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CAPITOLO UNO

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“Ehi Lacey!” gridò la voce di Gina dalla stanza sul retro del negozio di antiquariato. “Vieni qui un minuto.”

Lacey posò delicatamente l’antico candelabro d’ottone sul banco. Il lieve tonfo che produsse fece sollevare di colpo la testa a Chester, il suo cane da pastore inglese.

Stava dormendo al suo solito posto, disteso sulle tavole di legno accanto al bancone, immerso nella calda luce del sole di giugno che filtrava da fuori. Il cane posò i suoi occhi scuri su Lacey, osservandola con evidente curiosità.

“Gina ha bisogno di me,” gli disse lei, sempre con addosso quella sensazione che il cane, con quel suo muso espressivo, potesse capire ogni sua singola parola. “Tu tieni d’occhio il negozio e abbai se entrano dei clienti, d’accordo?”

Chester mugolò come in risposta e riaffondò la testa tra le zampe anteriori.

Lacey attraversò l’arco che separava l’ambiente principale del negozio dall’ampia sala d’aste recentemente restaurata. Quest’ultima aveva la forma della carrozza di un treno – lunga a stretta – ma il soffitto era alto come quello di una chiesa.

Lacey adorava questa stanza. Ma del resto amava tutto del suo negozio, dalla sezione dell’arredamento retrò che aveva curato mettendo a frutto le sue passate conoscenze, acquisite quando lavorava come assistente di una designer d’interni a New York, all’orticello che stava nel giardino sul retro. Il negozio era il suo orgoglio e la sua gioia, anche se a volte pensava che le portasse qualche problema di troppo.

Entrò nella sala d’aste e una tiepida brezza passò attraverso la porta aperta sul retro, portando con sé gli odori fragranti del giardino fiorito di cui Gina si occupava. Ma la donna non si vedeva da nessuna parte.

Lacey guardò nella stanza e poi dedusse che Gina doveva averla chiamata dal giardino, quindi andò in direzione delle porte a vetri. Subito, però, sentì un rumore che proveniva dal corridoio sulla sinistra.

Quella zona ospitava le parti meno gradevoli alla vista, nel negozio: il disordinato ufficio pieno di schedari e cassette di sicurezza in acciaio, l’area della cucina dove risiedevano il suo fido bollitore e una varietà di bevande ricche di caffeina, il bagno (o gabinetto, come tutti a Wilfordshire lo chiamavano) e il minuscolo sgabuzzino.

“Gina?” chiamò Lacey nel buio. “Dove sei?”

“Ehi!” rispose la voce dell’amica, smorzata come se avesse la testa infilata dentro a qualcosa. Conoscendo Gina, era facile che fosse così. “Sono nello sgabuzzino!”

Lacey si accigliò. Non c’era motivo per cui Gina dovesse essere nello sgabuzzino. Una condizione che Lacey aveva posto quando l’aveva assunta era che non facesse sforzi eccessivi, per esempio sollevando oggetti pesanti. Però, a pensarci bene, quando mai Gina aveva ascoltato quello che Lacey le diceva?

Con un sospiro, percorse il corridoio ed entrò nella piccola stanza. Lì trovò Gina accucciata davanti allo scaffale, gli scompigliati capelli grigi raccolti in una crocchia in cima alla testa e fermati con un elastico di velluto viola.

“Cosa ci fai qua dentro?” chiese Lacey all’amica.

Gina ruotò la testa per guardarla. Aveva recentemente investito in un paio di occhiali dalla montatura rossa, affermando che ‘facevano furore a Shoreditch’ (anche se il motivo per cui una pensionata ultrasessantenne dovesse seguire la moda trendy dei giovani londinesi era un mistero per Lacey). Gli occhiali le scivolarono sul naso. Con l’indice Gina li rimise a posto, poi indicò uno scatolone rettangolare sul ripiano davanti sé.

“C’è una scatola chiusa qui,” le disse. Poi, con tono deliberatamente cospiratorio aggiunse: “E il timbro postale dice che viene dalla Spagna.”

