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PARTE PRIMA. Greci e Arabi
CAPITOLO IX. Elenka
ОглавлениеElenka, chiamata la bella greca, era la più affascinante e nel medesimo tempo la più ardente creatura che potesse incontrare in tutta la regione dell’alto Egitto. Poteva avere diciott’anni a giudicarla dalle forme assai pronunciate; era di statura alta piuttosto che bassa, dalla vita flessuosa, dal portamento altero, superbo come era superba e altera nel gesto e nella parola. Aveva capelli nerissimi a riflessi metallici, che le cadevano come vellutato mantello sulle spalle, una fronte piccola come quella delle statue greche, due occhi scintillanti che parevano talvolta accendersi, ombreggiati da sopracciglia di un nero assoluto e di una regolarità perfetta, un naso insensibilmente aquilino le cui nari mobilissime, dilatavansi nelle collere e due labbra rosse come corallo che spesso aprivansi ad un sorriso strano, diabolico, ma sempre affascinante.
Appena era giunta a Chartum, due anni addietro, assieme a suo fratello Notis, reduce allora, dal Cairo, aveva fatto girare la testa a tutti gli Arabi, Egiziani e Turchi della città. Pascià, cadi, ufficiali e mercanti si erano subito messi a corteggiarla, ma strana e superba quale era, aveva disprezzato gli uni, deriso gli altri e scoraggiato in fin dei conti tutti. Uno solo fra tanti era rimasto al suo posto, irremovibile come una rupe, determinato a qualsiasi costo, ad aprire una breccia in quel cuore inaccessibile e questo uomo era l’arabo Abd-el-Kerim.
Una passione gigantesca era nata nel suo animo, passione che egli credeva non poterla spegnere nemmeno colla morte. La seguì ostinatamente per mesi, incrollabile fra gli sprezzi e le derisioni della bella greca e dei propri rivali, aspettando ansiosamente l’occasione per vibrare la prima freccia. Un giorno la dahabiad che conduceva Elenka e Qualagla si rovesciò in causa di uno scontro con un battello a vapore; Abd-el-Kerim si gettò nel fiume e salvò la greca nel momento che annegavasi.
Non ebbe nemmeno un ringraziamento, nemmeno un sorriso, anzi neppure uno sguardo; ognuno avrebbe perduto ogni speranza di conquistare quella superba creatura, ma l’arabo non si scoraggiò ancora, anzi il suo amore crebbe sempre fino a toccare la pazzia.
Una sera che Elenka tornava dal villaggio d’Undurmàn assieme al suo schiavo fu assalita da una banda di predoni Sennarèsi. Abd-el-Kerim, che come il solito la seguiva, accorse a difenderla, ammazzò mezzi assalitori e fugò gli altri. Riportò una ferita in mezzo al petto, ma che montava? La prima freccia aveva ormai colpito l’inaccessibile cuore della superba greca.
Essa cominciò ad ammirarlo, poi il suo cuore cominciò a battere con maggior violenza, scaturì una scintilla, la scintilla avvampò e scatenò un incendio.
Amò l’arabo, ma l’amò furiosamente, tremendamente tanto che per lui si sarebbe gettata anche nel fuoco e l’unione dei due cuori fu stabilita.
Sopraggiunse la guerra e Abd-el-Kerim partì col suo battaglione sotto il comando di Dhafar pascià. Elenka voleva seguirlo, le fu proibito e si rassegnò, dopo aver a lungo pianto, ad aspettare il suo ritorno. Quando Takir le portò la terribile notizia che Abd-el-Kerim s’era gettato nelle braccia di Fathma credette impazzire dalla gelosia e dal furore. Poi una sete ardente di vendetta la prese e giurò in cuor suo di dilaniare coi propri denti il cuore dell’abborrita rivale.
