sui braccialetti d'oro che le cingevano il collo e le nude braccia, la si sarebbe presa per una apparizione celeste, per una urì del paradiso di Mohammed il profeta.

Abd-el-Kerim sentì mancarsi le forze. Esitò, volle fuggire, ma gli fu impossibile e si spinse macchinalmente innanzi, senza fare il menomo rumore. S'arrestò a pochi passi dall'almea che continuava a sbattere il tamburello con un ritmo cadenzato e malinconico. Egli tese le braccia avanti.

—Fathma!… Fathma! mormorò con voce tremante.

L'almea si volse verso di lui.

CAPITOLO V.—Il Rapitore.

Nel vedersi dinanzi Abd-el-Kerim, immobile come una statua, coi lineamenti sconvolti e le mani tese con gesto supplichevole, Fathma non potè trattenere un movimento di sorpresa. Ella lo guardò fisso coi suoi grandi e neri occhioni, che magnetizzavano e che penetravano fino al fondo dei cuori, senza dir sillaba.

—Fathma, ripetè l'arabo, scuotendosi e dando alla sua voce un tono commosso.

L'almea gli si avvicinò, guardandolo come con curiosità.

—Che fai tu qui? diss'ella di poi,

—Mi riconosci bella fanciulla?

—Non dimentico mai chi mi salvò con pericolo della propria vita. Non sei tu quell'arabo che mi raccolse nella pianura dopo aver ucciso il leone che mi assaliva?

—Quello stesso, Fathma.

Fra loro due successe un breve silenzio, durante il quale si guardarono ancor più fissamente.

—Che vuoi da me? chiese alfin l'almea, rompendo quel silenzio che diventava imbarazzante.

—Sai dove ti trovi?

—Nelle foreste del Bahr-el-Abiad. E che vuol dir ciò?

—Sai che vi sono dei ribelli nascosti in questi dintorni?

Fathma sorrise sdegnosamente e mostrandogli un pugnaletto che teneva infisso nella sua râhad (cintura) dorata:

—Non ho paura, gli disse con fierezza.

—Ti potrebbero rapire.

—E che male ci sarebbe? Rapirebbero una povera almea.

—Ma io piangerei la tua perdita, disse l'arabo con iscoppio appassionato.

—I grandi occhi di Fathma si dilatarono e le sue labbra s'apersero ad un sorriso indefinibile. Ella si avvicinò vieppiù all'arabo, tanto che l'ardente suo alito gli sfiorò il volto. Abd-el-Kerim tese le braccia innanzi come per afferrarla, ma si frenò e senza volerlo fece un passo indietro.

—Ah! diss'ella, quasi ironicamente, ti dorrebbe il non vedermi più?

—Sì, Fathma, te lo giuro!…. Proverei del dolore e più di quello che tu credi!…

—E perchè? chiese l'almea freddamente.

—L'arabo ammutolì e la sua fronte s'abbuiò. Non seppe cosa rispondere.

—Che t'importa se io avessi a scomparire? continuò Fathma. E poi, credi tu che io rimanga sempre in Hossanieh? Mi libro come l'aquila e mi poso or qua or là a seconda che mi spinge o il capriccio o la follìa.

—Ma tu non puoi lasciare così Hossanieh, dopo esserti fatta vedere.

—E chi me lo impedirebbe?…

—Fathma!… Fathma! esclamò Abd-el-Kerim. Tu sei bella, più bella di

El….

L'imprudente rattenne a tempo il nome di Elenka che stava per uscirgli dalle labbra. L'almea aggrottò la fronte e le sue mani si contrassero, chiudendosi: un lampo cupo balenò nei suoi occhi, un vero lampo d'ira.

—Di chi?… chiese ella vivamente. Di chi?…

—Di tutte le donne che io vidi in vita mia, si affrettò a soggiungere l'arabo. Sì, tu sei bella Fathma, e tanto bella che mi riesce impossibile cancellarti dal mio cuore, tanto bella che ne sono affascinato.

—Follie, amico mio, follie.

—Fathma, ti giuro su Allàh che tu mi hai toccato il cuore, continuò Abd-el-Kerim con crescente passione. Io ti ho veduta e mi sono sentito scuotere tutte le fibre dell'anima; ti ho sostenuta fra le mie braccia, e ho sentito il sangue accendersi nelle mie vene. Ovunque volga lo sguardo non vedo che i tuoi occhi più fulgidi delle stelle e il tuo volto più bello delle urì del paradiso del Profeta; ovunque tenda l'orecchio non odo che la tua voce incantevole, quella che udii laggiù, a Machmudiech, la prima volta che ebbi la fortuna d'incontrarti! Fathma, tu sei bella, tu sei sublime e io ti amo!… ti amo!… sono tuo schiavo!…

Abd-el-Kerim era caduto in ginocchio e la guardava con due occhi che mandavano fiamme. Un urlo strozzato, furioso, partito fra gli alberi, lo fece saltar in piedi. Un freddo sudore gli bagnò la fronte.

—Chi è la? domandò egli con voce rotta. Fathma che aveva ascoltata la confessione dell'arabo senza battere ciglio, nell'udire quell'urlo erasi voltata come una iena, col pugnale in mano.

—Chi ci spia? chiese ella rivolgendosi all'arabo.

—L'ignoro, rispose Abd-el-Kerim, armando la carabina.

Fra i cespugli si operò un movimento brusco, un corpo nerastro si slanciò dai rami di un gran tamarindo e cadde in mezzo alle erbe allontanandosi con rapidità fulminea. Abd-el-Kerim fece fuoco.