Lacey si sentì subito avvampare le guance. Il pacco veniva da Xavier Santino, il bel collezionista di antiquariato spagnolo che aveva partecipato alla sua asta a tema nautico il mese precedente nel tentativo di rimettere insieme la collezione di antichi cimeli di famiglia andati perduti. Insieme a lei era diventato un sospettato nell’omicidio di un turista americano. Durante quell’odissea erano diventati amici e il loro legame si era rafforzato ancora di più quando Lacey aveva scoperto il collegamento di Xavier al suo padre scomparso.

“È solo una cosa che mi ha mandato Xavier,” disse Lacey, cercando di chiudere l’argomento. “Sai che mi sta aiutando a mettere insieme le informazioni riguardanti la scomparsa di mio padre.”

Gina si alzò in piedi facendo scricchiolare le ginocchia e scrutò Lacey con espressione sospettosa. “So molto bene quello che deve fare,” disse, posandosi le mani sui fianchi. “Quello che non capisco è perché ti mandi dei regali. Questo è il terzo in questo mese.”

“Regali?” ribatté Lacey sulla difensiva, cogliendo l’insinuazione di Gina. “Una busta piena di ricevute del negozio di mio padre durante il viaggio di Xavier a New York non è esattamente quello che definirei un regalo.”

Il volto di Gina rimase impassibile. Picchiettò il piede a terra. “Che mi dici del dipinto?”

Mentalmente Lacey si figurò il dipinto a olio raffigurante una barca in mezzo al mare che Xavier le aveva spedito giusto la settimana scorsa. Lo aveva appeso sopra al caminetto del salotto nel Crag Cottage.

“È il genere di barca che il suo bis-bisnonno capitanava,” spiegò a Gina, sempre mantenendo un atteggiamento di difesa. “Xavier l’ha trovato a un mercatino delle pulci e ha pensato che potesse piacermi.” Scrollò le spalle con noncuranza, cercando di minimizzare.

“Huh,” sbuffò Gina, le labbra premute a formare una linea dritta. “Ho visto questo e ho pensato a te. Tu sai cosa si può pensare da fuori…”

Lacey sbuffò irritata. Aveva raggiunto il limite della propria pazienza. “Qualsiasi cosa tu stia insinuando, perché non la dici e basta?”

“Bene,” rispose l’amica con coraggio. “Penso che nel fare-regali di Xavier ci sia più di quanto tu voglia riconoscere. Penso che tu gli piaccia.”

Anche se Lacey aveva immaginato che l’amica volesse dire questo, si sentì comunque accusata nel sentirselo spiegare così direttamente.

“Io sono perfettamente felice con Tom,” le disse, immaginando mentalmente il bellissimo pasticciere dal grande sorriso che aveva la fortuna di poter definire compagno. “Xavier sta solo tentando di aiutarmi. Ha promesso che l’avrebbe fatto quando gli ho regalato il sestante del suo bisnonno. Stai inventando una storia dove non c’è proprio niente.”

“Se non ci fosse nessuna storia,” le rispose Gina con calma, “allora perché tieni nascosto il pacco di Xavier sulla mensola di fondo dello scaffale del magazzino?”

Lacey esitò momentaneamente. Le accuse di Gina l’avevano colta alla sprovvista, lasciandola confusa. Per un momento dimenticò il motivo per cui aveva messo via il pacco dopo aver firmato la ricezione, invece di aprirlo subito. Poi ricordò: i documenti erano in ritardo. Xavier le aveva detto che c’era bisogno di firmare un certificato di accompagnamento, quindi aveva deciso di mettere tutto da parte e aspettare, giusto per non violare qualche fastidiosa legge britannica di cui non era ancora a conoscenza. Con tutto il tempo che la polizia aveva passato a gironzolare per il suo negozio, l’attenzione non era mai troppa!

“Non lo sto nascondendo,” disse. “Sto aspettando che arrivi il certificato.”

“Non sai cosa ci sia dentro?” chiese Gina. “Xavier non ti ha detto cos’è?”

Lacey scosse la testa.

“E tu non hai chiesto?” insistette l’amica.

Di nuovo, Lacey fece di no con la testa.

Notò poi che l’espressione accusatoria negli occhi di Gina stava iniziando a svanire, pian piano sostituita da curiosità.

“Pensi che potrebbe essere qualcosa di…” Gina abbassò la voce mentre parlava, “… illegale?”