Partì subito anelante, furibonda, fuori di sè, quasi delirante. Non arrestò un sol minuto, neppure alla notte, fuorchè per cambiare i mahari che dilombava nelle continue e rapidissime corse e in meno di due giorni giunse in vista delle capanne di Hossanieh. I beduini vegliavano nella pianura e la condussero innanzi a El-Garch proprio nel momento che Notis svegliato di soprassalto dalla voce di Fit Debbeud, appariva sul piazzale.
Fratello e sorella, appena si scorsero si precipitarono nelle braccia l’un dell’altra, stringendosi quasi con rabbia e si guardarono mutamente per alcuni minuti con gli occhi scintillanti di collera e di gioia. I loro volti si contrassero stranamente e un sorriso feroce agitò le loro labbra.
— Vieni, Elenka, disse d’un tratto Notis, prendendola per mano.
La condusse lontana dalle tende, vicina ad una gran sfinge e la fece sedere sopra di un gigantesco tarbusch di pietra che altre volte doveva essere stato un cippo mortuario.
— Ebbene chiese Elenka con voce che sibilava fra i denti stretti.
— Abd-el-Kerim ti ha tradita, rispose Notis.
— È proprio vero adunque, che dopo di avermi tanto amata ha infranto l’amore che ci univa?
— Vero, Elenka, ti ha lasciata per correre dietro ad un’almea.
La greca s’alzò come una iena furibonda, e le sue mani si chiusero come se avessero voluto stritolare qualche cosa. Chiuse gli occhi e li riaprì più scintillanti di prima fissando in istrana guisa Notis:
— Io soffoco dall’ira e muoio di sete, ma ho sete di sangue, diss’ella con selvaggio trasporto. Dimmi dov’è questa mia rivale, ond’io vada a strapparle il cuore colle mie unghie; dimmi dovo posso vederla. Mi sentirei capace di avvelenarla col solo mio sguardo!
— Calma, Elenka, disse Notis. In queste faccende bisogna essere freddi.
— Nelle mie ire non so dominarmi, tu lo sai, Notis. Sono quattro giorni che ho il cuore straziato da una terribile gelosia, sono quattro giorni che mi sento presa da una smania feroce di uccidere o di essere uccisa. Dammi questa rivale e tu mi vedrai diventare più crudele della iena, la più sanguinaria che sia vissuta nei deserti dell’Africa.
— E Abd-el-Kerim, l’hai dimenticato?
— Abd-el-Kerim! esclamò Elenka con aria cupa.
— Che faresti di questo traditore se lo avessi in tua mano?
— Non lo so… Dove si trova egli?
— In un posto sicuro.
Elenka lo guardò con sorpresa.
— È forse vicino? domandò con viva emozione.
— Sta sotto i nostri piedi.
— Morto forse!… esclamò ella, dando indietro, spaventata. Notis!…
— Non ancora.
— Dov’è, dimmi Notis, dov’è?
— Chiuso in un sotterraneo.
— Conducimi da lui, voglio vederlo! disse Elenka, scattando in piedi.
Notis si mise a ridere, lisciandosi tranquillamente la nera barba.
— L’ameresti ancora? domandò egli beffardamente.
— Non so se l’odio o lo ami, so solamente che voglio trovarmi dinanzi a lui per dirgli che la sua rivale la calpesterò, la farò a brani, la polverizzerò come fosse di creta.
— Non la toccherai! Io amo la tua rivale e voglio farla mia, dovesse andar di mezzo la mia e la tua vita.
— Tu! tu ami la mia rivale!
— Sì, io l’amo, io l’adoro e tanto che senza di lei non potrei vivere.
— Tu ami una spregevole almea!
— È bella come un urì del paradiso di Maometto e più superba di te.
Elenka si slanciò su di lui e l’afferrò per le braccia con tal forza da strappargli un grido di dolore.
— Ma io l’odio, l’odio, la esecro questa almea! urlò ella.
— E io l’amo, l’adoro! urlò Notis.