Nessun grido tenne dietro alla rumorosa detonazione della carabina; l'arabo fece atto di slanciarsi dietro a colui che fuggiva, ma Fathma lo arrestò.

—Era una scimmia, diss'ella. Non ne vale la pena.

—Mi parve un uomo; una scimmia non avrebbe gettato quel grido.

—Tanto peggio per lui. Io l'ho veduto cadere e a quest'ora sarà morto o sul punto di morire, disse l'almea con voce calma.

—Posso andare ad assicurarmi.

—Farai meglio a continuare la tua via.

—Fathma!….

—Ti comprendo tu vorresti ripetermi quella parola che cento altri prima di te mi ripeterono. Quella parola per me è morta; non ci credo più.

—Oh! non dire questo, Fathma! Ti amo, ti amo, ti amo e per te darei tutto il mio sangue. Mettimi alla prova: vuoi tu che ti porti la pelle di cento leoni? Non avrai che a comandarmelo e io, Abd-el-Kerim, te le porterò!

L'almea lo guardò con più dolcezza; un sospiro sollevò il suo seno.

—Ah! diss'ella con voce cupa. Sarebbe vero che tu avessi proprio ad amarmi? Sarebbe vero che tu parlassi col cuore? Anche un altro uomo un giorno mi ripetè le tue parole e poi le disperse e infranse i centomila giuramenti pronunciati ai miei piedi! Non credo più.

—Chi? Chi?… domandò Abd-el-Kerim, che si sentì mordere il cuore della gelosia, Chi è quest'uomo? Parla, Fathma, parla!

L'almea chinò il capo sul petto, poi rialzandolo bruscamente e prendendo una mano dell'arabo:

—Sai tu, innanzi a tutto, chi io sia?

—Chi ha sollevato fino ad ora il velo che ti copre? Molti ti conobbero, ma nessuno sa chi tu sei, qual fu il tuo passato nè in qual paese tu sei nata. Vi sono delle tenebre attorno a te.

—E tenebre fitte, disse Fathma, sospirando. Sono araba, se tu nol sai, e un dì fui la favorita di un uomo che oggi è più possente del re che ci governa, di un uomo che ha seco migliaia d'armati, forti e coraggiosi, che nessuno sarà capace di vincerli; nè gli infedeli che bombardarono Alessandria e che vinsero Araby pascià, nè l'esercito che conducono Hicks e Aladin.

—Favorita!… Favorita!… urlò Abd-el-Kerim, dando indietro con ispavento.

Le labbra di Fathma s'incresparono ad un amaro sorriso.

—E chi credi tu che sia un'almea? chiese ella.

—Hai ragione, perdonami, balbettò l'arabo. E quest'uomo chi è?

—Contro chi, Dhafar pascià conduce i suoi uomini?

—Contro il ribelle Mohammed Ahmed.

Fathma tese il braccio verso occidente con gesto altero.

—Chi impera laggiù nel Kordofan?

—Il Mahdi. E che vuoi concludere?

Guardami in faccia! Io fui la favorita del Mahdi!….

Abd-el-Kerim si nascose la faccia fra le mani e cacciò fuori un urlo strozzato.

—Non è vero, non è vero! ripetè egli. Non è possibile!

—Perchè? Il Mahdi non può dunque amare come gli altri mortali?

—Io l'odio quest'uomo, lo esecro!

—Hai torto Abd-el-Kerim. Quest'uomo che tu esecri è il vendicatore degli Arabi che languono sotto il giogo e la sferza dei Turchi ed infedeli.

—Ma come tu l'hai abbandonato? Come tu sei qui? Qual capriccio ti spinse a lasciare El-Obeid per venire in queste terre?

—L'amore, rispose Fathma con aria tetra.

—Ah! tu hai amato un altra uomo adunque? chiese l'arabo.

—Sì, un uomo bello e prode come te, che mi giurò eterno amore e che mi trasse sulle rive del Bahr-el-Abiad per poi abbandonarmi.

—Ma io lo odio questo tuo secondo amante e più ancora del Mahdi. Io ho sete del mio sangue nè tornerò tranquillo fino a che non l'avrò ucciso. Voglio vendicarti!

—È inutile, mio eroico amico. Egli cadde morto l'anno scorso nella battaglia di Kadir, pugnando contro Yussif pascià. Il Profeta mi vendicò.

—Ed ora?… chiese Abd-el-Kerim con angoscia.

—Sono libera come l'aquila che vola negli spazi del cielo.

—Tu puoi adunque accogliere nel tuo cuore un nuovo amore, una passione grande, gigantesca, che non si spegnerà che colla morte. Ah! se tu lo volessi Fathma!

—Non tentarmi, vattene Abd-el-Kerim, non mi scorderò mai di te… basta!

Ella volse altrove la faccia e fece qualche passo. L'arabo l'afferrò per le mani e la rattenne violentemente.

—No, Fathma, no. Ti amo, sono tuo schiavo, fa di me quello che tu vuoi, ma non respingermi, non parlare così.

L'arabo cadde per la seconda alle sue ginocchia.

Una fiamma umida passò sugli occhi dell'almea,

—È proprio vero adunque che tu mi ami? chiese ella, quasi con ferocia.

—Sì, ti amo, ti adoro.

—Giuralo su Allàh!

—Lo giuro su Allàh, sul Profeta e sul Corano.