Nonostante fosse certa che Xavier non potesse averle inviato niente di illegittimo, Lacey era ben contenta di cambiare argomento, quindi seguì il discorso dell’amica.

“Potrebbe essere,” disse.

Gina sgranò gli occhi ancora di più. “Che genere di cosa?” le chiese, come un bambino meravigliato.

“Avorio, per esempio,” le disse Lacey, ricordando dai propri studi quali fossero gli oggetti che era vietato vendere nel Regno Unito, sia in ambito antiquario che no. “Qualsiasi cosa prodotta con la pelliccia di una specie in via d’estinzione. Rivestimenti prodotti con materiale non ignifugo. Ovviamente armi…”

Tutte le tracce di sospetto ora svanirono completamente dall’espressione di Gina. La ‘storia’ su Xavier era stata dimenticata in un batter d’occhio, sostituita dalla possibilità molto più emozionante che all’interno dello scatolone potesse esserci un’arma.

“Armi?” ripeté la donna con voce un po’ gracchiante. “Non possiamo aprire e vedere?”

Sembrava eccitata come un bambino vicino all’albero di Natale il giorno della vigilia.

Lacey esitò. Era stata curiosa di guardare all’interno di quel pacco da quando le era arrivato dal corriere speciale. A Xavier doveva essere costato un occhio della testa mandarlo dalla Spagna, e anche la confezione era elaborata: lo spesso cartone era rigido come legno e il tutto era fissato con graffette industriali e legato con fascette di plastica. Qualsiasi cosa ci fosse dentro, era indubbiamente molto preziosa.

“Ok,” disse Lacey, sentendosi ribelle. “Che male può fare darci una sbirciata?”

Si infilò un ciuffo vagante dei suoi ricci neri dietro l’orecchio e prese il taglierino. Lo usò per segare le fascette e allentare le graffette. Poi aprì la scatola e frugò all’interno del materiale da imballo.

“È una cassetta,” disse, tirando la maniglia in pelle e sollevando una pesante cassetta di legno. I pezzi di polistirolo svolazzarono dappertutto.

“Sembra la valigetta di una spia,” disse Gina. “Oh, non pensi che tuo padre fosse una spia, vero? Magari una spia russa!”

Lacey ruotò gli occhi al cielo mentre posava la pesante cassetta sul pavimento. “Nel corso degli anni credo di aver ipotizzato un sacco di teorie stravaganti su cosa possa essere accaduto a mio padre,” disse, mentre faceva scattare i fermi della cassetta uno dopo l’altro. “Ma la cosa della spia russa non mi era mai venuta in mente.”

Alzò il coperchio e guardò dentro alla cassa. Sussultò vedendo ciò che conteneva. Un bellissimo fucile da caccia a pietra focaia.

Gina si mise a tossire. “Non puoi tenere qui questa cosa! Santo cielo, probabilmente non puoi proprio tenerlo in Inghilterra, punto! Cosa diavolo stava pensando Xavier quando te l’ha mandato?”

Ma Lacey non stava ascoltando lo sfogo dell’amica. La sua attenzione era fissa sul fucile. Era in forma eccellente, nonostante il fatto che dovesse avere ben più di cent’anni.

Con attenzione, tolse il fucile dalla cassa, sentendone il peso tra le mani. C’era in esso qualcosa di familiare. Ma non aveva mai tenuto in mano un fucile, meno che meno ne aveva usato uno, e nonostante la strana sensazione di déjà-vu che la pervadeva, non aveva concreti ricordi a cui aggrapparsi.

Gina iniziò ad agitare le mani. “Lacey, mettilo giù! Mettilo giù! Scusa se te l’ho fatto tirare fuori. Non pensavo davvero che fosse un’arma.”

“Gina, calmati,” le disse Lacey.

Ma l’amica era scatenata. “Ti serve una licenza! Può addirittura darsi che tu stia commettendo un crimine ad avere questo oggetto in questo Paese! Le cose qui sono molto diverse dagli Stati Uniti!”

Il blaterare di Gina raggiunse un picco di fervore, ma Lacey lasciò perdere. Aveva imparato che non c’era modo di calmarla quando aveva le sue esplosioni. Alla fine si esaurivano da sole. Oppure Gina si sarebbe alfine stancata.