— Vuoi adunque che ci facciamo la guerra? Io sarò senza pietà.
Il greco le mostrò i beduini che stavano osservandoli appoggiati indolentemente ai loro moschettoni.
— Basterebbe un mio cenno per fiaccare Abd-el-Kerim, le disse. Tu sei pazza, Elenka, e io più pazzo di te per suscitare simili questioni inutili. Tu vuoi Abd-el-Kerim e io te lo cedo; io voglio Fathma e io l’avrò.
— Hai ragione, rispose Elenka, sforzandosi a sorridere, noi siamo pazzi. Che devo fare ora? Io voglio vedere Abd-el-Kerim, conducimi da lui adunque e lascia a me la cura d’affascinarlo come l’affascinai a Chartum.
— Adagio, sorella, andiamo adagio, disse Notis con un fare misterioso. Tu sai già in qual modo Abd-el-Kerim fu rapito e come egli mi creda morto da un bel pezzo. Lo sceicco Fit Debbeut lo rinchiuse nel sotterraneo fingendosi un amante di Fathma e dicendogli che l’avrebbe fatto morire di fame. È giusto quindi che tu sii capitata fra queste ruine per puro caso o dietro ad un semplice indizio e che assumi l’aria di una liberatrice anzichè di una affascinatrice. Ti pare?
— Satana stesso non sarebbe stato capace d’architettare un piano migliore.
— Grazie, sorella, rispose Notis ridendo. Tu adunque scenderai nel sotterraneo in compagnia di due dongolesi e lo libererai dopo di avergli parlato dell’antico vostro amore e d’averlo persuaso a dimenticare Fathma.
— Bene e della mia rivale che accadrà?
— Bisogna che tu estirpi dal tuo cuore ogni idea di vendetta poichè l’almea diverrà mia moglie.
— Sei pazzo, cento volte più pazzo di Abd-el-Kerim. Non so cosa darei per tuffare le mie mani nel sangue caldo della mia rivale.
— E io darei dieci anni della mia vita per vedere il mio rivale agonizzante ai miei piedi. Siamo in pari condizioni, lasciamo adunque che scampino. Vattene a trovare adunque il traditore e che Allàh ti assista.
Il greco gettò un fischio prolungato; tutti i beduini gettarono gli archibusi ad armacollo, piegarono le tende, caricarono i loro utensili sui mahari e sui cammelli e s’internarono nella foresta. Fit Debbeud li seguì dopo d’essersi assicurato che ogni traccia dell’accampamento era scomparsa e di aver comandato a due dongolesi di andare a mettersi presso la galleria.
— Quando avrai finito, manda un fischio e io apparirò, disse il greco a sua sorella, dopo di che si allontanò a rapidi passi nella direzione presa dalla banda.
Elenka se ne rimase lì, ritta, colle braccia abbandonate lungo il corpo, le ciglia aggrottate e come in preda a un profondo pensiero. Si guardò lentamente d’attorno quasi sorpresa di vedersi sola, poi si rizzò fieramente con un gesto risoluto e s’avvicinò ai due dongolesi che l’aspettavano immobili come due statue all’entrata dell’oscuro corridoio.
— Conducetemi dal prigioniero, diss’ella con una emozione che invano cercava di nascondere.
I dongolesi accesero le torcie e s’inoltrarono nel corridoio camminando con somma precauzione, per la tema di calpestare sulla coda di qualche aspide che poteva tenersi celata in fra i rottami. Elenka li seguì in silenzio, guardandosi attorno con crescente curiosità.
Man mano che procedeva sentiva il cuore battere con maggior violenza e vaghi timori l’agitavano. Si avrebbe detto che aveva paura di trovarsi di fronte al fidanzato, al traditore, là, sotto quelle cupe ed umide vôlte e in presenza di due selvaggi, e guardava con orrore il fondo del corridoio e le umide pareti sulle quali strisciavano con un ronzìo lugubre migliaia di scorpioni grigi, di vermi, di lucertole e di spaventevoli tarantole. Le pareva di essere in preda ad uno spaventevole sogno.