—Vattene ora, ma guardati bene da me, Abd-el-Kerim! Se venissi a sapere che tu ami un'altra donna, se avessi una rivale guai a te e guai a lei! Vi infrangerei entrambi come due lastre di vetro!

Raccolse i lembi della farda, s'avvolse il corpo e si allontanò lentamente con calma maestosa. L'arabo le si slanciò dietro per seguirla.

—Sola venni e sola ritorno, diss'ella arrestandolo con un gesto,

Vattene: io te lo comando, io lo voglio!

Abd-el-Kerim chinò il capo e si cacciò sotto gli alberi. Fathma rimase lì a guardare il luogo ove era scomparso, poi si ripose in cammino colle labbre strette ma la fronte spianata e gli occhi che brillavano d'un raggio di gioia.

—È bello, prode, ardente, mormorò ella. Il Mahdi non mi rivedrà più mai!

Costeggiò lo stagno e si inoltrò sotto le grandi vôlte verdi formate dalle palme deleb, dai tamarindi e dalle acacie gommifere, guardando a destra e a manca e con una mano sull'impugnatura del pugnale. Dieci minuti dopo, nel mentre che il sole si nascondeva dietro le foreste e che gli uccelli e le scimmie cominciavano a tacersi guadagnando i loro nidi o i loro covi, giunse su di un sentiero. Ella si fermò incerta nello scorgere un uomo appoggiato ad una carabina in attitudine sospetta. Impallidì leggermente nel riconoscere in quell'individuo il greco Notis.

Volle tornare indietro ma il greco che pareva si fosse appostato lì appositamente per aspettarla, non gliene lasciò il tempo. Egli si fece lentamente innanzi con un sorriso ironico sulle labbra e senza preamboli disse:

—A noi due Fathma!

—Che vuoi dire? chiese ella seccamente.

—Mi riconosci?

—Se non m'inganno tu sei quello che seguiva Abd-el-Kerim da

Machmudiech a Hossanieh.

—Sono il greco Notis.

—Tanto peggio per te, io odio gl'infedeli e più di tutto i Greci.

—Non monta, disse Notis freddamente. Che avete detto all'arabo poco fa, che scorsi inginocchiato dinanzi a voi?

—Ah! fe' Fathma con mal celata collera. Sei stato tu a gettare quel grido?

—Potrebbe darsi. E che, ti sorprende?

—Io disprezzo gli uomini che si nascondono per spiare.

—Ira di Dio!…. gridò il greco.

Si scambiarono uno sguardo provocante. Il greco cedette dinanzi agli occhi scintillanti dell'almea che schizzavano fuoco.

—Sai chi era quell'uomo che ti giurava eterno amore? chiese egli, affettando la massima calma.

—So che si chiama Abd-el-Kerim il prode, e ciò mi basta.

—Ti dirò allora che quell'uomo è promesso a una donna, che questa donna, che trovasi presentemente a Chartum, si chiama Elenka, e che Elenka è mia sorella!

—Tu menti! esclamò l'almea, saltando innanzi come una leonessa ferita.

—Te lo giuro, Fathma. Abd-el-Kerim, quando era di guarnigione a Chartum s'innamorò di mia sorella e chiese la sua mano. Appena finita la campagna contro il Mahdi egli la sposerà ed io diverrò suo cognato.

—Tu menti! Tu menti! ripetè l'almea con maggior forza. Quale scopo hai per inventare simili calunnie?

—Quello d'aprirti gli occhi, di conservare lo sposo a mia sorella e di offrirti la mia mano poichè ti amo Fathma, e immensamente.

L'almea fece un gesto di disprezzo, gli volse le spalle per allontanarsi, ma il greco non era un uomo da scoraggiarsi, nè da lasciarsi sfuggire così facilmente la preda che con tanta impazienza aveva atteso. Gli si mise dinanzi risoluto a impedirglielo, all'uopo di usare la forza.

—Odimi, Fathma, diss'egli. Ho giurato di farti mia, dovessi perdere ambe le braccia e anche le gambe, dovessi venire ucciso. Tu sei bella e mi hai affascinato; tu sei povera e io son ricco; tu sei maomettana e io sono greco ma mi farò, se vuoi, maomettano. Perchè non vuoi esser mia?

—Perchè amo di già un altro uomo.

—Ma tu non puoi prestar fede ad Abd-el-Kerim; ti tradirà, ti schianterà il cuore e più presto di quello che tu abbi a crederlo. Bada a me, che lo conosco a fondo quell'arabo; è un miserabile, è di più un vile!

Una fiamma di sdegno e di collera salì in volto all'almea; tese le mani chiuse verso il greco con gesto minaccioso.

—Taci! Taci, insensato! esclamò ella con violenza. Abd-el-Kerim è un eroe.

—Sì, eroe, perchè ebbe la fortuna di abbattere un povero leone, disse Notis con ironia. Bella prodezza in fede mia!…. Fathma, è ora di finirla. Abbiamo parlato anche troppo, senza nulla concludere.

—Ma che vuoi infine?

—Voglio portarti con me, lontano da questo campo e farti mia, lo capisci Fathma, farti mia a dispetto di Abd-el-Kerim. Verrai tu?

—Giammai! esclamo l'almea con forza.

—Ira di Dio! Dimmi il perchè? disse Notis furibondo.

—Perchè ti odio e ti disprezzo. Vattene!….

Il greco lanciò una bestemmia ed alzò le mani come per abbracciarla.

L'almea fece un salto indietro, ponendo la dritta sul pugnale.

—Non toccarmi, maledetto! gli disse con voce sibilante per l'ira.