E poi la sua attenzione era troppo presa dal bellissimo fucile per poter anche minimamente badare a lei. Era ipnotizzata dalla strana sensazione di familiarità che le aveva suscitato.

Guardò dentro alla canna. Lo soppesò. Ne sentì la forma tra le mani. Ne inalò addirittura l’odore. C’era qualcosa di meraviglioso in questo fucile, come se avesse sempre dovuto appartenerle.

In quel momento, Lacey si rese conto del silenzio. Gina aveva finalmente smesso di farneticare. Lacey sollevò gli occhi e la guardò.

“Hai finito?” le chiese con calma.

Gina stava ancora fissando il fucile come se fosse la tigre di un circo scappata dalla sua gabbia, ma annuì lentamente.

“Bene,” disse Lacey. “Quello che stavo tentando di dirti è che non solo ho fatto i miei compiti per casa per quanto riguarda la legge britannica che regola il possesso e utilizzo di armi da fuoco, ma ho effettivamente un certificato di commercio legale di armi antiche.”

Gina esitò con un piccolo e perplesso cipiglio a corrucciarle il viso. “Davvero?”

“Sì,” le assicurò Lacey. “Quando ancora stavo valutando il contenuto della Villa di Penrose, mi sono imbattuta in una collezione completa di fucili da caccia. Ho dovuto subito fare domanda di licenza per poter tenere l’asta. È stato Percy Johnson ad aiutarmi a organizzare tutto.”

Gina strinse le labbra. Ora mostrava la sua migliore espressione da surrogato di madre. “Perché non ne sapevo niente?”

“Beh, ancora non lavoravi per me allora, giusto? Eri solo la signora della porta accanto, le cui pecore venivano di continuo nel mio giardino.” Lacey rise ripensando al caro ricordo della prima mattina in cui si era svegliata al Crag Cottage, trovando un gregge di pecore che mangiavano la sua erba.

Gina non le restituì il sorriso. Sembrava essere di umore cocciuto.

“Lo stesso,” disse, incrociando le braccia, “dovrai farlo registrare dalla polizia, no? Farlo inserire nel database delle armi da fuoco.”

Sentendo parlare di polizia, nella mente di Lacey apparve un’immagine del volto impassibile del sovrintendente Karl Turner, seguita immediatamente dal volto della sua stoica collega, la detective Beth Lewis. Aveva incontrato quei due tante di quelle volte che le sarebbero potute bastare per una vita.

“A dire il vero no,” spiegò a Gina. “È un pezzo di antiquariato, e non è funzionante. Questo significa che è classificato come oggetto ornamentale. Te l’ho detto: ho fatto tutti i miei compiti per casa!”

Ma Gina era irremovibile. Sembrava determinata a trovare qualcosa di irregolare in materia.

“Non funzionante?” ripeté. “Come puoi saperlo per certo? Pensavo avessi detto che le carte erano in ritardo.”

Lacey esitò. Qui Gina aveva ragione. Non aveva ancora visto i documenti, quindi non poteva essere sicura al cento per cento che il fucile non fosse funzionante. Ma non c’erano munizioni nella cassa, tanto per cominciare, e lei era piuttosto certa che Xavier non le avrebbe inviato per posta un’arma carica!

“Gina,” disse con voce ferma e tono definitivo, “ti assicuro che ho tutto sotto controllo.”

L’affermazione uscì con facilità dalla bocca di Lacey. Lei ancora non lo sapeva, ma erano parole di cui presto si sarebbe pentita.

Gina parve cedere un poco, anche se non sembrava felice di farlo. “Va bene. Se dici che è tutto in ordine, allora è tutto in ordine. Ma perché mai Xavier avrebbe dovuto mandarti un dannato fucile?”

“Questa è effettivamente una buona domanda,” disse Lacey, chiedendosi improvvisamente la stessa cosa.

Mise la mano nel pacco e trovò un pezzo di carta piegato sul fondo. Lo tirò fuori. La precedente insinuazione di Gina che Xavier avesse in mente più che un’amicizia con lei la rese immediatamente impacciata. Si schiarì la gola mentre apriva la lettera e la leggeva a voce alta.


