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Capitolo VII. SULL’OCEANO PACIFICO

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Don Barrejo ai suoi tempi, malgrado le sue lunghissime gambe, era stato, nella sua qualità di armigero, un gran conquistatore di donne, quindi non disperava affatto di condurre a buon porto i suoi disegni.

Adocchiata la bella mulatta, allungò il passo ed in pochi momenti le fu alle spalle, dicendole:

– Eh!… Eh!… Dove correte, mia bella?

La mulatta si voltò, guardò il guascone, poi, come affascinata dall’aria marziale di lui o dallo splendore della corazza, gli rispose:

– Al mercato, caballero.

– Chiamatemi conte, perché mio padre è un grande di Spagna.

– Sí, signor conte.

– Sei ai servigi del marchese di Montelimar? – le chiese don Barrejo, mettendosele a fianco.

– Sí, signor conte.

– Posso offrirti qualche cosa? La mattina è fresca, e un buon bicchiere di mezcal non farà male né a me, né a te.

– Oh!… Signor conte!… – esclamò la mulatta.

– Insieme ad un gruzzolo di piastre luccicanti, – proseguí il furbo guascone.

– Che cosa volete da me, signor conte? – chiese la mulatta, stupita di trovarsi a fianco d’un cosí grande gentiluomo.

– Signor conte, – disse poi, – io non sono che una povera serva mulatta, che non ha mai avvicinato persone di cosí alto grado.

– Ebbene sono io che ti avvicino a me, – rispose don Barrejo, posando fieramente la sinistra sull’impugnatura della draghinassa, perché gli era parso che qualche passante lo avesse guardato sorridendo ironicamente. – Pelli bianche dal sangue azzurro o pelli dorate dal sangue multicolore, per me fanno lo stesso, perché nelle mie vene non ho una goccia di sangue castigliano.

“Come ti chiami?”

– Carmencita.

– Bel nome, tonnerre!…

Passavano in quel momento dinanzi ad un negozio mezzo albergo e mezzo bottiglieria. Il guascone prese per una spalla la bella mulatta e, senza tanti complimenti, la cacciò dentro, comandando un boccale di mezcal e delle focacce dolci.

– Signor conte, – si provò a dire la cuciniera del marchese.

– Qui dentro chiamami semplicemente Diego, – rispose don Barrejo. – I figli dei grandi di Spagna bisogna che qualche volta conservino l’incognito.

Prese il boccale colmo di quel vino dolciastro e piccante, ricavato dall’alcool, empí le tazze, poi offrí galantemente alla mulatta i pasticcini inzuccherati.

– Odimi mia cara, – disse poi, abbassando la voce. – vuoi guadagnare dieci piastre?

– Non ne prendo tante in un mese di lavoro, signor…

– Diego, ti ho detto. Allora ne aggiungeremo altre dieci cosí faranno venti. Spero che saprai contare.

– Voi gettate i denari dalla finestra, signor… Diego.

– Che cosa sono venti piastre pel il figlio d’un grande di Spagna? Mio padre deve possederne un numero sterminato che un giorno passeranno attraverso le mie mani.

– Che cosa devo fare per guadagnare la somma che mi promettete, mio gentiluomo? – chiese la mulatta, la quale, pur chiacchierando, sgretolava coi suoi magnifici denti i pasticcini zuccherati, innaffiandoli con dei buoni bicchieri di mezcal.

– Rispondere semplicemente alle mie domande, – rispose il guascone.

– Allora potete interrogarmi anche fino a questa sera.

– Non voglio privare il marchese delle sue belle cuoche. Stammi bene attenta ora, Carmencita.

– Parlate, signor Diego.

– Sai tu che sia stata condotta al palazzo, due giorni or sono, una bellissima señorita che ha la pelle leggermente abbronzata?

– Sí, signor Diego. Sono io che le fornisco i pasti.

– Tonnerre!… Questo si chiama aver fortuna!… È ben guardata?

– Ha sempre due alabardieri dinanzi alla sua porta.

– Tu però puoi entrare liberamente quando vuoi?

– Sí, signor Diego.

– Vedi, mia cara Carmencita, io sono pazzamente innamorato di quella señorita e anche lei mi vuole un gran bene, ma mio padre si è messo di mezzo e me l’ha fatta portar via dal Marchese di Montelimar.

– Oh!…

– Non la vedi mai piangere il suo perduto amore?

– Veramente no, – rispose la mulatta.

– È orgogliosa la señorita, e non vorrà farsi vedere dinanzi agli altri.

– Sarà come dite voi, signor Diego.

– Ho da darti un incarico che costerà a me le venti piastre ed a te nessuna fatica, – disse il guascone, levando da un tasca il biglietto datogli da Buttafuoco. – Non hai da fare altro che consegnarglielo, senza che nessuno ti veda.

– È una cosa semplicissima.

– La señorita ti darà un altro biglietto che tu mi porterai qui prima che il sole tramonti. Ora eccoti le prime dieci piastre; le altre ad affare finito.

“Sei contenta, mia bella Carmencita?”

– Siete generoso, signor conte.

– Eh!… Come un conte, – rispose il guascone, sorridendo. – Suvvia, da’ un ultimo colpo di denti a questi pasticcini che fanno piú bene a te che a me, poi vattene subito perché il marchese non sospetti qualche cosa.

– Non si occupa delle sue serve.

– Non si sa mai!

La bella mulatta diede fondo ai dolci, bevette qualche altro bicchiere di mezcal, poi, dopo aver promesso di trovarsi all’appuntamento, se ne andò col suo gran paniere infilato nel braccio.

– Tonnerre!… – mormorò il guascone, quando fu solo, stropicciandosi allegramente le mani. – Anche fra le serve si trovano delle brave persone.

“Orsú, andiamo a passare la mia ultima giornata insieme a Panchita, poiché domani noi non saremo piú certamente a Panama.

Tonnerre!… Era tempo che don Barrejo si svegliasse dal suo lungo sonno matrimoniale, e che riprendesse la sua vita di avventuriero.

“Non ero già nato per fare il cantiniere.”

Gettò sul tavolo una piastra ed uscí senza attendere il cambio, fra gli inchini dei garzoni, stupiti di tanta generosità. Già, si capisce, essi ignoravano la storia dell’eredità del Gran Cacico del Darien sulla quale il guascone contava di rifarsi ampiamente.

Soltanto verso il mezzodí don Barrejo fece la sua entrata nella sua taverna, proprio nel momento in cui Panchita e Rios stavano per mettersi a tavola.

– Salute e buon appetito alla compagnia, – disse, sbarazzandosi del ferraiolo. – Com’è che non vi è alcun bevitore, moglie?

– Ah!… Sei tu, finalmente!…

– Credevi che fossi un altro, moglie? Vanno male gli affari? La mia taverna è diventata un deserto.

– Quella maledetta botte ha spaventato tutti, – rispose Panchita. – L’hanno veduta uscire ieri sera e rientrare stamane e nel quartiere si sussurra che tu alla notte vai ad affogar gli spettri che accalappi nella cantina.

Il guascone proruppe in una risata.

– Non mi ero mai creduto capace di tanto, – disse. – Vuoi un consiglio, Rios? Va’ a gettare in mare quella dannata botte che minaccia di diventare la nostra rovina.

“Quando non la vedranno piú ritornare si persuaderanno che i satanelli, i diavoletti, i fantasmi ed i folletti se ne sono andati e verranno ancora a bere il buon Xeres

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