—Guarda, Fathma, noi siamo soli, la foresta non ha abitante alcuno, e io sono risoluto a farti mia. Non opporre resistenza veruna, se vuoi che non diventi feroce come una iena.

Egli si slanciò addosso all'almea che tornò ad indietreggiare traendo il pugnale. I suoi occhi si ingrandirono stranamente e il volto prese una espressione di indomita fierezza.

—Non toccarmi! gli disse cupamente. Se tu muovi un passo verso di me, ti assassino!

Il greco si mise a sogghignare, ma non s'avanzò nè toccò le sue armi. Egli girò lo sguardo attorno, tese per alcuni istanti l'orecchio, poi accostò le mani alle labbra e mandò un acuto fischio. Un fischio eguale vi rispose quasi subito.

—A noi due, ora, Fathma, disse poi. Per quanto tu sii forte e per quanta resistenza opporrai, Takir ti porterà via.

—Vigliacco!

—Io ti amo e voglio farti mia,

—Miserabile, io ti abborro!

—E io ti amo. Avanti Takir!

L'almea faceva un salto da invidiare un leone e tentò fuggire, ma un negro di statura colossale, l'ordinanza di Notis, sbucando improvvisamente dai cespugli vicini, le sbarrò la via. Ella gettò un urlo di rabbia e indietreggiò fino al tronco di un palmizio col pugnale alzato.

—Addosso Takir, gridò il greco, facendosi innanzi colla scimitarra in mano.

Il nubiano s'aggrappò all'estremità d'un ramo di tamarindo, si sollevò in aria con una spinta e venne a cadere addosso a Fathma prima che questa avesse tempo di evitarlo. Egli l'afferrò fra le vigorose braccia alzandola da terra.

—Sta cheta, mugghiò egli stringendola così fortemente da farle crocchiar le ossa.

—Aiuto! a me Abd-el-Kerim! urlò la povera almea, dibattendosi disperatamente.

Ella cacciò il pugnale in un braccio del negro che si coprì tosto di sangue, ma Notis le afferrò i polsi e glieli torse tanto da farle abbandonar l'arma. I due uomini si misero a trascinarla verso il folto della foresta.

L'almea gettò un secondo grido, un grido di furore e di dolore.

—Lasciatemi maledetti! Aiuto! Aiuto!

Si udì un calpestio precipitato, un fragor di sciabole e uno scricchiolio di rami furiosamente schiantati. Abd-el-Kerim rosso d'ira, con una frusta nella dritta e una pistola nella sinistra, apparve, e dietro a lui Hassarn e l'intera compagnia dei basci-bozuk. Egli si scagliò in un lampo sui due assalitori.

—Miserabile! ruggì egli, sferrando Notis in faccia.

Il nubiano fu lesto a sparire sotto gli alberi, ma il greco si volse, caricando l'arabo colla scimitarra in pugno. Hassarn ebbe appena il tempo di arrestargli il braccio.

—Ah! esclamò Notis, con indefinibile accento d'odio. Sei qui traditore!

Cercò una seconda volta di gettarsi sul rivale, ma il turco lo disarmò e lo respinse violentemente, puntandogli una pistola sul petto.

—Se tu ti muovi, gli disse minacciosamente Hassarn, sei morto.

—Tutti contro di me, codardi! gridò Notis fuori di se.

—Basto io solo per punire un vigliacco tuo pari, disse l'arabo con disprezzo. Notis, qui uno dei due vi lascierà le ossa.

Fathma, che si era subito rizzata in piedi s'avvicinò ad Abd-el-Kerim.

—Grazie mio prode amico, le disse con voce commossa.

—Fathma, mormoro l'arabo non meno commosso, ringrazia Allàh che mi fece giungere in tempo per salvarti. Ma quell'uomo là, non ti oltraggierà più mai, poichè fra pochi minuti io l'ucciderò.

—Uccidi tuo cognato, disse Notis sogghignando.

—Taci!…

—Ed Elenka mi vendicherà, quando sarà diventata tua moglie.

—Non bestemmiare per Allàh! Se v'era un filo io l'ho spezzato e per sempre.

—Fathma, guardati da quest'uomo che tradì mia sorella.

L'arabo strinse i pugni. L'almea lo prese per le mani e volgendosi verso Hassarn e l'intera compagnia dei basci-bozuk.

—Io dò a quest'uomo la mia mano, il mio sangue e la mia vita! diss'ella.

Abd-el-Kerim la strinse fra le braccia e stettero così abbracciati per qualche minuto durante il quale Notis continuò a sogghignare, poi si separarono.

—Fathma, disse l'arabo. Va con questi soldati che ti accompagneranno alla tua dimora. Io e Hassarn qui restiamo a giuocare la nostra vita contro quella di quel vigliacco. Prega Allàh e il Profeta per noi.

L'almea non tremò nè diede alcun indizio che dimostrasse timore. S'avvolse nella sua farda con gesto maestoso e s'allontanò seguita dai basci-bozuk.

L'arabo la seguì cogli occhi, poi quando sparve in mezzo agli alberi si volse contro Notis, che digrignava i denti sotto la pistola d'Hassarn.

—E ora, diss'egli con calma forzata, sono con te Notis. L'uno o l'altro vi lascierà la vita. Tu più che mio nemico sei mio rivale e ciò basta.

Hai dimenticata Elenka adunque?

—L'ho dimenticata.

—E per Fathma, per una spregevole almea!

—Sì, per un'almea.