“Cara Lacey,

come sai sono stato recentemente a Oxford…”

Si fermò, sentendo lo sguardo di Gina fisso su di lei, come se l’amica la stesse tacitamente giudicando. Sentendo le guance che si scaldavano, Lacey spostò il foglio in modo che Gina non potesse vedere.


“Come sai sono stato recentemente a Oxford a cercare i pezzi d’antiquariato del mio bis-bisnonno che erano andati perduti, e questo ha risvegliato la mia memoria. Tuo padre aveva un fucile simile in vendita nel suo negozio di New York. Ne abbiamo parlato. Mi aveva raccontato di aver fatto recentemente un viaggio di caccia in Inghilterra. Era una storia divertente. Mi aveva raccontato che non sapeva che fosse la stagione in cui la caccia era chiusa, allora, e che quindi poteva cacciare legalmente solo conigli. Ho fatto una ricerca sulle stagioni di caccia in Inghilterra, ed è venuto fuori che la caccia è chiusa in estate. Non ricordo che abbia parlato direttamente di Wilfordshire, ma ricordo che tu hai detto che era lì che andava in vacanza? Magari c’è un circolo di caccia locale? Magari l’hanno conosciuto?

Tuo Xavier


Lacey evitò lo sguardo indagatore di Gina mentre ripiegava la lettera. Non c’era bisogno che la donna parlasse perché Lacey sapesse quello che stava pensando: che Xavier avrebbe potuto raccontarle di questo ricordo in un messaggio, piuttosto che spedendole un fucile vero e proprio! Ma a Lacey non interessava veramente. Era più interessata al contenuto della lettera che a qualsiasi nozione romantica sottesa alle azioni di Xavier.

Quindi suo padre si divertiva ad andare a caccia durante le sue estati in Inghilterra, giusto? Questa era una cosa nuove per lei! A parte il fatto che non aveva ricordo che avesse mai posseduto un fucile, non poteva immaginarsi che sua madre fosse d’accordo. Era estremamente impressionabile. Si offendeva facilmente. Era per questo che andava in un paese diverso per farlo? Poteva essere un segreto che aveva tenuto completamente nascosto a sua madre, un piacere colpevole che si concedeva solo una volta all’anno. O forse era venuto fino in Inghilterra a sparare per la compagnia che aveva qui…

Lacey ricordava la bellissima donna nel negozio di antiquariato, quella che aveva aiutato Naomi dopo che la piccola aveva rotto il soprammobile; quella che avevano incontrato di nuovo per strada, quando il raggio di sole alle sue spalle aveva oscurato i suoi tratti. La donna con il delicato accento inglese e il profumo fragrante. Poteva essere stata lei a far avvicinare suo padre a quell’hobby? Era un passatempo che condividevano?

Lacey afferrò il cellulare per mandare un messaggio alla sua sorella più piccola, ma era riuscita solo a scrivere “Papà aveva fucili…” quando fu interrotta dal bau-bau-bauuuu di Chester che richiamò la sua attenzione. Il campanello della porta d’ingresso doveva aver tintinnato.

Ripose il fucile nella cassa, la chiuse accuratamente e si incamminò verso il negozio.

“Non puoi lasciare quell’affare qua in giro!” gridò Gina, passando di nuovo in un secondo da sospettosa a terrorizzata.

“Mettilo nella cassaforte allora, se ti preoccupa così tanto,” disse Lacey, ormai alla porta dello sgabuzzino.

“Io?” la sentì esclamare.

Anche se era ormai a metà del corridoio, Lacey si fermò e sospirò.

“Arrivo subito!” gridò verso il negozio, dove era diretta.

Mentre spostava il fucile, Gina continuò a fissare la cassa con sguardo cauto e fece un passo indietro quando le passò vicino, come se l’arma potesse esplodere da un secondo all’altro. Lacey riuscì a fare in modo di ruotare gli occhi al cielo solo quando fu certa che la donna non potesse vederla.

Portò il fucile alla grande cassaforte d’acciaio dove teneva in completa sicurezza tutti i suoi articoli più costosi e preziosi. Poi ritornò verso il corridoio, seguita da un’ammansita Gina. Almeno ora l’arma era nascosta e la donna aveva smesso di starnazzare.