— Gran Dio! andava mormorando. Così terribilmente l’odiava Notis per seppellirlo in quest’orrida tomba?
D’un tratto uno dei dongolesi s’arrestò e si volse verso di lei con un crudele sorriso sulle labbra.
— Udite? chiese con una voce che l’eco rendeva sepolcrale.
Elenka rabbrividì e tese l’orecchio. Dal fondo del corridoio venivano dei gemiti interrotti, del mormorii vaghi che andavano man mano crescendo per poi morire improvvisamente come se colui che li avesse emessi fosse d’un sol colpo morto.
— Chi è? chiese ella spaventata.
— Il prigioniero che muore di fame, rispose il dongolese.
— Miserabili!…
— Il greco così ha voluto.
— Tira innanzi, disse Elenka con aria minacciosa.
I dongolesi ubbidirono e poco dopo si arrestavano dinanzi alla porticina ferrata sulla quale scorgevansi delle sculture rappresentanti degli ibis, uccelli tenuti per sacri dagli antichi Egizi e Nubi cui dedicavano spesso dei templi. Elenka tremò tutta nell’udire i lamenti e le sorde imprecazioni dello sventurato Abd-el-Kerim, che contorcevasi fra gli spasimi della fame.
La porta venne con gran fatica aperta. Ella strappò una torcia dalle mani dei dongolesi, fe’ a loro cenno di aspettarla all’uscita del corridoio ed entrò risolutamente nel sotterraneo umido e freddo.
In sulle prime non fu capace di vedere che dei pipistrelli che svolazzavano mandando strida di spavento all’apparire di quella improvvisa luce, poi scorse in un angolo, sdraiato a terra, colla testa fra le mani, l’Arabo Abd-el-Kerim. Tutta la sua collera che ancora rimanevagli in fondo al cuore svanì come la nebbia al sole: una profonda compassione generata dall’immenso amore che nutriva ancora pel traditore, la prese e rimase ritta sulla porta senz’essere capace di dir verbo.
— Chi è l’assassino che viene ad assistere alla mia agonia? chiese con voce rauca l’arabo fissando due occhi stravolti su Elenka.
Quella voce ferì il cuore di Elenka.
— Abd-el-Kerim, diss’ella.
— Chi mi chiama? Chi mi cerca quaggiù in questa tomba? continuò l’arabo con trasporto feroce che la eco rendeva doppiamente cupo.
— Non mi riconosci più adunque?
Vi rispose un brontolio lungo simile a quello di una belva irritata.
— Guardami in volto, Abd-el-Kerim, guardami bene.
— Chi sei? domandò l’arabo facendo uno sforzo per alzarsi.
— Elenka, la tua fidanzata, che viene a salvarti.
— Tu!… Tu!… ruggì l’arabo con indefinibile accento d’odio.
S’aggrappò ai muri come un pazzo, si alzò, si spinse innanzi barcollando, poi retrocesse come se avesse visto una spaventevole apparizione.
— Ah! esclamò egli ironicamente. Sei tu, Elenka, la bella e buona Elenka che diceva di amarmi tanto e che mi fece cacciare in quest’orrida tomba perchè morissi di fame e di gelosia. Vattene orribile creatura, vattene!....
Elenka s’appoggiò al muro e lo guardò con occhio smarrito per qualche istante.
— Sei pazzo, Abd-el-Kerim, disse di poi con voce che tremava.
— Che vuoi da me, esecrabile donna, che vuoi? Ogni legame fu infranto, un abisso fu scavato fra noi, non sono più tuo, vattene e lasciami morire in pace giacchè fosti senza pietà nella tua abbominevole vendetta!