—A noi due, adunque. Bada, Abd-el-Kerim, che non ti risparmierò!

Hassarn a un cenno dell'arabo abbassò la pistola ed andò ad appostarsi a sei passi di distanza: i due rivali impugnarono la scimitarra.

CAPITOLO VI.—Il duello.

La notte era oscura, essendo la luna e le stelle nascoste da una nera fascia di densi nuvoloni, tuttavia vi si vedeva abbastanza per cacciarsi dieci pollici di lama attraverso il corpo. Notis, cui un'ira feroce animava in unione alla gelosia e ad una smania terribile di vendicarsi dell'affronto subito dinanzi agli occhi di Fathma, fu il primo a mettersi in guardia, dopo di aver provato l'elasticità della sua scimitarra. Abd-el-Kerim, quantunque gli ripugnasse il battersi col fratello di colei che aveva tanto amato prima di aver veduto l'almea, non tardò a mettersi di fronte a lui, colla calma propria degli orientali.

—Abd-el-Kerim, disse Notis, sforzandosi di parer tranquillo. Raccomanda la tua anima ad Allàh, poichè non uscirai vivo da questa foresta e manda un ultimo addio alla tua nuova amante, che non rivedrai mai più.

—Non annoiarmi inutilmente, disse l'arabo freddo freddo. Se ti ricordi qualche preghiera, spicciati a dirla, poichè io non ti risparmierò.

—Ho raccomandato l'anima al diavolo mio patrono e ciò basta. Orsù, guardati, che il fratello della tua Elenka incomincia.

L'arabo lo guardò cupamente.

—In guardia, Notis, diss'egli. Una donna non sta più fra noi!

Quasi nel medesimo istante le due scimitarre s'incrociarono con uno stridore rapido e duro. I due avversari, tasteggiatisi un po', dopo di avere tentato di far passare reciprocamente i loro ferri per arrivare alle carni, si ritrassero di qualche passo, riponendosi in guardia.

Hassarn incrociò le braccia sul petto e il duello cominciò furiosamente.

Notis, più impetuoso e meno padrone di sè, fu il primo ad attaccare, moltiplicando gli assalti, portandosi ora a dritta e ora a sinistra, turbinando come un lupo attorno alla preda, e avventando tremendi colpi sul capo dell'arabo che li parava senza muoversi di una linea. Per cinque minuti continuò ad assalire, tentando, ma invano, di far saltare di mano la scimitarra ad Abd-el-Kerim, poi, visto che non c'era mezzo di riuscirvi nè di far abbassare quell'arma che copriva l'avversario come uno scudo, tornò a sostare.

—Ah! esclamò egli sogghignando. Tu sei una rupe adunque, incrollabile anche fra i più impetuosi attacchi.

—Può darsi, rispose l'arabo che si teneva in guardia.

—Aspetta un po' che provi una botta che mi fu insegnata ad Atene. Se il fratello d'Elenka non ti spacca il cuore, proverò un colpo maestro che mi fu insegnato dal tuo compatriota Dhafar.

—Non nominarmi Elenka, disse Abd-el-Kerim con ira.

—Ah! fè' Notis, ridendo diabolicamente. T'inquieta tanto questo nome?

—A che nominarmela? Credi tu di turbarmi l'anima e d'approfittarne per cacciarmi il tuo ferro in mezzo al petto? Se è così, sei più vile e più miserabile di quello che ti credeva. Ti disprezzo.

Il greco impallidì e il suo volto si sconvolse ferocemente.

—Ira di Dio! esclamò egli, facendo un passo indietro e alzando la scimitarra. Vuoi proprio che ti strappi il cuore colle mani? Sta attento, Abd-el-Kerim!

S'abbassò bruscamente rimpicciolendosi, quasi aggomitolandosi su sè stesso e allungò il braccio presentando la scimitarra che lo minacciava una superficie stretta e corta riparata ancora dalla distanza. L'arabo, dinanzi a quella manovra per lui nuova, s'arrestò esitando.

Di repente il greco si raddrizzò assaltando furiosamente e spingendo violentemente la scimitarra di punta. Abd-el-Kerim cercò di parare la botta, ma non fu in tempo e riportò una scalfittura al braccio sinistro; la bianca manica che lo copriva si tinse di rosso. Notis emise un grande scroscio di risa.

—E una diss'egli. Fra dieci minuti l'amante di Fathma sarà senza braccia. Sta attento mio caro arabo, che ricomincio.

Abd-el-Kerim non diede segno alcuno di dolore nè di spavento. Egli s'avventò addosso al greco colla rapidità d'un lampo, incalzandolo vigorosamente, stringendolo tanto che l'avversario fu forzato a rompere e a fare un passo indietro.

Tre volte Notis cercò di abbassarsi per ricominciare il giuoco, ma l'arabo gli era sempre addosso, impedendoglielo. Al quarto tentativo fu ferito alla faccia.

—Ah! esclamò il greco tergendosi colla mano sinistra il sangue che colavagli abbondantemente. La è così? Aspetta un po' canaglia.

Spiccò un salto di dieci piedi o si riaggomitolò cercando di strisciare fra le gambe di Abd-el-Kerim che gli correva addosso, ma il colpo di punta fu deviato dalla scimitarra che l'avversario stringeva con polso di ferro. Tornò a indietreggiare dinanzi a quei crescenti attacchi, dirigendosi verso lo stagno.

—Indietro! indietro! gridava l'arabo, che s'infiammava. Giù nello stagno.