Quando fu tornata nel salone principale del negozio, Lacey si aspettava di trovarvi un cliente intento a curiosare tra gli scaffali pieni zeppi di oggetti. Invece fu accolta dalla spiacevole vista di Taryn, la sua avversaria della boutique accanto.

Taryn ruotò sui suoi alti tacchi sentendo arrivare Lacey. I suoi capelli scuri e cortissimi erano acconciati con così tanto gel che neanche un singolo capello si muoveva. Nonostante la luminosa giornata di giugno, era vestita con il suo solito tubino scuro che metteva in risalto ogni angolo del suo scheletrico corpo da modaiola.

“Di solito lasci i tuoi clienti da soli e senza assistenza così a lungo?” le chiese la donna con tono sprezzante.

Accanto a sé Lacey sentì il sommesso ringhio di Chester. Il pastore inglese non aveva nessuna simpatia per l’altezzosa commessa. E neppure Gina, che borbottò a modo suo prima di andare ad occuparsi di alcune carte.

“Buongiorno, Taryn,” disse Lacey, sforzandosi di essere cordiale. “Come posso aiutarti in questa bellissima giornata?”

Taryn lanciò un’occhiataccia a Chester, poi incrociò le braccia e fisso il suo sguardo da falco su Lacey.

“Te l’ho già detto,” le disse. “Sono una cliente.”

“Tu?” le chiese Lacey, troppo velocemente per poter nascondere la sua incredulità.

“Sì, sul serio,” rispose Taryn con voce asciutta. “Mi serve una di quelle cose tipo lampadina di Edison. Hai capito quali. Quelle robe orrende con la lampadina sul piedestallo di bronzo? Le hai sempre in vetrina.”

Cominciò poi a guardarsi attorno. Con il naso rivolto all’insù, a Lacey faceva pensare a un uccello. Non poté fare a meno di essere sospettosa. Il negozio di Taryn era semplice e minimalista, con delle luci a soffitto che illuminavano in maniera asettica ogni cosa. A cosa le serviva una lampada rustica?

“Stai facendo un restyling della boutique?” le chiese allegramente, uscendo da dietro il bancone e facendo cenno a Taryn di seguirla.

“Voglio solo dare all’ambiente un po’ di carattere,” disse la donna mentre i suoi tacchi ticchettavano dietro a Lacey. “E da quanto ho capito, quelle lampade sono molto in al momento. Le vedo ovunque. Dalla parrucchiera. Al bar. Nella caffetteria di Brooke ce n’erano un milione…”

Lacey si immobilizzò e il suo cuore iniziò a martellarle nel petto.

Solo sentire il nome della vecchia amica la mandava ancora nel panico. Era passato appena un mese da quando la donna australiana l’aveva rincorsa brandendo un coltello, cercando di farla tacere dopo che era riuscita a uccidere un turista americano. I lividi di Lacey erano guariti, ma le cicatrici mentali erano ancora fresche.

Quindi era per questo motivo che Taryn le stava chiedendo una lampada Edison? Non perché ne voleva una, ma in modo da avere una scusa per tirare fuori il nome di Brooke e innervosire Lacey! Era davvero una persona orribile.

Perdendo tutto l’entusiasmo di dare una mano a Taryn, anche se avrebbe dovuto considerarla una cliente, Lacey indicò di malavoglia quello che chiamava ‘Angolo steampunk’, la sezione del negozio dove si trovava la sua collezione di lampade in bronzo.

“Laggiù,” le disse.

Vide l’espressione di Taryn inasprirsi mentre visionava la gamma di occhiali da pilota e bastoni da passeggio, oltre alla tuta completa da sub. Ad essere sinceri, neanche a Lacey piaceva tantissimo l’estetica di quell’allestimento. Ma c’era un buon numero di persone a Wilfordshire – quelli con i capelli neri e i mantelli di velluto – che facevano regolarmente visita al suo negozio, quindi si procurava quegli articoli nello specifico per loro. L’unico problema era che quella nuova sezione ora schermava la vista, prima libera, verso la pasticceria di Tom dall’altra parte della strada. Detto in soldoni, Lacey non poteva più guardarlo con occhi sognanti ogni volta che gliene veniva voglia.

Con Taryn ora occupata, colse l’opportunità per dare un’occhiata dall’altra parte della strada.