La greca lo guardò con ispavento e sentì mancarsi le forze dinanzi all’accusa che era mille miglia lontana dall’aspettarsi. Come mai l’arabo sapeva che era stato cacciato in quell’orrido sotterraneo per vendetta che egli attribuiva a lei? Era un semplice sospetto oppure qualche spia gli aveva comunicato qualche cosa? Elenka si chiese per la seconda volta se sognasse.
— Abd-el-Kerim, diss’ella facendo uno sforzo straordinario per dominare il suo sgomento. Tu mi accusi a torto te lo giuro. Io veniva a questa volta per recarmi al campo d’Hossanieh colla speranza di trovarti e di riannodare l’amore che in un momento di follia spezzasti. Un beduino mi narrò come passando di qui avesse udito dei gemiti e m’affrettai a discendere. Vengo a liberarti non per vendicarmi.
— Taci, Elenka, taci, disse l’arabo con impeto selvaggio.
— Abd-el-Kerim, ti prego, ritorna in te, allontana questi sospetti che per me sono altrettanti pugnali che mi straziano il cuore.
L’arabo la guardò torvamente, poi le si avvicinò e afferrandola bruscamente per le braccia la scosse con furore.
— Ero là, diss’egli, che attendeva la morte, quando udii il bandito che mi cacciò quaggiù gridare: Olà, ecco Elenka!.... Aveva una benda agli occhi, ma in quel momento mi cadde: compresi tutto, tutto!…
Elenka gettò un grido d’angoscia. L’arabo con una violenta spinta la mandò a cadere sulle ginocchia, presso la porta.
— Sciagurata! esclamò egli con profondo disprezzo.
Nel sotterraneo regnò un lungo silenzio rotto solo dall’affannoso respirar della greca e dal monotono rumore delle goccie d’acqua che battevano sulla viva roccia.
— Abd-el-Kerim, mormorò Elenka con voce rotta. Abd-el-Kerim!
L’arabo le volse le spalle e si rinchiuse in un feroce silenzio.
— Ebbene sì, continuò la greca, fui io a rinchiuderti in questa prigione, ma non ti torturai; fu il bandito Fit Debbeud. Avevo paura che tu mi fuggissi, la gelosia, mi acciecò e ti volli in mia mano prima che nel tuo cuore si spegnesse l’ultima scintilla di amore che ardeva per me. Fui colpevole, lo so, fui miserabile, fui terribile nella mia vendetta, ma tu mi avevi fatta diventare una iena assetata di sangue Abd-el-Kerim, perdonami in memoria di quell’amore che....
— Quell’amore s’è spento nel mio cuore, l’interruppe l’arabo sordamente.
— Oh! non è possibile, non lo voglio credere, tu mi ami ancora.
— No!… No!…
— Ma che ti feci mai io, perchè tu avessi a dimenticarti di me? Non ti ricordi adunque, di quelle notti serene e beate, quando io stava seduta sulle sponde del Bahr-el-Abied sotto la misteriosa ombra dei palmizi e che tu sdraiato ai miei piedi mi giuravi eterno amore, mi promettevi felicità sconfinate? Non ti rammenti più adunque di quei felici momenti, quando tu suonavi la rabâda e mi cantavi le canzoni del tuo paese frammischiandovi dolci parole d’amore? Tu allora mi ammiravi, tu allora adoravi la superba Elenka che avevi vinta e domata colla potenza dei tuoi profondi sguardi, del tuo immenso bene, del tuo coraggio. Sono adunque diventata sì orribile al tuo sguardo?
— Non parlarmi di giuramenti che io li ho infranti.
— Non ti parlo di giuramenti, ma solo di memorie.
— Le ho estirpate dal mio cuore.
— Sei proprio inesorabile con me, colla donna che tu un tempo idolatravi? Tu, che m’hai assassinato il fratello, l’unico uomo che mi proteggesse, l’unico che mi rimaneva al mondo della mia famiglia, vuoi per di più far impazzir me, vuoi far morire anche me! Ah! Abd-el-Kerim sei un miserabile!