In capo a cinque minuti Notis erasi ridotto proprio sulla riva dell'acqua; non gli restavano che due risorse. O lasciarsi ammazzare o gettarsi a testa bassa contro l'arabo.

—Arrenditi, gli disse Abd-el-Kerim.

La faccia del greco s'alterò e il sorriso beffardo che incoronava le sue labbra disparve. Tentò con un colpo disperato di disarmare l'avversario avventandogli una gran botta a mezza scimitarra. Ebbe per risposta una nuova puntata che gli lacerò la manica sfiorandogli la pelle.

Non vi era più nulla da tentare. La sua mano era stanca, si difendeva più lentamente e per quanto studio vi mettesse per non lasciarsi sopraffare e disarmare, sentiva la scimitarra che talvolta minacciava sfuggirgli di mano. Emise un ruggito furioso.

—Ira di Dio! tuonò egli. Che non riesca ad attraversare il cuore di questo vigliacco?

Cercò di portarsi a dritta e poi a manca, ma si trovava dinanzi sempre alla scimitarra dell'arabo che miravalo al petto. Fece un ultimo passo indietro e sentì i capelli rizzarglisi sul capo nel trovarsi proprio sul margine dello stagno. Una nube di fuoco gli passò dinanzi agli occhi. Si vide perduto, ma non chiese grazia.

Si difese per altri cinque minuti, poi gettò un urlo terribile e portò le mani sul petto, abbandonando la scimitarra. Abd-el-Kerim avevalo colpito sul fianco sinistro, nella direzione del cuore.

Stralunò gli occhi, spiccò un salto gigantesco e piombò in mezzo alle larghe foglie di loto che galleggiavano sulle acque dello stagno. Fu visto dibattersi per alcuni istanti, poi scomparire.

Abd-el-Kerim si chinò sulla riva, ma l'oscurità era così profonda, accresciuta anche dagli alberi che stendevano i loro rami al disopra delle acque, che non vide più nulla. Hassarn fu lesto ad avvicinarglisi.

—Si vede? chiese questi.

—No, rispose con voce sorda l'arabo.

—L'hai ucciso sul colpo?

—L'ignoro. Mi parve che la scimitarra incontrasse qualche costola.

—Che il diavolo lo accolga nel suo inferno.

—Taci, Hassarn, disse Abd-el-Kerim con emozione. Mi pare di aver commesso un assassinio.

—Bah! fe' il turco alzando le spalle. Un rivale di meno.

—Era il fratello di Elenka.

—Che importa, dal momento che tu hai spezzato il nodo che ti univa ad Elenka? Ora sei libero di far tua Fathma senza che Notis abbia a disputartela e che abbia ad invocare l'amore che tu avevi per sua sorella. Buona notte ai morti e buona fortuna ai vivi.

—Scendiamo nello stagno, Hassarn. Forse non l'ho ucciso sul colpo e respira ancora.

—Se tu non gli hai attraversato il cuore, a questa ora si è annegato. Lasciamolo lì e ritorniamo all'accampamento dove Fathma li aspetta con viva impazienza. Allàh penserà al morto.

L'arabo approvò con un cenno del capo, ma non si mosse. Cercò di scendere nello stagno ma l'acqua pareva profonda e l'oscurità non permetteva di vedere dove si appoggiavano i piedi. Egli dovette in breve convincersi che era impossibile pescare il corpo di Notis, nascosto fra il loto e fra i canneti.

—Infine l'ha voluto, mormorò egli sospirando. Povera Elenka, che dirà mai quando gli si narrerà che suo fratello è stato ucciso e che l'uccisore fui io, il suo amante. Ah! sento come un rimorso!

—E Fathma? Hai dimenticato così presto quella adorabile creatura?

—Hai ragione, Hassarn. Ho giurato di dare la mia vita a Fathma e

Fathma l'avrà! Vieni, Hassarn questo bosco mi fa paura.

Il turco raccolse la carabina, passò un braccio sotto quello del compagno e tutti e due, a lenti passi s'allontanarono.

Erano appena scomparsi dietro gli alberi, che le grandi foglie di loto dello stagno si sollevarono silenziosamente e la faccia di Notis apparve. I suoi occhi, animati da una tremenda collera, si fissarono, sul luogo appena lasciato dall'arabo e dal turco, nè si staccarono per un bel pezzo.

Ah! tu mi credi morto, diss'egli, cacciando fuori le pugna con gesto minaccioso.

«Tu credevi che fosse così facile ammazzare un greco della mia tempra che s'era giurato d'infrangerti come una canna e che s'era giurato di conquistare il cuore d'una bella donna, qual'è Fathma. Ti mostrerò io ora, quanto sei imprudente a non cacciarmi due dita di ferro di più in petto. Uscirò vivo di qui e guarirò presto e allora a me la vendetta. Ho da vendicare Elenka e la frustata che tu mi hai dato in volto e di più ho da far mia quell'almea che tanto mi abborre. Ti schianterò il cuore in modo tale che non abbia a guarire mai più!…

Tese l'orecchio: non si udiva che il riso smodato delle iene che vagavano sulle rive del Nilo cercando cadaveri e il sibilo del vento che scuoteva i rami dei tamarindi e le foglie delle palme. Egli sorrise stranamente.

Si sbarazzò delle foglie di loto che lo circondavano lacerando i gambi che si appiccicavano al suo corpo e s'avanzò verso la riva tasteggiando prudentemente il fondo limaccioso dello stagno. In pochi minuti guadagnò il pendìo, e si issò, senza rumore, fino a che si trovò completamente fuori dell'acqua.