Il negozio di Tom era pieno di gente come sempre. Ora ce n’era anche di più, dato il maggior numero di turisti. Lacey scorse la sua alta figura che sfrecciava a destra e a sinistra, lavorando a ipervelocità per accontentare tutti. La calda luce di giugno faceva apparire ancora più dorata la sua pelle.

In quel momento Lacey scorse la nuova assistente di Tom: Lucia. Aveva assunto la giovane donna solo poche settimane prima in modo da poter avere più tempo libero da passare con Lacey. Ma da quando la ragazza aveva iniziato a lavorare lì, la pasticceria era più piena che mai!

Lacey continuò a guardare, vedendo Lucia e Tom che quasi andavano a sbattere l’uno contro l’altra, poi facevano contemporaneamente un passo a destra, poi a sinistra, tentando di evitare lo scontro, ma continuando a portare avanti una comica sequenza di movimenti a specchio. La scenetta ebbe fine quando Tom fece un inchino teatrale, in modo che Lucia potesse passare alla sua sinistra. E in quello le rivolse uno dei suoi luminosissimi sorrisi.

Lacey si sentì stringere lo stomaco davanti a quella scena. Non poté farne a meno. Gelosia. Sospetto. Erano tutte emozioni nuove per lei, emozioni che le sembrava di aver acquisito solo dopo il suo divorzio, come se il suo ex marito le avesse infilate tra le pagine dei documenti per assicurarsi che le sue relazioni future fosse il più tese possibile. Erano brutti sentimenti, ma lei non riusciva a controllarli. Lucia passava molto più tempo con Tom rispetto a lei. E il tempo che passava con lui era quello che lo vedeva al meglio della condizione: energico, creativo e produttivo. Non assonnato sul divano davanti alla TV. Tutto sembrava mal bilanciato, come se stessero condividendo Tom e la divisione fosse stava fatta a enorme vantaggio della giovane donna.

“Carina, vero?” le disse la voce di Taryn, giungendole all’orecchio come quella del diavolo dalla sua spalla.

Lacey sussultò. Taryn stava rigirando il coltello nella piaga come suo solito.

“Moooolto carina,” aggiunse la donna. “Deve farti impazzire sapere che Tom sta lì tutto il giorno insieme a lei.”

“Non essere stupida,” le disse Lacey con tono brusco.

Ma la considerazione di Taryn era, per usare un idioma di Gina, ‘azzeccata’. Cioè: aveva completamente ragione. E questo rendeva Lacey ancora più frustrata.

Taryn le rivolse un sottile sorriso e una scintilla maligna apparve nei suoi occhi. “È da tanto che volevo chiederti: come sta il tuo spagnolo. Xavier, giusto?”

Lacey sussultò ancora. “Non è il mio spagnolo!”

Ma prima che potessero mettersi a discutere, il campanellino tintinnò sonoramente e Chester abbaiò.

Salvata dalla campana, pensò Lacey, allontanandosi velocemente da Taryn e dalle sue allusioni da vipera.

Ma quando vide chi c’era ad aspettarla, si chiese se non fosse forse passata dalla padella alla brace.

Lì in mezzo al negozio c’era Carol del B&B, con un’espressione di misero orrore stampata in viso. Sembrava essere nel panico e stava ansimando come se avesse fatto tutta la strada fino a lì di corsa.

Lacey si sentì aggrovigliare lo stomaco. Un orribile senso di déjà-vu la pervase. Era successo qualcosa. Qualcosa di brutto.

“Carol?” chiese Gina. “Che problema c’è, tesoro? Sembra che tu abbia visto un fantasma.”

Il labbro inferiore di Carol iniziò a tremare. Aprì la bocca come a voler parlare, ma poi la richiuse.

Lacey sentì dietro di sé il ticchettio dei tacchi di Taryn mentre la donna si avvicinava, presumibilmente per poter avere l’esclusiva della storia.

L’attesa era snervante per Lacey. Insopportabile. Il timore pareva scorrerle in ogni angolo del corpo.

“Cosa c’è, Carol?” le chiese. “Cos’è successo?”

Carol scosse la testa vigorosamente. “Temo di avere delle notizie orribili…”

Lacey si preparò al peggio.

I cinque del salotto

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