— Taci… taci Elenka, balbettò l’arabo con voce arrangolata.
— Dimmi che tu mi ami ancora, dimmi che tu tornerai ad essere mio e io ti perdonerò l’assassinio di mio fratello. Sono sola Abd-el-Kerim, sola al mondo… m’affido a te e ti giuro che ti amerò fino alla morte.
— Non lo posso… non lo posso… ho tutto infranto… ho scavato un abisso impossibile a varcarsi. Lasciami così, fammi morire se vuoi, vendicati della morte di tuo fratello che pur uccisi in leale combattimento, ma vattene, vattene…
L’arabo si nascose il volto fra le mani, barcollò, si sedette su di una pietra poi si alzò e si mise a passeggiare pel sotterraneo. Frequenti sospiri uscivano dalle sue labbra contratte, straziate e insanguinate dai denti.
— Abd-el-Kerim, continuò Elenka con voce affascinante. Non respingermi, non lasciarmi sola al mondo, non tradirmi. Che ti feci mai io per essere trattata così crudelmente? Forse che sono colpevole di averti troppo amata? Non è vero che tu mi ami ancora? Non è vero che il tuo cuore palpita ancora per me? Dimmi di sì, dimmelo Abd-el-Kerim, oh! dimmelo, fammi ancora una volta felice.
— No, impossibile, impossibile ti dico. Ti odio, lo capisci, che ti odio ora!…
— Sei proprio inesorabile?
— Inesorabile.
— Guarda, io, un dì tanto superba, sono ai tuoi piedi supplicante. Fa di me quello che vuoi, sarò tua schiava, e subirò i tuoi più strani capricci senza un lamento, senza un sospiro.
La faccia dell’arabo s’alterò visibilmente e girò il capo verso Elenka che tendevagli le mani supplicanti. Scosse il capo come un forsennato e s’allontanò vieppiù con un gesto d’orrore.
— Vattene, le disse. Ho spezzato e dimenticato tutto.
La greca si raddrizzò come una verga di ferro fino allora piegata. I suoi occhi s’infiammarono d’ira e di vergogna.
— Per chi è che tu m’hai dimenticata? chiese ella con voce stridente.
— Per Fathma!
— Ah! traditore!
Si scagliò innanzi come una belva; aveva in mano un pugnale che alzò.
— Abd-el-Kerim; noi siamo soli e tu sei in mia mano!…
— Uccidimi se ti piace; io morrò più presto.
— No, sarebbe una morte troppo dolce. A me occorre una vendetta raffinata, una vendetta lenta, una vendetta terribile. Ah!.. continuò la greca con ira, tu credevi di tradire così la superba Elenka? Ebbene, t’inganni. Ho una rivale, questa rivale si trova al campo d’Hossanieh, io la raggiungerò e le farò uscire il sangue goccia a goccia!…
Vi era un tale accento d’odio, un tale accento selvaggio e guizzava un baleno così feroce negli occhi della greca, che l’arabo indietreggiò sino al muro inorridito, spaventato.
Comprese subito che era finita tanto per lui quanto per Fathma e che non vi era da sperare nessuna pietà da quella superba creatura divorata dalla gelosia a assetata di vendetta. I capelli gli si rizzarono sulla fronte.
— Elenka, diss’egli con voce angosciata, nella quale sentivasi la preghiera e la minaccia. Straziami il cuore se vuoi, ma non toccare l’almea. Guai se tu le torci un sol capello, guai a te!
Un riso stridulo e beffardo uscì dalle labbra contratte della greca.
— Vi schiaccerò tutti e due sotto i miei piedi!
— Taci, miserabile, taci!
La greca camminò fino alla porta, poi volgendosi verso di lui colle mani tese:
— Abd-el-Kerim, diss’ella, cupamente. Trema!… Trema!