Un acuto dolore che provò al fianco sinistro l'arrestò. Si stracciò la casacca a mise allo scoperto la ferita infertagli da Abd-el-Kerim, esaminandola attentamente.

La scimitarra eragli penetrata sotto la quinta costola, dopo di aver urtata la quarta ed aveva lacerato le carni per una lunghezza di sette od otto centimetri, ma senza che avesse toccato alcuna parte delicata. Capì subito che la ferita era dolorosa ma niente affatto mortale e respirò.

—Credeva che m'avesse ferito più pericolosamente, mormorò egli. Tanto meglio per me e tanto peggio pel mio rivale. Sta cheto, Abd-el-Kerim, che questo duello ti costerà caro, oh sì, assai caro! E ora, fingiamo di essere morto per tutti eccettuati Elenka e il mio fedele Takir. A proposito dove si è cacciato il nubiano? Non è possibile supporre che egli si sia allontanato nel mentre che io mi battevo.

Accostò le mani alle labbra e imitò il riso sgangherato della iena, che ripetè per tre volte. Pochi minuti dopo udì l'urlo lamentevole del sciacallo che si ripetè pure tre volte.

—Bene, il nubiano è qui, disse Notis, sforzandosi a sorridere.

Aspettiamo.

I cespugli si mossero di lì a poco e la atletica figura di Takir si mostrò. Egli accorse subito accanto a Notis, gettando un vero grido di gioia.

—Ah! padrone, vi credeva morto con una scimitarra attraverso il petto, diss'egli. Per qual fortuna quel dannato d'Abd-el-Kerim vi risparmiò?

—Mi risparmiò! esclamò Notis con furore. Il maledetto non è così generoso da risparmiare un rivale par mio che è per di più il fratello di Elenka. Guarda qui che mi fece.

Egli s'apri la camicia e gli mostrò la ferita che sanguinava abbondantemente.

—Vi ha ferito mortalmente?

—No, per buona ventura, disse Notis. Ho qui poi in faccia il segno lasciatomi dalla sua frusta e una scalfittura al disotto dell'occhio che mi rammenteranno sempre del traditore Abd-el-Kerim.

—Ma come siete stato risparmiato adunque?

—Gettandomi nello stagno e fingendomi morto.

—Sicchè vi credono…

—All'inferno, interruppe, Notis ironicamente. Tanto meglio, se mi credono bello e morto. Avrò agio di vendicarmi più facilmente.

—Voi nutrite, adunque, la speranza di restituire quel colpo di scimitarra?

—Non solo, ma di far mia Fathma, disse con aria feroce il greco. Ora che lei mi aborre, sento d'amarla ancor più, e tanto che senza Fathma mi sarebbe impossibile il vivere. Mi comprendi tu, Takir?

—Perfettamente, padrone, rispose il nubiano, ed io vi aiuterò, poichè…

—Zitto Takir. Afferrami fra le tue braccia e portami.

—Dove? Al campo forse?

—I morti non ritornano più fra i vivi, è giusto adunque che io non ricomparisca al campo. Non conosci tu qualche luogo deserto dove possiamo ricoverarci senz'essere veduti?

—Sulla cima delle colline che si estendono al settentrione d'Ossanieh, mi ricordo di aver veduto una bella caverna che potrebbe servirci di abitazione, e che è abbastanza vicina al campo, disse il nubiano.

—Andremo ad abitarla, Takir, e poi penseremo alla vendetta. Orsù, prendimi fra le tue braccia e portami. Io sono debole per ora.

Il nubiano lo prese, se lo gettò in ispalla e partì correndo colla stessa facilità come se portasse un fanciullo. Attraversò come un'antilope la foresta e sbucò nella pianura senza rallentare un solo istante la corsa. Notis gli guizzò fra le braccia mandando una orribile bestemmia.

—Guarda laggiù, diss'egli, mugolando come una belva. Guarda, Takir, guarda.

Il nubiano vide due persone che salivano le colline sabbiose a meno di quattrocento passi di distanza. Riconobbe subito chi erano.

—Quello là col cofatan bianco è Hassarn, disse. L'altro col fez è l'arabo Abd-el-Kerim: io li conosco tutti e due.

—Sì, sono i due maledetti. Essi si dirigono al campo dove li aspetta

Fathma.

—Calma, padrone, che verrà il dì che l'almea aspetterà voi.

—Puoi star sicuro che verrà quel giorno e mi aspetterà allora in ginocchio. Se tu potessi ammazzarne almeno uno con un colpo di carabina!

—È pericoloso, padrone. Ho il braccio dritto ferito e mi trema, e di più la notte è troppo oscura per mandare una palla a buon segno. Pazientate, li piglieremo entrambi e fra non molto, ve lo giuro.

—Cammina, adunque, e più presto che puoi. Bisogna che tu ti rechi al campo e che mi porti tutto il denaro che trovasi nella mia tenda. Potrebbe darsi che mi occorresse per prezzolare qualche arabo poco scrupoloso.

Il nubiano riprese la corsa, tenendosi dietro le colline sabbiose per non essere scorto dall'arabo e dal turco. Era mezzanotte passata, quando giunse in vista dei primi tugul d'Hossanieh dinanzi ai quali bivaccavano, al chiaro di numerosi fuochi, alcune compagnie di basci-bozuk e di negri d'Etiopia.

Si riposò alcuni istanti, poi s'internò tra i campi di durah e giunse ai piedi di alcune colline aridissime: esitò un momento, poi s'arrampicò su pei dirupati fianchi di una delle più alte, aggrappandosi agli sterpi e ai crepacci e raggiunse quasi la vetta, dove s'arrestò dinanzi a una gran caverna.

—Ci siamo, diss'egli, deponendo il greco a terra.

—È qui che noi pianteremo il nostro nido?

—Sì, padrone, e da questa cima si domina Hossanieh e il campo. Ci sarà facile vedere chi entra e chi esce.

—Sta bene, accendi qualche pezzo di legno per vedere dove si va. Ho paura che abbiamo a incontrare parecchi serpenti.

Il nubiano accese un pezzo di torcia resinosa e tutti e due entrarono con precauzione. Ben presto si trovarono in un ampio stanzone, la cui vòlta era sostenuta da parecchie colonne trasparenti che riflettevano magnificamente la luce. Le pareti, scavate bizzarramente, erano umidiccie ma il terreno, eccettuato un angolo dove raccoglievansi gli scoli che formavano un fossatello, era asciutto e cosparso di una sabbia bianchiccia in mezzo alla quale brillavano pezzi di salgemma. Il nubiano, ammazzati tutti gli scorpioni grigi che l'abitavano, i cui morsi sono pericolosissimi, s'accinse a correre al campo, prima che la notizia della morte di Notis si spargesse e che il pascià Dhafar s'impadronisse di tuttociò che conteneva la tenda.

—Alto là, disse Notis, che seduto su di un macigno si fasciava la ferita. Se tu vai laggiù, non dimenticare d'informarti dove sia Fathma e come vadano le faccende.

Il nubiano sorrise mostrando i candidi denti e scese in fretta la collina correndo verso il campo. Notis, che aveva finito di fasciare la ferita, uscì e andò a sedersi sul limitare della caverna, guardando attentamente il villaggio d'Hossanieh e le tende del piccolo esercito egiziano.

—Essi sono là, dìss'egli con gioia feroce, tutti e due là, a portata della mia mano, a portata della mia vendetta. Parlatevi di felicità, di amori, di immense gioie, ma io schianterò il cuore di entrambi, e in modo che non abbiate a guarire più mai. Non si conosce fino a qual punto sappia odiare il greco Notis.

«Non ho forze ora, m'è impossibile assalirvi di fronte poichè io sono morto, ma troverò io i mezzi per colpirvi e farvi cadere l'uno nelle mani di Elenka e l'altra nelle mie. Io sarò il leone e mia sorella la iena! Oh! allora…

Egli interruppe bruscamente il monologo e si drizzò come spinto da una molla. Al chiaror di un raggio lunare che cadeva sul campo, aveva scorto un mahari dal mantello nero lasciare la tenda dell'arabo Abd-el-Kerim e dirigersi a rapidi passi verso gli avamposti.

Guardando con maggiore attenzione, vide sul dorso dell'animale un uomo avvolto in un gran taub bianco. Impallidì e le sue mani cercarono un'arma.

—Dio mi punisca, se quell'uomo là non è lo Amr, lo schiavo d'Hassarn.

Dove può mai recarsi, che lascia il campo a quest'ora?

Notis rimase un istante indeciso, poi si levò e ritornò in furia alla grotta, dalla quale uscì armato della carabina di Takir. Una cupa fiamma brillava nei suoi occhi e il suo volto tradiva un feroce proponimento.

Quantunque le ferite lo tormentassero crudelmente dopo mille sforzi che gli costarono cento bestemmie e cento lamenti dolorosi, scese la erta collina e guadagnò la pianura cosparsa qua e là di intristiti alfèh e di pochi tamarischi. Egli strisciò silenziosamente fino a raggiungere un misero tugul diroccato, una capannuccia di paglia di forma conica. Si nascose lì dietro colla carabina armata e gli occhi fissi sullo schiavo d'Hassarn che si avvicinava rapidamente, aizzando con un fischio, il mahari.

—Bisogna che sappia ciò che quell'uomo porta, mormorò Notis. Con un colpo di carabina gli farò scoppiare la testa come fosse una zucca.

Alcuni minuti dopo il mahari giungeva a centocinquanta passi dal tugul. Amr continuava a fischiare tranquillamente, senza darsi la pena di guardarsi d'attorno, più che sicuro che il luogo era deserto.

Notis credette giunto il momento opportuno per mandarlo nel paradiso di Maometto. Puntò la carabina, mirò per qualche tempo con mano ferma, poi premette il grilletto.

La detonazione non era ancor finita che Amr precipitava di sella, contorcendosi disperatamente fra le erbe.

—All'armi! s'udirono gridare le sentinelle dell'accampamento.

Notis non si sgomentò. Raggiunse l'agonizzante che emetteva rantoli strazianti, cercando di sollevarsi, e l'atterrò spezzandogli la testa col calcio della carabina.

—Sta cheto, disse l'assassino, sogghignando.

Si curvò sul poveretto che non dava più segno di vita, e lo frugò ben bene rovesciandogli tutte le saccoccie. Trovò una lettera accuratamente suggellata che s'affrettò a leggere, valendosi del chiaro di luna, Ecco il contenuto:

«Elenka,

«Non pensate più a me. Il nodo che univa i nostri cuori si è spezzato per sempre sotto il destino e i voleri del Profeta. Non indagate le cause che mi spinsero a lasciarvi, nè cercate di raggiungermi che ormai ogni altro nodo è impossibile. Che Allàh vi conservi e il Profeta vi protegga.

La favorita del Mahdi

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